Costituzione di parte civile nel processo nei confronti degli enti collettivi: ancora una sentenza di merito in contrasto con le giurisdizioni superiori

Ciro Santoriello
30 Maggio 2019

La problematica inerente la possibilità di esercitare l'azione civile, ai sensi degli artt. 74 ss. c.p.p., nel processo nei confronti degli enti collettivi ai sensi del d.lgs. 231/2001 è stata oggetto di un acceso dibattito, al termine del quale tuttavia...
Massima

L'impianto normativo del d.lgs. 231/2001 e la stretta connessione ivi prevista tra reato e responsabilità da reato degli enti sia con riferimento ai criteri d'imputazione oggettiva dei reati all'ente - rappresentati dal riferimento contenuto nell'art. 5 all'interesse o al vantaggio - sia con riferimento a tutte le norme del d.lgs. 231/2001, che prevedono che la responsabilità dell'ente e collegata al reato, impongono di ritenere ammissibile, nel processo nei confronti delle società, l'esercizio dell'azione civile nei confronti della società medesima.

Il caso

Innanzi al Tribunale di Trani, mentre era in corso di svolgimento il procedimento relativo al disastro ferroviario Andria-Corato del 12 luglio 2016, alcuni soggetti – persone fisiche e persone giuridiche – chiedevano in sede di udienza preliminare di costituirsi parte civile nei confronti di una società imputata ex d.lgs. 231/2001.

Il giudice dell'udienza preliminare, aderendo all'orientamento della Suprema Corte, riteneva inammissibili tali richieste. La motivazione di tale provvedimento richiamava le considerazioni formulate più volte dalla Cassazione, secondo cui nel d.lgs. 231/2001 non vi è alcun riferimento espresso alla parte civile e l'illecito amministrativo non si identifica con il reato, poiché il reato che viene realizzato dai vertici dell'ente ovvero dai suoi dipendenti e solo uno degli elementi che formano l'illecito da cui deriva la responsabilità dell'ente mentre il presupposto per la costituzione di parte civile è rappresentato dalla commissione di un reato e non di un illecito amministrativo dipendente da reato.

All'apertura del dibattimento, veniva richiesta la revoca del provvedimento di rigetto del giudice dell'udienza preliminare con conseguente ammissione della costituzione di parte civile. Tale richiesta cercava di replicare punto per punto alla decisione di inammissibilità, sostenendosi in particolare che l'assenza di un esplicito riferimento alla persona offesa e alla parte civile nel d.lgs. 231/2001 non sarebbe sintomatica della volontà del legislatore di escludere l'ammissibilità della costituzione del soggetto danneggiato nei confronti dell'ente, in ragione del rinvio generalizzato alle disposizioni del codice di procedura penale, effettuato dall'art. 34 del citato decreto, nonché le previsioni di cui agli artt. 38 - che prevede, per ii procedimento per l'illecito amministrativo dipendente da reato e per il procedimento penale instaurato nei confronti dell'autore del reato da cui dipende l'illecito, la regola del "simultaneus processus" – e 54, il quale non facendo riferimento all'art. 316, commi 2 e 3 c.p.p., deve essere interpretato nel senso che ii legislatore non ha richiamato le disposizioni relative al sequestro conservativo, promosso dalla parte civile, non avvertendo l'esigenza di derogare alla disciplina del codice di procedura penale che, pertanto, anche sotto tale profilo, risulta implicitamente recepita nel citato decreto n. 231. In secondo luogo, le pretese parti civili affermavano che danno da reato e danno da responsabilità amministrativa da reato configurerebbero "un'unica e inscindibile entità economico-giuridica [giacché] l'autonomia della responsabilità dell'ente riguarda il titolo della responsabilità stessa, non l'illecito e non solo perché il fatto storico di cui l'ente risponde, secondo le forme e le regole di imputazione del d.lgs. 231/2001, è del tutto coincidente con quello del reato e l'ente risponde del fatto-reato commesso dall'esponente o dal dipendente nel suo interesse/vantaggio salva restando la differenza de! titolo di responsabilità (secondo un "meccanismo dispositivo" non dissimile da quello previsto dagli artt. 110 e ss. c.p.)". Infine, si sosteneva che la responsabilità da reato degli enti risponderebbe ai due criteri che, al di là del nomen iuris adottato dal legislatore nazionale, definiscono la "materia penale", secondo la consolidata giurisprudenza della Corte EDU inaugurata dalla sentenza Engel e altri c. Paesi Bassi dell'8 giugno 1976, poiché le sanzioni previste dal d.lgs. 231/2001 determinano una grave compressione dei diritti dell'ente e hanno carattere affittivo, con la conseguenza che, se la responsabilità da reato degli enti ha carattere penale, diventa conseguenziale ritenere che nel relativo processo possa esercitarsi l'azione civile nei confronti dell'ente stesso.

