Autorizzazione all'ingresso o permanenza del familiare: la residenza abituale del minore quale criterio per la competenza

14 Giugno 2019

Come si individua il giudice territorialmente competente nei procedimenti ex art. 31, comma 3, d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 (Testo Unico sull'Immigrazione)?
Massima

Il criterio della dimora abituale del minore, ai fini della individuazione del Tribunale territorialmente competente, deve essere applicato anche in ordine ai provvedimenti di cui all'art. 31, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, in quanto tesi ad influire sulla sfera personale del minore ed essendo l'autorità giudiziaria chiamata a decidere tenendo conto del superiore interesse dello stesso.

Il caso

La madre di una minore presentava avanti il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta ricorso ai sensi dell'art. 31, d.lgs. n. 286/1998 (T.U. sull'Immigrazione) chiedendo l'autorizzazione a permanere in Italia in ragione dei gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico della propria figlia, tenuto conto della tenera età di quest'ultima. Dalla relazione dei Servizi sociali emergeva tuttavia che la minore viveva stabilmente a Milano, dove frequentava la scuola e dove anche la madre si era trasferita per seguire un corso di lingua italiana; circostanze, queste, confermate dalla stessa madre avanti il Tribunale adito.

La questione

Nei procedimenti ex art. 31, comma 3, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo Unico sull'Immigrazione), come si individua il Giudice competente territorialmente competente? In particolare, trovano applicazione le disposizioni generali relative all'individuazione del foro competente per le cause relative ai minori con specifico rilievo della residenza abituale?

Le soluzioni giuridiche

Il caso inerisce un ricorso presentato dalla madre di una minore ai sensi dell'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998 con il quale veniva chiesta l'autorizzazione a permanere in Italia adducendo gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico della figlia e tenuto conto della sua età.

Il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta, senza scendere nel merito della questione, ritiene di non essere territorialmente competente, e lo fa con una pronuncia chiara, logica, coerente con la normativa vigente e conforme alla giurisprudenza sia di legittimità che di merito, oltre che alla legislazione sovranazionale in materia.

Premesso che il legislatore tace sulla competenza territoriale nel procedimento de quo, e considerato che si verte in tema di minori, il Collegio ritiene in primis che trovino applicazione le disposizioni generali relative all'individuazione del foro competente per le cause relative ai medesimi.

Invero che la tutela del minore assuma un particolare rilievo anche in questo ambito è incontestabile. Si tratta infatti di disciplinare il diritto all'unità familiare del minore e la protezione di situazioni di vulnerabilità allorché egli sia coinvolto. Tutte le norme, dall'art. 28 all'art. 33 T.U. Immigrazione, sono dettate a tutela dell'unità familiare nel superiore interesse del minore.

Il Collegio motiva la propria decisione ancorandola a principi giurisprudenziali assolutamente consolidati.

In primo luogo, viene chiarito che ai fini dell'individuazione del Tribunale territorialmente competente occorre far riferimento alla residenza di fatto del minore. La residenza, secondo l'art. 43 c.c., è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale. L'usuale riferimento è alla residenza anagrafica, ossia quella che si evince dai registri anagrafici del Comune (secondo le dichiarazioni di cui all'art. 13, comma 1, d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223), ma in ambito giuridico assume spesso rilievo la residenza di fatto, fondata non sulla corrispondenza tra la situazione effettiva e quella emergente dai registri anagrafici, bensì sulla preminenza dell'effettivo e reale contesto abituale di vita rispetto alle corrispondenze anagrafiche. La residenza, sia anagrafica sia di fatto, nonché il domicilio della persona fisica, costituiscono il criterio principale per l'individuazione della competenza territoriale. Allorché sorgano delle controversie in materia genitoriale, il criterio generale per individuare il foro territorialmente competente è quello della residenza del minore, ma spesso si verificano discrasie tra residenza anagrafica e residenza di fatto (coincidente con la dimora abituale), ad esempio in caso di allontanamento del minore dalla residenza precedente: infatti può accadere per i più svariati motivi che il genitore collocatario si sposti unitamente al figlio minore dal luogo di residenza, instaurando un legame stabile costituito di nuove relazioni sociali, familiari e amicali tra il minore e un luogo diverso da quello risultante dalle evidenze anagrafiche.

