Il perito e il consulente tecnico: il loro esame, la prova dichiarativa e la rinnovazione dibattimentale nel nuovo intervento delle Sezioni Unite

Andrea Pellegrino
06 Maggio 2019

La dichiarazione resa dal perito nel corso del dibattimento costituisce una prova dichiarativa. Di conseguenza, ove risulti decisiva, il giudice di appello ha l'obbligo di procedere alla rinnovazione dibattimentale, nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento di essa.
Massima

La dichiarazione resa dal perito nel corso del dibattimento costituisce una prova dichiarativa. Di conseguenza, ove risulti decisiva, il giudice di appello ha l'obbligo di procedere alla rinnovazione dibattimentale, nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento di essa.

Ove, nel giudizio di primo grado, della relazione peritale sia stata data la sola lettura senza esame del perito, il giudice di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, condanni l'imputato assolto nel giudizio di primo grado, non ha l'obbligo di rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame del perito.

Le dichiarazioni rese dal consulente tecnico oralmente, vanno ritenute prove dichiarative, sicché, ove siano poste a fondamento dal giudice di primo grado della sentenza di assoluzione, il giudice di appello - nel caso di riforma della suddetta sentenza sulla base di un diverso apprezzamento delle medesime - ha l'obbligo di procedere alla rinnovazione dibattimentale tramite l'esame del consulente.

Il caso

Il caso pervenuto presso la seconda sezione penale della Cassazione riguardava una riforma di decisione assolutoria di primo grado conseguente alla proposizione di impugnazione da parte del pubblico ministero, con conseguente affermazione da parte dei giudici di appello della penale responsabilità dell'imputato in relazione al delitto di rapina. Una decisione basata, tra l'altro, sulla rilevantissima somiglianza dell'imputato con uno dei rapinatori, desunta dalle conclusioni cui erano pervenuti il consulente tecnico del pubblico ministero e il perito.

La questione

Avverso tale decisione, aveva proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, lamentando che la Corte territoriale non avesse rinnovato le prove decisive assunte nel corso del dibattimento, costituite dalle dichiarazioni del perito e del consulente tecnico del pubblico ministero, che il ricorrente sosteneva assimilabili alla testimonianza e, quindi, rientranti nel perimetro delle prove dichiarative, con violazione dell'art. 6 Cedu, atteso che di tali prove il giudice di secondo grado aveva operato una valutazione esclusivamente cartolare.

Le soluzioni giuridiche

Già in passato le Sezioni Unite (sent. 28 aprile - 6 luglio 2016, n. 27620, Dasgupta), al quesito «se fosse rilevabile d'ufficio la questione relativa alla violazione dell'

art. 6 Cedu

per avere il giudice d'appello riformato la sentenza di primo grado sulla base di una diversa valutazione di attendibilità di testimoni di cui non si procede a nuova escussione”, avevano risposto affermando che "La previsione contenuta nell'art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell'imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU, la quale costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne, implica che, nel caso di appello del pubblico ministero avverso una sentenza assolutoria, fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, il giudice di appello non può riformare la sentenza impugnata nel senso dell'affermazione della responsabilità penale dell'imputato, senza avere proceduto, anche d'ufficio, a norma dell'art. 603, comma 3, c.p.p., a rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado».

A fronte di ciò il Collegio della Seconda sezione, dopo avere rilevato che al caso in esame non era applicabile, ratione temporis, il nuovo art. 603, comma 3-bis, c.p.p., introdotto dal comma 58 dell'art. 1 della l. 23 giugno 2017, n. 103, aveva preso atto che in ordine all'equiparazione delle dichiarazioni dei periti e dei consulenti tecnici alle prove dichiarative, con conseguente necessità di rinnovazione in caso di overturning accusatorio, si registravano nella giurisprudenza di legittimità due contrastanti orientamenti.

Secondo un primo orientamento, il giudice d'appello, qualora intendesse pervenire all'affermazione di responsabilità dell'imputato assolto in primo grado, non solo doveva confutare specificamente gli argomenti sui quali era fondata la prima sentenza, ma doveva anche provvedere a rinnovare l'assunzione delle prove orali. In ogni caso, ove il giudizio di condanna si fondasse su di un diverso apprezzamento dell'attendibilità delle relative fonti, doveva provvedere a riesaminare il perito e il consulente, onde poi procedere ad una rivalutazione totale degli esiti probatori: orientamento che riteneva equiparabili la prova dichiarativa e l'audizione del perito.

