Il ripristino delle parti comuni tra manutenzione straordinaria e innovazioni e l’insindacabilità delle scelte assembleari

Monica Pilot
27 Maggio 2019

Chiamato a pronunciarsi sulla validità della delibera assembleare che disponeva darsi corso alle opere di manutenzione del tetto comune, mediante apposizione di copertura di tipologia diversa da quella preesistente, e sulla qualificazione dell'opera quale manutenzione straordinaria piuttosto che innovazione...
Massima

Nel caso di esecuzione di interventi di manutenzione sulle parti comuni condominiali (nello specifico il tetto), la loro qualificazione quali opere di manutenzione straordinaria piuttosto che innovazioni, deriva dalle caratteristiche sostanziali delle opere svolte, non potendosi qualificare innovazioni le opere tali da non incidere sull'essenza della cosa comune o da alterarne l'originaria funzione e destinazione, essendo, invero, precluso all'autorità giudiziaria sindacare la vantaggiosità delle scelte dell'assemblea condominiale, potendo il giudicante censurare unicamente la legittimità delle delibere.

Il caso

Parte attrice, rappresentata da quattro condomini, impugnava, in due momenti di poco successivi tra loro, due delibere assembleari condominiali, l'una del 18 aprile 2012, e la successiva del 31 gennaio 2013.

Nel primo giudizio, veniva impugnata la delibera con la quale il condominio, a causa delle infiltrazioni d'acqua alle unità abitative sottostanti, aveva deciso procedersi all'esecuzione di lavori di ripristino del tetto, parte comune condominiale, che aveva qualificato come manutenzione straordinaria, da eseguirsi aggiungendo uno strato di guaina isolante sulla copertura, precedentemente ricoperta da diverso materiale (poliuretano espanso), eccependo che la medesima dovesse considerarsi nulla e/o annullabile con conseguente declaratoria di propria inefficacia, asserendo che i lavori deliberati non avrebbero avuto la natura di intervento di manutenzione straordinaria, bensì di innovazione, oltretutto dannosa, gravosa e voluttuaria.

Gli attori, pertanto, chiedevano, in via principale, venisse impedita al condominio l'esecuzione delle opere deliberate, con ripristino dello status quo ante, riguardo sia alle opere parzialmente già eseguite, che alle ulteriori eventualmente eseguite nelle more del giudizio, tenendoli indenni da ogni onere e spesa ad esse connesse, con condanna del condominio a restituire loro quanto nelle more del giudizio avessero eventualmente sborsato, spontaneamente o coattivamente.

In subordine, chiedevano accertarsi e dichiararsi di avere legittimamente manifestato in maniera tempestiva, ai sensi dell'art. 1121 c.c., la propria volontà di sottrarsi alle spese per dette opere, trattandosi di innovazioni voluttuarie e/o eccessivamente gravose, con conseguente declaratoria di esonero da eventuali spese per future manutenzioni, da ogni responsabilità a titolo sia contrattuale che extracontrattuale ad esse connessa, con condanna del condominio a restituire quanto eventualmente versato per le predette, con condanna del condominio al ripristino del tetto nel proprio status quo ante ed esonero degli attori dalle relative spese ed oneri.

Con il secondo ricorso, detti condomini impugnavano la delibera assembleare del 31 gennaio 2013, eccependone la preliminare inefficacia per mancato accertamento del quorum costitutivo e deliberativo, chiedendo nel merito che, previo accertamento delle eliminazione dei limiti imposti dal comune di Sassuolo per l'esercizio delle attività commerciali al dettaglio, venisse disposta la modifica delle tabelle millesimali adottate dal condominio, dichiarando costitutivamente applicabili le nuove tabelle modificate, con conseguente pronuncia di nullità e/ o annullabilità della delibera, e declaratoria di sua inefficacia nella parte inerente al riparto delle spese, con condanna del condominio a ripartire il bilancio consuntivo 2012 e preventivo 2013, nonché i successivi, in base alle nuove tabelle. Con ulteriore, e conseguente, declaratoria di esonero dei ricorrenti del concorso nella spesa per la sistemazione del tetto inerente l'esercizio 2012, qualora le domande svolte nell'altro giudizio pendente fossero già state accolte.

Costituitosi in giudizio, il condominio contestava la qualificazione dell'intervento sul tetto come innovazione, affermando trattarsi di opere di manutenzione straordinaria, necessarie per il mantenimento della cosa comune, approvate tempestivamente dall'assemblea, prima del verificarsi delle infiltrazioni d'acqua piovana nelle unità immobiliari sottostanti, chiedendo, conseguentemente, respingersi il ricorso per impugnativa delle delibere assembleari del 18 aprile 2012 e del 31 gennaio 2013 e le domande ivi proposte, in quanto infondate in fatto ed in diritto, con vittoria delle spese di lite e condanna dei ricorrenti per lite temeraria ai sensi dell'art. 96 c.p.c.

