La perentorietà del termine per la proposizione dell'istanza di assegnazione
11 Giugno 2019
Massima
Al termine per il deposito dell'istanza di assegnazione va attribuita natura perentoria, in quanto l'anticipazione del deposito svolge la funzione di rendere edotta la platea degli offerenti sulla possibilità di presentare una offerta minima ovvero di formulare un'offerta pari o superiore al prezzo base in ragione dell'avvenuta proposizione dell'istanza di assegnazione. Il caso
Nel corso di un'espropriazione forzata immobiliare un creditore intervenuto ha proposto in data 15 marzo 2018 istanza per l'assegnazione del bene pignorato per un importo pari al prezzo base stabilito in € 238.613,00 per l'esperimento della vendita fissata per il 20 marzo 2018. L'istanza è stata rigettata dal Giudice dell'esecuzione per violazione del temine che, ai sensi dell'art. 588 c.p.c., può essere proposta fino a dieci giorni prima dell'udienza di vendita. Nei confronti del provvedimento di rigetto il creditore intervenuto ha sollevato opposizione ex art. 617 c.p.c. Il g.e., con ordinanza del 7 settembre 2018, ha rigettato la domanda cautelare contenuta nell'opposizione. La questione
Il creditore ha reclamato al Collegio la predetta ordinanza lamentando l'erroneità del provvedimento in ragione della natura non perentoria del termine di cui all'art. 588 c.p.c. e la conseguente ammissibilità dell'istanza di assegnazione con vendita ad un prezzo più alto dell'aggiudicazione (avvenuta all'offerta minima pari cioè ad euro 178.960,00). Le soluzioni giuridiche
Il Collegio, preso atto del precedente orientamento della Suprema Corte a favore della natura ordinatoria del termine di cui all'art. 588 c.p.c., ha preferito aderire alla tesi della natura perentoria poiché, in seguito alle riforme del 2015-2016, «l'interpretazione sistematica delle norme e l'assunto della eterogeneità dell'istanza di assegnazione rispetto all'offerta di acquisto (…) persegua la funzione di rendere l'istanza di assegnazione conoscibile alla platea dei possibili e successivi offerenti per evitare una lesione del diritto – normativamente sancito dall'art. 572, comma 3, c.p.c. – dell'offerente (cd. minimo)». La decisione sull'inammissibilità dell'istanza di assegnazione formulata dal creditore cinque giorni prima dell'udienza di vendita è, a nostro parere, condivisibile; non convince, invece, la motivazione sulla asserita perentorietà del termine che deriverebbe – per i Giudici palermitani – dalla tutela delle ragioni del terzo intenzionato a presentare un'offerta cd. minima. Quanto alla funzione svolta dal suddetto termine va preliminarmente sottolineato che, nel regime del codice del 1942, decorsi dieci giorni dalla vendita andata deserta, il giudice fissava udienza per sentire le parti ed i creditori iscritti non intervenuti, con lo scopo di adottare le ulteriori e necessarie determinazioni; e ciò indipendentemente dalla effettiva proposizione di istanze d'assegnazione. Il legislatore del 2005, per rendere la procedura più snella e concentrata, ha eliminato l'udienza di cui al vecchio art. 590 c.p.c. e con essa la necessità di emettere provvedimenti, fissare termini ed effettuare notifiche o comunicazioni. Ad un tempo dall'art. 590 c.p.c. è stata espunta la disposizione che prevedeva l'audizione delle parti (e dei creditori iscritti non intervenuti) all'udienza fissata dal g.e. Sicché, nel sistema successivo alle riforme del 2005, il giudice (o il professionista delegato), già nell'udienza di vendita, in mancanza di offerte d'acquisto efficaci, è posto nella condizione di valutare l'ammissibilità di eventuali domande d'assegnazione ex artt. 506 e 588 c.p.c. Anche nel sistema vigente la ratio della disciplina è rimasta la stessa: vale a dire consentire al giudice (o al professionista delegato) la immediata valutazione delle offerte di acquisto proposte da terzi ed il loro eventuale concorso con istanze di assegnazione formulate da creditori per addivenire in tempi brevi all'individuazione dell'assegnatario o dell'aggiudicatario. In breve, oggi come ieri il meccanismo di cui agli artt. 589 e 590 c.p.c. è diretto ad imprimere un'accelerazione alla procedura esecutiva. È a tutti noto, inoltre, come la scelta del legislatore di incentivare l'assegnazione (v. ad es. l'introduzione dell'art. 590-bis c.p.c. sull'assegnazione a favore di un terzo) tenda proprio a scongiurare il rischio di un'aggiudicazione a prezzo vile, in capo all'offerente minimo. Ed infatti, è