La questione

La problematica inerente la possibilità di esercitare l'azione civile, ai sensi degli artt. 74 ss. c.p.p., nel processo nei confronti degli enti collettivi ai sensi del d.lgs. 231/2001 è stata oggetto di un acceso dibattito, al termine del quale tuttavia, come la stessa decisione in commento ricorda, si è concluso nel senso di escludere tale possibilità. In particolare, la Cassazione ha sostenuto che nessuna possibilità di istanza di risarcimento potrebbe essere formulata nei confronti dell'ente collettivo posto l'illecito attribuito a tale soggetto è strutturato nella forma di una fattispecie complessa, della quale il reato costituisce solo uno degli elementi fondamentali dell'illecito, sicché tale illecito non si identifica con il reato commesso dalla persona fisica, ma semplicemente lo presuppone; assodata dunque l'autonomia dell'illecito addebitato all'ente e la distinzione fra la responsabilità e quella della persona fisica, ne discende che l'eventuale danno cagionato dal reato non coincide con quello derivante dall'illecito amministrativo di cui risponde l'ente. Questa autonomia fra illecito dell'ente ed il reato-presupposto della medesima preclude, secondo i giudici romani, la possibilità di estendere la competenza del giudice penale a conoscere dell'illecito dell'ente tramite il ricorso agli artt. 74 c.p.p. e art.185 c.p.: proprio l'autonomia dei fatti illeciti (rispettivamente ascritti alla persona fisica e all'ente, che risponde per un fatto proprio, diverso da quello posto in essere dalla persona fisica) induce a escludere la fondatezza del richiamo, tanto più che il sistema non accredita certo il principio generale dell'azione risarcitoria nel processo penale, prevedendo al contrario l'art. 75 c.p.p. il favor separationis.

Da ultimo, poi la Cassazione ha evidenziato come non sia neppure individuabile un danno derivante dall'illecito amministrativo, diverso da quello prodotto dal reato: diversamente ragionando, si giungerebbe infatti alla conclusione che il danno da reato può essere indifferentemente attribuito alla condotta della persona fisica o dell'ente, il che contraddice, da un lato, la diversità dei fatti illeciti e, dall'altro, l'autonomia dei comportamenti rispettivamente riferibili alla persona fisica e all'ente. In sostanza, quand'anche si volesse riconoscere l'ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti di una persona giuridica, tale modalità di esercizio dell'azione di risarcimento sarebbe senza effetto posto che i danni riferibili al reato sembrano esaurire l'orizzonte delle conseguenze in grado di fondare una pretesa risarcitoria', escludendo che possano esservi danni ulteriori derivanti direttamente dall'illecito dell'ente (Cass. pen., Sez. VI, 5 ottobre 2010, n. 2251. Dopo le decisioni della Cassazione, in senso favorevole alla costituzione di parte civile, si rinviene solo Corte Assise di Taranto, 4 ottobre 2017).