Il giudizio si concludeva con la sentenza in commento, con la quale il Tribunale di Modena, preliminarmente riuniti i giudizi per ragioni di connessione, nel premettere una puntuale trattazione, sotto il profilo del diritto, circa la differenza tra innovazioni ed opere straordinarie, nonché l'irrilevanza e l'insindacabilità in sede giudiziale della valutazione, da parte dell'assemblea, della scelta delle modalità di esecuzione dei lavori in condominio nonché della convenienza della soluzione tecnica adottata rispetto ad altri possibili rimedi, qualificava gli interventi sul tetto, ancorché eseguiti con materiale diverso rispetto al preesistente, come lavori di manutenzione straordinaria, approvati con il corretto quorum legge, escludendo poterli ricondurre alla categoria delle innovazioni, rigettando le domande proposte dagli attori.

Nel decidere la domanda oggetto del secondo procedimento giudiziario, il Tribunale dichiarava la cessazione della materia del contendere, essendo sopravvenuta in corso di causa delibera assembleare con la quale il condominio aveva disposto procedersi alla revisione delle tabelle millesimali.

Il giudice del merito, nell'affrontare la prima delle questioni di fatto sottoposte al proprio vaglio, da un lato ha esaminato la questione giuridica connessa alla corretta qualificazione degli interventi sulle parti comuni condominiali, andando ad individuare, alla luce delle pronunce giurisprudenziali intervenute in merito (Cass. Civ., Sez. II, 19 ottobre 2012, n. 18052; Cass. civ., sez. II, 5 novembre 2012, n. 15460; Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1981, n. 4646), gli elementi giuridiciche consentono di operare una distinzione tra i lavori di manutenzione straordinaria e le innovazioni, richiamando, sotto l'altro profilo, ad esso intimamente connesso, il principio di diritto, già affermato dalla Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. VI, 17 agosto 2017, n. 20135) secondo cui il sindacato giudiziale non può estendersi a censure inerenti la vantaggiosità delle scelte dell'assemblea condominiale, salvo il caso del vizio del cosiddetto eccesso di potere, potendo riguardare, unicamente, la loro legittimità.

La questione

Nel caso esaminato, il giudice di merito viene chiamato ad affrontare la questione inerente alla corretta qualificazione degli interventi di ripristino delle parti comuni condominiali, nello specifico, a chiarire se nel caso sottoposto al proprio vaglio, i lavori da eseguirsi sul tetto comune condominiale siano qualificabili, come indicato nella delibera assembleare oggetto di impugnativa, quali opere di manutenzione straordinaria o, come affermato dai condomini attori, come innovazioni, con conseguenti problemi applicativi connessi all' all'individuazione del corretto quorum costitutivo e deliberativo al fine della legittimità della delibera.

Invero, i condomini attori sostenevano che l'intervento deliberato in assemblea, stante l'assenza di scopo conservativo dell'intervento e la diversa tipologia di materiale, rispetto a quello preesistente, che si era deciso di posare sul tetto a ripristino dei vizi, fosse qualificabile come innovazione, e non manutenzione straordinaria, approvata, quindi, in spregio ai quorum costitutivi e deliberativi di cui al combinato disposto degli artt. 1120 e 1136 c.c., con conseguente illegittimità della delibera adottata.

La posa del diverso materiale, oltretutto, permetteva di qualificare detta innovazione come dannosa e vietata ai sensi dell'art. 1120, ultimo comma, c.c., essendo sconsigliabile l'aggiunta di uno strato di guaina su una superficie di poliuretano, nonché gravosa, considerata l'entità della spesa (complessivi € 40.000,00 circa), e voluttuaria, stante la dedotta insussistenza di infiltrazioni d'acqua tali da giustificare detti interventi.

Veniva, quindi, dedotta l'invalidità della delibera impugnata, in quanto asseritamente adottata in spregio ai quorum di legge, e, in ogni caso, inidonea a vincolare parte attrice alla relativa spesa, stante il disposto di cui all'art. 1121 c.c.

