Limiti alle attribuzioni del consiglio di condominio

Adriana Nicoletti
17 Maggio 2019

Con recente sentenza, i giudici di legittimità, confermando il precedente orientamento, hanno ribadito e chiarito i limiti entro i quali il consiglio di condominio, ora disciplinato espressamente dall'art. 1130- bis c.c., deve esercitare le sue attribuzioni. La fattispecie oggetto della decisione rappresenta un caso di eclatante sconfinamento dai poteri...
Massima

Il consiglio di condominio, pur nella vigenza dell'art. 1130-bis c.c., non può esautorare l'assemblea dalle sue competenze inderogabili, giacché la maggioranza espressa dal più ristretto collegio è comunque cosa diversa dalla maggioranza effettiva dei partecipanti, su cui poggiano gli artt. 1135, 1136 e 1137 c.c. ai fini della costituzione dell'assemblea, nonché della validità e delle impugnazioni delle sue deliberazioni.

Sussiste un interesse del condomino ad agire in giudizio per accertare se il valore organizzativo di una deliberazione del consiglio di condominio meriti di essere conservato o di essere eliminato con una sanzione giudiziale invalidante, essendo il condomino titolare di una posizione qualificata diretta ad eliminare la situazione di obiettiva incertezza che la delibera del consiglio di condominio ha generato quanto al contenuto dell'assetto organizzativo della materia regolata.

Il caso

Un condomino, ricevuta richiesta di pagamento di quota di spesa asseritamente di sua competenza, aveva impugnato una delibera assunta dal consiglio di condominio il quale, esaminati diversi preventivi presentati da imprese appaltatrici ed aventi ad oggetto i lavori di rifacimento di un terrazzo/lastrico solare, ne aveva approvato uno stabilendo la ripartizione dei costi tra i condomini. Confermata in sede di appello la sentenza di prime cure, che aveva accolto l'impugnazione ai sensi dell'art. 1137 c.c. per violazione dei poteri riservati al suddetto consiglio, il condominio ricorreva in Cassazione per la riforma della decisione, assumendo che una successiva assemblea condominiale, a larghissima maggioranza, aveva approvato i lavori da effettuare e deliberato la ditta esecutrice, uniformandosi alla scelta espressa dai consiglieri di condominio. Tale circostanza, definita dal ricorrente pacifica e mai contestata, non era stata provata in corso di causa in quanto la delibera non era stata acquisita agli atti del giudizio.

La Suprema Corte rigettava il ricorso esprimendo i principi ora richiamati ed evidenziando, altresì, in rito che in tema di ricorso per cassazione il ricorrente che proponga una determinata questione di fatto di cui non vi sia stato cenno nella sentenza, ha l'onere, imposto dal combinato disposto degli artt. 366, comma 1, n. 6), e 369, comma 2, n. 4), c.p.c., di indicare precisamente in quale atto processuale e in quale fase processuale la relativa allegazione è stata svolta, nonché in quale fascicolo di parte il documento inerente alla questione si trovi. Il tutto specificandone il contenuto.

La questione

Le questioni di merito oggetto del provvedimento dei giudici di legittimità sono due: i limiti di operatività del consiglio di condominio nell'assumere le decisioni che interessano la comunità condominiale e la sussistenza dell'interesse ad agire del condomino che si rivolga all'autorità giudiziaria per ottenere l'annullamento di quella che è stata qualificata come delibera assembleare straordinaria del detto consiglio. Dal contenuto della sentenza emerge, poi, il rapporto che sussiste tra il provvedimento assunto dal consiglio di condominio e la vera e propria delibera assembleare disciplinata dagli artt. 1135, 1136 e 1137 c.c.

Le soluzioni giuridiche

Il caso portato all'esame della Corte, sorto nel vigore della l. n. 220/2012, va inquadrato nell'ambito dell'art. 1130-bis c.c. (“rendiconto condominiale”) di nuova formulazione e del quale, in verità con collocazione alquanto discutibile - più corretto, infatti, sarebbe stato utilizzare l'art. 1135 c.c. che disciplina le attribuzioni dell'assemblea - l'ultimo comma dispone che l'assemblea può anche nominare, oltre all'amministratore, un consiglio di condominio composto da almeno tre condomini negli edifici di almeno dodici unità immobiliari, con funzioni consultive e di controllo.

Con un rapido ma esaustivo esame storico di tale formazione condominiale, che si va ad aggiungere agli altri organi canonici del condominio disciplinati dalle norme del codice civile, la Corte ha annotato che ben prima dell'entrata in vigore dell'art. 1130-bis c.c. era stata riconosciuta piena libertà all'assemblea di dare vita ad un comitato ristretto di condomini (si parlava nel passato di “commissione di condomini”) che, in una sostanziale funzione di tramite tra amministratore e assemblea, poteva svolgere un ruolo consultivo e di controllo nell'ambito della gestione condominiale. La modifica legislativa del 2012 ha recepito questa prassi giurisprudenziale (e non solo, stante il fatto che anche i regolamenti di condominio spesso si determinano in questo senso) e ha stabilito il limite minimo numerico delle unità immobiliari da considerare al fine di istituire il consiglio di condominio, circoscrivendo anche il perimetro nel quale lo stesso può operare.

Nello specifico caso oggetto del ricorso in esame, è stato correttamente rilevato uno sconfinamento dei poteri del consiglio, che si era comportato quale sostituto dell'organo deliberante, cui aveva sottratto le attribuzioni istituzionalmente riconosciute: scelta della ditta cui affidare i lavori; approvazione del preventivo e ripartizione dei relativi oneri.

L'altro aspetto sul quale la Corte si è pronunciata concerne l'accertamento dell'interesse ad agire del condomino nella particolare fattispecie in cui il soggetto intenda ottenere una declaratoria di invalidità della decisione assunta dal consiglio di condominio. Secondo la Corte, il condomino impugnante aveva un interesse sostanziale abbinato all'interesse ad agire, poiché, con la delibera impugnata, era stato palesemente leso un diritto individuale di natura patrimoniale, riconoscibile in tutta l'attività svolta dal consiglio di condominio.

Osservazioni

La sentenza della Corte pone alcuni spunti di riflessione.

Superando l'aspetto concernente il contenuto dell'attribuzione dei compiti di spettanza del Consiglio di condominio, oramai più che consolidati, vi è da chiedersi se - come risulta in più punti della decisione - il provvedimento adottato da un consiglio di condominio possa essere qualificato come delibera assembleare (la Corte d'Appello, infatti, aveva parlato di “verbale di assemblea straordinaria” e di termini di impugnazione ex art. 1137 c.c., così come la Suprema Corte ha sempre fatto riferimento alla “delibera”), oppure non si tratti di un parere che tale organismo adotta, pur con il rispetto della maggioranza dei suoi componenti.

Nella fattispecie, la questione è stata trattata alla stregua di impugnativa di delibera assembleare anche se, nella realtà, la stessa rappresenta un caso anomalo, proprio in considerazione dei compiti riservati al consiglio di condominio. E questo è evidenziato dalla motivazione espressa dal collegio, il quale ha posto in rilievo la differenza che emerge tra la maggioranza manifestata dai componenti del consiglio e quella di natura assembleare, che è cosa ben diversa. Ne consegue che se per un verso vi è una inapplicabilità palese delle norme preordinate alle decisioni assembleari vere e proprie, per altro verso appare evidente che ricorrere al giudice competente per ottenere una decisione che paralizzi il deliberatum del consiglio non dovrebbe richiedere il rispetto del termine di cui all'art. 1137 c.c.

