La rinnovazione della consulenza tecnica d'ufficio

Davide Turroni
17 Giugno 2019

L'art. 196 c.p.c. consente al giudice di rinnovare le indagini del consulente tecnico senza dettare limiti particolari. Questa soluzione è in linea con la funzione assegnata alla consulenza tecnica nel nostro ordinamento, ma non va presa alla lettera: l'istituto risente varie limitazioni e di queste si occuperà il presente contributo.
Il quadro normativo

La consulenza tecnica d'ufficio annovera fra le sue caratteristiche salienti l'officiosità: è un mezzo istruttorio a disposizione del giudice e sottratto alla disponibilità delle parti, che possono chiederla ma non subordinare alla loro richiesta la decisione del giudice di avvalersene. Il carattere officioso della CTU è enunciato dal dato positivo, in particolare negli artt. 61 e 191 c.p.c.; è inoltre coerente con la funzione dell'istituto, che – almeno in via di principio – non serve a provare i fatti ma consente al giudice di interpretarli correttamente, quando la loro comprensione richieda competenze che esulano dal normale bagaglio di «conoscenza esperta» del magistrato (di solito sono le competenze specialistiche di tipo extragiuridico, ma anche la materia giuridica può rientrarvi, come ricaviamo ad esempio dall'art. 14, l. n. 218/1995).

A sua volta l'art. 196 c.p.c., in piena continuità con la funzione dell'istituto e la sua vocazione officiosa, stabilisce che «il giudice ha sempre la facoltà di disporre la rinnovazione delle indagini e, per gravi motivi, la sostituzione del consulente tecnico». Poiché la consulenza tecnica serve alla comprensione dei fatti di causa ed è a disposizione del giudice, al potere di nomina si affianca quello di controllo officioso. Il giudice può sempre verificare se la consulenza sia idonea allo scopo; e ovviare agli eventuali problemi con misure che vanno dalla semplice richiesta di chiarimenti (art. 62 c.p.c.) all'ordine di rinnovazione delle indagini fino alla sostituzione del consulente tecnico.

Dal tenore dell'art. 196 c.p.c. ricaviamo che la disposizione considera i casi di inadeguatezza intrinseca delle indagini, nei quali l'operato del consulente non è idoneo a risolvere le questioni che il giudice ha affidato al CTU. Questa eventualità non è tuttavia esaustiva del fenomeno; perché la rinnovazione può anche discendere da vizi formali che abbiano colpito le operazioni peritali. Le due situazioni vanno tenute distinte, perché destinate a un trattamento non omogeneo.

Rinnovazione per inadeguatezza intrinseca dell'attività svolta. Condizioni

L'art. 196 c.p.c. non pone limiti specifici al potere giudiziale di rinnovazione delle indagini e anche questo dato è in sintonia coi tratti fondamentali della consulenza tecnica d'ufficio. Se il giudice non comprende il ragionamento svolto dal consulente o le sue conclusioni, oppure ritiene l'indagine insufficiente o altrimenti inadeguata, è importante riconoscergli ampia discrezionalità nella scelta dei rimedi: è lui il diretto fruitore della consulenza tecnica, per cui la limitazione dei suoi poteri di controllo andrebbe a scapito della principale funzione che la consulenza deve assolvere (per una applicazione in materia di prova genetica v. Cass. civ., 25 marzo 2015, n. 6025).

Il potere d'ufficio che caratterizza la scelta di rinnovare la CTU, per quanto ampio, non è tuttavia illimitato.

Innanzitutto il potere va esercitato nel rispetto del contraddittorio. Prima di disporre la rinnovazione delle indagini peritali, il giudice deve consentito alle parti di prendere posizione sugli aspetti della consulenza ritenuti critici. Nella pratica – va subito aggiunto – l'esigenza è generalmente soddisfatta «a monte»: l'art. 194 c.p.c. garantisce alle parti di partecipare alle operazioni e formulare osservazioni al consulente; poi l'art. 195 c.p.c. prevede un vero e proprio subprocedimento diretto a garantire il contraddittorio sul contenuto della relazione. Queste previsioni comportano che, di solito, il giudice stima l'indagine inadeguata sulla scorta delle critiche già svolte dalle parti e dopo che il punto è già stato discusso tra loro, i consulenti di parte e lo stesso CTU.

