Rivisti i criteri di calcolo dell’assegno divorzile a seguito dei principi sanciti dalle Sezioni Unite

Redazione Scientifica
06 Maggio 2019

Riviste le regole per il calcolo dell'assegno divorzile alla luce della sentenza n. 18287/2018, con cui le Sezioni Unite hanno sancito il definitivo abbandono del criterio del mantenimento del tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio; criterio quest'ultimo che, per quasi trent'anni, era stato utilizzato dalla giurisprudenza.

Il caso. La Corte di Appello di Roma respingeva l'impugnazione proposta da un uomo e confermava la decisione emessa in primo grado che attribuiva alla sua ex coniuge un assegno divorzile, poiché riteneva sussistere una differente capacità reddituale delle parti desumendo, quindi, l'inadeguatezza dei redditi della signora a mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio. Avverso la decisione l'uomo proponeva ricorso per cassazione, lamentando come i giudici capitolini si fossero limitati alla mera ponderazione e comparazione dei redditi delle parti, senza verificare l'impossibilità oggettiva della donna di procurarsi redditi idonei a mantenere il tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e senza tener conto dei criteri dettati dall'art. 5 l. n. 898/1970 nella determinazione del quantum dell'assegno divorzile.

Le regole per calcolare l'assegno divorzile. Al riguardo la Corte di Cassazione osserva come per trent'anni la giurisprudenza ha interpretato l'art. 5, comma 6, l. n.898/1970 ritenendo che l'assegno divorzile dovesse consentire all'avente diritto di mantenere lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Le Sezioni Unite poi hanno definitivamente affermato - con la sentenza n. 18287/2018 - che al fine di stabilire «se e in quale entità debba essere riconosciuto l'assegno divorzile, il giudice, anche esercitando poteri d'ufficio, procede alla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti e qualora risulti che il richiedente non disponga di adeguati mezzi o che sia impossibilitato a procurarseli per ragioni obiettive, ne accerta le cause e verifica se la sperequazione sia o meno la conseguenza del contributo fornito dal richiedente alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali in relazione all'età dello stesso e alla durata del matrimonio. Infine, il giudice quantificherà l'assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, né al parametro dell'autosufficienza economica, ma in misura tale da garantire all'avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo apportato».

Cosa accade ai processi in corso. Il Supremo Collegio si sofferma infine sulle conseguenze dell'intervento delle Sezioni Unite sui processi in corso, precisando che «nello svolgimento dei rapporti di durata, opera la doverosa applicazione anche della legge nuova, senza che questa conclusione si ponga in contrasto con il principio di irretroattività sancito dall'art. 12 preleggi, poichè la legge è retroattiva solo quando dovesse modificare o estinguere gli effetti già prodotti nel tempo anteriore alla sua entrata in vigore (come avverrebbe, ad esempio, allorquando, il beneficiario dell'assegno fosse obbligato a restituire quanto percepito in applicazione della legge vigente al momento della formazione del titolo costitutivo del suo diritto e, quindi, al momento del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio)». Proseguono i giudici di legittimità, «se è vero che la legge sulle condizioni per la concessione dell'assegno di divorzio è rimasta immutata, è parimenti innegabile che ne è stata profondamente innovata l'interpretazione per effetto del diritto vivente creato dalla nuova giurisprudenza delle Sezioni Unite, sicchè per non discostarsi da esso, dovranno utilizzarsi i criteri indicati dall'art. 5 l. n. 898/1970, interpretando la norma secondo le indicazioni del diritto vivente che in quella sentenza hanno trovato la propria fonte per dare all'assegno la nuova funzione compensativa e perequativa che gli compete». In questo modo, conclude la Cassazione, «nei giudizi di divorzio ancora pendenti al momento della pubblicazione della sentenza n. 18287/2018 viene data alla norma la sua giusta applicazione, mentre non può essere questa la sede - vertendosi, nella specie, in una controversia affatto diversa - per ulteriormente accertare se l'appena riportata conclusione possa, o meno, trovare applicazione anche nei giudizi di revisione proposti, ex art. 9 della medesima legge, per adeguare l'assegno divorzile alle mutate condizioni economiche delle parti».

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.