Applicazione della pena su richiesta delle parti e confisca per equivalente nei reati aggravati dalla transnazionalità

21 Maggio 2019

La Corte di legittimità, nella sentenza in commento, supera l'argomento letterale e perviene a una lettura espansiva della norma di cui all'art. 11 l.146/2006, per cui anche la sentenza applicativa della pena su richiesta delle parti è occasione di giudizio in cui al giudice compete obbligatoriamente disporre la confisca, anche nelle forme per equivalente...
Massima

Legittimamente è disposta anche ex officio dal giudice investito dell'applicazione della pena su accordo delle parti la confisca per equivalente prevista dall'art. 11 l. 16 marzo 2006, n. 146, in relazione a reati rispetto ai quali sia stata riconosciuta, sia pure nei limiti cognitivi tipici della pena negoziata, l'aggravante della transnazionalità ai sensi dell'art. 4 l. 146/2006.

Il caso

La sentenza in commento interviene quale atto terminale di una complessa vicenda processuale che addebitava agli imputati la costituzione di un'ampia compagine criminale dedita alla commercializzazione di ingenti quantitativi di oro di provenienza illecita, che tramite corrieri erano trasferiti in Svizzera, ove risiedeva l'uno dei promotori dell'associazione; tra i titoli di reato contestati, per quanto di interesse nella presente sede, spiccavano, oltre al reato associativo, i reati fine di ricettazione – ex art. 648 c.p. – e di esercizio abusivo del commercio di oro – ex artt. 1 e 4 l. 17 gennaio 2000, n. 7 -, i soli per i quali il pubblico ministero aveva contestato l'aggravante della transnazionalità ex art. 4 l. 16 marzo 2006, n. 146, “per essere il gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato”. Nel pronunciare sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, ex art. 444 c.p.p., il primo Giudice disponeva, ai sensi dell'art. 11 l.146/2006, la confisca per equivalente del profitto dei reati per i quali era stata contestata l'aggravante della transnazionalità. Alcuni degli imputati proponevano quindi ricorso per cassazione, denunciando, tra l'altro, l'illegittimità della confisca ordinata dal primo Giudice, perché disposta in violazione delle condizioni di applicabilità della misura, segnate, nel caso, dall'art. 11 cit., la cui lettera, nell'opinione dei ricorrenti, sembra consentirne – rectius, imporne – l'adozione esclusivamente con la sentenza di condanna e non anche con la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex artt. 444 e ss. c.p.p.

La questione

La vicenda in commento interpella schematicamente due istituti, l'uno di diritto sostanziale, con riguardo al tema del reato transnazionale, l'altro di diritto processuale, con riguardo alla legittimità della confisca per equivalente del profitto del reato transnazionale disposta con la sentenza di negoziazione della pena.

La riflessione giurisprudenziale in merito al reato transnazionale è approdata ad una stabile concettualizzazione del tipo di illecito, almeno nelle linee di fondo, grazie a Cass. pen., Sez. Unite, 31 gennaio 2013 n. 18374, Rv. 255038 – 01, Adami, che ha ritenuto la transnazionalità un indice fattuale riferibile a qualsiasi delitto -similmente alle circostanze del reato- nel concorrere delle condizioni enumerate dall'art. 3 l.146/2006; la natura transnazionale è, quindi, predicato spendibile in relazione a qualsiasi delitto che:

  • sia punito con la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni;
  • faccia capo ad un gruppo criminale organizzato, anche se operante solo in ambito nazionale;
  • ricorra, in via alternativa, una delle seguenti situazioni: a) il reato sia commesso in più di uno Stato; b) il reato sia commesso in uno Stato, ma con parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo in un altro Stato; c) il reato sia commesso in uno Stato, con implicazione di un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; d) il reato sia commesso in uno Stato, con produzione di effetti sostanziali in altro Stato.

Peraltro, il riconoscimento del carattere transnazionale non comporta necessariamente un aggravamento di pena, producendo gli effetti sostanziali e processuali previsti dalla legge n. 146 del 2006 agli articoli 10, 11, 12 e 13; un riflesso sul piano sanzionatorio della transnazionalità del reato si produce esclusivamente quando il reato, in ogni caso punito con la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni e riferibile ad un gruppo criminale organizzato, si sia manifestato secondo le forme di cui all'art. 4 l. 146/2006., disposizione che contempla una specifica circostanza aggravante modellata su uno soltanto degli elementi alternativi rilevanti ai fini della definizione della transnazionalità, ossia quello di cui all' art. 3, lett. c), l.146/2006: la circostanza valorizza dunque selettivamente l'una delle ipotesi di transnazionalità – quale la "implicazione" di un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato- contemplando un aggravamento che, per l'entità dell'inasprimento della pena, compreso da un terzo alla metà della pena base, ne fa una circostanza ad effetto speciale, peraltro soggetta ad un giudizio di bilanciamento privilegiato.