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale ha accolto le istanze difensive delle costituende parti civili, revocando l'ordinanza del giudice dell'udienza preliminare e ammettendo le relative costituzioni.

La decisione origina da una riflessione sulla natura della responsabilità da reato delle persone giuridiche che il Tribunale pugliese riconduce, sulla scorta dell'insegnamento delle Sezioni Unite (Cass. pen., Sez. Unite, 24 aprile 2014, n. 38343), in un tertium genus, nel cui ambito la responsabilità dell'ente è autonoma rispetto a quella penale della persona fisica che ha posto in essere il reato-presupposto. Da ciò deriverebbe che la responsabilità di cui al d.lgs. 231/2001 investe direttamente l'ente, trovando nella commissione di un reato da parte della persona fisica il solo presupposto ma non già l'intera sua concretizzazione: nelle parole dei giudici, che richiamano alcune decisioni della Cassazione, «la colpa di organizzazione fonda una colpevolezza autonoma dell'ente, distinta anche se connessa rispetto a quella della persona fisica». Tale osservazione sarebbe corroborata dalla circostanza che l'art. 5 del citato testo detta la regola d'imputazione oggettiva dei reati all'ente, fondando la stessa sul fatto che l'illecito penale sia stato commesso nell'interesse o a vantaggio della persona giuridica, con la conseguenza che il reato commesso dal soggetto inserito nella compagine dell'ente, in vista del perseguimento dell'interesse o del vantaggio di questo, dunque, è sicuramente qualificabile come 'proprio' anche della persona giuridica e ciò in forza del rapporto di immedesimazione organica che lega il primo alla seconda.

Tali considerazioni – per quello che è dato di comprendere dalla lettura della decisione, che non pare sviluppare in maniera ampia tale riflessione – comporta la possibilità di riconoscere che, poiché al reato della persona fisica si affianca un ulteriore illecito, attribuibile in via esclusiva all'ente collettivo, nulla consente di escludere che dal fatto dell'ente (che il Tribunale riassume nella "colpa di organizzazione"), possa derivare un danno risarcibile per fatto proprio dell'ente, che lo obbliga, a norma dell'art. 185 c.p., come richiamato dall'art. 74 c.p.p. - applicabile per il rinvio operato dall'art. 34 d.lgs. 231/2001 - senza che rilevi che, eventualmente, nei confronti della medesima società sia stata già esercitata da alcune delle parti civili l'azione civile indiretta, tramite lo strumento della citazione del responsabile civile.

Quanto alle argomentazioni utilizzate per sostenere la tesi dell'inammissibilità della costituzione di parte civile nel processo in parola, i giudici di Trani non trovano rilevante il presunto silenzio che sul punto avrebbe serbato il legislatore del 2001. Infatti, viene osservato in senso contrario che il testo normativo ha espressamente individuato un sistema di rinvio ricettizio alle disposizioni generali sui procedimento in base a quanto disposto dagli artt. 34 e 35 del citato d.lgs. 231/2001, di talché deve escludersi che debba farsi ricorso all'analogia e la stessa relazione illustrativa del d.lgs. 231/2001 non contiene alcuna indicazione relativa alla inammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell'ente, circostanza di evidente valore significante, posto che il legislatore nei casi in cui abbia voluto discostarsi dalle previsioni del codice di rito in ordine a singoli istituti, lo ha espressamente previsto.

