Omesso versamento di ritenute certificate: il reato si consuma nel luogo dove si trova la sede effettiva dell'impresa

02 Maggio 2019

Con il caso in esame, la Suprema Corte torna ad esprimersi sui criteri da applicare per l'individuazione della competenza per territorio nei reati tributari. In via generale, fatta eccezione per i c.d. reati in dichiarazione...
Massima

Il reato di omesso versamento di ritenute certificate di cui all'art. 10-bis, d.lgs. 74/2000, si consuma nel momento in cui scade il termine utile per il pagamento, previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta relativa all'anno precedente, di talché il luogo di consumazione del reato coincide con quello in cui si compie, alla scadenza del termine previsto, l'omissione del versamento imposto dal precetto normativo. Detto luogo corrisponde di regola, almeno per le società, a quello ove si trova la sede effettiva dell'impresa, intesa come centro della prevalente attività amministrativa e direttiva di organizzazione, coincidente o meno con la sede legale, avuto riguardo al principio di effettività.

Il caso

La Corte d'Appello di Brescia confermava la sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Bergamo, con la quale un imputato veniva condannato per il reato previsto e punito dall'art. art. 10-bis, d.lgs. 74 del 2000, per aver omesso il versamento delle ritenute certificate, in relazione ai periodi di imposta 2009 e 2010.

Avverso la suddetta sentenza veniva proposto ricorso in Cassazione, con il quale il ricorrente deduceva quattro motivi, tra cui quello che qui interessa, ossia la violazione di legge in riferimento alle norme che regolano l'individuazione della competenza per territorio riguardo al reato ex art. 10-bis, d.lgs. 74 del 2000, in relazione agli art. 8 c.p.p. e art. 18, comma 1, d.lgs. 74 del 2000.

La Suprema Corte, rilevando che la competenza per territorio, in caso di omesso versamento di ritenute certificate, si determina in via generale in base al luogo dove si è realizzata la condotta delittuosa, in accoglimento del ricorso, annullava la sentenza e ordinava la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia ritenuto territorialmente competente.

La questione

Il legale rappresentante di una società veniva tratto a giudizio, avanti al Tribunale di Bergamo, per aver omesso il versamento di ritenute ai sensi dell'art. 10-bis, d.lgs. 74/2000.

La competenza veniva radicata nel luogo in cui era stato svolto l'accertamento, in applicazione del criterio sussidiario previsto dall'art. 18, comma 1, d.lgs. 74 del 2000.

La difesa eccepiva e documentava l'incompetenza territoriale del Giudice adito, indicando il Tribunale di Brescia come competente, in quanto corrispondente al luogo in cui era collocata la sede effettiva della società.

La Corte d'Appello confermava la condanna emessa in primo grado, rigettando l'eccezione di incompetenza, ritenendo che, seppur si deve ritenere competente il giudice del luogo dove si è consumato il reato, ove questo non sia possibile da stabilire (come riteneva nel caso di specie), bisogna applicare il criterio sussidiario previsto dal già citato articolo 18 d.lgs. 74 del 2000 e, quindi, considerare territorialmente competente il giudice del luogo ove si è svolto l'accertamento.

I Giudici di legittimità annullavano la decisione bresciana, assumendo a fondamento del proprio convincimento, che la Corte territoriale non aveva preso in considerazione le allegazioni della difesa, produzioni che indicavano quale luogo di consumazione del reato quello coincidente con la sede effettiva dell'impresa.

Le soluzioni giuridiche

Con il caso in esame, la Suprema Corte torna ad esprimersi sui criteri da applicare per l'individuazione della competenza per territorio nei reati tributari.

In via generale, fatta eccezione per i c.d. reati in dichiarazione (artt. 2, 3, 4, 5 e 7) e per quello di cui all'art. 8 (emissione di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti), per individuare la competenza territoriale in tema di reati tributari, tra cui il reato in questione, l'art. 18, comma 1, d.lgs. 74/2000 rinvia ai criteri previsti dall'art. 8 c.p.p.

