Sequestro e confisca di prevenzione. La tutela dei terzi creditori alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 26/2019

Francesco Rubino
13 Giugno 2019

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 26 del 27 febbraio 2019 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 comma 198 della l. 228/2012 per contrarietà all'art. 3 Cost., nella parte in cui limita alle specifiche categorie di creditori ivi menzionati la possibilità di ottenere il soddisfacimento dei propri crediti sui beni del debitore che sono stati attinti da confisca di prevenzione.
Massima

L'art. 1, comma 198, della legge 228 del 2012 è costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l'art. 3 Cost., nella parte in cui limita alle specifiche categorie di creditori ivi menzionati la possibilità di ottenere soddisfacimento dei propri crediti sui beni del proprio debitore che siano stati attinti da confisca di prevenzione.

Il caso

Il Tribunale ordinario di Agrigento in funzione di giudice dell'esecuzione aveva dichiarato inammissibile la domanda con cui un imprenditore chiedeva applicarsi nei propri confronti la speciale procedura di ammissione del credito regolata dall'art. 1, commi 194 ss. della l. 228/2012, volta a tutelare determinate categorie di creditori nell'ipotesi in cui i beni del debitore siano stati sottoposti a confisca di prevenzione in un procedimento di prevenzione iniziato anteriormente alla data di entrata in vigore del d.lgs. 159/2011 (“codice antimafia”).

L'imprenditore, infatti, vantava nei confronti di una società in nome collettivo alla quale nel settembre 2009 aveva ceduto due autocarri un credito di € 10.000,00. Tuttavia, nel dicembre del 2009, le quote del capitale sociale e il complesso dei beni aziendali della debitrice erano stati attinti da sequestro nell'ambito di un procedimento di prevenzione, conclusosi con la relativa confisca, divenuta definitiva nel 2015.

L'imprenditore aveva dimostrato al Tribunale, in primo luogo, che i contratti di vendita da cui sorgeva il credito avevano data certa e anteriore a quella del provvedimento di sequestro di prevenzione e, in secondo luogo, la propria buona fede, deducibile dal fatto che il predetto contratto fosse stato concluso a prezzi di mercato con un acquirente operante in una realtà economica distante dalla propria.

Tuttavia, il Tribunale di Agrigento aveva dichiarato inammissibile la domanda dell'imprenditore, in quanto lo stesso non rientrava in nessuna delle categorie di creditori che, a norma del comma 198 dell'art. 1 l. 228/2012, sono legittimati ad accedere allo speciale procedimento di ammissione del credito.

Il creditore, dunque, aveva impugnato avanti alla Corte di Cassazione il provvedimento emesso dal giudice di merito invitando i giudici di legittimità a sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 198, l. 228/2012, in subordine rispetto ad una interpretazione costituzionalmente orientata della medesima norma che consentisse l'accesso alla procedura ivi disciplinata anche ai creditori chirografari di buona fede.

La Corte adita, escludendo di poter aderire all'interpretazione della norma sollecitata dal ricorrente, dato il carattere tassativo della disposizione, ha però ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dallo stesso prospettate, sollevando così la relativa questione incidentale.

La sezione rimettente, in particolare, ha prospettato l'irragionevolezza della disposizione censurata laddove esclude ogni forma di tutela in favore dei creditori che, al momento del sorgere del credito, non abbiano potuto - per ragioni di tempo o possibilità materiale - munirsi di un titolo preferenziale mediante la tempestiva iscrizione sul bene del debitore di un'ipoteca o di un pignoramento prima della trascrizione del sequestro di prevenzione ovvero che, alla data di entrata in vigore della legge, non siano intervenuti nell'esecuzione iniziata da altri creditori.

Tale irragionevolezza si tradurrebbe, innanzitutto, in una violazione dell'art. 3 Cost. in quanto la totale assenza di tutele del creditore di buona fede che, come nel caso di specie, per ragioni di impossibilità temporale e materiale, non ha potuto munirsi di titolo esecutivo sui beni del debitore anteriormente rispetto al sequestro di prevenzione, produce un vulnus privo di giustificazione razionale e una irragionevole disparità di trattamento rispetto a quei creditori che, invece, possiedono tale titolo.