Un altro elemento che ridimensiona il problema del contraddittorio risiede nel fatto che il giudice, prima di disporre la rinnovazione delle indagini, di solito convoca il CTU per chiarimenti (art. 62 c.p.c.). Questo accorgimento risponde (non meno che a quella di tutelare il contraddittorio) a intuibili esigenze di economia processuale, che inducono il giudice a tentare la via dei chiarimenti in udienza nel contraddittorio delle parti, e a tenere la rinnovazione come soluzione residuale. Nel senso che l'economia processuale e la garanzia della ragionevole durata del processo richiedono particolare cautela nel rinnovare una consulenza tecnica, v. Cass. civ., 1 agosto 2013, n. 18410.

Segue. Motivazione

La decisione del giudice di disporre la rinnovazione dell'indagine va sostenuta da una motivazione idonea. La parte interessata a tener fermi i risultati della consulenza deve essere messa in condizione di controllare la decisione del giudice di rinnovarla. I motivi vanno esposti nell'ordinanza ex art. 196 c.p.c.: lo richiede la regola generale per cui le ordinanze devono essere «succintamente» motivate (art. 134 c.p.c.); ma anche il fatto che l'assenza di motivazione finisce col generare incertezza sulle carenze cui ovviare con una nuova indagine.

In linea generale l'assenza di motivazione vizia il procedimento e – se non rimediata nel corso del giudizio – si trasmette alla sentenza. Nella pratica, è un tipo di difetto che ben difficilmente si traduce in motivo d'impugnazione dotato di rilevanza autonoma: una volta esperita la nuova consulenza, il problema tende a concentrarsi sui suoi risultati e sulle ragioni per cui questi risultati si rivelino inidonei a supportare la decisione della causa; e sulla connessa motivazione della sentenza (Cass. civ., 26 agosto 2013, n. 19572; Cass. civ., 6 luglio 2007, n. 15263). A maggior ragione, il semplice difetto di motivazione che non si traduca nella sua totale assenza ha scarsa possibilità di tradursi in autonomo motivo di censura, visto che nel giudizio di cassazione la sua rilevanza è fortemente ridotta nel vigente art. 360, n. 5, c.p.c.

Segue. Potere d'ufficio del giudice e inerzia della parte

La rinnovazione dell'indagine peritale perché carente nei contenuti non dovrebbe considerarsi preclusa dal fatto che le parti abbiano mancato di rilevare il difetto entro un dato termine endoprocessuale o entro una data fase del giudizio. Il principio dispositivo e le connesse decadenze riguardano l'allegazione dei fatti e l'offerta delle prove; che lo stesso meccanismo possa valere per gli strumenti di comprensione del fatto – in tesi già allegato e provato – è invece un assunto molto discutibile. Di certo sarebbe illogico sostenere che una relazione peritale incompleta e incomprensibile diventi completa e comprensibile per decorso del termine.

Illogico non sarebbe, invece, assumere che la consulenza tecnica diventi inutilizzabile e la decadenza precluda semplicemente il potere del giudice di sollecitare chiarimenti o disporre la rinnovazione delle indagini; nel qual caso la mancata contestazione delle parti andrebbe a scapito di quella che invoca i fatti che il consulente non ha decifrato.

Una simile soluzione tuttavia non trova adeguato sostegno nel dato positivo; stride inoltre col carattere officioso che permea l'istituto e d'altronde. Non soccorre in senso contrario l'art. 195, u.c., c.p.c.: per quanto preveda una tempistica precisa nel contraddittorio sulla relazione peritale, la diposizione non autorizza ad affermare che, decorso il termine fissato per le osservazioni delle parti, il giudice perda il potere di rilevamento officioso dei difetti e di rinnovare le indagini che reputi incomprensibili o carenti.