Relativamente poi alle considerazioni che, in senso contrario all'ammissibilità della costituzione di parte civile, sembrerebbero ricavarsi dalla sentenza C-79/11 del 12 luglio 2012 della Corte di Giustizia europea, relativamente alla interpretazione dell'art. 9 della decisione quadro del Consiglio 15 marzo 2001, 200I/220/GAI, che riguarda la posizione della vittima nel procedimento penale, secondo i giudici pugliesi la pronuncia – nell'affermare che il citato art. 9 «deve essere interpretato nel senso che non osta a che, nel contesto di un regime di responsabilità delle persone giuridiche come quello in discussione nel procedimento principale, la vittima di un reato non possa chiedere ii risarcimento dei danni direttamente causati da tale reato, nell'ambito del processo penale, alla persona giuridica autrice di un illecito amministrativo da reato» – si è limitata a prendere atto che nel diritto interno l'ente non è autore di un reato e come tale è improprio il richiamo all'art. 9 della decisione quadro invocata, che si riferisce espressamente alle vittime del reato, senza stabilire che la vittima dell'illecito realizzato dall'ente non possa vantare nei suoi confronti una pretesa risarcitoria, nell'ambito del processo penale a carico dell'ente, dinanzi al giudice competente, ex art. 36 del d.lgs. 231/2001.

Quanto infine all'argomento, di rilevanza assolutamente centrale, secondo cui non sarebbe individuabile un danno direttamente risarcibile, derivante dall'illecito amministrativo, diverso da quello prodotto dal reato, i giudici di merito evidenziano come tale affermazione sia sconfessata dal dato normativo, posto che l'art. 45 preveda la revoca delle misure interdittive in presenza delle ipotesi previste dall'art. 17, ovvero quando, fra l'altro, la società si sia "efficacemente" adoperata a risarcire integralmente il danno: da questa previsione non potrebbe che derivare il riconoscimento del diritto delle persone offese o danneggiate ad esercitare l'azione risarcitoria diretta nei confronti dell'ente, per fatto proprio, diversa dall'azione indiretta, esercita nei suoi confronti, quale responsabile civile.

Osservazioni

La tesi del tribunale di Trani non pare condivisibile.

Il provvedimento in commento, infatti, riprende tutte le considerazioni espresse in precedenza – prima della presa di posizione della Cassazione – dalla giurisprudenza di merito favorevole all'esercizio dell'azione civile nel procedimento contro gli enti (cfr. ordinanza GUP Milano dott. Giordano del 5 febbraio 2008, proc. Enipower in rivista231.it; ordinanza GUP Torino Salvadori, 12 gennaio 2006 in rivista231.it; ordinanza GUP Milano, dott. Panasiti, 9 luglio 2009, inedita), ma di fatto non replica alle obiezioni – solide – che vengono mosse a quanti ritengono ammissibile la costituzione di parte civile nel giudizio ex d.lgs. 231/2001.

In primo luogo, i giudici pugliesi non si confrontano con la considerazione secondo cui non sarebbero ipotizzabili danni, ulteriori rispetto a quelli già prodotti dal reato, riconducibili in via autonoma all'illecito attribuito al soggetto collettivo e rispetto ai quali potrebbe ipotizzarsi la possibilità di esercitare l'azione risarcitoria nell'ambito del procedimento a carico dell'ente, per cui da un punto di vista sostanziale non sarebbe configurabile alcuna ragione di risarcimento del danno in funzione dell'illecito amministrativo rispetto al quale viene evocata una responsabilità diretta della persona giuridica (PISTORELLI, La problematica costituzione di parte civile nel procedimento a carico degli enti: note a margine di un dibattito forse inutile, in Riv. Resp. Soc. Enti, 2008, 3, 96; FRACCHIA, In tema di costituzione di parte civile nel procedimento avviato nei confronti degli «enti» di cui al D.Lgs. n. 231/2001, in Soc., 2009, 1031; TESORIERO, Sulla legittimità della costituzione di parte civile contro l'ente nel processo ex d.lgs. 231/2001, in Cass. pen., 2008, 3865). Alla luce di questa osservazione anche le norme di cui agli artt. 12 e 17 del decreto – che il provvedimento in esame porta a sostegno della tesi favorevole all'ammissibilità della costituzione di parte civile disciplinando benefici premiali in caso di risarcimento del danno da parte dell'ente - conterrebbero in realtà spunti testuali a supporto della posizione contraria, laddove prevedono che il danno che l'ente può intervenire a risarcire è solo quello derivante dal fatto di reato in senso stretto attribuito alla persona fisica e non un ipotetico danno derivato dall'illecito amministrativo.