Secondo giurisprudenza e dottrina consolidata, per individuare il Giudice territorialmente competente è alla dimora abituale al momento della presentazione del ricorso che occorre fare riferimento (Cass. 7 luglio 2001 n. 9266, Cass. 11 marzo 2003 n. 3587, Cass. 23 gennaio 2003 n. 1058, Cass. 31 gennaio 2006 n. 2171).

Che con tale espressione non si intenda meramente la rilevazione del luogo in cui il minore si trovi al momento del ricorso è un dato oramai assodato in giurisprudenza, dovendosi piuttosto verificare la corrispondenza tra tale luogo e l'ubicazione abituale del minore ovvero se non si tratti piuttosto dell'esito di uno spostamento o trasferimento improvvisato e contingente (Cass. 8 novembre 1997 n. 11022, Cass. 15 marzo 1996 n. 21840, Cass. 10 aprile 1995 n. 4143), oppure deciso da un genitore unilateralmente in coincidenza temporale con la proposizione del ricorso.

La soluzione è coerente con la considerazione che i procedimenti in materia di responsabilità genitoriale si svolgono nell'interesse esclusivo del minore rispetto al quale resta subordinato l'interesse di ciascun genitore; l'interesse del minore è più facilmente accertabile da parte dei Tribunale ove egli ha la sua dimora abituale, da intendersi come dimora stabile al momento della domanda, e non come dimora prevalente nell'insieme della sua vita pregressa, non potendo che essere il Giudice che è più vicino al contesto di vita del bambino quello maggiormente idoneo a decidere sulle questioni che lo riguardano in quanto connotate sempre da particolare delicatezza.

Il decreto in commento condivide anche l'orientamento secondo cui nell'individuare in concreto il luogo dell'abituale dimora, occorre svolgere un giudizio di prognosi: in giurisprudenza si afferma che non può farsi riferimento ad un dato meramente quantitativo, rappresentato dalla prossimità temporale del trasferimento di residenza o dalla maggiore durata del soggiorno, essendo invece necessaria una prognosi sulla probabilità che la "nuova" dimora diventi l'effettivo e stabile centro di interessi del minore o sia, per contro, un mero espediente per sottrarsi alla disciplina della competenza territoriale (Cass. ord. 20 ottobre 2015 n. 21285, Cass. 19 luglio 2013 n. 17746; molto di recente, si veda Cass. 31 ottobre 2018 n. 27741 secondo cui la residenza abituale del minore si identifica «in quello (ndr. Luogo) dove il minore ha consolidato, consolida ovvero potrà consolidare una rete di affetti e relazioni, tali da assicurargli un armonico sviluppo psicofisico, senza che possa farsi riferimento, alla data della domanda, ad un dato meramente quantitativo (prossimità temporale del trasferimento; maggior durata del soggiorno, ecc.); soprattutto, in casi, come quello in esame, di recente trasferimento di un minore, sarà, dunque, necessaria una prognosi sulla possibilità che la nuova dimora diventi l'effettivo, stabile e duraturo centro di affetti e di interessi del minore, e dovrà inoltre accertarsi che il trasferimento non si configuri come mero espediente per sottrarre il minore alla vicinanza dell'altro genitore o alla disciplina generale della competenza territoriale»).

Nel caso che si commenta, l'elemento volontaristico alla data della domanda ossia la volontà di fissare la residenza abituale della minore a Milano, nuovo luogo di abitazione, espresso dall'iscrizione scolastica della bambina e dalla frequentazione di un corso di lingua italiana da parte della madre, assumono prevalenza rispetto al mero dato temporale del trasferimento, non essendo la durata del soggiorno in una determinata località di per sé decisiva ai fini dell'individuazione della residenza abituale, che presuppone, per l'appunto, una valutazione prospettica alla luce delle complessive circostanze del caso concreto, nel senso che la nuova dimora si traduca con un apprezzabile grado di probabilità nella nuova effettiva collocazione del centro di interessi del minore.

Come ricorda il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta, il criterio della dimora abituale coincide con quello della residenza abituale del minore dettato dall'art. 8 Regol. CE n. 2201/2003, che per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore, attribuisce appunto la competenza giurisdizionale generale alle autorità dello Stato membro in cui il minore risiede abitualmente al momento della proposizione della domanda. Il criterio (unico) enunciato anche dalla fonte sovranazionale è sempre stato applicato a livello interno dando rilievo esclusivamente al luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale del minore al momento della proposizione della domanda (per tutte, Cass. S.U., 13 febbraio 2012, n. 1984, Cass. S.U., 17 febbraio 2010, n. 3680).

