Permesso di soggiorno riconosciuto allo straniero con precedenti penali per accudire il figlio minore in Italia

Redazione Scientifica
24 Giugno 2019

L'autorizzazione all'ingresso o alla permanenza in Italia del familiare del minore straniero che si trova nel territorio italiano non può essere negata automaticamente laddove vi sia pronuncia di condanna per uno dei reati che il T.U. Immigrazione considera ostativi all'ingresso o al soggiorno dello straniero.

Il caso. Due coniugi albanesi presentavano ricorso al Tribunale per i Minorenni, chiedendo l'autorizzazione a restare in Italia per accudire i 2 figli minorenni, che si trovavano sul territorio italiano, facendo leva sulla necessità dei minori di essere assistiti da entrambi i genitori, per poterne ricevere le cura necessarie a garantire loro una crescita serena e al fine di tutelare il diritto all'unità familiare. Il ricorso però veniva rigettato dal tribunale poiché non erano stati dimostrati i gravi motivi giustificanti l'autorizzazione richiesta. Inoltre, era risultato che l'uomo era stato arrestato nuovamente per violazione della normativa in materia di stupefacenti. Avverso la pronuncia, i coniugi proponevano reclamo alla Corte d'Appello, che lo respingeva, ritenendo il comportamento dell'uomo, risultante da una serie di precedenti, incompatibile con la permanenza in Italia e quindi tale da giustificare una revoca dell'autorizzazione e a maggior ragione il mancato rilascio della stessa. Avverso la decisione i coniugi proponevano ricorso per cassazione e la Prima Sezione, nel 2018, rimetteva gli atti al Primo Presidente, il quale disponeva l'assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

L'assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite. L'interrogativo posto all'esame delle Sezioni Unite consiste nello stabilire se, in presenza di un minore straniero sul territorio italiano, l'art. 31, comma 3, T.U. Immigrazione, attribuisca o meno rilevanza, ai fini del diniego del rilascio dell'autorizzazione all'ingresso o alla permanenza in Italia richiesta dal familiare, al suo comportamento incompatibile con la permanenza in Italia, assumendo rilevanza interessi di fondamentale rilievo per l'ordinamento - che si intrecciano tra loro - quali la protezione dei diritti fondamentali del minore e la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza nazionale.

Bilanciamento tra tutela dell'ordine pubblico e diritto all'effettività della vita familiare. I Giudici delle Sezioni Unite, muovendo dal dato letterale dell'art. 31, comma 3, T.U. Immigrazione, sostengono che la norma sulle attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia intende assicurare che la fattispecie permissiva non si risolva in un evento controproducente per il fanciullo o intollerabile per le ragioni interne di ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato. Secondo il Collegio, con il comma 3 del citato art. 31, il legislatore ha inteso perseguire l'interesse del minore nel grado più elevato possibile, assicurandogli il pieno godimento del suo diritto fondamentale all'effettività della vita familiare e della relazione con i propri genitori, ma nel rispetto della basilare esigenza di protezione dalla criminalità del Paese che offre accoglienza.

Pertanto, la sussistenza di comportamenti del familiare stesso, incompatibili con il suo soggiorno nel territorio nazionale, deve essere valutata in concreto attraverso un esame complessivo della sua condotta, al fine di stabilire, all'esito di un attento bilanciamento, se le esigenze statuali inerenti alla tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza nazionale debbano prevalere su quelle derivanti da gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico del minore, cui la norma conferisce protezione in via primaria.

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