Inoltre, quand'anche vi fosse spazio per identificare un danno civilmente risarcibile direttamente collegato al titolo che sta alla base della responsabilità amministrativa, la correlativa azione civile non potrebbe comunque essere esercitata nell'ambito del processo penale, tenuto conto della tassatività della previsione dell'art. 1 c.p.p. - secondo cui sono proponibili dinanzi al giudice penale solo le azioni specificamente previste dalle norme di legge - e della conseguente possibilità di esercitare l'azione civile nel giudizio criminale solo in presenza delle condizioni di cui al combinato disposto degli artt. 185 c.p. e art. 74 c.p.p.: in particolare, l'illecito dell'ente non potrebbe mai identificarsi con il reato, che pure ne costituisce il presupposto e ciò precluderebbe l'applicazione del disposto dell'art. 185 c.p. e, per conseguenza, dell'art. 74 c.p.p., che appunto legittima l'esercizio dell'azione civile nel processo penale agli esclusivi fini del ristoro dei danni menzionati dal citato art. 185 c.p..

Infine, le preoccupazioni emerse sotto il profilo del deficit di tutela della persona offesa (prospettate, fra gli altri, da BIANCHI, Responsabilità da reato degli enti e interessi civili: il nodo arriva alla Corte Costituzionale, in Dir. Pen. Proc., 2013, 951; ID., Ancora sulla problematica (in)ammissibilità della costituzione di parte civile nel processo de societate, in Dir. pen. cont., 22 ottobre 2013) debbano comunque essere ridimensionate alla luce della possibilità riconosciuta dalla Corte costituzionale di citare l'ente come responsabile civile per il fatto dell'apicale o del sottoposto ai sensi dell'articolo 83 c.p.p., senza eventuali preclusioni derivanti, come precisato dalla Consulta, da erronee letture che qualifichino persona fisica ed ente quali “coimputati”.

Rimane semmai un'unica perplessità. Come detto, la ragione principale per escludere la costituzione di parte civile nei relativi procedimenti contro gli enti è l'impossibilità pratica di individuare danni, ulteriori rispetto a quelli già prodotti dal reato, riconducibili in via autonoma all'illecito attribuito al soggetto collettivo e rispetto ai quali è ipotizzabile la possibilità di esercitare l'azione risarcitoria nell'ambito del procedimento a carico dell'ente; quando, infatti, il danneggiato può agire quale parte civile nei confronti dell'autore dell'illecito pare ultroneo ammettere tale costituzione anche nei confronti della società cui appartiene l'accusato “principale”, giacché da un lato il danneggiato può già tutelarsi e vedersi risarcito dalla persona fisica responsabile del reato costituendosi parte civile nei suoi confronti nell'ambito del relativo procedimento penale e dall'altro in tali circostanze non si vede quale sarebbe il danno ulteriore il cui risarcimento potrebbe essere richiesto alla persona giuridica rispetto alla istanza economica già avanzata nei confronti della persona fisica.