interesse della procedura esecutiva e, ancor più dei creditori, liquidare il bene per un importo che sia il più elevato possibile, purché nel rispetto delle regole stabilite dal c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 21 settembre 2015, n. 18451). L'istanza di assegnazione, pertanto, non presuppone più l'esito negativo di almeno due tentativi di vendita (e cioè la mancanza di offerte efficaci nella vendita senza incanto e in quella successiva con incanto), poiché va proposta nel termine di dieci giorni anteriori alla data fissata per il primo esperimento di vendita, a norma dell'art. 588 c.p.c. Per tutti questi motivi l'art. 589 c.p.c. stabilisce che l'istanza deve contenere un'offerta di pagamento non inferiore a quella prevista nell'art. 506 c.p.c. ed al prezzo base stabilito per l'esperimento di vendita per cui è presentata. Sicché, se nella vendita successiva viene ridotto il prezzo base dell'immobile, la medesima riduzione si applica automaticamente anche all'assegnazione, salvo i limiti di cui all'art. 506 c.p.c. Di qui la riprova che l'assegnazione svolge, di fatto, la funzione di una vera e propria offerta, sfornita di cauzione, perché la serietà dell'istanza è già garantita dal credito dell'assegnatario. Essa, pertanto, dovrebbe essere assoggettata allo stesso regime di segretezza dell'offerta. Non può dunque condividersi l'affermazione del tribunale di Palermo nella parte in cui afferma che «il termine a ritroso rispetto alla vendita del cespite pignorato(nel termine di dieci giorni prima della data dell'udienza fissata per la vendita), persegua la funzione di rendere l'istanza di assegnazione conoscibile alla platea dei possibili e successivi offerenti per evitare la lesione del diritto – normativamente sancito dall'art. 572, comma 3, c.p.c. – dell'offerente che voglia presentare una offerta inferiore al prezzo base determinato dall'art. 568 c.p.c. o al prezzo ribassato a seguito dei successivi esperimenti di vendita». In base al dato normativo il terzo che propone un'offerta minima si assume, ex art. 572 c.p.c., il rischio di vedere il bene assegnato al creditore istante sempre che l'istanza di assegnazione rispetti i requisiti prescritti dagli artt. 506 e 588 ss. c.p.c. Infine, va precisato che il legislatore quando ha voluto tutelare le ragioni dei terzi offerenti lo ha espressamente previsto (v. ad es. il comma 5 dell'art. 560 c.p.c. ove si riconosce al terzo il diritto a visitare l'immobile pignorato) e nulla è detto in relazione al diritto del terzo di conoscere l'avvenuta proposizione dell'istanza di assegnazione. Osservazioni
Sulla natura del termine di cui all'art. 588 c.p.c., vanno brevemente richiamati i principii fondamentali in materia di termini processuali. Innanzitutto in mancanza di un'espressa indicazione normativa, non può attribuirsi a tale termine natura perentoria, atteso che il secondo comma dell'art. 152 c.p.c. prescrive, in maniera lapidaria, che «i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori». Dalla natura acceleratoria di un termine non può derivare, dunque ipso iure, la sua perentorietà. Si aggiunga che l'istanza di assegnazione proposta dal creditore in violazione dell'art. 588 c.p.c. avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile dal Tribunale di Palermo anche qualificando tale termine come ordinatorio (Cass. civ., 18 aprile 2011, n. 8857). Ed infatti, a norma dell'art. 154 c.p.c., il termine ordinatorio non può essere liberamente disatteso dalle parti; per vero, al giudice è consentito, d'ufficio o su istanza di parte, prorogarlo o abbreviarlo solo se non ancora scaduto, proroga che nel caso di specie non risulta essere stata richiesta, né disposta. Resta da dire che se si volesse aderire alla tesi di matrice giurisprudenziale (cfr. Cass. civ., Sez.Un., 12 gennaio 2010, n. 262) secondo cui la natura perentoria del termine potrebbe trarsi dalla particolare funzione svolta , anche in assenza di una sua esplicita qualificazione in tal senso – principio questo richiamato dal provvedimento in esame – sarebbe stato molto più semplice e sistematicamente corretto invocare la necessaria immutabilità delle iniziali condizioni di vendita per tutti gli interessati all'acquisto, condizioni che gli artt. 506 e 588 c.p.c. impongono espressamente anche ai creditori istanti l'assegnazione (v. al riguardo Cass. civ., 29 maggio 2015, n. 11171, in materia di versamento del saldo prezzo).
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