Conseguenze della mancata trascrizione delle clausole limitative dei diritti dei condomini sui beni

Maurizio Tarantino
30 Maggio 2019

Chiamato ad accertare la validità di una delibera che impediva la realizzazione di un'insegna pubblicitaria sul terrazzo di uso esclusivo di una banca, il Tribunale ha evidenziato che, per l'opponibilità delle servitù atipiche costituite dal regolamento contrattuale, non è sufficiente richiamare il regolamento ma...
Massima

È valida la delibera condominiale che non autorizza la banca - utilizzatrice esclusiva della terrazza - alla realizzazione delle insegne pubblicitarie in quanto la clausola del regolamento di condominio, che comporti limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, per essere opponibile a tutti (a meno che l'acquirente ne prenda atto in maniera specifica nel medesimo contratto di acquisto) deve essere trascritta mediante apposita nota. Ne consegue che, ai fini dell'opponibilità, in caso di mancata trascrizione del regolamento, non basta richiamare il medesimo ma occorre indicare le clausole di esso incidenti in senso limitativo sui diritti dei condomini sui beni condominiali o sui beni di proprietà esclusiva.

Il caso

La banca Alfa (precedente proprietaria) e la banca Beta nuova proprietaria della porzione di fabbricato condominiale consistente in una unità immobiliare ad uso agenzia bancaria sviluppantesi ai piani terra e primo interrato, avevano chiesto di dichiarare la nullità della delibera in quanto l'assemblea condominiale, esprimendosi sul punto dell'o.d.g. “Esame ed approvazione interventi da eseguire sul terrazzo da parte della banca per l'installazione di pannello pubblicitario a led, verifica eventuali relazioni di fattibilità di installazione”, a maggioranza, non aveva approvato l'esecuzione dei lavori sul terrazzo relativi all'installazione in quanto l'insegna, per dimensioni e collocazione, in contrasto con il regolamento, deturpava l'estetica dello stabile e comprometteva la stabilità. Tuttavia, secondo le banche, nel momento in cui avevano acquistato l'Immobile, esse erano divenute titolari di tutti i diritti connessi e conseguenti alla proprietà del bene e, quindi, anche nei diritti sanciti dall'art. 4, lettere a) e c), del regolamento di condominio e cioè: nel diritto di utilizzo esclusivo della terrazza dell'ottavo piano (art. 4 lett. a); nel diritto di esporre, aggiungere e/o modificare insegne, targhe od altri mezzi pubblicitari “senza preventivo assenso del condominio” (art. 4 lett. c).

Costituendosi in giudizio, il condominio eccepiva: la carenza di legittimazione attiva della banca Alfa in quanto ex condomina; l'inopponibilità delle clausole regolamentari stante la mancata trascrizione nei registri immobiliari del regolamento condominiale; infine, la mancata menzione della servitù nelle note di trascrizione e, in ogni caso, l'inefficacia delle clausole invocate dalle attrici perché prive dell'indicazione del fondo dominante e del fondo servente.

La questione

La questione in esame è la seguente: in mancanza di trascrizione del regolamento, le clausole limitative di una servitù atipica sono opponibili a tutti i condomini?

Le soluzioni giuridiche

Preliminarmente, il giudice ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva della banca Alfa in quanto, al momento dell'istaurazione del presente giudizio, questa non era più proprietaria dell'Immobile.

Quanto al merito della vicenda, il giudice si è soffermato sulle clausole limitative e sugli effetti dello ius in re aliena gravante sul bene.

In proposito, secondo il giudice, le citate clausole prevedevano una servitù prediale atipica: diritto di insegna della banca quale proprietaria dell'unità immobiliare. Per meglio dire, utilizzando il criterio ermeneutico previsto dall'art. 1363 c.c., le citate clausole dovevano essere lette insieme alla parte dell'art. 4 che specificava che “il piano terreno è adibito ad esclusivo uso uffici bancari, uffici e magazzini e negozi e che i piani dal primo all'ottavo sono adibiti ad uso abitazioni private ed eventualmente uffici professionali e/o commerciali”. Dunque, tale contesto di espressioni determinava chiaramente la volontà di riconoscere al proprietario dell'Immobile, destinato ad agenzia bancaria, un diritto di insegna più ampio rispetto a quello astrattamente spettante agli altri condomini, con il contestuale riconoscimento dell'uso esclusivo del lastrico solare (lett. a) proprio al fine di dare maggiore visibilità alla relativa insegna pubblicitaria.

Quindi, si trattava di:

  • riconoscimento di un diritto reale in favore del condomino proprietario dell'Immobile destinato ad agenzia bancaria:
  • servitù atipica che imponeva agli altri condomini il peso di tollerare l'uso esclusivo della terrazza anche nel caso di installazione di qualsiasi mezzo pubblicitario.