Sul punto: «Va precisato che il d.lgs. 74 del 2000, infatti detta all'art. 18 la regola per la determinazione della competenza per territorio in relazione al "singolo reato tributario", stabilendo un criterio di carattere generale, che è valido per tutti i reati tributari e prevede, giusta clausola di salvezza, due eccezioni. Per criterio generale si prevede che la competenza per territorio nei reati tributari venga determinata ai sensi dell'art. 8 c.p.p., e, in mancanza di elementi per determinare il luogo, mediante l'attribuzione della competenza al giudice del luogo di accertamento del reato. Pertanto, nei reati tributari, non si applicano le regole suppletive di cui all'art. 9 c.p.p.. La prima eccezione, è costituita dai reati tributari c.d. in dichiarazione che sono quelli previsti dal capo 1^ del titolo 2^ del d.lgs. 74 del 2000, per i quali è competente il giudice del luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale poiché in tale luogo, secondo l'espressa previsione dell'art. 18, comma 2, il reato si considera consumato. La seconda eccezione è quella del reato di cui al d.lgs. 74 del 2000, art. 8: nell'ipotesi di plurima emissione di fatture nel medesimo periodo di imposta, il reato si considera unico nonostante la pluralità delle condotte e l'art. 18, comma 3, prevede che, qualora le fatture o gli altri documenti per operazioni inesistenti siano stati emessi o rilasciati in luoghi rientranti in diversi circondari, la competenza sia attribuita al giudice di uno di tali luoghi, nel quale ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro notizie di reato». Cass. pen. Sez. III, ord., 16 maggio 2017, n. 41545.

È evidente che, in caso di omesso versamento di ritenute certificate, il criterio principale per determinare la competenza per territorio è quello del locus commissi delicti, divenendo sussidiario il criterio fondato sul luogo dell'accertamento del reato, al quale si potrà fare riferimento solamente nel caso in cui sia impossibile individuare il luogo di consumazione.

Per dovere di completezza, nella sentenza in commento, i giudici, richiamando un proprio dicta, precisano che «il reato di cui all'art. 10-ter è stato introdotto, al pari dell'art. 10 quater, dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35, comma 7, conv. con mod. in L. 4 agosto 2006, n. 248. Si tratta dunque di ipotesi di reato che, al pari dell'art. 10-bis (introdotto però in precedenza con la L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 414), sono state inserite nel d.lgs. 74 del 2000, in epoca successiva alla disposizione dell'art. 18 che regola la competenza per territorio. Pur avendo infatti forti analogie con i reati in dichiarazione, le fattispecie ex artt. 10-bis e ter sono state inserite nel capo 2 del titolo 2 del d.lgs. 74 del 2000, con la conseguenza che non possono partecipare, almeno formalmente, alla disciplina dell'art. 18, comma 2, il quale riserva solo ai reati inseriti nel capo 1 una disciplina diversa da quella radicata sulla base del locus commissi delicti e, in subordine, sulla base del luogo di accertamento del reato» Cass. pen. Sez. III, 1 aprile 2014, n. 2770.

