Limiti regolamentari alla destinazione delle proprietà individuali in condominio

08 Maggio 2019

Appartiene alla categoria delle servitù atipiche la previsione contenuta in un regolamento condominiale convenzionale, comportante limiti alla destinazione delle proprietà esclusive in modo da incidere non sull'estensione ma sull'esercizio del diritto di ciascun condomino, con la conseguenza che l'opponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti deve essere regolata...
Massima

Va ricondotta alla categoria delle servitù atipiche la previsione contenuta in un regolamento condominiale convenzionale, comportante limiti alla destinazione delle proprietà esclusive in modo da incidere non sull'estensione ma sull'esercizio del diritto di ciascun condomino. L'opponibilità dei limiti di destinazione ai terzi acquirenti deve essere regolata secondo le norme proprie delle servitù e, dunque, avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, mediante l'indicazione, in apposita nota distinta da quella dell'atto di acquisto, in forza della l. 27 febbraio 1985, n. 52, art. 17, comma 3, delle specifiche clausole limitative, ex art. 2659 c.c., comma 1 e 2 e art. 2665 c.c., non essendo, sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale. Non è atto soggetto alla trascrizione nei registri immobiliari, ai sensi dell'art. 2645 c.c., il regolamento di condominio in sé, ma solo le eventuali convenzioni costitutive di servitù che siano documentalmente inserite nel testo di esso. Ove si tratti di clausole limitative inserite nel regolamento predisposto dal costruttore venditore, originario unico proprietario dell'edificio, con le note di trascrizione del primo atto di acquisto di un'unità immobiliare ivi compresa e del vincolo reale reciproco, si determina l'opponibilità di quelle servitù, menzionandovi tutte le distinte unità immobiliari, ovvero ciascuno dei reciproci fondi, dominante e servente. All'atto dell'alienazione delle ulteriori unità immobiliari, il regolamento andrà ogni volta richiamato o allegato e dovrà eseguirsi ulteriore trascrizione per le servitù che man mano vengono ad esistenza, fino all'esaurimento del frazionamento della proprietà originariamente comune. In assenza di trascrizione, le disposizioni del regolamento, che stabiliscano i limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, valgono soltanto nei confronti del terzo acquirente che ne prenda atto in maniera specifica nel medesimo contratto d'acquisto.

Il caso

Con atto di citazione notificato a mezzo PEC in data 2 febbraio 2018, un condominio conveniva in giudizio due società per sentirle condannare, rispettivamente come locatrice e come conduttrice, a far cessare e a cessare l'attività di centro estetico esercitata in un immobile di proprietà individuale sito in condominio, deducendo la violazione dell'art. 2 del regolamento condominiale, che vietava una siffatta destinazione d'uso.

Si costituivano regolarmente in giudizio i convenuti, nella rispettiva qualità di proprietà locatrice e di conduttrice, chiedendo il rigetto delle domande del condominio.

Concessi i richiesti termini per il deposito delle memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., all'esito del deposito, ritenuta la causa matura per la adesione, il giudice rinviava per la discussione con termine per il deposito di note conclusive e all'udienza dell'8 febbraio 2019, dopo la discussione, la causa veniva decisa.

La questione

In assenza di divieti contenuti nel regolamento contrattuale, la destinazione delle unità immobiliari può essere liberamente decisa dal condomino, con i limiti di cui all'art. 1122 c.c., come riformato dalla l. n. 220/2012, nel senso che «nell'unità immobiliare di sua proprietà, ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni, ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza e al decoro architettonico. In ogni caso, è data preventiva notizia all'amministratore che riferisce all'assemblea».

Il novellato art. 1122 c.c. non ha stravolto la disciplina previgente, in tema di uso della proprietà esclusiva e di cambio di destinazione d'uso della proprietà esclusiva. Conseguentemente, anche nel regime del vigente art. 1122 c.c., i divieti e i limiti di destinazione delle proprietà esclusive possono essere formulati nei regolamenti mediante elencazione delle attività vietate o mediante riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare. In quest'ultimo caso, tali limiti e divieti devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro non suscettibile di dare luogo a incertezze. Fermo restando che, in materia, non può disporre né il regolamento assembleare, né una delibera assembleare adottata in base al principio maggioritario.

In tema di divieti, occorre tener conto - oltre che del regolamento contrattuale - anche delle limitazioni derivanti dalle altre norme del codice civile o del codice penale, delle norme urbanistico-edilizie che vietino determinate destinazioni d'uso delle proprietà esclusive; dei regolamenti di pubblica sicurezza o di polizia urbana o di altre autorità amministrative e, infine, delle leggi speciali che disciplinano l'esercizio di determinate attività.

In questo senso, l'utilizzo delle proprietà esclusive può incontrare limiti interni al condominio (norme del regolamento) - che i condomini interessati possono far valere direttamente, ad esempio, in materia di immissioni - e limiti esterni, ad esempio, in materia di uso dell'unità immobiliare in modo difforme dalla licenza o concessione edilizia. In tale ultimo caso, i condomini possono far valere tali limiti, solo indirettamente, provocando l'intervento dell'autorità amministrativa, laddove l'utilizzo della proprietà esclusiva sia incompatibile con i regolamenti igienici, con i regolamenti edilizi, con le norme sulla prevenzione incendi e quant'altro.

Le soluzioni giuridiche

La questione della opponibilità delle norme regolamentari contenenti vincoli alla proprietà individuale o sulle parti comuni, non può essere risolta se non alla stregua del principio fondamentale di cui all'art. 1372 c.c., per il quale gli atti negoziali producono effetti soltanto tra le parti.