Tuttavia, precisa il giudicante, il diritto in esame, pur trattandosi di una servitù atipica, non poteva costituire una obbligazione propter rem in quanto non si trattava di un diritto di credito del proprietario dell'agenzia bancaria (diritto di esigere una prestazione di non facere nei confronti degli altri condomini), ma di una restrizione dei poteri che in astratto, gli altri condomini, potrebbero (in qualunque momento) esercitare erga omnes; difatti, proprio in relazione a ciò, si parla di “un peso” a carico del fondo servente (terrazza a esclusivo vantaggio dell'Immobile adibito ad agenzia bancaria).

Pertanto, tali caratteristiche escludevano l'inquadramento della situazione soggettiva, vantata dalla banca attrice, della qualificazione del rapporto di pertinenzialità tra l'Immobile e la terrazza comune.

In proposito, conformemente all'orientamento giurisprudenziale in materia, il giudice ha precisato che l'opponibilità dei limiti (alla destinazione della proprietà esclusiva) ai terzi acquirenti, va regolata secondo le norme proprie delle servitù e, dunque, avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, mediante l'indicazione, nella nota di trascrizione, delle specifiche clausole limitative, ex artt. 2659, comma 1, n. 2), e 2665 c.c., non essendo invece sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale (Cass. civ., sez. II, 19 marzo 2018, n. 6769; Cass. civ., sez. II, 18 ottobre 2016, n. 21024; Cass. civ., sez. II, 31 luglio 2014, n. 17493).

Proprio in riferimento alla mancata trascrizione del regolamento, si colloca l'altra questione: gli effetti dello ius in re aliena gravante sul bene.

Al riguardo, si osserva che nel corso del giudizio era emerso che oltre al regolamento condominiale, anche le clausole limitative non erano state oggetto di apposita nota di trascrizione (distinta da quella dell'atto di acquisto); sicché, in tale situazione, le disposizioni del regolamento che stabilivano un peso sul bene comune in favore di una proprietà esclusiva, valevano soltanto nei confronti del terzo acquirente che ne prendeva atto in maniera specifica nel momento del contratto d'acquisto.

A questo punto, data la particolarità della questione, ai fine della soluzione del problema, secondo il giudicante, in mancanza della certezza legale della conoscenza della servitù da parte del terzo acquirente, occorre verificare la certezza reale della conoscenza del vincolo. Alla luce di tali aspetti, era emerso che:

  • non era possibile conseguire la certezza reale (precisa indicazione dello ius in re aliena gravante sul bene comune nel contratto) in quanto, da parte della banca, vi era solo stata una mera dichiarazione di conoscere ed accettare il regolamento condominiale;
  • la precisa indicazione dello ius in re aliena gravante sul bene comune non si ritrovava in tutti gli atti di acquisto degli immobili facenti parte del condominio.

Proprio per quest'ultimo motivo, in mancanza di una generale certezza reale, il diritto di servitù atipica vantato dalla banca attrice non era opponibile a tutti i condomini e, pertanto, la delibera impugnata era valida ed efficace.

Osservazioni

La pronuncia in oggetto è interessante in quanto si presta ad alcune precisazioni in merito all'installazione delle insegne in condominio, servitù atipiche e opponibilità delle clausole limitative.

Ebbene, in argomento si evidenzia che le targhe e le insegne rappresentano un importante strumento di comunicazione per i relativi titolari/esercenti, i quali, installandole in maniera visibile al maggior numero di persone possibile, possono ottenere utili effetti di pubblicità. In proposito, in ambito condominiale, si osserva che l'utilizzatore deve rispettare la destinazione della “parte comune”; invero, l'insegna non deve alterare la naturale destinazione di sostegno dell'edificio condominiale e l'utilizzazione del muro perimetrale comune. Quindi, l'utilizzazione dei muri perimetrali dell'edificio, al fine di apporre targhe ed insegne per pubblicizzare la propria attività, può anche avvenire senza bisogno del consenso degli altri partecipanti, purché - ovviamente - la relativa utilizzazione non impedisca agli altri condomini di fare eguale uso della cosa comune (Trib. Palermo 12 dicembre 1991).

Considerata la specifica natura promozionale, la loro apposizione viene solitamente effettuata sui muri perimetrali (altrimenti detti “facciate”) in modo che siano il più possibile visibili all'esterno.

