Criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità a quanto previsto dall'art. 1123 c.c. e maggioranze necessarie per modificarli

23 Maggio 2019

Chiamato a decidere sulla legittimità di una clausola di un regolamento condominiale che esonerava un condomino dal pagamento di alcune spese comuni, il Tribunale capitolino ha dovuto, innanzitutto, stabilire se fosse sufficiente la maggioranza o occorresse l'unanimità dei condomini qualora si intendeva modificare...
Massima

Sono affette da nullità le delibere condominiali con le quali, a maggioranza, vengano stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall'art. 1123 c.c., mentre sono invece annullabili le delibere con le quali l'assemblea non modifica tali criteri ma si limita a determinare in concreto la ripartizione delle spese medesime in difformità dei criteri di cui all'art. 1123 c.c. Questo qualora la delibera, diversamente nulla, non abbia compiuto alcuna determinazione in ordine ai criteri di riparto da adottare.

Il caso

Una società, quale condomina, impugnava una delibera di approvazione di bilancio consuntivo della gestione ordinaria e relativo piano di riparto assunta in seconda convocazione a maggioranza.

Con tale delibera, riferiva l'attrice, mediante approvazione di lettera allegata l'assemblea ripartiva tra i condomini le spese ordinarie utilizzando criteri in modifica dell'art. 15 del regolamento condominiale che esonerava la società reclamante dalla partecipazione alle spese condominiali relative agli immobili invenduti.

Il convenuto condominio si costituiva in giudizio, sostenendo la nullità di detta clausola n. 15 del regolamento condominiale, sia in quanto meramente potestativa, sia in quanto vessatoria applicandosi al condominio il Codice del consumo.

La causa veniva decisa dal Tribunale di Roma con la decisione in commento.

La questione

Si tratta di stabilire se sia sufficiente la maggioranza o occorra l'unanimità dei condomini qualora si intenda modificare - come è accaduto nel caso esaminato dal Tribunale romano - dei criteri di ripartizione delle spese, stabiliti dal costruttore e poi via via accettati da tutti i successivi acquirenti degli alloggi in modifica dei criteri previsti dall'art. 1123 c.c.

La decisione in questione, inoltre, si interroga sulla applicabilità o meno, ed eventualmente con quali limiti, delle norme del Codice del consumo.

Le soluzioni giuridiche

Per quanto riguarda la prima questione, attinente alla modificabilità dei criteri di ripartizione delle spese condominiali, la Suprema Corte ha sempre ribadito che i criteri codicistici (art. 1123 c.c.) possano essere modificati con una convenzione o contenuta nel regolamento condominiale (definito per questo motivo di natura contrattuale) o una deliberazione dell'assemblea che venga approvata alla unanimità.

Il principio - ben noto - è quello che sta alla base della disciplina condominiale in base al quale qualunque decisione che modifichi i diritti soggettivi dei singoli condomini non possa essere presa a maggioranza ma debba, necessariamente e a tutela di tutti, riportare l'unanimità dei consensi.

Se, quindi, sono nulle le decisioni assembleari prese a maggioranza che modifichino i criteri di ripartizione delle spese condominiali, saranno viceversa solo annullabili le delibere che non modifichino in alcun modo tali criteri ma si limitino, viceversa, a determinare in concreto (senza pretendere di sostituire nuovi criteri a quelli in vigore) la ripartizione delle spese.

In estrema sintesi, si può quindi dire che è nulla una decisione assembleare presa a maggioranza che pretenda di modificare i criteri di attribuzione delle spese; solo annullabile una differente decisione che si limiti a distribuire le spese tra i condomini non rispettano i criteri in vigore.

Sulla seconda questione, relativa alla applicabilità al condominio della normativa posta a protezione del consumatore, non si può non partire dalla recente decisione della Suprema Corte n.16321 del 2016 che ha posto alcuni punti fermi in proposito.

In particolare, si è stabilito che il condominio, quale ente privo di personalità giuridica - concetto questo ribadito ancora pochi giorni or sono dal supremo organo di nomofilachia, v. Cass. civ., sez. un., 18 aprile 2019, n. 10934 - se non in forma attenuata, possa essere ritenuto consumatore rispetto, ad esempio, a contratti assicurativi.

Inoltre, si è precisato come possa sostenersi l'applicabilità del Codice del consumo ai condomini-compratori in presenza di una convenzione sui criteri di ripartizione delle spese condominiali predisposta dal venditore-costruttore, e quindi valutarsi la relativa pattuizione alla luce dei criteri del significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto e della buona fede così come previsto dall'art. 1469-bisc.c.

Si è specificato da parte della Suprema Corte, tuttavia, che la normativa di protezione del consumatore, nel caso di convenzioni tra condominio e acquirente-condomino, si applicherà solo con riguardo alle convenzioni che introducano vincoli di destinazione di natura reale incidenti direttamente sula consistenza della proprietà condominiale oggetto dei singoli contratti di compravendita.

In questi limiti, quindi, si dovrà ritenere che il condomino-acquirente possa avvalersi della disciplina specifica posta a tutela del consumatore.

Osservazioni

A parere dello scrivente, la sentenza in oggetto ha prima individuato e poi correttamente applicato gli istituti di diritto necessari a risolvere opportunamente il caso di specie.

In particolare, appare evidente che la decisione di alcuni condomini, attraverso la delibera assembleare, di modificare i criteri contrattuali di ripartizione delle spese condominiali non potesse essere valida in quanto in contrasto con quanto stabilito dal regolamento contrattuale.

Ci si trovava di fronte, nel caso, di una clausola contrattuale che esonerava i ricorrenti-costruttori dal pagare le spese condominiali sino ad avvenuta vendita dei relativi alloggi.

Tale clausola, per quanto potesse essere ritenuta onerosa dagli altri condomini, era tuttavia stata accettata liberamente da tutti, e quindi non poteva essere modificata se non all'unanimità.

È stata quindi correttamente ritenuta nulla la delibera che se pur non proponendo nuovi metodi di ripartizione delle spese condominiali alternativi a quanto previsto (esonero del costruttore sino alla vendita degli alloggi) lo aveva di fatto sic et simpliciter ripartendo le spese condominiali tra tutti i condomini secondo i criteri previsti dal codice civile.

Parimenti, pare ineccepibile l'applicazione fatta nel caso di specie dai giudici romani della normativa in materia di condominio e Codice del consumo secondo i principi ancora recentemente ribaditi in proposito dalla Suprema Corte.

Guida all'approfondimento

Scripelliti, Necessità dell'unanimità o sufficienza della maggioranza per l'approvazione delle tabelle millesimali?, in Condominioelocazione.it;

Triola, Il nuovo condominio, cap. X, Le tabelle millesimali, Torino, 2015.

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