È causa modificativa la morte del genitore che contribuisce al mantenimento della figlia separata

Marina Pavone
26 Aprile 2019

La morte del genitore della moglie separata, il quale contribuisce economicamente al mantenimento di quest'ultima e della nipote minorenne, costituisce circostanza sopravvenuta e rilevante ai fini della modifica delle condizioni della separazione.
Massima

La morte del genitore della moglie separata, il quale contribuisce economicamente al mantenimento di quest'ultima e della nipote minorenne, costituisce circostanza sopravvenuta e rilevante ai fini della modifica delle condizioni della separazione, e dunque idonea a rideterminare gli oneri a carico del marito, «per il venir meno dell'importante contributo economico destinato dal padre al mantenimento della figlia e della nipote». Il decesso del genitore costituisce una circostanza sopravvenuta che incide sugli equilibri economici esistenti tra le parti e giustifica un aumento del mantenimento a carico del marito. In quest'ambito, nella ridefinizione dell'obbligo di mantenimento del minore, inoltre, il giudice non è tenuto a rispettare il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Il caso

Il Tribunale di Cagliari accoglie il ricorso per la modifica delle condizioni della separazione consensuale omologata nel luglio 2010, presentato dalla moglie, disponendo:

1) l'affidamento esclusivo della figlia minore alla madre;

2) l'obbligo per il marito di corrispondere alla ricorrente un assegno mensile complessivo di € 2.000,00 di cui € 800,00 a titolo di mantenimento del coniuge ed € 1.200,00 quale contributo per il sostentamento della figlia minore, oltre al 70% delle spese straordinarie;

3) l'intervento dei Servizi Sociali del Comune in funzione di supporto psicologico al nucleo familiare e per favorire il reinserimento nelle attività extra-scolastiche e nel rapporto con i coetanei della bambina;

4) un percorso di sostegno alla genitorialità per entrambi i coniugi.

Propone gravame avverso il predetto decreto il marito soccombente, domandando la conferma delle statuizioni economiche concordate tra le parti nella separazione consensuale quali:

- il mantenimento della figlia minore mediante la corresponsione di un assegno mensile di € 300,00, oltre a spese straordinarie;

- la revoca del mantenimento della moglie;

- la conferma dell'affidamento condiviso della figlia, con previsione del diritto del padre di vedere e tenere la figlia con sé in forma libera, ovvero, senza la presenza della madre, sia durante la settimana che in occasione delle festività, in giorni prefissati;

- la condanna della moglie al risarcimento del danno, ex art. 709 ter c.p.c., per violazione degli obblighi relativi al diritto di visita padre/figli, chiedendo, altresì, in caso di opposizione della moglie all'affidamento condiviso della minore, il collocamento della figlia presso di sé.

La Corte d'Appello di Cagliari rigetta il reclamo: nel confermare quanto statuito in prime cure, evidenzia come la morte del genitore della moglie abbia determinato un rilevante mutamento delle condizioni economiche afferenti a quest'ultima nella misura in cui è venuto meno un consistente aiuto finanziario del quale beneficiavano sia la figlia stessa (disoccupata, di anni 50) che la nipote. Tale contributo aveva consentito alla moglie di integrare il modesto assegno riconosciutole dal marito nella separazione consensuale in un contesto in cui, non avendo costei maturato alcuna esperienza lavorativa, presentava una capacità reddituale pressoché inesistente. La Corte, inoltre, ritiene non provate le circostanze, dedotte dal coniuge, di un presunto acquisto immobiliare, come pure dell'instaurazione di una convivenza con un nuovo compagno, da parte della moglie. Viceversa, sono ritenute aumentate (presuntivamente) le esigenze di vita della figlia dodicenne (di anni 6 all'epoca della separazione). Infine, viene condivisa la scelta dell'affido esclusivo alla madre attesa l'elevata conflittualità esistente con il padre.

Avverso detta decisione ricorre per cassazione il marito, ritenendo la suddetta pronuncia violativa degli artt. 156 c.c. e 112 c.p.c., per aver erroneamente ritenuto che la morte del suocero abbia determinato un mutamento delle condizioni economiche concordate nella separazione atteso che si tratta di un evento non eccezionale né imprevedibile. Eccepisce, altresì, il ricorrente la violazione del principio dispositivo, laddove è stato riconosciuto alla moglie un contributo economico per la figlia maggiore di quello richiesto, oltre che la mancanza di motivazione circa la decisione sull'affidamento esclusivo della minore alla madre, per la quale non sarebbero stati valutati i profili di responsabilità di quest'ultima nell'aver agito una alienazione parentale.

La Suprema Corte, ritenendo infondati entrambi i motivi, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di giudizio.

