Sequestro conservativo: il periculum in mora non può essere apprezzato in base a un semplice "automatismo" imperniato sull'imputazione

Emilia Conforti
19 Aprile 2019

L'apprezzamento della sussistenza del periculum in mora, ai fini dell'applicazione...
Massima

L'apprezzamento della sussistenza del periculum in mora, ai fini dell'applicazione della misura cautelare reale del sequestro conservativo, va correlato al rischio che all'esito del processo la garanzia del credito non possa trovare soddisfazione con il patrimonio del debitore; pertanto, è giuridicamente errato che tale valutazione sia effettuata sulla base di un mero automatismo imperniato sulla imputazione.

Il caso

Il Tribunale del riesame di Venezia rigettava le richieste di riesame proposte avverso il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia con il quale era stata applicata la misura del sequestro conservativo di denaro, beni mobili e immobili dei ricorrenti fino alla concorrenza della somma costituente il profitto del reato.

Il ricorso per riesame era stato proposto nell'interesse del legale rappresentante e di due dipendenti aventi poteri di fatto di gestione e di disposizione patrimoniale in relazione alle imputazioni provvisorie di concorso in bancarotta fraudolenta per distrazione e di concorso in bancarotta fraudolenta documentale.

La questione

La pronuncia in commento – annullando l'ordinanza emessa dal Tribunale di Riesame di Venezia - è tornata a occuparsi del requisito del periculum in mora ribadendo la posizione espressa sul punto dalle Sezioni Unite Zambito (n. 51660/2014) .

La V Sezione ha, altresì, affrontato il tema dei rapporti della valutazione del fumus commissi delicti a seguito dell'emissione del decreto che dispone il giudizio, della coerenza della soluzione interpretativa vigente su tale tema con il principio di proporzionalità e dell'incidenza di tale principio anche sul requisito del periculum in mora.

Le soluzioni giuridiche

In particolare, nel rigettare le censure formulate in ordine al fumus commissi delicti, la V sezione ha ribadito la validità della posizione interpretativa secondo la quale l'emissione del decreto che dispone il giudizio preclude la valutazione del fumus ai fini dell'applicazione della misura cautelare del sequestro conservativo, posto che, per pacifica giurisprudenza, l'emissione di tale decreto presuppone una valutazione giudiziale sulla idoneità e sufficienza degli elementi acquisiti per sostenere l'accusa in giudizio.

Si ritiene, infatti, che tale valutazione non può essere messa in discussione e privata della sua rilevanza per ragioni connesse al sistema impugnatorio delle misure reali, atteso che, la ratio della preclusione – ha precisato la giurisprudenza - è «collegata all'intervento di una valutazione del giudice dell'udienza preliminare di idoneità e sufficienza degli elementi acquisiti a sostenere l'accusa in giudizio, che reca in sè una positiva delibazione di sussistenza dell'ipotizzata fattispecie di reato, più intensa della mera valutazione sommaria compiuta in sede di emissione della misura cautelare» (Cass. pen., Sez. V, 2 ottobre 2014 n. 51147, Figari, Rv. 261906).

Risulta, pertanto, agevole comprendere il motivo per cui tale preclusione non opera rispetto alla richiesta di rinvio a giudizio,atto della pubblica accusa che non contiene tale valutazione.

Analogamente, ha rilevato la Corte, nel caso di emissione di decreto di citazione diretta a giudizio degli interessati, decreto che, in sede di riesame del provvedimento di sequestro, non preclude la proponibilità della questione relativa alla sussistenza del fumus commissi delicti.

In tal caso, infatti, a differenza di quanto accade con l'emissione del decreto di rinvio a giudizio, non vi è una preventiva verifica giurisdizionale sulla fondatezza dell'azione penale esercitata.

La validità e il fondamento della posizione interpretativa fin qui delineata vengono ribaditi dalla Suprema Corte anche attraverso il ricorso ad argomentazioni di ordine esegetico, inerenti la contigua figura delle misure cautelari personali, e di ordine sistematico.

In relazione al primo profilo, la V sezione evidenzia che la validità dell'orientamento in esame è stato ribadita dalla Cassazione anche dopo la pronuncia della Corte Costituzionale, la quale, con la sentenza n. 71 del 1996, ha dichiarato la illegittimità degli artt. 309 e 310 c.p.p., nella parte in cui non prevedevano la possibilità di valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nell'ipotesi di intervenuta emissione del decreto che dispone il giudizio a norma dell'art. 429 c.p.p.

