Quando la domanda di assegnazione della casa familiare va riproposta in sede di giudizio di divorzio?

Redazione Scientifica
29 Maggio 2019

La domanda di assegnazione della casa familiare in caso di figli maggiorenni, ma non ancora autosufficienti e conviventi, deve essere riproposta in sede di giudizio di divorzio, anche dalla parte che risulta già assegnataria.

Il caso. Una donna, già assegnataria della casa coniugale in virtù della pronuncia di separazione, non formulava nel ricorso di divorzio la specifica istanza di assegnazione, dando per scontato che, non essendo intervenuta alcuna revoca, il diritto pronunciato in sede di separazione doveva intendersi ancora sussistente e la relativa istanza superflua. Avverso la sentenza della Corte d'Appello, che rilevava nella pronuncia del giudice di primo grado una statuizione extra petita, la donna ricorreva per cassazione.

La richiesta di assegnazione della casa familiare in presenza di figli maggiorenni. Secondo la Corte di Cassazione, per valutare «la correttezza del rilievo dell'extrapetizione, deve essere innanzitutto esaminata la funzione del provvedimento di assegnazione della casa familiare, così come voluto dal legislatore e dalla giurisprudenza, in correlazione con la peculiare condizione giuridica del figlio maggiorenne ma non ancora autosufficiente (totalmente o parzialmente)».

In particolare, osserva il Supremo Collegio, «l'art. 6, comma 6, l. n. 898/1970, stabilisce il criterio, di carattere sostanziale, sulla base del quale il giudice deve provvedere all'assegnazione della casa coniugale. La norma contiene una disciplina analoga a quella generale prevista nell'art. 337 sexies c.c. La giurisprudenza di legittimità ha poi integrato il parametro legislativo ancorando il godimento della casa familiare esclusivamente al regime di affidamento e collocamento dei figli minori. Per quelli maggiorenni non autosufficienti, è necessaria la prosecuzione della coabitazione del genitore assegnatario e del figlio del predetto immobile». Per i giudici di legittimità, «nessuna delle due norme contiene indicazioni utili in relazione alla necessità che la statuizione sull'assegnazione della casa familiare debba essere fondata sulla formulazione di una domanda, in ossequio al principio dispositivo, o possa essere adottata anche officiosamente in funzione del rilievo pubblicistico dei diritti in gioco. L'esegesi testuale delle norme e l'elaborazione giurisprudenziale postulano l'indisponibilità e l'irrinunciabilità del diritto al godimento della casa familiare in capo al genitore affidatario in relazione ai figli minori. L'art. 337 ter c.c. impone al giudice di adottare i provvedimenti relativi ai figli minori con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale degli stessi. L'assegnazione della casa familiare ne costituisce una componente essenziale. Ne consegue che il giudice, ove sia identificabile un immobile destinato al nucleo familiare e si ponga, concretamente, la questione dell'assegnazione, in funzione dell'interesse dei minori è tenuto a sollevare officiosamente la questione relativa al provvedimento da adottare».

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