Considerati i principi esposti, nel caso di specie il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta, alla luce della definizione di residenza abituale elaborata dall'orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, declina la propria competenza in favore di quella del Tribunale per i Minorenni di Milano, località individuata come dimora abituale della minore ove la stessa si era trasferita insieme alla madre antecedentemente al deposito del ricorso ex art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, avendo il nucleo ivi stabilito la propria vita sociale e personale; luogo, questo, da reputare, in forza di un giudizio prognostico, anche l'effettivo e stabile centro di interessi della bambina, mentre Caltanissetta rappresentava solo la località presso la quale la minore tornava per le vacanze.

Osservazioni

La competenza territoriale per i procedimenti relativi ai minori è quindi legata alla definizione di residenza abituale del minore, concetto indefinito che Giudici e dottrina hanno cercato di interpretare anche alla luce della normativa sovranazionale.

La Corte di Cassazione in diverse occasioni, investita di questioni inerenti la competenza giurisdizionale, si è pronunciata confermando l'operatività del principio stabilito dall'art. 8, n. 1, Reg. CE n. 2201/2003 che determina la competenza giurisdizionale in materia di responsabilità genitoriale in base al criterio della residenza abituale del minore alla data della proposizione della domanda. Detto principio, richiamato altresì dal Considerando n. 12 del Regolamento, è ispirato anche all'interesse del minore e al criterio della vicinanza.

Anche recentemente il Supremo consesso riguardo il concetto di residenza abituale del minore ha osservato debba intendersi «il luogo dove il minore trova e riconosce, anche grazie a una permanenza tendenzialmente stabile, il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, originati dallo svolgersi della sua vita di relazione» indicando quindi la residenza abituale una significativa integrazione del minore in un dato ambiente sociale e familiare (Cass. S.U. 10 febbraio 2017 n. 3555, ove la Corte allo scopo di individuare tale integrazione del minore, individua alcuni indici che il Giudice è tenuto a valutare nel caso concreto: durata, regolarità e ragioni del soggiorno nel territorio di uno Stato membro, cittadinanza del minore, frequenza scolastica e relazioni familiari e sociali). La Cassazione richiama in motivazione la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea che ha in più occasioni interpretato il concetto di residenza abituale di cui al citato Reg. 2201/2003).

Secondo la Corte di Giustizia UE (CGUE 2 aprile 2009, C-523/2009) per residenza abituale deve intendersi il luogo dove il minore trova e riconosce, anche grazie a una permanenza tendenzialmente stabile, il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, originati dallo svolgersi della sua vita di relazione. In altri termini la residenza abituale corrisponde al luogo che denota una certa integrazione del minore in un ambiente sociale e familiare, e ai fini del relativo accertamento, rilevano le circostanze richiamate appunto da Cass. n. 3555/2017 - vale a dire durata, regolarità e ragioni del soggiorno nel territorio di uno Stato membro, cittadinanza del minore, frequenza scolastica e relazioni familiari e sociali.

Il criterio della residenza abituale resta in ogni caso ancorato a un principio supremo che vale sempre, in materia minorile, quale prova di tenuta delle opzioni interpretative: il best interest of the child. Lo stesso dodicesimo Considerando del Regolamento n. 2201/2003 detta che «è opportuno che le regole di competenza in materia di responsabilità genitoriale accolte nel presente regolamento si informino all'interesse superiore del minore e in particolare al criterio della vicinanza» (la pregnanza del principio del best interest of the child viene richiamata in altre decisioni della Corte di Giustizia, ad esempio CGUE 9.11.2010 C-296/2010. In generale la Corte ha più volte dichiarato che la nozione di residenza abituale è una nozione autonoma del diritto dell'Unione, che va interpretata anche alla luce del Considerando 12. Di recente anche CGUE 28 giugno 2018, C-512/17; CGUE 15 febbraio 2017, C- 499/15).

In conclusione quindi, il criterio di residenza abituale del minore va interpretato sempre alla luce del suo best interest, assicurato anche dalla circostanza che sia il Giudice a lui più vicino territorialmente a conoscere del caso concreto, solo così potendo garantire il miglior grado di protezione dei suoi diritti.

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