Il criterio discretivo individuato dalla norma censurata per accordare tutela al creditore risulta, a parere della Cassazione rimettente, un elemento del tutto accidentale che non giustifica una simile discriminazione.

Sempre secondo la sezione rimettente, inoltre, la norma in esame sembra altresì porsi in contrasto con l'art. 41,comma 1,della Costituzione, sotto il profilo della violazione del principio di libera iniziativa economica, gravemente e ingiustificatamente pregiudicata dalla vanificazione della garanzia sui beni del debitore sottoposti al provvedimento ablativo e della soddisfazione delle legittime pretese creditorie sorte nell'esercizio di un'attività imprenditoriale.

Secondo la Corte di Cassazione, dunque, la disposizione censurata discriminerebbe i creditori in buona fede che - non rientrando in alcuna delle categorie di creditori di cui al comma 198 in esame - vedono irragionevolmente sacrificato il proprio diritto di credito in favore dell'interesse statale ad assicurare l'effettività della misura di prevenzione, con la conseguente violazione di entrambi i parametri costituzionali evocati.

La questione

La questione giuridica sottesa alla pronuncia in commento attiene alla legittimità costituzionale dell'art. 1 comma 198 della legge 228 del 2012 nella parte in cui limita alle specifiche categorie di creditori ivi menzionati la possibilità di ottenere soddisfacimento dei propri crediti sui beni del proprio debitore che siano stati attinti da confisca di prevenzione.

Il vaglio di legittimità della predetta disposizione normativa non può prescindere dal bilanciamento tra i due interessi che si contrappongono in materia: da un lato, l'interesse pubblico a garantire l'ordine e la sicurezza attraverso la sottrazione dei profitti illecitamente accumulati a coloro che se ne sono impossessati e che, perciò, hanno commesso o possono commettere altri reati e, dall'altro lato, l'interesse privato dei terzi estranei dal reato e titolari di diritti di credito, che confidano, per la soddisfazione del proprio credito, sui beni del proposto debitore.

Le soluzioni giuridiche

La Corte Costituzionale ha ritenuto fondate le questioni prospettate dalla Corte di Cassazione in relazione all'art. 3 Cost.

Il comma 198 dell'art. 1 l. 228/2012 – applicabile ai soli procedimenti di prevenzione iniziati prima dell'entrata in vigore del codice antimafia - circoscrive la possibilità di soddisfarsi sui beni del debitore attinti da provvedimenti ablatori di natura preventiva ai soli creditori muniti di ipoteca iscritta anteriormente alla trascrizione del sequestro di prevenzione, nonché ai creditori che, prima della trascrizione del sequestro, abbiano trascritto un pignoramento sul bene ovvero, alla data di entrata in vigore della legge, siano intervenuti nell'esecuzione iniziata da altri creditori.

La norma sottoposta al vaglio di legittimità sancirebbe dunque, secondo la Corte Costituzionale, un sacrificio irreparabile e privo di ogni fondamento razionale dei diritti di tutti i creditori di buona fede non rientranti in alcuna delle predette categorie, discriminando la loro posizione rispetto a quella dei creditori i cui interessi vengono invece salvaguardati dalla disposizione censurata.

Tale disposizione, infatti, condiziona la possibilità di ottenere il soddisfacimento del proprio credito alla circostanza che il creditore abbia esperito tempestivamente una delle predette azioni esecutive, senza però considerare che il mancato esperimento di tale azione potrebbe dipendere dal fatto che, al momento della trascrizione del sequestro preventivo, il creditore in buona fede non abbia ancora avuto la possibilità di promuoverla ovvero, non potendo sospettare dell'imminente apertura di un procedimento di prevenzione a carico del proprio debitore, non si sia premurato di agire in tal senso. La norma pone, dunque, dei criteri ben più restrittivi (per i creditori ante codice antimafia) di quelli previsti dall'art. 52 del codice stesso, andando a escludere gran parte dei creditori in buona fede da ogni effettiva possibilità di soddisfacimento dei propri diritti.

