La sorella ha diritto a ricevere gli alimenti dal fratello quando è in difficoltà

Sabina Anna Rita Galluzzo
31 Maggio 2019

Nel giudizio relativo alla prestazione di alimenti, occorre tener conto dei mutamenti delle condizioni economiche delle parti verificatesi in corso di causa.
Massima

Nel giudizio relativo alla prestazione di alimenti, stante l'inequivoco tenore dell'art. 440 c.c., occorre tener presenti i mutamenti delle condizioni economiche delle parti verificatesi in corso di causa. In applicazione di tale principio, ai fini della quantificazione dell'assegno alimentare dovuto dal fratello nei confronti della sorella, bisogna tener conto dell'attribuzione, avvenuta in corso di causa, in favore di quest'ultima di un trattamento pensionistico.

Il caso

Un uomo proponeva ricorso in Cassazione avverso la sentenza con la quale la Corte di appello di Genova, in sede di rinvio, lo dichiarava tenuto al pagamento, a titolo di alimenti, della somma mensile di euro 150,00 in favore della sorella. Il ricorrente sosteneva in particolare che la donna non versava in stato di bisogno in quanto la stessa aveva interrotto volontariamente la propria attività di collaboratrice familiare, percepiva inoltre una pensione da parte dell'INPS e un sostegno fornitole dal Comune. L'uomo sosteneva altresì che la sua situazione economica non era molto diversa da quella della sorella in quanto percepiva anche lui una pensione di importo pressoché analogo agli introiti di cui beneficiava la donna. Sottolineava infine che nel corso della causa la posizione economica della sorella era migliorata. La Corte di Cassazione con l'ordinanza in commento rigetta il ricorso.

La questione

Il caso in esame ruota intorno alla sussistenza dello stato di bisogno dell'alimentando, condizione essenziale affinché sorga il diritto agli alimenti. E' necessario infatti che colui che richiede il beneficio versi in stato di bisogno e sia incapace di provvedere al proprio sostentamento. L'obbligato inoltre deve essere economicamente in grado di sobbarcarsi tale onere.

Ulteriore questione affrontata dall'ordinanza è la possibilità attribuita al giudice dall'art. 440 c.c. di provvedere per la cessazione, la riduzione o l'aumento dell'assegno alimentare in caso di mutamento della situazione economica.

Le soluzioni giuridiche

Com'è noto, l'art. 433 c.c., fondando l'obbligo alimentare sui vincoli di solidarietà familiare, fornisce un elenco dei soggetti obbligati a prestare gli alimenti alla persona che si trova in stato di bisogno. La disposizione mette al primo posto il coniuge, seguito dai figli, in loro mancanza i discendenti prossimi; sono poi contemplati i genitori e, in loro mancanza gli ascendenti prossimi; i generi e le nuore; il suocero e la suocera; e per ultimi i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali. I fratelli sono dunque gli ultimi della lista e devono intervenire in assenza di altri obbligati di grado anteriore o quando questi pur esistenti non ne abbiano la possibilità economica. La scelta di collocare all'ultimo posto i fratelli e le sorelle si coordina con la previsione contenuta nell'art. 439 c.c. in base al quale tra fratelli e sorelle gli alimenti sono dovuti solo nella misura dello stretto necessario. Si è precisato in proposito che per alimenti strettamente necessari deve intendersi non la sola somministrazione del vitto e alloggio ma anche il vestiario, le cure mediche, e in generale quanto è indispensabile per la vita dell'alimentando con l'esclusione di ogni maggior larghezza che l'obbligazione generale degli alimenti necessariamente comporterebbe. Si evidenzia peraltro che nel caso di minore di diciotto anni nell'obbligazione alimentare rientrerebbero le spese di educazione e di istruzione.

Nella specie l'alimentanda durante il giudizio di merito aveva iniziato a percepire una pensione. Sulla base di questo mutamento economico il ricorrente aveva richiesto la cessazione dell'obbligo alimentare ai sensi dell'art. 440 c.c. La Corte territoriale, prendendo in considerazione i mutamenti avvenuti, aveva ridotto l'assegno stabilito in precedenza, ma non ne aveva disposto la cancellazione. Secondo l'ordinanza in esame tale decisione era adeguatamente motivata in quanto, aveva, tra l'altro, tenuto in particolare rilievo i bisogni dell'alimentanda, con specifico riferimento all'indisponibilità di un alloggio e alla conseguente esigenza di sopportare l'onere del pagamento di un canone di locazione.

Risultava inoltre, secondo la Cassazione, rispettata la proporzionalità tra la situazione economica dei due fratelli in causa, in quanto erano stati, nel giudizio di merito, presi in considerazione sia i redditi delle parti, sia la consistenza patrimoniale di entrambi e in particolare il fatto che l'uomo, oltre a percepire lui stesso una pensione, avesse una casa di proprietà.