A tutto concedere l'art. 195 induce ad affermare che, decorso il termine per formulare le loro osservazioni ex art. 195 c.p.c., il giudice non sia più tenuto a pronunciarsi sull'istanza della parte e questa degradi a semplice imploratio iudici. Sarebbe peraltro una conclusione di dubbia rilevanza pratica, visto che, nel caso dell'istanza tempestivamente proposta, la prassi esime comunque il giudice dall'adottare un provvedimento esplicito di rigetto: se ne dirà nel paragrafo seguente.

Segue. Il diniego della rinnovazione chiesta dalla parte

Va considerato il caso della parte che chiede la rinnovazione delle indagini e si vede respingere la richiesta. Come il provvedimento positivo anche il rigetto dell'istanza di parte – per quanto espressione dell'ampia discrezionalità propria della materia – deve fondarsi su ragioni plausibili. Ma a differenza dell'ordinanza che dispone il rinnovo, dove la motivazione espressa è un requisito difficilmente eludibile, il provvedimento negativo segue la logica del provvedimento implicito.

Secondo una prassi consolidata il giudice può esimersi non solo dal motivare il rigetto ma anche dal dichiararlo espressamente (Cass. civ., 29 settembre 2017, n. 22799) in quanto si ammette che la reiezione dell'istanza possa ricavarsi da un provvedimento logicamente successivo che lo implichi. In tal senso v. Cass. civ., 25 novembre 2003, n. 17906: «Rientra nel potere discrezionale del giudice di merito accogliere o rigettare l'istanza di riconvocazione del consulente d'ufficio per chiarimenti o per un supplemento di consulenza, senza che l'eventuale provvedimento negativo possa essere censurato in sede di legittimità deducendo la carenza di motivazione espressa al riguardo, quando dal complesso delle ragioni svolte in sentenza, in base ad elementi di convincimento tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e valutate con un giudizio immune da vizi logici e giuridici, risulti l'irrilevanza o la superfluità dell'indagine richiesta, non sussistendo la necessità, ai fini della completezza della motivazione, che il giudice dia conto delle contrarie motivazioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, si hanno per disattese perché incompatibili con le argomentazioni poste a base della motivazione» (cfr. Cass. civ., 18 marzo 2015, n. 5339; Cass. civ., 24 settembre 2010, n. 20227).

Rinnovazione determinata da vizi formali

La rinnovazione può essere provocata non solo dall'inadeguatezza intrinseca delle indagini svolte ma anche da vizi formali. L'operato del consulente può infatti risultare pienamente comprensibile e convincente nel contenuto, ma invalido perché ottenuto con attività compiute in violazione della legge processuale. Ad esempio il CTU ha effettuato il sopralluogo senza averne dato avviso alla parte; oppure la relazione si è fondata su prove non ritualmente acquisite al processo.

Questi casi pongono il problema preliminare, che non impegna il caso precedente, di stabilire se il vizio sia sanabile e si sia effettivamente sanato. Soltanto in caso negativo si potrà valutare – come nel caso di carenza intrinseca – quale sia la misura atta a rimediare al difetto; e se questa debba consistere nella rinnovazione delle indagini o bastino i chiarimenti richiesti al consulente.

Qui assume particolare importanza il problema relativo ai tempi e modi per sollevare l'eccezione: da quello della rilevabilità d'ufficio ai termini per rilevare l'eccezione riservata alla parte. In tale contesto, anche il calendario previsto dall'art. 195, u.c., c.p.c. assume specifica rilevanza pratica, ove si assuma, ad esempio, che il termine assegnato alle parti per formulare osservazioni sia anche l'ultima occasione per far valere i vizi che investono le operazioni peritali. Ma è un tema sul quale rinvio senz'altro alla bussola sulla Consulenza tecnica d'ufficio.