Peraltro, l'esigenza di evitare che il debitore sottoposto a procedimento di prevenzione ponga in essere meccanismi fraudolenti volti a porre in salvo una parte dei suoi beni dalla prospettiva del sequestro e della successiva confisca non necessita per essere soddisfatta delle limitazioni imposte dall'art. 1, comma 198,l.228/2012. Ciò in quanto tale esigenza trova comunque un'efficace garanzia attraverso il comma 200 del medesimo articolo, il quale impone al Tribunale di subordinare l'ammissione al pagamento del creditore alla verifica della sussistenza delle condizioni imposte in via generale dall'art. 52 del d.lgs. 159 del 2011.

Tra tali condizioni spiccano, in particolare, l'anteriorità rispetto al sequestro e la certezza della data del credito, l'insufficienza ai fini della soddisfazione del credito del restante patrimonio del debitore non sottoposto a provvedimento di prevenzione, l'assenza di elementi che inducano a ritenere che il credito sia strumentale all'attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego.

Pertanto, secondo la Corte Costituzionale, «il radicale sacrificio dell'interesse di un creditore che abbia acquisito il proprio diritto confidando, in buona fede, nel futuro adempimento da parte del debitore, pur in presenza delle condizioni ritenute idonee a evitare condotte collusive dall'art. 52 del d.lgs. n. 159 del 2011, si risolve, allora, in una restrizione sproporzionata – in quanto eccessiva rispetto al pur legittimo scopo antielusivo perseguito – del diritto patrimoniale del creditore medesimo, in violazione dell'art. 3 Cost.».

Lo stesso art. 3 Cost. troverebbe peraltro una illegittima soppressione anche in ragione del fatto che la norma censurata imporrebbe una irragionevole disparità di trattamento tra i creditori ai quali offre tutela e tutte le restanti categorie di creditori che, invece, restano escluse da tale tutela senza una plausibile giustificazione.

Per tutte queste ragioni, la Corte Costituzionale nella sentenza di accoglimento oggetto del presente contributo ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 198,della l.228/2012, nella parte in cui limita alle specifiche categorie di creditori ivi menzionati la possibilità di ottenere soddisfacimento dei propri crediti sui beni del debitore attinti da confisca di prevenzione.

Tale risultato viene ottenuto mediante l'ablazione dalla disposizione censurata di tutti gli incisi che limitano le categorie dei creditori legittimati ad accedere allo speciale procedimento disciplinato dai commi 194 ss. e, specifica la Corte, resta ferma la necessità di verificare caso per caso, ai sensi del comma 200, la presenza di tutte le condizioni previste dall'art. 52 del d.lgs. 159 del 2011 ai fini del soddisfacimento del diritto vantato da ciascun creditore.

Osservazioni

La questione di legittimità costituzionale sottoposta all'esame della Corte Costituzionale ripropone una tematica, quella della tutela dei terzi creditori rispetto al sequestro e alla confisca di prevenzione, già in precedenza sottoposta al vaglio del giudice delle leggi.

La Corte Costituzionale, infatti, con la sentenza n. 94 del 2015 aveva già ampiamente trattato il tema del bilanciamento dei due interessi che si contrappongono in materia di sequestro e confisca di prevenzione: da un lato, l'interesse dei creditori a non veder improvvisamente svanire la garanzia patrimoniale sui beni del debitore sottoposto al procedimento di prevenzione e, dall'altro lato, l'interesse pubblico ad assicurare che la misura di prevenzione permetta in maniera effettiva di conseguire gli scopi per cui viene adottata, e cioè privare il prevenuto dei risultati economici dell'attività illecita posta in essere.