Sulla scorta di quanto sopra e nonostante il richiamo a una non condivisa e isolata pronuncia («In tema di delitto di omesso versamento dell'Iva, ai fini della individuazione della competenza per territorio, non può farsi riferimento al criterio del domicilio fiscale del contribuente, ma deve ricercarsi il luogo di consumazione del reato ai sensi dell'art. 8 cod.proc.pen.; ne consegue che, essendo impossibile individuare con certezza il suddetto luogo di consumazione, siccome l'adempimento dell'obbligazione tributaria può essere effettuato anche presso qualsiasi concessionario operante sul territorio nazionale, va applicato il criterio sussidiario del luogo dell'accertamento del reato indicato dall'art. 18, comma primo, d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74, prevalente, per la sua natura speciale, rispetto alle regole generali dettate dall'art. 9 cod.proc.pen. - Dichiara competenza - Cass. pen. Sez. I, 24 settembre 2014, n. 44274), la Corte mostra di condividere l'orientamento prevalente, secondo cui: «In tema di reati tributari, la competenza per territorio in relazione al reato di omesso versamento di IVA di cui al reato di omesso versamento di IVA di cui all'art. 10-terdel d.lgs. 74 del 2000va individuata nel luogo in cui si verifica l'omissione del versamento del tributo ex art. 8 cod. proc. pen., che coincide con quello ove si trova la sede effettiva dell'azienda, nel senso di centro della attività amministrativa e direttiva dell'impresa, attesa la non applicabilità del criterio di cui all'art. 18, comma secondo, del d.lgs. 74 del 2000, riferito ai soli delitti da esso previsti al capo I del titolo II; qualora poi possa trovare applicazione tale regola, la competenza va attribuita al giudice del luogo di accertamento del reato, in base al criterio suppletivo previsto dall'art. 18, comma primo, del d.lgs. 74 del 2000 – Dichiara competenza, Trib. lib. Roma, 11/12/2013Cass. pen. Sez. III Sent., 01/04/2014, n. 27701.

Posto che il reato in questione ha natura istantanea, la sua consumazione è da individuarsi nel momento in cui scade il termine ultimo per il pagamento (30 settembre ovvero 31 ottobre, a seconda del Modello 770 semplificato o del Modello 770 ordinario), mentre il luogo di consumazione corrisponde necessariamente con quello in cui si compie l'omesso versamento, alla scadenza stabilita dalla legge.

Deve quindi ritenersi che il locus commissi delicti sia quello dove avviene l'effettivo svolgimento di tutte le attività, sia amministrative che direzionali dell'impresa, che può anche non corrispondere con la sede legale.

Suddetto luogo quindi, in riferimento al c.d. principio di effettività, per le società corrisponde «a quello ove si trova la sede effettiva dell'impresa, intesa come centro della prevalente attività amministrativa e direttiva di organizzazione, coincidente o meno con la sede legale, dovendo aversi riguardo al principio di effettività» (Cass. Pen. Sez. III, 19 febbraio 2014, n. 20504).

Alla luce di ciò, la Suprema Corte rileva che, sulla base della documentazione prodotta dalla difesa – ovvero documenti attestanti la presenza nella sede di Brescia di uffici direzionali, tecnici amministrativi e di 106 dipendenti –, la Procura avrebbe ben potuto individuare il luogo di consumazione del reato, in base al combinato disposto dall'art. 18, comma 1, d.lgs. 74 del 2000 e art. 8 c.p.p., senza dover ricorrere al criterio sussidiario del luogo di accertamento.

Osservazioni

Con la sentenza in commento, la Cassazione ha nuovamente richiamato e applicato, ai fini della determinazione della competenza territoriale, il c.d. principio di effettività.

A parere di chi scrive è interessante notare come suddetto principio sia stato risolutivo per i giudici di legittimità non solo nel definire la questione qui esaminata, ma anche per stabilire, in alcuni casi, la competenza dei c.d. reati dichiarativi.

Come già precisato l'art. 18, comma 1, del d.lgs. 74/2000 dispone che, salvo quanto previsto dai commi 2 e 3, se la competenza per territorio per i delitti previsti dal decreto in esame non può essere determinata a norma dell'art. 8 c.p.p., è competente il giudice del luogo di accertamento del reato. Pertanto, la regola generale è quella del luogo di consumazione dell'illecito.

Tuttavia sempre l'art.18, comma 2, del d.lgs. 74/2000 prevede che per i delitti previsti dal capo I del titolo II (ossia per i delitti in materia di dichiarazione) il reato si considera consumato nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale.