La migrazione della previsione circostanziale dalla cornice normativa originaria al testo del codice penale – cfr. l'attuale art. 61-bis c.p., introdotto ad opera del d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, che ha contestualmente abrogato l'art. 4 l.146/2006-, in attuazione del principio della c.d. riserva di codice, essendosi tradotta in una operazione di riordino compilativo delle norme di incriminazione disseminate nella legislazione speciale, come testimoniato dalla pedissequa ritrasposizione del testo normativo, non ha prodotto conseguenze sul piano disciplinare, neppure con riguardo alle eventuali interrelazioni normative che interessassero la norma originaria, posto che, con opportuna disposizione di coordinamento, il legislatore ha previsto che i richiami, ovunque presenti, alle disposizioni abrogate dall'art. 7 d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21 – tra le quali figura l'art. 4 l.146/2006-, si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni del codice penale (art. 8 d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21).

La transnazionalità implica, come detto, la soggezione del reato ad un peculiare statuto disciplinare, proteso da un lato ad agevolarne l'accertamento dall'altro ad inasprirne la repressione, in accordo a una complessiva strategia di contrasto, nel cui strumentario spicca la previsione della obbligatorietà della «confisca delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato» o, quando non sia possibile, «di somme di denaro, beni od altre utilità di cui il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona fisica o giuridica, per un valore corrispondente a tale prodotto, profitto o prezzo», spettando, in quest'ultimo caso, al giudice «con la sentenza di condanna» la determinazione delle somme di danaro o l'individuazione dei beni e delle utilità assoggettati alla confisca di valore (art. 11 l.146/2006). Il testuale riferimento alla sola sentenza di condanna, quale statuizione giudiziale idonea a disporre la confisca per equivalente, prospetta il dubbio interpretativo che al giudice non sia consentito disporre la confisca per equivalente con la sentenza di patteggiamento, sia pure in ordine ad una imputazione per un reato transnazionale, posto che, come noto, la sentenza applicativa della pena negoziata manca di un dispositivo di condanna, limitandosi ad applicare la pena prospettata dalle parti, previa una sommaria ricognizione, da parte del giudice officiato della richiesta – per quanto interessa in questa sede –, della corretta qualificazione giuridica del fatto, dell'assenza di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. e della congruità del trattamento sanzionatorio. Il dubbio, peraltro, appare tanto più insidioso in presenza di plurime disposizioni di legge che, in materia di confisca per equivalente, espressamente menzionano, quali titoli giudiziali abilitati a disporre la misura, la sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. accanto alla sentenza di condanna (tra le altre, le disposizioni di cui agli artt. 322-ter, 640-quater e 644 c.p., art. 12-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 e art. 2641 c.c.).

Le soluzioni giuridiche

Come accennato, la Corte di legittimità, nella sentenza in commento, supera l'argomento letterale e perviene a una lettura espansiva della norma di cui all'art. 11 l.146/2006, per cui anche la sentenza applicativa della pena su richiesta delle parti è occasione di giudizio in cui al giudice compete obbligatoriamente disporre la confisca, anche nelle forme per equivalente, del prodotto, del profitto ovvero del prezzo del reato aggravato dalla transnazionalità ex art. 61-bis c.p.

La soluzione appare persuasiva in relazione ad entrambi i principali argomenti su cui si fonda.

Il primo argomento valorizza l'atecnicità della disposizione posta dall'art. 11 l.146/2006, e del riferimento alla sentenza di condanna che vi si legge, dovuta alla peculiarità dell'occasione normativa, rappresentata dalla ratifica di una convenzione internazionale (il riferimento è, evidentemente, alla Convenzione di Palermo del dicembre 2000 contro il crimine organizzato transnazionale) le cui elaborazioni finali, interessando comunità ordinamentali di diversa cultura e tradizione giuridica, non potevano non essere generali ed atecniche, in modo da poter dialogare con ciascuno degli Stati aderenti; la specificità del contesto, nel giudizio della Corte, depone a favore di un'interpretazione non strettamente letterale della locuzione «sentenza di condanna», che, di contro, sembra includere anche gli epiloghi decisori fondati – anche se non su una formale condanna – su un accertamento, sia pure implicito, di responsabilità, al quale consegua l'irrogazione di una pena, in accordo, del resto, allo spirito della Convenzione, che testualmente si proponeva di «rafforzare la cooperazione internazionale ai fini della confisca» (art. 13) anche attraverso l'impegno degli Stati ad adottare «nella più ampia misura possibile nell'ambito dei loro ordinamenti giuridici interni, le misure necessarie a consentire la confisca» dei proventi derivanti dai reati di cui alla Convenzione o di «beni il cui valore corrisponda a quello di tali proventi» (art. 12, comma 1, lett. a)).

