La configurazione della fattispecie lieve in materia di sostanze stupefacenti dopo le Sezioni Unite

Nicolò Pini
26 Aprile 2019

Il caso in questione offre l'occasione di analizzare le prime applicazioni giurisprudenziali del principio, di recente formulato dalla Cassazione penale, Sez. Unite, 27 settembre 2018, n. 51063 secondo cui la fattispecie lieve prevista dall'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990...
Massima

In materia di sostanze stupefacenti, l'ipotesi lieve di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990, può essere riconosciuta solo nei casi di minima offensività penale della condotta; in tale giudizio, debbono comunque essere tenuti in considerazione tutti i parametri richiamati dalla disposizione, sebbene sia possibile, all'esito di siffatta valutazione complessiva, assegnare anche ad uno solo di essi valenza prevalente su eventuali altri di segno contrario; ma, di tale suo percorso valutativo, il giudice deve dare conto in motivazione

Il caso

Il Tribunale di Foggia condannava l'imputato per il reato di cui all'art. 73, commi 1 e 1-bis d.P.R. 309/1990 poiché deteneva sostanza drogante di tipo cocaina dalla quale si sarebbero potute ottenere 195 dosi medie singole.

In parziale riforma, la Corte di appello di Bari, riqualificava il fatto come ipotesi di lieve entità, ai sensi del comma 5 del medesimo art. 73 d.P.R. 309/1990 e, conseguentemente, riduceva la pena , con le statuizioni consequenziali in materia di pene accessorie e sospensione condizionale della relativa esecuzione.

Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bari ricorreva per cassazione e chiedeva alla Suprema Corte di annullare la sentenza di appello, nella parte relativa alla riqualificazione del fatto sulla scorta di due motivi:

  1. per inosservanza ed erronea applicazione del citato art. 73, comma 5, il quale può essere riconosciuto soltanto nelle ipotesi di "minima offensività penale", da escludersi, nel caso specifico, avuto riguardo al dato ponderale (195 d.m.s.);
  2. per aver la Corte territoriale omesso qualsiasi motivazione su tale punto, venendo meno all'obbligo, gravante sul giudice di appello in caso di riforma della sentenza di primo grado, di dimostrare l'incompletezza o la non correttezza delle argomentazioni di questa, con rigorosa e penetrante analisi critica.

La Corte di Cassazione riteneva fondato ed assorbente il secondo motivo di ricorso.

La questione

Il caso in questione offre l'occasione di analizzare le prime applicazioni giurisprudenziali del principio, di recente formulato dalla Cassazione penale, Sez. Unite, 27 settembre 2018, n.51063 secondo cui la fattispecie lieve prevista dall'art. 73, comma 5,d.P.R. 309/1990 si configura una volta effettuata una «"valutazione complessiva" degli elementi della fattispecie concreta selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla suddetta disposizione».

Occorre ricordare che la citata pronuncia a Sezioni Unite ha ricomposto un risalente contrasto giurisprudenziale che vedeva contrapposti due orientamenti.

Secondo un primo orientamento, infatti, era sufficiente a escludere l'applicazione della fattispecie di lieve entità il vaglio negativo anche di uno solo degli indici previsti dalla norma (qualità, quantità, mezzi, modalità, circostanze dell'azione) era da considerarsi negativamente assorbente. Inoltre, una parte della giurisprudenza appartenente a tale filone giurisprudenziale riteneva che l'eterogeneità delle sostanze detenute, poiché indicativa di una maggior pericolosità sociale, desunta dalla capacità di rifornimento di un più alto e variegato numero di consumatori, era di per se stessa ostativa alla concessione dell'ipotesi lieve (ex multis (Cass. pen., Sez. III, 10 novembre 2016, n. 11920).

Tuttavia, secondo diverso e più recente orientamento, il dato testuale della norma non permetteva di concludere che il vaglio negativo anche solo di uno dei parametri della disposizione potesse comportare l'inapplicabilità della fattispecie lieve, occorrendo, invece procedere alla valutazione di tutti i parametri previsti dall'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 destinati a convergere in un giudizio unitario, ai fini della configurazione della lieve entità del fatto. (Cass. pen., Sez. VI, 12 aprile 2018, n. 28220). Di conseguenza la detenzione di sostanze eterogenee non era considerata ostativa alla configurazione della fattispecie lieve, poiché altrimenti si sarebbe dato ingresso ad una preclusione assoluta, astratta ed inoltre elaborata in via pretoria poiché senza riscontro nel dato testuale della norma (la quale, anzi, parla di “sostanze” al plurale).

