Quali i criteri per valutare lo stato di adottabilità del minore?

19 Aprile 2019

Il giudizio sullo stato di adottabilità di un minore va pronunciato alla stregua di una valutazione rigorosa in merito alla sua situazione di abbandono morale e materiale da parte dei genitori naturali.
Massima

Il giudizio sullo stato di adottabilità di un minore va pronunciato alla stregua di una valutazione rigorosa in merito alla sua situazione di abbandono morale e materiale da parte dei genitori naturali, che deve essere necessariamente formulata su idonei elementi indiziari, in termini di attualità, e tener conto del tentativo di recupero delle capacità di cura di entrambi i genitori, che ne siano privi, attraverso l'adesione ad un progetto predisposto ad hoc in collaborazione con i servizi territoriali.

Il caso

La Corte d'appello confermava la pronuncia di adottabilità di una bambina per la quale il giudice minorile di primo grado aveva disposto l'affidamento eterofamiliare, dopo aver sperimentato, senza esito positivo, anche il suo inserimento, unitamente alla madre, in una comunità educativa. La decisione fondava sul rilievo della carenza di capacità genitoriali di entrambi i genitori, non più conviventi, dedotta, per la madre, dalle risultanze istruttorie relative all'osservazione effettuata dai Servizi Sociali e disposta anche a mezzo di CTU, e ritenute preminenti rispetto al legame affettivo madre-figlia, pur esistente, e alle buone capacità accuditive della donna. Si riteneva rilevante anche l'incapacità di recupero di tali capacità genitoriali da parte della madre, avendo la stessa usufruito degli aiuti offerti, per fini esclusivamente personali, ed avendo tenuto una condotta denigratoria nei confronti della famiglia affidataria. Il padre invece non aveva mai avviato un serio progetto di recupero ed aveva tenuto una condotta di vita deviante, subendo periodi di detenzione e denunce per vari reati, tra cui quello di maltrattamenti in famiglia.

La madre biologica ricorreva per cassazione eccependo, in via preliminare, vizi di natura procedurale, che avrebbero condizionato il rispetto del principio del contraddittorio e quindi inciso sul diritto di difesa. Nel merito lamentava dell'omessa valutazione di fatti ritenuti decisivi, quale il percorso di recupero da lei intrapreso per prendersi cura della figlia, dall'interesse concreto manifestato verso il minore e del suo attaccamento alla figura genitoriale, delle risultanze istruttorie di CTU, avendo la Corte territoriale ancorato il suo giudizio a risultanze risalenti nel tempo e prive del carattere dell'attualità.

Il padre non si costituiva in giudizio, mentre il tutore legale della minore presentava controricorso adesivo a quello della madre, chiedendone l'accoglimento.

La Suprema Corte ha annullato la pronuncia di merito, delegando al giudice del rinvio una più compiuta valutazione in ordine allo stato di abbandono del minore, sulla base di tutti gli elementi istruttori.

La questione

Vanno individuati gli elementi sui quali deve fondare la declaratoria dello stato di abbandono del minore da parte dei suoi genitori biologici, in termini di concretezza ed attualità, in un giudizio complessivo che tenga conto anche della volontà di recupero delle capacità genitoriali manifestate nel corso del giudizio civile da entrambi i genitori, delle cure da loro in concreto apprestate e del legame affettivo esistente con il figlio minore.

Le soluzioni giuridiche

La declaratoria relativa allo stato di abbandono del minore rappresenta l'estrema ratio e deve fondare sulla valutazione della recente condotta di vita dei genitori, stigmatizzata non già per sanzionarli, quanto piuttosto rappresentando le conseguenze che tale condotta determina, in termini prognostici e di concreto pregiudizio, sulle condizioni di vita del figlio, in relazione alla sua età, sul suo sereno sviluppo psicofisico; nonché sulla verifica della mancata disponibilità di altri familiari a prendersi cura in modo adeguato del minore.

Il giudice deve garantire il diritto del minore di crescere nell'ambito della propria famiglia di origine, ritenuta l'ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo – per come sancito dall'art. 1 l. n. 184/1983, dall'art. 8 CEDU (l. n. 848/1955) e dagli artt. 7 e 9 della Convenzione di New York (l. n. 176/1991) – che si pone come corollario del principio di non ingerenza nella vita familiare, e discostarsene solo ove le condizioni familiari appaiono di grave pregiudizio per lo sviluppo psicofisico del minore.

La verifica dello stato di abbandono morale e materiale del figlio inoltre va effettuata, in termini di concretezza ed attualità, alla data della pronuncia, senza trascurare il legame affettivo esistente tra i genitori ed il minore.

Osservazioni

La pronuncia in esame pone ancora una volta l'accento sull'estrema complessità della decisione del giudice minorile, il quale, nel momento in cui decide lo stato di adottabilità del minore, recide per sempre il suo legame con la famiglia d'origine e pone così le premesse per legittimare l'adozione e quindi il suo ingresso definitivo in un diverso nucleo familiare. L'art. 1 l. n. 183/1984, come modificata dalla l. n. 149/2001, sancisce il diritto di ogni minore a vivere nella sua famiglia d'origine.

La dichiarazione di adottabilità, presupposto per la sua adozione legittimante in favore di altra famiglia, rappresenta quindi una forma di tutela estrema per il minore. Trattasi di istituto cui ricorrere solo nel caso in cui si accerti, innanzitutto, l'assenza di capacità di cura nei genitori biologici, e l'impossibilità di recuperare tali competenze, nonostante siano stati loro offerti strumenti di sostegno alle loro precarie condizioni di vita, ad esempio attivandosi per reperire loro un lavoro, una soluzione abitativa, un percorso di recupero da varie forme di dipendenza patologica, e quindi mettendoli in condizione di migliorare la loro complessiva qualità di vita e di recuperare anche le competenze genitoriali e la capacità di cura verso il figlio minore.

Il giudice deve inoltre verificare l'assenza di risorse endofamiliari, ad esempio la presenza di soggetti adulti: nonni, zii, disponibili ed in grado di sopperire e/o dare sostegno alle carenze genitoriali, integrandole, e, in alcuni casi, sostituendosi ai primi.

Il giudizio prognostico in ordine al recupero della capacità di cura di uno o di entrambi i genitori va formulato sulla base di tutti gli atti istruttori acquisiti nel corso del giudizio, valutando anche la loro condotta pregressa ed il legame affettivo con il figlio, che in molti casi rappresenta un movente di eccezionale importanza perché determina il genitore nella volontà di migliorarsi, per poter continuare a mantenere saldo quel vincolo familiare.

La valutazione in merito alla possibilità di ripristino delle competenze genitoriali, tenuto conto delle esigenze del figlio minore, va inoltre espresso con riguardo al breve periodo.

È evidente che il migliore interesse per lo sviluppo psicofisico di un bambino è quello di poter continuare a vivere con i due genitori biologici, che egli individua, in modo stabile, come sicuri riferimenti affettivi nel suo percorso di crescita.

Il nuovo progetto di vita predisposto per i genitori biologici, che siano riscontrati privi di capacità di cura ed educative, quindi dovrà svolgersi in tempi medio-brevi, che solo il giudice potrà stabilire, e tenendo conto anche del temporaneo collocamento del minore fuori dalla famiglia - in comunità educativa o presso una famiglia affidataria - e della necessità di consentire il suo pronto rientro nella famiglia biologica, nel momento in cui quest'ultima abbia ripristinato condizioni di vita idonee alla sua crescita.

La pronuncia in esame, nel riaffermare che il giudizio relativo allo stato di abbandono di un minore debba essere formulato anche tenendo conto delle prospettive di recupero delle competenze e delle capacità genitoriali, pone un grande tema: quello della necessaria interrelazione tra l'attività amministrativa e l'intervento del giudice minorile, che appare rilevante in tutti i procedimenti di volontaria giurisdizione a tutela dei minori che vivono in condizione di pregiudizio socio-familiare, e ancor più stringente nel giudizio volto alla verifica dello stato di abbandono morale e materiale.

Appare infatti evidente come gli interventi disposti da giudice nel corso del procedimento civile di adottabilità e le prescrizioni rivolte ai genitori di collaborare con i servizi sociosanitari delegati ad apprestare misure di sostegno al nucleo - nella prospettiva di un generale miglioramento delle loro condizioni vita - possono risultare efficaci nella misura in cui in quel territorio operino servizi ben strutturati, con adeguate risorse e buone professionalità in grado di prendere in carico i genitori e di offrire loro il sostegno suggerito dall'Autorità giudiziaria nell'ottica del recupero delle capacità.

Sotto tale profilo deve registrarsi la non omogeneità dei servizi amministrativi presenti sul territorio nazionale. In alcune regioni e nei comuni più piccoli, i servizi territoriali sono spesso carenti di persone e di mezzi. In questi casi l'intervento di sostegno in favore dei genitori sebbene disposto dal giudice minorile, il più delle volte, e nonostante la disponibilità e la collaborazione del nucleo familiare, è destinata a non sortire effetti positivi in termini di miglioramento delle condizioni di vita socio-familiare, e quindi di capacità di cura materiale e morale verso i figli in tenera età.

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