Tale arresto, infatti, non ha alcun effetto sul versante delle misure cautelari reali che, per loro natura, non risultano omologabili alle misure cautelari personali.

In tale solco interpretativo si collocano anche le Sezioni Unite secondo le quale «le condizioni generali per l'applicabilità delle misure cautelari personali, previste dall'art. 273 c.p.p., non sono estensibili, per le loro peculiarità, alle misure cautelari reali, essendo precluse per queste ultime, in sede di verifica della legittimità del provvedimento di sequestro preventivo, ogni valutazione sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati e sulla gravità degli stessi» (Cass. pen., Sez. unite, 31 marzo 2016, n. 18954, Capasso; conf. Cass. pen., Sez. Unite, 25 marzo 1993, n. 4).

Del resto, si è osservato, il diverso modularsi della disciplina delle misure cautelari personali rispetto a quella delle misure reali era stato sostenuto anche dal giudice delle leggi, secondo cui «la scelta del codice di non riprodurre per le misure cautelari reali i presupposti sanciti dall'art. 273 per le misure cautelari personali non può [...] ritenersi in sé contrastante con l'art. 24 Cost., essendo graduabili fra loro i valori che l'ordinamento prende in considerazione: da un lato, l'inviolabilità della libertà personale, e, dall'altro, la libera disponibilità dei beni, che la legge ben può contemperare in funzione degli interessi collettivi che vengono ad essere coinvolti» (Corte cost., sent. n. 48 del 1994).

Inoltre, da un punto di vista sistematico, secondo la V Sezione, sarebbero proprio le valutazioni che sottendono l'adozione del decreto che dispone il giudizio a precludere la questione relativa alla sussistenza del fumus commissi delicti, valutazioni che la sentenza in commento considera desumibili "in controluce" sulla scorta di quanto tracciato da altra sentenza delle S.U.(Cass. pen., Sez. Unite, 30 ottobre 2002, n. 39915, Vottari) intervenuta sulla figura della sentenza di non luogo a procedere.

In particolare, si evidenzia che l'orizzonte cognitivo e deliberativo in cui si muove il giudice in sede di risoluzione dell'alternativa rinvio a giudizio / non luogo a procedere si basa su una valutazione critica di sufficienza, non contraddittorietà e idoneità degli elementi probatori, valutazione che comunque, implicitamente, risulta proiettata nella prospettiva della probabilità di colpevolezza dell'imputato.

Di conseguenza, rileva la quinta sezione, siffatta valutazione sull'alternativa in esame risulta idonea - se, ovviamente, risolta nel senso del rinvio a giudizio - a dar corpo al presupposto della misura cautelare reale, nella cui adozione o conferma, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale, manca «quella incisiva valutazione prognostica sulla responsabilità dell'imputato, basata sui gravi indizi di colpevolezza, che potrebbe rendere, o far apparire, condizionato il successivo giudizio di merito da parte dello stesso giudice, così da violare le garanzie che si collegano al principio del giusto processo» (Corte cost., sent. n. 66 del 1997; conf. ord. n. 181 del 2004; ord. n. 444 del 1999; ord. n. 29 del 1999; ord. n. 203 del 1998).

L'assunto fin qui rassegnato risulta coerente – continua la Corte - al principio di proporzionalità.

In particolare, nell'analisi della V sezione, il principio in esame attiene alla più ampia questione delle modalità e dei limiti di apprezzamento del fumus commissi delicti la dove tale principio viene adoperato in relazione allo scrutinio di legittimità delle norme, mentre, come vedremo, attiene a profili più strettamente legati al periculum in mora là dove presiede alle concrete misure adottate dal giudice.

Ebbene, se in relazione al primo profilo, la valutazione di proporzionalità concerne «se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi» (Corte cost., sent. n. 1 del 2014), la quinta sezione conclude nel senso della piena legittimità del sistema delle misure cautelari reali e del fondamento giustificativo alla preclusione in punto valutazione del fumus commissi delicti connessa alla decisione del giudice sul rinvio a giudizio.

Osserva la Corte, infatti, che nessun profilo di criticità può essere ravvisato nella disciplina in tema di cautele reali e nel diritto vivente formatosi sul tema in esame, posto che, come rimarcato dal giudice delle leggi, con riguardo alle misure cautelari reali «non è richiesto il presupposto della gravità indiziaria, postulato, invece, in tema di cautele personali, in correlazione alla diversità pure di rango costituzionale - dei valori coinvolti» (Corte cost., ord. n. 153 del 2007).

Quanto al secondo profilo, che in tale prospettiva, come anticipato, rileva in relazione al periculum in mora, la V sezione chiarisce che il principio di proporzionalità, con riferimento ai sequestri implica un bilanciamento tra l'interesse dello Stato all'intervento provvisoriamente ablativo e l'interesse del soggetto nei cui confronti detto intervento viene adottato, interesse, il primo, relativo, per il sequestro probatorio, all'accertamento del reato (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 19 gennaio 2018, n. 9989, Lillo, Rv. 272538); per il sequestro preventivo, alle esigenze cristallizzate nell'art. 324 c.p.p. (cfr. Cass.pen., Sez. III, 23 marzo 2016, n. 27840, Calvisi, Rv. 267055; per il sequestro conservativo, alle esigenze di tutela dal «rischio che all'esito del processo la garanzia del credito non possa trovare soddisfazione con il patrimonio del debitore» (Cass. pen., Sez. unite, 25 settembre 2014, n. 51660, Zambito).

Venendo , infine, alla valutazione del periculum in mora, come anticipato, la quinta sezione ha annullato il provvedimento impugnato che, con motivazione ritenuta apparente, erroneamente, aveva valutato il quantum della pretesa risarcitoria facendo derivare l'ammontare complessivo del valore dell'oggetto dai vari fatti distrattivi contestati.

L'assunto dell'ordinanza impugnata è stato, infatti, ritenuto errato perché muove dall'erronea identificazione del valore dei beni oggetto di distrazione con i crediti che il sequestro conservativo è chiamato a garantire., laddove, invece, le Sezioni Unite hanno affermato che l'apprezzamento della sussistenza del presupposto in esame va correlato al «rischio che all'esito del processo la garanzia del credito non possa trovare soddisfazione con il patrimonio del debitore» (Cass. pen., Sez. unite, 25 settembre 2014, n. 51660).

Richiamando l'orientamento delle Sezioni Unite, chiarisce la Suprema Corte che il punto di vista centrale nell'individuazione del periculum in mora è il credito nei confronti dell'imputato e, pertanto, per l'adozione del sequestro conservativo ed in particolare, per la valutazione del pericolo per le garanzie del credito è sufficiente che vi sia il fondato motivo per ritenere che manchino le garanzie del credito, dunque che il patrimonio del debitore sia attualmente insufficiente per l'adempimento delle obbligazioni di cui all'art. 316 c.p.p., commi 1 e 2, mentre non occorre che simultaneamente risulti configurabile un futuro depauperamento del debitore (Cass. pen., Sez. unite, n. 51660/2014, Zambito, Rv. 261118).

Né, precisa la Corte, a sostegno della soluzione posta alla base del provvedimento impugnato può porsi il principio di diritto - consolidato nella giurisprudenza di legittimità e pure condiviso - in forza del quale è legittimo il sequestro conservativo disposto a tutela di un credito il cui importo sia determinabile con un apprezzamento che, pur approssimativo, è, tuttavia, ancorato a dati oggettivi e ad argomenti sviluppati in termini idonei a rendere comprensibile il ragionamento del giudice (Cass. pen., Sez. V, 30 marzo 2016, n. 16750, Barberini, Rv. 266702) , atteso che, nel caso da cui si era originato il suddetto principio di diritto, erano stati richiamati elementidifferenti da quelli posti alla base del provvedimento impugnato e che non esauriscono il novero dei dati astrattamente suscettibili di apprezzamento ai fini del giudizio sulla sussistenza del periculum in mora.

Osservazioni

Con la pronuncia in commento la V Sezione della Suprema Corte si allinea alla posizione seguita dalla giurisprudenza civile nell'interpretazione dell'art. 671 c.p.c. in base al quale il giudice, su istanza del creditore che ha fondato timore di perdere le garanzie del credito, può autorizzare il sequestro conservativo di beni mobili o immobili del debitore o delle cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento.

Anche in quella sede, infatti, le Sezioni civili hanno sempre ritenuto che l'espressione "perdere la garanzia" vada intesa nel senso che, nel convalidare il sequestro conservativo, il giudice di merito può fare riferimento a criteri oggettivi, rappresentati dalla capacità patrimoniale in relazione all'entità del credito, o a criteri soggettivi rappresentati dal comportamento del debitore, il quale lasci fondatamente temere atti di depauperamento del patrimonio; con l'unico obbligo di motivare adeguatamente il suo convincimento ( cfr., ad esempio, Cass. civ., Sez. III, n. 2081/2002, Rv. 552250).

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