La ragione di suddetta scelta è da ricercare nell'esigenza di impedire che il contribuente possa “scegliere” la propria autorità giudicante, difatti «relativamente ai delitti in materia di dichiarazione, tali problemi si connettono al nuovo sistema di trasmissione dei dati in via telematica attraverso soggetti abilitati: sistema che, ove si abbia riguardo al luogo dal quale la trasmissione parte, consentirebbe, in pratica all'autore dell'illecito di “scegliersi” il giudice competente con il semplice accorgimento di incaricare della trasmissione stessa un soggetto abilitato che operi nel luogo ritenuto più conveniente» (Cass. Pen. Sez. III, Sent. n. 20504 del 19.5.2014).

Da qui la necessità di radicare la competenza territoriale in base al luogo in cui si trova il domicilio fiscale del contribuente.

Inoltre, gli stessi giudici di legittimità precisano che non v'è una sostanziale divergenza tra le esigenze del diritto penale ed il diritto tributario e, pertanto, per “domicilio fiscale”, sulla base del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, comma 3, si intende il luogo ove si trova la sede legale o, in mancanza, quella amministrativa. Nel caso in cui dovesse mancare anche la sede amministrativa, il domicilio dovrà intendersi ubicato nel comune ove vi è una sede secondaria o una stabile organizzazione, o dove viene svolta l'attività prevalente.

Invero «la sede è il luogo in cui l'ente ha il centro principale della sua attività e tale luogo – indicato nell'atto costitutivo, nello statuto e riportato nel registro delle imprese – può essere diverso da quello in cui convenzionalmente è stata stabilita la sede legale, per cui in tal caso rimane solo il dato formale della indicazione “legale” della sede ma questa è, secondo il principio di effettività, altrove». (Cass. pen. Sez. III, Sent. n. 20504 del 19.5.2014).

La Suprema Corte puntualizza tuttavia che, in caso di discrasia tra una situazione reale e una situazione apparente, la competenza per territorio, anche per i reati dichiarativi, dovrà essere ricercata attraverso l'applicazione del principio di effettività, individuando il domicilio fiscale anche in un luogo diverso dalla sede legale stabilita, ciò in quanto il fatto che il domicilio fiscale corrisponda “al luogo in cui è stabilita la sede legale determina una mera presunzione (relativa) di corrispondenza tra sede legale e domicilio fiscale, che presuppone la coincidenza tra sede legale e sede effettiva.”

Ne consegue che «Nell'ambito dei reati tributari, l'art. 8, comma 1, del codice di procedura penale, in tema di competenza per territorio, va integrato con quanto previsto ai sensi dell'art. 18 del d.lgs. 74/2000. In particolare, in materia di delitti dichiarativi, occorre considerare il secondo comma di quest'ultimo articolo che porta a ravvisare, nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale, il criterio di collegamento per determinare quale sia il giudice competente. Sebbene la citata norma compia un apparente rinvio alla situazione formale, il domicilio stesso va considerato su un piano di effettività, non lasciando, dunque, che sulla mera apparenza si possa determinare la spettanza dell'analisi della vicenda delittuosa”. E quindi: “ai fini della determinazione della competenza per territorio per i reati tributari in materia di dichiarazione, il locus commissi delicti va individuato, per le persone giuridiche, in quello in cui queste hanno il domicilio fiscale che, di regola, coincide con la sede legale, salvo che non emergano prove univoche tali da smentire la presunzione suddetta con la conseguenza che, qualora sia stata stabilita una sede fittizia, il domicilio fiscale coincide con il luogo nel quale si trova la sede effettiva della società ed in tale luogo il reato si considera consumato» (cfr. ancora Cass. Pen. Sez. III, Sent. n. 20504 del 19.5.2014).

La Cassazione, pertanto, ai fini dell'individuazione del locus commissi delicti, pare quindi attribuire un ruolo determinante al principio di effettività, non solo nel caso in esame, ma anche nell'ambito dei reati c.d. dichiarativi.

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