La questione sottoposta al vaglio del giudice del merito ha investito diverse tematiche giuridiche, tra le quali,l'individuazione della natura delle opere svolte, innovazione o manutenzione straordinaria, e l'idoneità della qualificazione ad incidere sulla legittimità o meno della delibera assembleare, in considerazione dei diversi quorum costitutivi e deliberativi richiesti per l'approvazione delle opere nei due diversi casi, situazione a complicare la quale interveniva la decisione dell'assemblea di eseguire l'intervento di ripristino del tetto mediante posa di un materiale diverso rispetto a quello preesistente. Decisione, detta ultima, che, prevedendo un quid novi, porta a chiedersi se la relativa delibera possa considerarsi legittima, se non addirittura dannosa come paventato degli attori.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in esame, nel decidere la questione sottoposta al proprio vaglio, si è trovata, in primis ad affrontare la questione inerente alla qualificazione delle opere deliberate dall'assemblea, e, a seguire, la questione della legittimità della relativa delibera di approvazione.

Invero, l'art. 1120 c.c., pur recando la disciplina delle innovazioni, non ne fornisce la nozione, il che rende particolarmente arduo distinguerle dalle opere di manutenzione straordinaria.

La distinzione è di non poco conto, considerato che, le innovazioni, richiedono, per potere essere validamente deliberate, il rispetto dei quorum di cui all'art. 1120 c.c., che richiama i diversi commi dell'art. 1136 c.c., a seconda della propria tipologia, diversamente dalle opere di manutenzione straordinaria, che richiedono il rispetto dei quorum di cui all'art. 1136, comma 4, c.c.

Nel caso sottoposto al vaglio del Tribunale, l'elemento di fatto atto a sollevare la questione giuridica era costituito dalla modalità tecnica scelta dall'assemblea per la riparazione del tetto, che prevedeva l'apposizione di uno strato di guaina impermeabilizzante sul preesistente tetto di poliuretano espanso.

Il giudice, all'esito di un accurato esame della vicenda sotto il profilo giuridico, ha rigettato la domanda proposta dagli attori statuendo, alla stregua dei principi affermati dalla Corte di Cassazione, da un lato che un mero elemento di novità nell'esecuzione delle opere non è sufficiente a qualificarle come innovazioni, dall'altra, che i ricorrenti non avevano assolto al proprio onere, non avendo dato prova dell'inidoneità dell'intervento deliberato dall'assemblea a risolvere le lamentate problematiche delle infiltrazioni d'acqua.

L'altra questione, avente ad oggetto l'impugnativa di altra e diversa delibera assembleare, che non disponeva darsi luogo alle modifiche delle tabelle millesimali, veniva risolta con declaratoria di cessazione della materia del contendere, attesa nelle more la convocazione di altra assemblea nel corso della quale si decideva procedersi alla revisione delle tabelle.

Osservazioni

Nel caso in esame, il giudice del merito ha affrontato la questione interpretativa connessa alla qualificazione delle opere di ripristino delle parti comuni condominiali come manutenzioni straordinarie piuttosto che innovazioni.

Come premesso, l'art. 1120 c.c., non dà la definizione di innovazione, limitandosi a dettarne la disciplina giuridica.

La norma, che nella rubrica reca il proprio sostantivo declinato al plurale innovazioni”, ne prevede, infatti, quattro tipologie diverse, con diversa disciplina, ovvero: al comma 1 quelle ordinarie, dirette al miglior godimento delle cose comuni, da approvarsi con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 5, c.c. (2/3 del valore dell'edificio e maggioranza degli intervenuti); al comma 2 quelle intese a tutelare particolari interessi sociali (tra cui gli interventi e le opere per la eliminazione delle barriere architettoniche), assoggettate, per effetto della legge di riforma del condominio, che si è fatta portavoce di dette istanze, ad un quorum ridotto (1/2 del valore dell'edificio e maggioranza degli intervenuti); al comma 4 quelle vietate in ogni caso e quelle vietate alla maggioranza ma consentite all'unanimità.

Le innovazioni di cui ai primi tre commi della norma rientrano nella categoria generale delle innovazioni, alle quali vanno aggiungono le categorie di quelle vietate, disciplinate dal citato ultimo comma della norma, e le innovazioni gravose o voluttuarie previste dall'art. 1121 c.c.

L'onere di provare la sussistenza di dette ultime è di chi le invoca, che dovrà dimostrare la sussistenza di uno dei due presupposti, ovvero la gravosità, riferita all'entità della spesa necessaria per realizzare l'opera, o la voluttuarietà, riferita alle opere prive di necessità, parametri da rapportarsi alle condizioni ed all'importanza dell'edificio e la valutazione della cui sussistenza è rimessa al vaglio del giudice.

Come noto, tali innovazioni sono consentite nel caso in cui siano suscettibili di uso separato, allorché approvate con la maggioranza dei due terzi dei millesimi, con esonero dalla spesa dei condomini che non intendono trarne vantaggio. Nel diverso caso in cui non siano suscettibili di utilizzazione separata, non sono consentite, salvo che la maggioranza dei condomini che l'ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa.