È importante, innanzitutto, specificare che la disciplina di cui ai commi 194 ss. dell'art. 1 della l. 228 del 2012 è stata introdotta nel nostro ordinamento dopo l'emanazione del d.lgs. 159 del 2011, il quale ha regolamentato in maniera organica gli strumenti e le garanzie di tutela dei diritti dei terzi creditori suscettibili di essere pregiudicati dall'adozione di provvedimenti di prevenzione.

Le regole stabilite dal codice antimafia si applicano, tuttavia, esclusivamente ai procedimenti di prevenzione avviati successivamente alla sua entrata in vigore. La disciplina transitoria prevista dalla legge 228 del 2012, oggetto di interesse in questa sede, è stata dunque introdotta dal legislatore al fine esclusivo di regolare i diritti dei terzi in relazione ai soli procedimenti ai quali ancora non si applica, ratione temporis, il d.lgs. n. 159 del2011.

Nella sopra citata sentenza n. 94 del 2015, la Corte Costituzionale aveva già dichiarato l'illegittimità del comma 198 dell'art. 1 l. 228/2012 per contrarietà all'art. 36 Cost. «nella parte in cui non include tra i creditori che sono soddisfatti nei limiti e con le modalità ivi indicati anche i titolari di crediti da lavoro subordinato».

Secondo la Corte Costituzionale, infatti, l'esclusione dei titolari di un credito da lavoro subordinato dal novero dei creditori ai quali è data la possibilità di rivalersi sui beni del debitore oggetto di confisca di prevenzione, determinava una lesione grave e irreparabile dei diritti dei lavoratori, non giustificata dalla contrapposta esigenza, anch'essa meritevole di tutela costituzionale, di garantire la sicurezza e l'ordine pubblico. Ciò ancor di più qualora, come è accaduto in entrambi i casi oggetto delle due pronunce esaminate (la n. 94 del 2015 e la n. 26 del 2019), la confisca sia “totalizzante” e investa, cioè, l'intero patrimonio del debitore.

A parere della Corte, che in tal senso si pronuncia concordemente in entrambe le sentenze citate, il bilanciamento tra le contrapposte esigenze di tutela dei creditori, da un lato, e di ordine e sicurezza pubblica, dall'altro, risulta infatti già efficacemente realizzato con le previsioni limitative di cui all'art. 52 del d.lgs. 152/2011.

La predetta norma, infatti, che, venendo richiamata dal comma 200 dell'art. 1 l. 228 del 2012, trova applicazione anche in relazione ai procedimenti di prevenzione iniziati anteriormente la data di entrata in vigore del Codice antimafia, svolge compiutamente il compito di impedire che la tutela dei creditori si estenda a soggetti in qualche modo conniventi con l'attività illecita del proposto, o a crediti simulati o artificiosamente creati, ovvero alle ipotesi in cui il residuo patrimonio del debitore risulti ancora in qualche modo utilmente aggredibile.

Pertanto, a fronte di un bilanciamento già efficacemente realizzato dall'art. 52 d.lgs. 152/2011, la disposizione di cui all'art. 1 comma 198 l. 228/12 si risolverebbe, come affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza del 2015, in un sacrificio puro e semplice dell'interesse del creditore.

Alle medesime considerazioni giunge quindi la stessa Corte con la sentenza n. 26 del 2019, rilevando l'assenza di una ragionevole motivazione che giustifichi l'irreparabile pregiudizio provocato dalla norma censurata nei confronti di tutti quei creditori, non compresi nell'elenco tassativo ivi previsto e diversi da quelli il cui credito deriva da un rapporto di lavoro subordinato, ai quali unicamente faceva riferimento la sentenza n. 94 del 2015.

Con la sentenza n. 26 del 2019 la Corte Costituzionale è giunta a rimuovere l'ingiustificata disparità di disciplina esistente tra i procedimenti di prevenzione iniziati anteriormente e quelli iniziati successivamente all'entrata in vigore del decreto legislativo 159 del 2011, eliminando i criteri più restrittivi imposti dalla disciplina transitoria.