Il secondo argomento sottolinea la natura della sentenza di patteggiamento, che, a dispetto di una base valutativa parziale – perché non preordinata all'accertamento della responsabilità dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio ma, per quanto ora rileva, alla sola assenza di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. – è espressamente equiparata, ex art. 445, comma 1-bis, c.p.p. ad una sentenza di condanna, di cui riproduce gli effetti, ad eccezione delle conseguenze penali che non siano categoricamente escluse. L'argomento è mutuato dal noto precedente di legittimità, che, in ragione dell'espressa equiparazione della sentenza di patteggiamento ad una sentenza di condanna, aveva ritenuto la sentenza applicativa della pena titolo idoneo per la revoca, a norma dell'art. 168, comma I, n. 1, c.p., della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa (Cass. pen., Sez. Unite, 29 novembre 2005, n. 17781, Rv. 233518 – 01).

Ad avviso di chi scrive, peraltro, un ulteriore argomento appare prospettabile a conforto della soluzione patrocinata dalla Corte di legittimità: l'art. 11 l.146/2006, invero, discorre della sentenza di condanna esclusivamente nel terzo ed ultimo periodo dell'unico comma di cui si compone, laddove demanda al giudice di determinare la somma di danaro o individuare i beni e le utilità assoggettati alla confisca per equivalente, dettando una regolamentazione diretta più che a disciplinare la latitudine applicativa dell'istituto ablatorio a precisarne il concreto momento irrogativo; di contro, nel primo periodo, nell'introdurre, quale sanzione specifica rispetto ai reati transnazionali ai sensi dell'art. 3 l.146/2006, la confisca per equivalente, la disposizione si limita a prevedere che il giudice, quando non sia possibile la confisca delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato, «ordina la confisca di somme di denaro, beni od altre utilità di cui il reo ha la disponibilità […] per un valore corrispondente a tale prodotto, profitto o prezzo»; appare evidente, alla luce della complessiva formulazione della norma, che il legislatore abbia contemplato la confisca per equivalente quale ordinario strumento di contrasto specifico del reato transnazionale, qualunque forma assuma il provvedimento che ne abbia accertato la sussistenza, indifferentemente di condanna ovvero di applicazione consensuale della pena. In tal senso e conseguentemente, appare del tutto inconferente l'obiezione che il legislatore non abbia giustapposto alla sentenza di condanna la sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., come, invece, nella disciplina della confisca per equivalente ai sensi dell'art. 322 ter c.p. -norma introdotta ad opera della l. 29 settembre 2000, n. 300 e che può considerarsi norma capostipite della confisca di valore quale azione di contrasto economico al crimine- e nelle molte successive – cfr. supra, in nota – che hanno esteso la confisca de qua ai più svariati ambiti criminologici. L'art. 322 ter c.p. sembra comunque aver lasciato traccia di sé nella disposizione in commento: invero, l'ultimo periodo dell'art. 11 l.146/2006 è pedissequamente mutuato dal preesistente art. 322-ter, comma terzo, c.p., a mente del quale «nei casi di cui ai commi primo e secondo, il giudice, con la sentenza di condanna, determina le somme di denaro o individua i beni assoggettati a confisca in quanto costituenti il profitto o il prezzo del reato ovvero in quanto di valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato»; i casi di cui discorre la disposizione codicistica si riferiscono, testualmente, alla «condanna ovvero all'applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'art. 444 c.p.p.» per taluno dei reati enumerati nei commi primo e secondo della disposizione: è allora evidente che il legislatore del 2006, nel trasporre nell'ambito della criminalità transnazionale una soluzione normativa già sperimentata e, apparentemente, di pronto impiego, sia incorso nella medesima improprietà terminologica riscontrabile nella disposizione del codice, laddove il riferimento alla sentenza di condanna, quale momento di specificazione delle utilità da assoggettare a confisca per equivalente, deve di necessità ritenersi, per intrinseca coerenza, comprensivo anche delle sentenze di applicazione consensuale della pena cui fanno espresso riferimento i primi due commi della disposizione; ne consegue, ai fini della corretta ermeneusi della norma complementare, l'irrilevanza del riferimento che nell'art. 11 l.146/2006 si rinviene alla sentenza di condanna, locuzione impropriamente impiegata dal legislatore, in ideale continuità con la norma capostipite della confisca per equivalente, quale generico riferimento ad una statuizione giudiziale comunque irrogativa di una sanzione penale tipica.