Alla luce delle considerazioni che precedono, consegue che l'identificazione delle innovazioni può avvenire solo all'esito di un esame concreto della situazione di fatto, che permetta di ravvisare nelle opere deliberate i presupposti individuati dalla giurisprudenza per consentirne la qualificazione.

Nello specifico, la Corte di Cassazione ha affermato che per “innovazioni si intendono le modificazioni materiali che alterino l'entità sostanziale o mutino la destinazione originaria del bene” andando ad “incidere sull'essenza della cosa comune” (Cass. civ., sez. I, 19 ottobre 2012, n. 18052; Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2006, n. 17099; Cass. civ., sez. II, 5 novembre 2012, n. 15460).

Come correttamente chiarito dal giudice di merito, pertanto, non tutte le modifiche materiali alla cosa comune sono qualificabili come innovazione ma, unicamente, quelle aventi la caratteristica della novità in senso profondo e radicale.

Per l'effetto, non possono qualificarsi tali le modifiche della cosa comune intese a migliorare o rendere più agevole il godimento del bene, senza alterarne consistenza o destinazione.

Altro elemento distintivo è il carattere della necessità connesso alle manutenzioni straordinarie, funzionali al mantenimento della funzionalità, del buono stato, e della conservazione dell'edificio, ed avulso dal contesto delle innovazioni.

La premessa, che lungi dal limitarsi ad un mero aspetto terminologico riporta alla sostanza dell'elemento concettuale in punto di diritto, consente di chiarire il dubbio sollevato dagli attori nell'atto introduttivo del giudizio, ovvero la qualificazione delle opere, a causa dell'impiego, nell'esecuzione delle medesime, di un materiale di tipo diverso rispetto a quello preesistente.

Viene, invero, naturale chiedersi se tale modalità di realizzazione dell'intervento ne determini la qualificazione come innovazione, anziché manutenzione straordinaria.

Facendo applicazione dei principi sopra esposti, il giudice ha ritenuto che l'utilizzo di un materiale diverso rispetto al preesistente, non fosse di per sé solo sufficiente a qualificare l'intervento come innovazione, rientrando nei poteri dell'assemblea decidere, sulla base del principio maggioritario di cui all'art. 1136 comma 4 c.c., apportare modifiche ai beni comuni in applicazione dei progressi tecnologici e delle soluzioni tecniche praticabili.

Conseguentemente, il Tribunale, considerato che l'intervento di ripristino del tetto deliberato dall'assemblea, pur avendo comportato l'utilizzo di materiale diverso rispetto al preesistente, non ha alterato in maniera radicale e significativa la destinazione o la consistenza della cosa comune, ed è stato eseguito a perfetta regola d'arte, lo ha qualificato come intervento di manutenzione straordinaria, statuendo la legittimità della delibera impugnata, adottata con le corrette maggioranze di cui all'art. 1136, comma 4, c.c.

Avendo escluso trattarsi di innovazioni gravose e voluttuarie, la prova della cui sussistenza, oltretutto, non è stata fornita da parte ricorrente, su cui gravava l'onere, perde quindi rilevanza l'invocato concetto di gravosità della spesa, riferibile, esclusivamente, alle innovazioni, dal che il principio di diritto secondo cui il parametro di giudizio legato all'entità della spesa non è applicabile agli interventi di manutenzione delle parti comuni anche allorché i medesimi siano migliorativi dello status quo ante.

Invero, come chiarito dalla Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. VI, 17 agosto 2017, n. 20135), con esternazione di altro rilevante principio di diritto, il sindacato dell'autorità giudiziaria sulle delibere assembleari può avere ad oggetto, unicamente, la loro legittimità, esulando dal vaglio giudiziario le valutazioni di merito, appannaggio esclusivo dell'assemblea quale organo sovrano della volontà dei condomini.

Ne consegue, che esulano dal vaglio giudiziale, avente ad oggetto le delibere condominiali, valutazioni inerenti, da un lato la scelta dell'assemblea circa le modalità di esecuzione dei lavori aventi ad oggetto cose e servizi comuni, dall'altro la vantaggiosità della scelta inerente ai costi da sostenere nella gestione delle spese ad essi relative.

Guida all'approfondimento

Celeste, Il codice del condominio, Milano, 2018, 233;

Cirla - Monegat, Compravendita. Condominio. Locazioni, Milano, 2017, 400;

Cuffaro - Padovini, Codice commentato degli immobili urbani, Milano, 2017, 482.

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