La Corte a Sezioni Unite, come segnalato in premessa, ha aderito al secondo orientamento, stabilendo che è sempre necessaria una valutazione globale degli indici previsti dalla norma e che l'eterogeneità della sostanza drogante detenuta non è ostativa alla configurabilità dell'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990.

La questione, tutt'altro che meramente teorica, riveste un'enorme importanza pratica sul versante del trattamento sanzionatorio dal momento che l'ipotesi lieve è punita in modo decisamente inferiore.

Sul punto si rileva, senza poter approfondire il tema in questa sede, che sono intervenute due pronunce della Corte Costituzionale: la prima (sentenza n. 179/2017) ha rilevato la sproporzione della cornice edittale prevista dal reato di cui all'art. 73, comma 1, d.P.R. 309/1990 (anni 8 nel minimo) rispetto a quella stabilita dal comma 5 dello stesso articolo (anni 4 nel massimo) riconoscendo un saltum sanzionatorio in realtà non giustificato dalle differenze strutturali dei due reati. La Corte, nella stessa sentenza, ha inviato, sul punto, un severo monito al legislatore sollecitandone l'intervento. Successivamente, il Giudice delle leggi, rilevando il mancato intervento del legislatore per correggere l'anomalia sanzionatoria già evidenziata nella precedente pronuncia, ha dichiarato (sentenza n. 40/2019) l'illegittimità costituzionale dell'art. 73, comma 1, d.P.R. 309/1990 nella parte in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziché sei (minimo edittale a suo tempo previsto dagli artt. 4-bis e 4-ter del d.l. 272/2005 convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49, prima della sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014 che ne dichiarava l'illegittimità costituzionale ripristinando la distinzione tra droghe “pesanti” e droghe “leggere”).

La sentenza in commento, che si inserisce nel quadro giurisprudenziale brevemente delineato, costituisce una delle prime applicazioni dei principi elaborati dalle Sezioni Unite e, in particolare, sembra stabilire l'obbligo per il giudice, non solo di vagliare tutti i parametri della norma, ma anche quello di dare puntualmente conto, nella motivazione della sentenza, del vaglio di ciascun indice oltre che del risultato finale derivato dalla ponderazione dei parametri.

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in commento nel dare applicazione ai principi espressi dalle Sezioni Unite sembra ritenere che il contrasto giurisprudenziale segnalato sia soltanto apparente poiché da un lato ribadisce che «giova rammentare che la fattispecie prevista e punita dal d.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell'azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio.». Dall'altro lato, tuttavia, la sentenza chiarisce che «Tale principio - come ribadito e specificato di recente da Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076 - dev'essere inteso nel senso che la valutazione degli indici elencati dal comma 5 dell'art. 73 debba necessariamente essere complessiva: essi, cioè, non possono essere utilizzati dal giudice alternativamente, riconoscendo od escludendo la lieve entità del fatto anche in presenza di un solo indicatore di segno positivo o negativo, a prescindere dalla considerazione degli altri; ma, ad un tempo, non è necessario che gli stessi abbiano tutti, indistintamente, segno positivo o negativo».

Pare che la soluzione prospettata dalla sentenza in commento non sia convincente poiché sembra tenere assieme due orientamenti decisamente opposti (tanto da essersi reso necessario l'intervento delle Sezioni Unite) e logicamente incompatibili. Più in particolare non si capisce come si possa conciliare il principio, ormai superato, secondo il quale «ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio” con quello, affermato poco dopo, per cui la valutazione degli indici elencati dal comma 5 dell'art. 73 deve necessariamente essere complessiva: essi, cioè, non possono essere utilizzati dal giudice alternativamente, riconoscendo od escludendo la lieve entità del fatto anche in presenza di un solo indicatore di segno positivo o negativo». La contraddizione non appare superabile dal momento che i criteri di valutazione sono nettamente alternativi. Infatti, nel primo caso la valutazione negativa di un indice previsto dalla norma è condizione necessaria e sufficiente ad escludere la fattispecie lieve mentre, per la seconda impostazione interpretativa, fatta propria dalle Sezioni Unite, occorre valutare ogni indice e, pertanto, il giudizio negativo circa un parametro è condizione necessaria ma non sufficiente per escludere l'ipotesi lieve prevista dall'art. 73, comma 5,d.P.R. 309/1990. Inoltre non sembra sia più necessario ricorrere a sforzi interpretativi che tengano insieme i due orientamenti, peraltro incompatibili, dal momento che le Sezioni Unite sono intervenute proprio per risolvere il contrasto giurisprudenziale. L'opzione migliore sarebbe, forse, quella di abbandonare definitivamente il criterio del “parametro negativamente assorbente” per adottare esclusivamente quello della “valutazione complessiva” che, oltre ad essere nettamente predominante in giurisprudenza, risulta maggiormente aderente ad una valutazione effettuata sul caso concreto.

Pare utile, tuttavia, soffermarsi sul giudizio di ponderazione dei vari indici il quale interviene in un momento logicamente successivo al vaglio di tutti i parametri della norma. Infatti ben può darsi il caso in cui essi risultino non univoci dal momento che essi non sempre risultano tutti positivi o tutti negativi. Sul punto la sentenza in commento, riprendendo un concetto già espresso dalle Sezioni Unite nella citata pronuncia, ha stabilito che «è ben possibile, allora, che, tra quegli indicatori normativi, s'instaurino rapporti di compensazione e neutralizzazione, nell'ottica di un giudizio unitario sulla concreta offensività del fatto”. La sentenza prosegue, ricalcando quanto deciso dalle Sezioni Unite, ritenendo che “soltanto all'esito di una siffatta valutazione complessiva, sarà poi possibile che uno di quegli indici assuma, in concreto, valore assorbente, e cioè che la sua intrinseca espressività sia tale da non poter essere compensata da quella di segno eventualmente opposto di uno o più degli altri». Il bilanciamento tra i parametri previsti dalla norma lascerebbe, pertanto, impregiudicata la possibilità di effettuare una valutazione in concreto tale da attribuire a un parametro un valore preponderante rispetto ad uno o più degli altri. Il giudice avrebbe perciò l'obbligo di considerare tutti gli indici previsti dalla norma e di dar conto in motivazione del percorso valutativo effettuato, pur residuando la possibilità, nell'effettuare il bilanciamento, di dare prevalenza ad uno solo di essi che risulti intrinsecamente espressivo, e tale da non poter essere compensato dal segno eventualmente opposto di uno o più degli altri.

È necessario rilevare che tale interpretazione sembra ridurre la portata innovativa delle pronunce in esame. Infatti, rispetto alla giurisprudenza che aderiva al criterio del “parametro negativamente assorbente”, tale orientamento sembra stabilire unicamente l'obbligo, per il giudice, di non arrestarsi di fronte ad un singolo indice negativo ma di compiere una valutazione tenendo conto di tutti i criteri della norma. Residua, tuttavia, la possibilità di escludere la configurabilità dell'art. 73, comma 5,d.P.R. 309/1990 se l'indice negativo risulta comunque prevalente rispetto agli altri parametri. Invero sembra possibile, aderendo all'impostazione descritta, che si concretizzi il rischio che il criterio del “parametro negativamente assorbente” sia in qualche modo nuovamente ammesso, seppur dopo una valutazione comparatistica rispetto agli altri elementi previsti dalla norma. In questa prospettiva la portata innovativa della pronuncia a Sezioni Unite potrebbe risolversi in un maggior onere motivazionale, caratterizzato dal semplice raffronto dell'elemento negativamente assorbente rispetto agli altri indici normativi.

Sembrerebbe preferibile, invece, aderire ad un criterio di bilanciamento dei parametri che si componga di un giudizio binario (positivo/negativo) per ciascuno degli indici previsti dalla norma.

Infatti in primo luogo il dato letterale della norma incriminatrice non implica differenziazioni gerarchiche tra i parametri previsti e non si rinviene, per altro verso, nel dato positivo, alcun accenno alla prevalenza di un criterio, per quanto intrinsecamente negativo, tale da poter da solo escludere l'applicazione della fattispecie lieve.

In secondo luogo il giudizio binario risulta più rispettoso del criterio della “valutazione complessiva” poiché attribuisce lo stesso peso ad ogni elemento della norma. Inoltre il dato quali-quantitativo non sarebbe mai prevalente (come accaduto finora) rispetto alla valutazione sul concreto esplicarsi della condotta (mezzi, modalità e circostanze dell'azione) così da garantire minor rilevanza al dato “statico” rappresentato dalla qualità e quantità di sostanza proibita a favore del dato “dinamico” rappresentato dal contesto concreto nel quale si inserisce la condotta.

Da ultimo, si rileva che i cinque parametri non potrebbero mai essere in parità fra di loro e, pertanto, sarebbe sempre possibile giungere, attraverso un giudizio binario (positivo/negativo) da effettuare su ciascuno dei parametri, ad una soluzione certa circa la riconoscibilità della fattispecie lieve.

Osservazioni

La sentenza in commento rappresenta una delle prime applicazioni dei principi espressi dalle Sezioni Unite in tema di configurazione dell'art. 73, comma 5,d.P.R. 309/1990. Sembra emergere, dalla pronuncia, che la questione che ruota attorno al passaggio dal criterio del “parametro negativamente assorbente” a quello della “valutazione complessiva” non sia del tutto risolta. Certamente è ormai acquisito il principio secondo il quale è sempre necessario procedere al vaglio di tutti gli indici previsti dalla norma ricorrendo, altrimenti, un'ipotesi di carenza della motivazione, come accaduto nel caso di specie. Tuttavia rimane possibile, secondo la giurisprudenza esaminata, che un indice risulti, in concreto, prevalente sugli altri, risultando così preponderante rispetto ad uno o più di essi. Si è osservato, a riguardo, che tale interpretazione sembra nascondere il rischio di riproporre il criterio del “parametro negativamente assorbente”, sebbene gravato da un maggior onere motivazionale, da cui discenderebbe l'obbligo tener conto di tutti gli elementi previsti dall'art. 73, comma 5,d.P.R. 309/1990. Pare che tale obbligo motivazionale possa risolversi in un mero requisito formale, poiché resta inalterata la possibilità per il giudice di effettuare un giudizio che, in concreto, dia autentica rilevanza soltanto ad alcuni parametri (tipicamente, risulta dirimente il dato ponderale).

Si è pertanto tentato di prospettare una soluzione interpretativa che segni il definitivo passaggio al diverso criterio della “valutazione complessiva”. In questo senso si è osservato che potrebbe essere effettuato un giudizio binario su ogni singolo parametro al quale andrebbe attribuito segno positivo o negativo.

La portata innovativa del giudizio così formulato consisterebbe, pertanto, nell'attribuzione di un maggior rilievo al dato “dinamico” rappresentato dal contesto concreto in cui si estrinseca la condotta e al quale si riferiscono tre dei parametri previsti dalla norma (mezzi, modalità e circostanze dell'azione). Il dato “statico”, riferito alla sostanza proibita, diverrebbe, in questa interpretazione, minoritario, poiché rappresentato da due indici (qualità e quantità).

Per concludere, pare si possa sostenere che, per segnare il definitivo passaggio al criterio della “valutazione complessiva”, occorre che agli indici previsti dall'art. 73, comma 5,d.P.R. 309/1990 sia attribuito pari valore nel giudizio di ponderazione, restando escluso che uno solo di essi possa risultare, seppur in concreto, negativamente assorbente.

Guida all'approfondimento

DEGL'INNOCENTI LEONARDO, COSI TOMMASO, Configurabilità dell'ipotesi di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 in presenza di sostanze stupefacenti di diversa qualità;

NOCERA ANDREA, Fatto di lieve entità e detenzione di sostanze stupefacenti di natura diversa;

PINI NICOLÒ, Stupefacenti. La lieve entità va esclusa in caso di vaglio negativo di uno solo dei parametri individuati dalla legge?;

PINI NICOLÒ, Stupefacenti. La valutazione del profilo quali-quantitativo delle sostanze ai fini dell'esclusione della fattispecie lieve;

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