Pertanto, in sostanza, grazie alla pronuncia in esame, oggi sono legittimati ad avvalersi della speciale procedura di verifica dei crediti che si applica in materia di misure di prevenzione tutti i creditori – siano essi chirografari, privilegiati o titolari di diritti di garanzia reale – indipendentemente dalla circostanza che il procedimento di prevenzione si sia avviato in un momento antecedente ovvero successivo rispetto all'entrata in vigore del codice antimafia. Il risultato di tale pronuncia è dunque l'estensione del diritto di ottenere la soddisfazione del proprio credito a tutti quei creditori in buona fede che, prima di tale sentenza, venivano invece irragionevolmente privati delle garanzie patrimoniali relative ai beni del proprio debitore prevenuto.

Non può sottacersi, tuttavia, come la pronuncia in commento sia anche stata un'ulteriore e ottima occasione, colta dal giudice delle leggi, per fornire spunti, ma anche punti fermi, in tema di diritti dei terzi nell'ambito del procedimento di prevenzione; tematica delicata, oltre che interessata da recenti modifiche legislative, che necessita di criteri chiari, anche nell'interpretazione giurisprudenziale, soprattutto alla luce di una ormai evidente tendenza legislativa ad estendere sempre più il ricorso alle misure di prevenzione quali efficaci strumenti di lotta alla criminalità (come dimostra il recente intervento operato con l. 161/2017).

In tale contesto, grande pregio rivestono il netto rifiuto di un sacrificio puro e semplice dei diritti dei terzi in nome di esigenze di ordine e sicurezza pubblica e, per converso, l'affermazione dell'esigenza di un bilanciamento di tali interessi, tutti aventi copertura costituzionale, di cui si è ampiamente detto. L'avere poi uniformato la disciplina sottoposta al vaglio di costituzionalità con l'art. 52 del codice antimafia ha consentito alla Corte di ripercorrere, brevemente ma con un'analiticità utile all'interprete, le condizioni per il soddisfacimento dei diritti di credito dei terzi, tra cui la Corte menziona «la necessità che il credito, o il diritto reale di garanzia, abbiano data certa anteriore al sequestro, che l'escussione del restante patrimonio sia risultata insufficiente al soddisfacimento del credito (salvo per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione sui beni sequestrati), e che il credito non sia strumentale all'attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore dimostri di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentalità».

Implicita ma chiara emerge, in tutta la sua portata, anche nella pronuncia in commento, la centralità dell'accertamento della buona fede del creditore: se è, senza dubbio, utile in tal senso la precisazione contenuta nel comma 3 dell'art. 52codice antimafia e richiamata dalla Corte – per cui essa va valutata tenendo conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale nonché, in caso di enti, alle dimensioni degli stessi –, occorrerà anche ricordare i consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, da ritenersi validi anche dopo la modifica apportata con l'art. 20, comma 1, lett. a) l. 161/2017, che ha sostituito la necessità per il creditore di dimostrare di aver ignorato in buona fede il nesso di strumentalità con la necessità che «il creditore dimostri la buona fede e l'inconsapevole affidamento». In tal senso si è, infatti, espressa di recente la Corte di Cassazione, pur riconoscendo che «la modifica ha posto a carico del creditore istante un maggiore onere probatorio (la buona fede non riguarda soltanto il nesso di strumentalità e deve essere accompagnata anche dall'inconsapevole affidamento)» (Cass. pen. Sez. II, 19 aprile 2019, n. 17330).

In conclusione, solo un'applicazione che si ancori a criteri rigorosi e tenga presenti, in un bilanciamento ragionevole, interessi e diritti diversi, così come sapientemente rimarcato dal giudice delle leggi nella sentenza n. 26 del 2019, potrà assicurare un procedimento di prevenzione efficace nella lotta alla criminalità, ma allo stesso tempo rispettoso dei diritti di credito dei terzi.

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