Contrariamente a quanto eccepito dal ricorrente, l'aggravarsi delle condizioni di salute del padre della moglie, cui fa seguito il decesso di costui, è da ritenersi una circostanza sopravvenuta e rilevante, tale da determinare la modifica delle condizioni economiche della separazione nel senso di comportare un aumento dell'assegno a carico del marito, in ragione del fatto che è venuto a mancare alla donna un congruo aiuto in termini di mantenimento, per sé e per la figlia minore. A nulla rileva, dunque, l'eccezione della prevedibilità dell'evento morte già ritenuto, ex se, per nulla prevedibile nel caso di specie, né valutato al momento della sottoscrizione dell'accordo separativo quando il padre, all'epoca di sessantacinque anni di età, godeva di buona salute.

La questione

Nell'ambito della modifica delle condizioni della separazione consensuale, tra i fatti nuovi, idonei a giustificare una ridefinizione delle statuizioni concordate, può trovare spazio, quale circostanza sopravvenuta, la morte dell'anziano genitore della moglie che contribuiva a mantenere la figlia e la nipote, laddove tale evento abbia determinato un apprezzabile peggioramento della loro condizione sul piano economico?

Le soluzioni giuridiche

L'iter logico portato avanti dalla Corte, nel caso di specie, presuppone il richiamo implicito all'istituto della modifica delle condizioni della separazione che trova il proprio fondamento normativo nell'art. 156, ult. comma, c.c. per il quale «qualora sopravvengano giustificati motivi, il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti di cui ai commi precedenti». Da un punto di vista prettamente processuale, la modificabilità dei provvedimenti relativi alla separazione dei coniugi è rimessa, invece, all'art. 710 c.p.c. che prevede che le parti possano «sempre chiedere, con le forme del procedimento in camera di consiglio, la modificazione dei provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole conseguenti la separazione» anche qualora dette statuizioni siano state concordate tra i coniugi nella separazione consensuale (v. art. 711, ult. comma, c.p.c., per il quale «le condizioni della separazione consensuale sono modificabili a norma dell'articolo precedente»).

Pertanto, qualsiasi evento sopravvenuto, ovvero nuovo rispetto all'assetto precedentemente concordato tra le parti, potrebbe potenzialmente costituire fondamento di una ridefinizione delle pattuizioni. Ciò è vero, tuttavia, nella misura in cui il fatto sopraggiunto sia modificativo della situazione in essere allorquando era stato sottoscritto l'accordo, al punto da rendere necessario un adeguamento della regolamentazione alla nuova realtà.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la morte del genitore della moglie, verificatasi all'età di settantuno anni, oltre a non costituire evento previsto né prevedibile al momento della sottoscrizione dell'accordo, in quanto circostanza sopravvenuta tale da incidere sugli equilibri economici dei coniugi, abbia determinato una sostanziale modifica delle statuizioni in essere, avendo comportato effetti fortemente peggiorativi sul piano economico per il coniuge richiedente la modifica. La donna, infatti, non potrà più contare sul consistente aiuto economico proveniente dall'anziano genitore che, nel corso degli anni, le aveva consentito di integrare il modesto importo dell'assegno di mantenimento.

E dunque, la contribuzione del padre al ménage familiare della figlia e della nipote viene ritenuta un fatto costitutivo delle pattuizioni sottoscritte dai coniugi in sede di separazione consensuale, senza il quale la soluzione bonaria della separazione non avrebbe trovato spazio. Il consistente aiuto economico de quo, infatti, integrava l'esiguo mantenimento corrispostole dal marito. Ebbene, venuto meno tale apporto economico (elemento implicitamente essenziale dell'accordo stesso) si rende necessario ristabilire tra i coniugi quello stesso equilibrio sussistente all'epoca della separazione, disponendo un aumento del mantenimento in favore della moglie e della figlia a carico del marito. Si conferma valido, altresì, l'orientamento che ritiene presuntivamente aumentate le esigenze dei figli minori in considerazione della loro crescita trovandosi, nel caso di specie la figlia, in età pre-adolescenziale laddove, all'epoca della separazione, la stessa aveva soltanto sei anni.

In merito alla dedotta violazione del principio di corrispondenza tra la domanda della moglie e le statuizioni del giudice, in punto di mantenimento, la Corte ha ribadito, altresì, il principio per il quale il giudice non è soggetto al principio della domanda «per ciò che concerne la determinazione degli obblighi di mantenimento dei figli minorenni» (Cass. civ. sez I, sent. n. 3908/2009 e n. 10780/1996).

Parimenti motivata appare, secondo i giudici di legittimità, la scelta dell'affido esclusivo della figlia alla madre, alla luce di un comportamento paterno inadeguato a ripristinare un rapporto non conflittuale con la minore avendo escluso che le condotte della genitrice configurino un caso di alienazione parentale.

Osservazioni

Il caso in esame rientra nel delicato ambito dei rapporti familiari (economici e non) nella fase patologica della separazione, allorquando il raggiungimento di un accordo tra i coniugi, sancito da un provvedimento di omologa delle pattuizioni concordate, viene intaccato e rimesso in discussione da un fatto nuovo, sopravvenuto e non valutato prima, le cui conseguenze incidono sensibilmente sul pregresso assetto patrimoniale, creando uno squilibrio a svantaggio di uno dei coniugi.

Medesimo destino può riguardare gli accordi sottoscritti in sede divorzile, anche questi, ovviamente, passibili di modifica (ex art. 9, comma 1, l. n. 898/1970) «qualora sopravvengano giustificati motivi» che, dopo la sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, comportino conseguenze sul piano dei rapporti tra le parti.

Il rimedio previsto dal nostro ordinamento, per far fronte alla peculiare mutevolezza che caratterizza gli equilibri dei rapporti in ambito familiare, è proprio quel principio sostanziale di modificabilità delle pattuizioni, richiamato dalle suddette norme, strettamente collegato ad un concetto più generale afferente alla necessaria corrispondenza tra la regolazione degli impegni previsti, dalle parti in sede di accordo o dal giudice, e lo sviluppo dei presupposti che ne costituivano il fondamento.

Svariate e di natura composita possono essere le ragioni sopravvenute che giustificano il novum iudicium, afferenti sia alla sfera economica (es. aumento dello stipendio del coniuge o diminuzione del proprio, licenziamento, etc.) che alle proprie scelte di vita (es. convivenza more uxorio stabile, nascita di un figlio) o a questioni di salute (insorgenza o aggravamento di una malattia).

Sul punto, il dato normativo in sé appare generico, indicando quali portatrici di modifica, potenzialmente, tutte le circostanze nuove, sopraggiunte, non valutate né previste in sede di accordo, così lasciando ampio spazio interpretativo al diritto vivente che, sovente, si è trovato ad intervenire al fine di delineare meglio i margini ed i limiti di tale quadro.

Se da un lato il concetto di circostanza sopravvenuta sembra dispersivo, non potendosi relegare tale definizione soltanto a fatti predefiniti astratti o limitati alla condizione patrimoniale delle parti strettamente intesa, la giurisprudenza ha precisato, per mezzo di svariate pronunce, il dovere del giudice di effettuare una verifica sull'an e sul quantum della incidenza della nuova circostanza sui rapporti di forza esistenti tra le parti, come definiti nell'accordo. E dunque, soltanto alla luce di comprovate conseguenze peggiorative, causate dalle circostanze sopravvenute sulle condizioni del coniuge che ne fa richiesta, il giudice potrà/dovrà ristabilire quell'equilibrio esistente tra le parti all'epoca delle pattuizioni, ormai venuto meno, mediante un adeguamento della regolamentazione alla nuova situazione di fatto.

Sia utile, in tal senso, il rimando ad una pronuncia (Cass. civ. sez. I, sent. n. 11487/2008) che, in punto di modifica delle condizioni di separazione consensuale, ha precisato come la sopravvenienza di giustificati motivi, quali i mutamenti delle condizioni economiche delle parti, rilevi soltanto nella misura in cui sia mutato il complessivo equilibrio fissato in sede di separazione, non essendo sufficiente allo scopo il mero venire meno di un determinato introito, dovendo il ricorrente provare che tali fatti abbiano mutato il precedente equilibrio.

Dunque, la valutazione della circostanza sopravvenuta (il cui onere della prova grava sul coniuge che richiede la modifica) non può prescindere da un giudizio più ampio della presa d'atto del fatto in sé, ma che ponga in relazione il fatto nuovo con la variazione degli equilibri patrimoniali dei coniugi, ovvero, l'incremento o il decremento del patrimonio di una delle parti, tale da mutare sostanzialmente l'equilibro esistente all'atto della separazione. In sostanza, l'accertamento di un intervenuto cambiamento delle condizioni economiche dei coniugi e dei figli non può dirsi completo in assenza di un'analisi dell'idoneità di tale circostanza sopraggiunta a mutare il precedente assetto patrimoniale, alla luce di una valutazione comparativa delle posizioni delle parti (v. Cass. civ. n. 15065/2000; Cass. civ. n. 8424/2004).

Ciò, in linea con la finalità ultima della modifica delle condizioni di separazione che, così come nel divorzio, mira a garantire che i provvedimenti afferenti all'ambito familiare, in una realtà quanto mai mutevole ed in continua evoluzione, siano necessariamente rimodulati al variare delle condizioni che ne costituiscono il presupposto di fatto e sempre validi, rebus sic stantibus.

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