In senso contrario, altro orientamento riteneva che la prova scientifica non fosse equiparabile a quella dichiarativa, con la conseguente mancanza di un obbligo per il giudice di procedere alla rinnovazione dibattimentale in caso di overturning accusatorio basato su diversa lettura di tale fonte di prova. Si sosteneva, in proposito, che, sebbene il perito ed i consulenti tecnici, sentiti in dibattimento, assumano la veste di testimoni, gli stessi sono chiamati a formulare un parere tecnico rispetto al quale il giudice può discostarsi, solo argomentando congruamente la propria diversa opinione. La posizione del perito e del consulente tecnico viene così a non essere totalmente assimilabile al concetto di "prova dichiarativa", con conseguente affermazione che, in caso di riforma in appello della sentenza di assoluzione, non sussiste l'obbligo per il giudice di procedere alla rinnovazione dibattimentale della dichiarazione resa dal perito o dal consulente tecnico, fermo restando che il giudice d'appello, che riformi totalmente la decisione di primo grado, ha l'obbligo di confutare specificamente gli argomenti rilevanti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni dell'incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento: un'opzione interpretativa che muove dalla riflessione che, se è pur vero che i periti e i consulenti tecnici, sentiti in dibattimento, assumono la veste di testimone, e la loro relazione forma parte integrante della deposizione, tuttavia, è altrettanto vero che costoro sono chiamati a formulare un parere tecnico e ad esprimere valutazioni alla luce dei principi scientifici: di tal che, la prova scientifica non può essere assimilata alla prova dichiarativa tout court.

E così, la Sezione remittente, dopo avere ulteriormente evidenziato che ulteriore e successivo tema sarebbe stato quello relativo all'eventuale necessità, all'esito dell'esame del perito o del consulente, di disporre la rinnovazione anche delle indagini compiute dai predetti, aveva ritenuto, con ordinanza n. 41737 del 23 maggio 2018, depositata il 26 settembre 2018, che fosse indispensabile un intervento delle Sezioni Unite per vedere risolta la seguente questione: “Se la dichiarazione resa dal perito o dal consulente tecnico costituisca o meno prova dichiarativa assimilabile a quella del testimone, rispetto alla quale, se decisiva, il giudice di appello avrebbe la necessità di procedere alla rinnovazione dibattimentale, nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento di essa: esigenza condivisa dal Primo Presidente Aggiunto, che, con decreto del 9 ottobre 2018 aveva conseguentemente fissato l'udienza del 22 novembre 2018, poi differita al 28 gennaio 2019, per la soluzione della questione.

Osservazioni

Nella pronuncia in commento, le Sezioni Unite hanno preliminarmente osservato come l'introduzione nel nostro ordinamento, con l'art. 1 comma 58 della legge n. 103/2017, con decorrenza dal 03 agosto 2017, dell'art. 603, comma 3-bis c.p.p., per il quale «nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale», sia conseguenza del recepimento dei principi di diritto enunciati dalla Corte EDU con la sentenza Dan c. Moldavia e dalle Sezioni unite penali con la citata sentenza Dasgupta.

Peraltro, si aggiunge che, sebbene l'art. 603, comma 3-bis c.p.p., non fosse ancora in vigore al momento dello specifico fatto in esame, la nuova regola non può non costituire l'ineludibile punto di riferimento per la soluzione dei casi controversi, tanto più ove si consideri che era stata "anticipata", a livello interpretativo, dagli interventi delle Sezioni unite.

Al fine di dare un significato al sintagma "prova dichiarativa" di cui al comma 3-bis dell'art. 603 c.p.p., atteso che la legge non specifica né chiarisce cosa si debba esattamente intendere con tale espressione, le Sezioni unite hanno ricostruito quali siano la funzione e la modalità di espletamento dei singoli istituti oggetto del procedimento e cioè della perizia e della consulenza.

La Corte ricorda che il perito, in ambito processuale, può rivestire ruoli polivalenti potendo essere chiamato a svolgere sia accertamenti (indagini; acquisizione di dati probatori: cd. attività percipiente) che valutazioni (cd. attività deducente): ed è per questa sua peculiarità che viene denominato "testimone esperto", perché, come il testimone, ha l'obbligo di riferire sui fatti sui quali viene esaminato, ma "esperto" perché, nel rispondere, si avvale delle sue competenze specialistiche.

In considerazione della rilevanza e della centralità dell'indagine tecnica ai fini della decisione, il legislatore ha congegnato lo svolgimento della perizia in modo che venga assicurata la garanzia del contraddittorio sia nella fase dello svolgimento dell'incarico peritale, che in quella della sua illustrazione in giudizio.

Si è al riguardo osservato che, anche secondo la giurisprudenza europea, il perito, pur rivestendo un ruolo diverso da quello del testimone, dovendo qualificarsi come "testimone esperto", è equiparabile al testimone, ed a questi si applicano le regole del giusto processo. E, a giudizio della Corte, l'assimilazione del perito al testimone, consente di risolvere il problema se nel concetto di "prova dichiarativa" possa essere ricompresa anche la perizia.