Tuttavia, non è da escludere (come nel caso di specie) che le targhe/insegne siano allocate su parti esclusive (all'interno delle finestre/aperture private, o sulla parte esterna dei parapetti, anch'essi certamente privati qualora afferiscano a balconi “aggettanti). Anche in questa ultima ipotesi viene coinvolto un interesse comune che è rappresentato, in via generale, dal “decoro” dello stabile, e, in particolare, dal mantenimento della sua integrità. Difatti, costituisce normale esercizio del diritto di usare la cosa comune, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1102 c.c. sempre che non impedisca l'esercizio concorrente del diritto degli altri partecipanti di fare uguale uso del muro e sempre che, nel contempo, non rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell'edificio (Trib. Roma 23 marzo 2011).

Proprio in relazioni ai citati principi, nella vicenda esaminata dal Tribunale di Milano, la maggioranza dei condomini non aveva approvato l'esecuzione dei lavori sul terrazzo in quanto la collocazione dell'insegna deturpava l'estetica dello stabile e comprometteva la stabilità.

Premesso ciò, quanto all'altra questione delle servitù in condominio, in argomento, giova ricordare il netto confine che intercorre fra: la facoltà di godimento sulle parti comuni - che compete al condomino iure proprietatis e che vede il proprio limite in quanto disposto dall'art. 1102 c.c., con il divieto di impedirne il pari uso agli altri condomini - e l'eventuale utilità ulteriore e diversa che il condomino può trarre da detti beni iure servitutis, che ha invece quale caratteristica principale l'imposizione di un onere che limita il diritto degli altri compartecipanti e che può trovare origine solo in un negozio fra tutti gli aventi titolo sul bene comune, volto alla costituzione di un vero e proprio ius in re aliena, ovvero di un diritto di servitù (Cass. civ., sez. II, 15 aprile 1999, n. 3749).

Quindi, in tema di costituzione del diritto di servitù, in estrema sintesi, possiamo osservare che, con il regolamento condominiale, possono essere costituiti:

a) pesi a carico di unità immobiliari di proprietà esclusiva e a vantaggio di altre unità abitative, cui corrisponde il restringimento e l'ampliamento dei poteri dei rispettivi proprietari;

b) prestazioni positive a carico dei medesimi proprietari e a favore di altri condomini o di soggetti diversi;

c) limitazioni del godimento o dell'esercizio dei diritti del proprietario dell'unità immobiliare.

Pertanto, nel primo caso è configurabile un diritto di servitù, trascrivibile nei registri immobiliari; nel secondo un onere reale e nel terzo un'obbligazione propter rem (Cass. civ., sez. II, 5 settembre 2000, n. 11684).

Fatta questa doverosa ricostruzione, il problema della vicenda esaminata dal Tribunale di Miliano riguardava l'ipotesi del riconoscimento di prestazioni positive (servitù atipiche) a favore della Banca; tuttavia, era stato riscontrato il problema della mancata conoscibilità del vincolo e, soprattutto, della mancata trascrizione delle clausole limitative.

In proposito, sappiamo che la trascrizione non è condizione di validità di un atto, ma semplicemente garanzia di sua conoscibilità e soprattutto opponibilità. Difatti, l'ordinamento italiano si regge sul principio espresso dal brocardo latino, prior in tempore potior in iure, ossia primo nel tempo, più forte in diritto.

In tema di clausole, la trascrizione la rende conoscibile e quindi opponibile ai singoli condòmini e successivamente ai loro eredi e soprattutto aventi causa (ossia chi da questi acquista l'unità immobiliare).

Se manca la trascrizione o non è fatta in modo tale da poter fare operare la conoscibilità/opponibilità ex lege, si passa dal regime di conoscenza legale al regime di conoscenza reale: per poter dimostrare che il condomino abbia effettivamente conosciuto ed accettato la clausola limitativa del diritto di proprietà sull'unità immobiliare ovvero sulle parti comuni, deve avere espressamente approvata quella clausola al momento dell'acquisto.

In conclusione, alla luce di tutto quanto innanzi esposto, a parere di chi scrive, la conoscenza o conoscibilità di un limite alla proprietà non è questione che si possa considerare risolta mediante una semplice valutazione della natura del regolamento, dovendosi altresì verificare se le clausole contenenti limitazioni ai diritti reali - limitazioni che possono essere trascritte - siano state effettivamente annotate presso i registri immobiliari o comunque realmente conosciute da chi ha acquistato un immobile in condominio. Si tratta di una questione non di poco conto, atteso che, come nel caso esaminato dal Tribunale di Milano, non sempre è così facile arrivare ad una soluzione.

Guida all'approfondimento

Ginesi, Servitù (costituzione e contenuto), in Condominioelocazione.it;

Capponi, Targhe e insegne, in Condominioelocazione.it;

Diana, La proprietà immobiliare urbana, vol. III, Il condominio e il supercondominio. Nuovi modelli di proprietà immobiliare urbana, Milano, 2006, 294.

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