Quanto alla opponibilità dei vincoli regolamentari nei confronti degli aventi causa dagli originari condomini, in un primo momento la giurisprudenza aveva ritenuto di far rientrare nei poteri dei privati la facoltà di limitare convenzionalmente il diritto di proprietà, inquadrando tali vincoli tra le obbligazioni propter rem o tra gli oneri reali.

Successivamente la giurisprudenza ha cambiato orientamento - tanto con riferimento alle obbligazioni propter rem che agli oneri reali - affermando il principio della tipicità dei diritti reali, con la conseguenza che all'autonomia privata deve ritenersi preclusa la facoltà di porre in essere vincoli, oltre i casi previsti dalla legge. E ciò in quanto il moltiplicarsi di tali limitazioni - che possono assumere efficacia reale se trascritte - oltre che impedire la libertà degli immobili, costituisce anche un danno economico.

Il riconoscimento della tipicità di tali limiti coincide con quello dell'ammissibilità delle servitù reciproche con conseguente riconducibilità in tale categoria di determinate limitazioni che non possono essere inquadrate in altro modo.

Più di recente, la giurisprudenza di legittimità si è però andata consolidando nel senso che - pur essendo univoca la natura giuridica dei limiti alla proprietà individuale prevista in un regolamento condominiale - ammettendo la natura reale dei limiti in questione e la loro opponibilità ai terzi aventi causa, se trascritti nei registri immobiliari o comunque accettati dai nuovi condomini.

Circa la distinzione tra onere reale e obbligazioni propter rem, istituti spesso ritenuti fungibili, vale rammentare che l'onere reale è un peso che grava sul fondo, paragonabile sotto questo aspetto alla servitù (da cui differisce per il contenuto di facere) e comporta soggezione permanente del fondo stesso, con la conseguenza che qualunque proprietario ne è gravato e quindi tenuto ad eseguire la relativa prestazione; l'obbligazione propter rem (anch'essa avente ad oggetto un facere) non importa onere sul fondo che non è gravato da alcun peso, né si trova in una situazione di soggezione permanente; la proprietà di esso ha soltanto la funzione di individuare il soggetto passivo dell'obbligazione.

Osservazioni

Per la giurisprudenza, i vincoli di destinazione delle proprietà individuali in condominio sono opponibili agli acquirenti a titolo particolare delle unità immobiliari site nel condominio, allorquando detti vincoli risultino debitamente trascritti oppure espressamente accettati dal condomino subentrante.

Quanto al requisito della trascrizione, si ritiene che essa si riferisca all'istituto di cui agli artt. 2643 ss. c.c., ossia alla forma di pubblicità realizzata tramite annotazione degli atti presso la Conservatoria dei registri immobiliari e non a quella particolare forma di pubblicità contemplata nell'art. 1138, comma 3, c.c., secondo cui il regolamento di condominio deve essere trascritto nel registro indicato nell'ultimo comma dell'art. 1129 c.c.

Perché si possano produrre gli effetti della trascrizione è peraltro necessaria la completezza della relativa nota - tanto dal punto di vista soggettivo che da quello oggettivo - che deve indicare il contenuto essenziale del titolo di cui si richiede la trascrizione e menzionare con chiarezza i negozi giuridici a cui si vuol dare pubblicità in modo che, dall'esame di essa, sia possibile accertare a favore e a carico di chi la trascrizione debba conseguire i suoi effetti e quali siano i vincoli che gravano sul bene.

In particolare, l'art. 2659, comma 1, n. 2), c.c. secondo cui nella nota devono essere indicati il titolo di cui si chiede la trascrizione e la data del medesimo, va interpretato in uno con il successivo art. 2665 c.c., per il quale l'omissione o l'inesattezza delle indicazioni richieste nella nota non nuoce alla validità della trascrizione salvo che induca incertezza sulle persone, sul bene o sul rapporto giuridico a cui si riferisce l'atto. Ne consegue che dalla nota deve risultare non solo l'atto in forza del quale si domanda la trascrizione, ma anche il mutamento giuridico, oggetto precipuo della trascrizione stessa che quell'atto produce. In caso di regolamento di condominio contrattuale non basta menzionare quest'ultimo, ma occorre indicare le clausole di esso incidenti sui beni di proprietà esclusiva.

In mancanza di trascrizione, i vincoli di destinazione delle unità immobiliari allocate in un edificio in condominio possono essere opponibili agli aventi causa a titolo particolare - gli eredi invece subentrano automaticamente nella stessa posizione giuridica del loro dante causa - solo quando risultino specificamente dedotte ed accettate nei singoli atti di compravendita. In tale contesto, il mero richiamo inserito nel rogito stipulato dall'alienante, che contenga in appendice il regolamento di condominio, non è idoneo a rendere opponibili i vincoli in questione al nuovo condomino, risolvendosi in una clausola di stile.

Per l'efficacia della trascrizione, è in ogni caso necessaria la completezza della relativa nota, tanto dal punto di vista soggettivo che da quello oggettivo: la nota deve infatti indicare il contenuto essenziale del titolo di cui si chiede la trascrizione e menzionare con chiarezza i negozi giuridici a cui si vuole dare pubblicità, in modo che dall'esame di essa sia possibile accertare a favore e a carico di chi la trascrizione debba conseguire i suoi effetti e quali siano i vincoli che gravano sul bene.

In mancanza di trascrizione, i vincoli regolamentari di destinazione delle unità immobiliari possono essere opposti agli aventi causa a titolo particolare, solo quando risultino specificamente dedotti ed accettati nei singoli atti di compravendita.

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