Secondo un'opinione sostenuta soprattutto in ambito dottrinario ma anche da parte della giurisprudenza, la prova avente ad oggetto la testimonianza è stata catalogata come rappresentativa-dichiarativa, mentre la perizia è stata classificata come prova critica-tecnica. E, muovendo da questa suddivisione, la medesima giurisprudenza testè evocata dubita che anche la perizia possa essere fatta rientrare nell'ambito della prova dichiarativa.

Tuttavia, le Sezioni Unite hanno ritenuto non condivisibile tale opinione, osservando che sia la testimonianza che la perizia sono classificate come "mezzi di prova", con la conseguenza che deve ritenersi irrilevante che il perito abbia depositato una relazione scritta: relazione che, in ogni caso, all'esito dell'esame – essendo acquisita agli atti – diventa utilizzabile a tutti gli effetti, in quanto la stessa, benché scritta, resta convalidata dalle dichiarazioni rese dal perito nel corso del dibattimento. In tal modo, lo scritto finisce per fondersi in un tutt'uno con le dichiarazioni orali, di cui costituiscono – aggiungiamo – una sorta di traccia o sunto formato in precedenza ed oggetto di una successiva esplicazione orale.

Su questi presupposti, le Sezioni unite hanno quindi affermato che la prova dichiarativa, agli effetti di cui all'art. 603, comma 3-bis, c.p.p., deve avere le seguenti caratteristiche: a) deve trattarsi di prova che può avere ad oggetto sia dichiarazioni percettive che valutative; b) dev'essere espletata a mezzo del linguaggio orale; c) dev'essere decisiva essendo stata posta dal giudice di primo grado a fondamento dell'assoluzione; d) di essa il giudice di appello deve dare una diversa valutazione.

In sintesi, per prova dichiarativa deve intendersi quell'atto comunicativo con il quale un emittente trasmette, attraverso il linguaggio verbale, fatti percettivi o valutazioni di cui sia a conoscenza e che siano rilevanti ai fini della decisione. Di conseguenza, ove risulti decisiva, il giudice di appello, nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento della medesima, ha l'obbligo di procedere alla rinnovazione dibattimentale tramite l'esame del suddetto emittente. E, certamente, deve ritenersi applicabile la regola dell'art. 603, comma 3-bis, c.p.p. non solo alla testimonianza ma anche all'esame del perito.

In motivazione si chiarisce, poi, che rinnovazione dell'istruttoria in appello non significa rinnovazione sempre e comunque anche della perizia: significa solo che il giudice di appello, individuati i punti critici della relazione peritale, ha l'obbligo di convocare il perito ed esaminarlo, nel contraddittorio orale delle parti, sui suddetti punti critici.

Si sottolinea, inoltre, che la relazione peritale può venire semplicemente letta, senza che il perito sia esaminato, ove vi sia l'accordo delle parti, ovvero, quando, di essa sia data lettura senza il consenso delle parti le quali, però, non avendo tempestivamente eccepito la nullità, finiscono con il loro comportamento per determinarne la sanatoria ex art. 183, comma 1, lett.a) c.p.p.

In tale ipotesi, la relazione peritale è veicolata nel processo attraverso la sola scrittura: di conseguenza deve ritenersi non applicabile la regola della rinnovazione obbligatoria del dibattimento di cui all'art. 603, comma 3-bis c.p.p., riservata, in modo tassativo, alle sole prove dichiarative ossia a quelle prove in cui l'informazione è veicolata nel processo attraverso il linguaggio verbale. Qui – si evidenzia – non si tratterebbe più di rinnovare il medesimo atto istruttorio svolto nel giudizio di primo grado, ma di compiere, ex novo, un diverso atto istruttorio (esame del perito) al quale le parti avevano rinunciato. Ovviamente, nulla impedisce al giudice d'appello, ove lo ritenga “assolutamente necessario”, di citare d'ufficio il perito al fine di sottoporlo ad esame: in questo caso, però, non si tratta di un obbligo (ex art.603, comma 3-bis c.p.p.), bensì di una facoltà esercitabile nei limiti di cui all'art. 603, comma 3, c.p.p.

L'ultimo punto esaminato ha avuto riguardo alla figura del consulente tecnico di parte. Anche per quest'ultimo, la Corte ritiene che possa sostenersi quanto detto in relazione al perito: ove il consulente sia esaminato ex art. 501 c.p.p. e la sua dichiarazione sia posta dal giudice di primo grado a fondamento della sentenza assolutoria, la suddetta dichiarazione va ritenuta, agli effetti di cui all'art. 603, comma 3-bisc.p.p., "prova dichiarativa" con la conseguenza che, ove il giudice di appello ritenga di rivalutare in senso peggiorativo per l'imputato quelle dichiarazioni, ha l'obbligo giuridico – anche qui – di rinnovare l'istruttoria dibattimentale.

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