Si sottolinea inoltre come la Corte territoriale aveva correttamente applicato le norme e i principi che informano la materia della corresponsione di alimenti tra i quali quello secondo cui tra fratelli gli alimenti sono dovuti nei limiti dello stretto necessario.

Tale principio, ricavabile direttamente dal codice civile, era stato evidenziato dalla Corte di Cassazione che era già intervenuta in passato nella controversia tra le stesse parti, rinviando alla Corte d'Appello proprio per l'applicazione di detta regola. Si sosteneva nella specie chela circostanza che la pretesa alimentare sia rivolta nei confronti di un fratello non comporta la sua infondatezza, ma solo la determinazione del relativo importo nella misura dello stretto necessario, ai sensi dell'art. 439 c.c. L'obbligazione alimentare tra fratelli e sorelle costituisce infatti ipotesi secondaria e limitata, atteso che tale circostanza incide, solo sull'entità dell'obbligazione alimentare, non sulla sua sussistenza (Cass. civ., sent. 19 giugno 2013, n. 15397).

Giova comunque sottolineare come la giurisprudenza in materia consideri rilevante la proprietà di un immobile dove vivere. Nella specie infatti dirimente per i giudici è stato il fatto che la sorella non fosse proprietaria di un immobile e dovesse pertanto sostenere spese di locazione. Al contrario si evidenzia un caso in cui una donna chiedeva un assegno alimentare ai fratelli e il Tribunale respingeva la sua domanda, escludendo lo stato di bisogno, in quanto la stessa non era riuscita a fornire la prova della sua oggettiva impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per vivere, risultando essere anche comproprietaria della casa familiare (Trib. Vicenza, sent. 11 settembre 2017, n. 2628).

Si precisa in proposito che il diritto agli alimenti è legato alla prova dello stato di bisogno e alla impossibilità dell'istante di provvedere, in tutto o in parte, al proprio sostentamento mediante l'esplicazione di un'attività lavorativa. Lo stato di bisogno, in particolare, si rileva, esprime l'impossibilità per il soggetto di provvedere al soddisfacimento dei suoi bisogni primari, quali vitto, abitazione, vestiario e cure mediche, e deve essere valutato in relazione alle sue effettive condizioni, tenendo conto di tutte le risorse economiche di cui il medesimo dispone, compresi i redditi ricavabili dal godimento di beni immobili in proprietà o in usufrutto, e della loro idoneità a soddisfare le sue necessità primarie (Cass. civ. sez. II, sent. 8 novembre 2013, n. 25248).

Secondo l'ordinanza in esame in conclusione quanto percepito dalla donna non è sufficiente a consentirle di vivere dignitosamente, e ciò comporta il sorgere dell'obbligo alimentare a carico del fratello così come quantificato dalla Corte d'appello.

Osservazioni

In origine l'opinione maggioritaria in dottrina riteneva non estensibile la normativa sull'obbligo alimentare tra fratelli, come anche quella tra affini, ai casi di famiglia naturale e ciò perché, si evidenziava, il rapporto di parentela naturale sussiste solo tra genitori e figli salvo eccezioni, non rinvenibili nella disciplina degli alimenti.

La questione nasceva dall'art. 258 c.c., che nel testo previgente alle modifiche di cui alla l. n. 219/2012, così come era interpretato, costituiva una delle più grandi discriminazioni esistenti tra figli nati in costanza di matrimonio e figli nati fuori dal matrimonio. I primi con la nascita instauravano rapporti giuridici con i parenti del genitore, nonni, zii, cugini, ecc. mentre per gli altri la questione era oggetto di controversie. La norma, fino alle recenti modifiche, stabiliva infatti che il riconoscimento non produce effetti se non riguardo al genitore da cui fu fatto. La disposizione peraltro assumeva, secondo dottrina e giurisprudenza maggioritarie anche un altro significato. Si sosteneva infatti che il riconoscimento creava un vincolo di parentela solamente tra il figlio e il genitore naturale, e non quindi tra il figlio e i parenti del genitore o tra il genitore e i discendenti del figlio, escludendo pertanto qualunque rapporto giuridico con nonni, zii, fratelli, ecc.

Discusso risultava pertanto anche lo stesso rapporto tra fratelli naturali, in relazione ai quali peraltro si era più volte espressa la Corte Costituzionale dichiarando l'incostituzionalità dell'art. 565 c.c. nella parte in cui non prevede, in mancanza di altri successibili all'infuori dello Stato, la successione legittima tra fratelli e sorelle naturali dei quali sia legalmente accertato il rispettivo status di filiazione nei confronti del comune genitore (Corte cost., sent. n. 184/1990; Corte cost., sent. n. 55/1979). Attualmente, in seguito alla riforma sulla filiazione (l. n. 219/2012), che ha parificato la situazione del figlio nato fuori del matrimonio a quella del figlio nato nel matrimonio, tali controversie sono completamente superate.

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