Rinnovazione determinata da fatti sopravvenuti

Va considerato un ultimo caso di rinnovazione, che ricorre quando si verificano nel corso del processo fatti sopravvenuti rilevanti sull'esito del giudizio e capaci di interferire sui risultati delle indagini peritali svolte (v. inter plures Cass. civ., 23 ottobre 2018, n. 26756; Cass. civ., 1 agosto 2013, n. 18422). Il caso non richiede particolari spiegazioni: è intuitivo che la variazione del quadro fattuale imponga una nuova indagine, se sia tale da minare l'attendibilità della consulenza già esperita. Il problema è piuttosto quello di verificare se il fatto sopravvenuto incida davvero sul giudizio; del quale tuttavia non ci occuperemo.

Oggetto della rinnovazione

Dal punto di vista dell'oggetto la «rinnovazione delle indagini» consiste in una formula molto generale.

Contempla senz'altro il caso di rinnovazione integrale delle operazioni; ma non esclude provvedimenti più mirati o circoscritti a specifici atti.

Così può essere necessario e sufficiente rinnovare l'ultimo di vari sopralluoghi, nel qual caso la misura, oltre a non ripercuotersi sulle operazioni precedenti, tende ad avere un'incidenza più limitata sul risultato finale dell'indagine. Oppure la rinnovazione può investire la sola relazione finale del CTU e non le operazioni che la precedono. Ancora, la rinnovazione può investire un tema di indagine non trattato in precedenza, onde l'obiettivo è quello non di sostituire, ma di aggiungere elementi a quelli già acquisiti.

Rinnovazione nei giudizi di impugnazione

La rinnovazione della consulenza tecnica può essere disposta anche in appello e in genere dal giudice di merito adito nell'iter di impugnazione.

Nel contesto dell'impugnazione, tuttavia, l'impiego dell'istituto sconta l'ulteriore limite dell'effetto devolutivo e la chiusura progressiva del sistema verso meccanismi che consentono la riapertura dell'istruttoria. Un esempio lo offre Cass. civ., 9 agosto 2012, n. 14338, che, invocando il principio devolutivo, nega al giudice di appello il potere di rinnovazione delle indagini peritali, in quanto l'appellante, oltre a non aver mosso specifiche critiche alla consulenza tecnica, aveva fondato l'appello proprio sulla ricostruzione del fatto avvalorata dal CTU; considera quindi viziata da ultrapetizione la sentenza che si fondi sulla nuova consulenza tecnica disposta in violazione di questo canone.

Nei termini in cui è formulata, questa massima non sembra condivisibile. L'effetto devolutivo dell'appello investe i capi della sentenza; e all'interno del capo censurato il giudice rinnova il giudizio di fatto solo se la precedente ricostruzione è stata censurata. É ben possibile, allora, che la parte contesti la ricostruzione del fatto accolta dal giudice (ad es. l'auto viaggiava con velocità superiore a quella consentita) ma non critichi specificamente la consulenza tecnica conforme (che, ad es., dalla dinamica del sinistro ha desunto una velocità superiore ai limiti consentiti) o difforme dalla sentenza (che ad es. ha ritenuto non superati dal veicolo i limiti di velocità). Una simile linea difensiva è sufficiente a investire l'ufficio ad quem del giudizio sul fatto, consentendogli di rinnovare le indagini peritali se ritiene le precedenti inadeguate.

La controversia regolata da Cass. civ., n. 14338/2012 presentava tuttavia una particolarità: l'appello, più che appuntarsi sulla ricostruzione del fatto, denunciava il dissidio fra la motivazione, che avvalorava la CTU favorevole all'attore, e il dispositivo che respingeva la domanda in palese contraddizione con la parte motiva. Se tale era il motivo del gravame, bene ha fatto la Cassazione a censurare la sentenza di appello per violazione dell'art. 112 c.p.c.

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