Gli argomenti esposti, a fronte di una littera legis che espressamente contempla l'obbligatorietà della confisca, se del caso nelle forme per equivalente, in relazione al reato transnazionale come definito ai sensi dell'art. 3 l.146/2006 –indipendentemente dalla contestazione e dalla configurabilità della circostanza aggravante di cui all'art. 61-bis c.p. –, e peraltro in assenza di qualsivoglia riferimento, nell'art. 445 c.p.p., alla confisca per equivalente quale terreno di premialità del rito pattizio, a dispetto dei ripetuti interventi normativi che negli anni hanno interessato la norma, convincono dell'estensibilità della soluzione proposta a ogni ipotesi di reato transnazionale, anche quando non sia stata contestata l'aggravante di cui all'art. 61-bis c.p., purché, evidentemente, l'imputazione, in relazione alla quale si sia coagulato il consenso delle parti all'applicazione di una pena codeterminata, attenga ad un reato che, per spessore edittale e per carattere criminologico, esprima il carattere della transnazionalità in accordo alle caratteristiche delineate dall'art. 3 l.146/2006: invero, tanto le ragioni argomentative sviluppate dalla Corte di legittimità – sia l'assimilazione della sentenza di patteggiamento alla sentenza di condanna, sia l'argomento “contro letterale” –, quanto l'ulteriore argomento di sistema prospettato, sono replicabili in relazione all'ipotesi del reato transnazionale non specificamente aggravato, anche per esso, del resto, militando le ragioni di contrasto, anche economico, alla criminalità transfrontaliera alla base della Convenzione ed al cui lume devono necessariamente interpretarsi le relative norme applicative.

Osservazioni

Ancora in tema di confisca per equivalente e rito negoziato. Tre ultime notazioni, anch'esse suggerite dalla sentenza in commento, pur se non espressamente riferite alla specificità del reato transnazionale. La prima attiene alla natura della confisca per equivalente, quale statuizione sanzionatoria sui generis, non riportabile alle pene principali né alle pene accessorie (Cass. pen., 15 dicembre 2016 n. 23716, Rv. 270112): ne segue che la confisca in parola non risente della preclusione all'irrogazione che l'art. 445, comma 1, c.p.p., in ipotesi di patteggiamento a pena biennale o infrabiennale, riserva alle sole pene accessorie.

La seconda attiene all'estraneità all'accordo tra le parti del tema relativo alla confisca: ne deriva che sul punto la discrezionalità del giudice si riespande, cosicché, anche nel caso in cui su tale punto vi sia comunque stato un accordo fra le parti, il giudice non è obbligato a recepirlo né a recepirlo per intero (Cass. pen., 19 aprile 2012 n. 19945, Rv. 252825. Cfr., altresì, Cass. pen., 25 giugno 2013. n. 31250, Rv. 256360).

Infine, un cenno alla ricorribilità per cassazione del capo della sentenza di patteggiamento relativo alla confisca per equivalente: il regime di impugnabilità della sentenza applicativa della pena su richiesta delle parti, come noto, è stato riscritto ad opera della l. 23 giugno 2017, n. 103; l'attuale testo dell'art. 448, comma secondo bis, c.p.p. dispone, per quanto qui interessa, che «il pubblico ministero e l'imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza solo per motivi attinenti […] all'illegalità della pena o della misura di sicurezza»; l'area tematica della illegalità della pena sembra ricomprendere, per coerenza di sistema, l'intero perimetro della sanzione penale, comprensiva delle sanzioni penali atipiche, quale la confisca per equivalente, altrimenti espropriandosi le parti, per di più su un capo non vivificato dal mutuo consenso, di una sede di giudizio ove esporre con pienezza argomentativa, sia pure nei limiti del sindacato di legittimità, le ragioni di dissenso in merito ai contenuti afflittivi della statuizione di condanna.

Guida all'approfondimento

A. CENTONZE, Criminalità organizzata e reati transnazionali, Giuffrè, 2008

M.PANZARASA, In tema di confisca per equivalente e associazione per delinquere transnazionale, in Dir. pen. cont., 28 giugno 2011

G. BIONDI, La confisca per equivalente: pena principale, pena accessoria o tertium genus sanzionatorio?, in Dir. pen. cont., 5 maggio 2017

F. ALVINO – D. PRETTI, Udienza preliminare e procedimenti speciali; legislazione e giurisprudenza all'indomani della riforma Orlando e dei decreti attuativi, Torino, 2019

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario