Irrilevante la detenzione domiciliare ai fini dell'indennità per violazione dell'art. 3 CEDU

Redazione Scientifica
24 Aprile 2019

La domanda di indennizzo per violazione dell'art. 3 CEDU deve essere proposta, a pena di decadenza, entro 6 mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o della custodia in carcere, non potendo a tal fine assimilare la detenzione domiciliare.

LA VICENDA Il Tribunale di Roma rigettava la domanda volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti dall'attore per la violazione dell'art. 3 CEDU in conseguenza del periodo di detenzione subito. Il giudice riteneva maturato il termine di decadenza in quanto il ricorso sarebbe stato depositato oltre il termine di 6 mesi dalla cessazione della detenzione in carcere, con irrilevanza del successivo periodo di detenzione domiciliare. Avverso tale decisione il soccombente ricorre in Cassazione deducendo violazione dell'art. 1, comma 3, d.l. n. 92/2014, conv. in l. n. 117/2014 per aver il Tribunale escluso dalla nozione di “stato di detenzione” ivi citato la detenzione domiciliare. Il ricorrente lamenta inoltre la violazione dell'art. 3 CEDU invocando l'interpretazione offerta dalla Corte EDU con la sentenza 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri c. Italia.

INDENNITÀ La questione sottoposta ai Supremi Giudici riguarda l'interpretazione dell'art. 35-ter, comma 3, l. n. 354/1975 secondo il quale l'azione per il risarcimento per violazione dell'art. 3 CEDU deve essere proposta a pena di decadenza entro 6 mesi «dalla cessazione dello stato di detenzione o della custodia cautelare in carcere». Richiamando la sentenza delle Sezioni Unite n. 11018/2018, il Collegio ricorda che il termine di prescrizione decorre «dalla cessazione dello stato di detenzione», in quanto si tratta «di un indennizzo che ha origine nella violazione di obblighi gravanti “ex lege” sull'amministrazione penitenziaria».

Nel caso di specie, il ricorrente tenta di sussumere nella detenzione carceraria quella domiciliare «così da far coincidere la cessazione dello stato di detenzione rilevante ai fini dell'indennità di cui si tratta con la cessazione di ogni species di detenzione, e quindi anche quella domiciliare». Tale impostazione mira però ad eludere la ratio della norma che si fonda sulla necessità di ripristinare l'equilibrio dei diritti lesi dal sovraffollamento carcerario, come accertato anche dalla sentenza 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri c. Italia. In altre parole «non si tratta di una indennità attinente alla privazione al soggetto della libertà personale in forza di una misura detentiva, definitiva o cautelare che essa sia, bensì di una indennità attinente alla collocazione della persona, quanto è privata della suddetta libertà, in una struttura carceraria inidonea perché affetta da un sovraffollamento tale da rendere necessario un riequilibrio dei diritti».

Nel caso della detenzione domiciliare non è dunque riscontrabile il presupposto dell'indennità legato appunto al sovraffollamento carcerario, condizione riconosciuta dalla sentenza Torreggiani come lesiva dei diritti del detenuto.

In conclusione, la Corte rigetta il ricorso compensando le spese processuali.

(FONTE: dirittoegiustizia.it)

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