Del resto, la giurisprudenza (Cass. civ., sez. II, 20 dicembre 2018, n. 33057) è stata in argomento molto chiara allorché ha affermato, con riferimento all'ipotesi di realizzazione di lavori straordinari in materia condominiale, che le decisioni sulla scelta del contraente per l'esecuzione di lavori da conferire in appalto e sul riparto del relativo corrispettivo, assunte da una commissione di condomini nominata con delibera assembleare con l'incarico di esaminare i preventivi di spesa, sono vincolanti per tutti i condomini - anche dissenzienti - solamente in quanto rimesse all'approvazione, con le maggioranze prescritte, dell'assemblea, le cui funzioni non sono delegabili a un gruppo di condomini (nella specie, la Suprema Corte ha cassato la decisione del giudice del merito che aveva invece ritenuto che la delibera assembleare di incarico a due consiglieri di esaminare i preventivi e decidere la spesa da affrontare fosse idonea a conferire ad essi, quali mandatari degli altri condomini, poteri rappresentativi in ordine alla stipula del contratto di appalto).

Va, peraltro, rilevato che il compito consultivo del consiglio, con riferimento allo specifico caso trattato, non può che escludere una sua presa di posizione netta in favore dell'una ditta piuttosto che un'altra, ovvero di un preventivo invece che di un altro, dovendosi lo stesso consiglio limitare ad una valutazione tecnica delle varie proposte pervenute da tradurre in un parere che sarà sottoposto alla votazione dell'assemblea. Ecco perché la normativa, che nel suo contenuto non può che essere necessariamente generica (“….funzioni consultive e di controllo”), sembra dover essere adattata alla situazione contingente. Infatti, può benissimo essere istituito un consiglio di condominio, permanente, temporaneo o mirato (visto che nulla è specificato in merito dal codice), ma è sempre opportuno che di esso facciano parte persone dotate di quei minimi requisiti di conoscenza che consentano loro di esprimersi con cognizione di causa sulle varie problematiche per le quali il consiglio è stato chiamato ad intervenire. Diversamente, questo strumento potrebbe rivelarsi come un ostacolo alle scelte qualitative che l'assemblea deve affrontare, essendo pacifico che un formulare un parere errato non comporta attribuzione di responsabilità.

Quanto all'interesse ad agire del condomino attore, i giudici di merito chiamati a decidere sull'impugnativa della decisione assunta dal consiglio di condominio, avevano parlato di “deliberazione dall'immediato valore organizzativo”, da intendersi quale decisione che se non rispettata avrebbe avuto nei confronti degli inadempienti gli stessi effetti di una regolare delibera assembleare. Nella fattispecie, infatti, visto che al condomino era pervenuto da parte dell'amministratore una richiesta di pagamento della rispettiva quota è presumibile ritenere che al mancato riscontro il passo successivo sarebbe stata la richiesta di un decreto ingiuntivo.

Nel quadro così delineato la Cassazione - come visto - ha riconosciuto l'interesse ad agire del condomino e si è riportata ad un suo precedente indirizzo secondo il quale, in termini generali, in caso di violazione di vizi formali (incompletezza dell'ordine del giorno, violazione di norme sul procedimento di convocazione o insufficienza delle maggioranze) la legittimazione ad agire non è subordinata alla deduzione e alla prova di uno specifico interesse ad agire, atteso che il suddetto interesse è costituito proprio dall'accertamento dei vizi formali, mentre nelle ipotesi di violazioni sostanziali, è necessario che, la parte che intende impugnare, sia portatrice di un interesse concreto diretto ad un vantaggio effettivo e non solo astratto (Cass. civ., sez. VI, 28 agosto 2018, n. 21227).

Guida all'approfondimento

Celeste, Sconfinamento del consiglio di condominio ed esautoramento dell'assemblea, in Consulente immobiliare, 2019, fasc. 1065, 606;

Celeste-Scarpa, L'amministratore e l'assemblea, Milano, 2014, 31;

Gallucci, Dimissioni consigliere di condominio e funzionamento del Consiglio, in Condominioweb.com, 21 dicembre 2018;

Gallucci, Consigliere di condominio, durata dell'incarico e riflessioni sulla composizione del consiglio, in Condominioweb.com, 14 giugno 2017.

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