Se ciò è corretto, occorre però interrogarsi se la medesima conclusione circa l'inammissibilità della costituzione di parte civile nei processi avverso gli enti collettivi possa essere mantenuta ferma anche quando, nel processo contro il singolo, la costituzione di parte civile non è possibile e quindi la persona offesa non ha alcuna possibilità di rivalersi sulla persona fisica imputata. Il riferimento è ai molteplici casi, alcuni dei quali previsti espressamente nello stesso decreto legislativo 231/2001, in cui il giudizio nei confronti della persona fisica non ha luogo mentre si procede avverso la società - come accade, per esempio, quando l'autore del reato non è stato identificato ovvero quando nei suoi confronti il reato si sia estinto per causa diversa dall'amnistia – oppure quando nel corso del procedimento contro la persona fisica non sia possibile procedere a costituzione di parte civile – si pensi all'ipotesi in cui l'autore del reato sia 'uscito' dal processo prima della decisione definitiva, ad esempio perché deceduto o perché ha 'patteggiato' la pena, e dunque il processo prosegue solo nei confronti dell'ente. Nelle ipotesi ora considerate, la persona offesa non può vedere in alcun modo tutelate le sue pretese nell'ambito del procedimento penale verso l'imputato e quindi non avrà altra scelta che agire in sede civile, nonostante davanti al giudice penale sia in corso altro procedimento che ha per oggetto ed origina (anche) dal fatto illecito da cui è derivato il danno per la persona offesa: in tali ipotesi forse sarebbe necessario riconoscere la possibile costituzione di parte civile da parte della persona offesa nei confronti della società in qualche modo protagonista ed implicata nella vicenda delittuosa.

Guida all'approfondimento

Sulla possibilità di esercitare l'azione civile, ai sensi degli artt. 74 ss. c.p.p., nel processo nei confronti degli enti collettivi ai sensi del d.lgs. 231/2001:

VARRASO, L'"ostinato silenzio" del d.lgs. 231/2001 sulla Costituzione di parte civile nei confronti dell'ente ha un suo "perchè", in Cass. Pen., 2001, 2539; BALDUCCI, La Corte di Cassazione prende posizione sulla costituzione di parte civile nel processo a carico dell'ente, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2011, 1121; VARANELLI, La Cassazione esclude l'ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti degli enti, in Soc., 2011, 571; ARIOLLI, Inammissibile la costituzione di parte civile nel processo instaurato per l'accertamento della responsabilità da reato dell'ente, in Giust. Pen., 2011, III, 257; MUCCIARELLI, Il fatto illecito dell'ente e la costituzione di parte civile nel processo ex d.lgs. n.231/2001, in Dir. Pen. Proc., 2011, 431; SANTORIELLO, La parte civile nel procedimento per la responsabilità degli enti, in Giur. It., 2011, 1383; PISTORELLI, Inammissibile per la Corte di cassazione la costituzione di parte civile nei processi a carico degli enti, ibidem, 1385; BRICCHETTI, La persona giuridica non risponde del reato ma di un illecito inidoneo per il risarcimento, in Guida dir., 2011, 9, 52; VALSECCHI- VISANO', Secondo la Corte di Giustizia UE, l'inammissibilità della costituzione di parte civile contro l'ente imputato ex d.lgs. 231/01 non è in contrasto col diritto dell'Unione, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; Magliocca, La costituzione di parte civile nel processo de societate, questione definitivamente risolta?, in Arch. pen., 2011, 284; GROSSO, Sulla costituzione di parte civile nei confronti degli enti collettivi chiamati a rispondere ai sensi deld.lgs. 231/2001 davanti al giudice penale, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2004, 4, 1335; VARANELLI, La questione dell'ammissibilità della pretesa risarcitoria nel processo penale nei confronti degli enti. Disamina aggiornata della giurisprudenza, in Resp. Amm. Soc. Enti, 2009, 3, 159; BERLTRAMI, L'inammissibilità della costituzione di parte civile in danno dell'ente al vaglio della corte di Giustizia UE, ivi, 2013, 1, 213; VIGNOLI, La controversa ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell'ente imputato, ivi, 2006, 3, 28; PANASITI, Spunti di riflessione sulla legittimazione passiva dell'ente nell'azione civile di risarcimento, ivi, 2007, 1, 95; SANTORIELLO, La costituzione di parte civile nel processo contro gli enti collettivi: le decisioni della cassazione e della corte di giustizia segnano un punto di approdo solo parziale?, ivi, 2013, 4, 19).

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