Sospensione dell’ordine di esecuzione in data antecedente alla legge anticorruzione: vige il principio del tempus regit actum

Redazione Scientifica
03 Luglio 2019

La sopravvenienza normativa che aumenta il novero di delitti di cui al catalogo contenuto nell'art. 4-bis ord. pen., richiamato dall'art. 656 c.p.p., comma 9, ai fini del divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione, non può comportare la revoca della sospensione già disposta e il mutamento delle regole per la eventuale concessione delle misure alternative richieste.

Il tribunale di Napoli, in funzione di giudice dell'esecuzione annullava l'ordine di esecuzione per la carcerazione emesso nei confronti di P.M., condannata alla pena di anni due e mesi tre di reclusione per il delitto di cui all'art. 322 c.p., previa revoca dell'ordine e della contestuale sospensione precedentemente disposta alla luce della sopravvenienza della l. 3 del 2019, che ha inserito nel catalogo dei reati di cui all'art. 4-bis ord. pen. i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. Secondo il giudice di merito e disposizioni concernenti l'esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione non hanno carattere di norme sostanziali e non soggiacciono perciò alle regole in materia di successione di leggi nel tempo di cui all'art. 2 c.p.

Proponeva quindi ricorso il P.M. deducendo il vizio di violazione di legge sostenendo che la revoca della sospensione dell'ordine di esecuzione è stata determinata dalle previsioni contenute nella l. 3 del 2019 che, senza dettare una disciplina transitoria, hanno incluso nell'elenco dei delitti di cui all''art. 4-bis ord. pen. anche i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.

La sopraggiunta ostatività alla concessione dei benefici penitenziari pertanto imponeva la cessazione della sospensione dell'ordine di esecuzione, non sussistendo più i presupposti di legge.

Con sentenza n. 25212/2019, la Prima Sezione della Cassazione rigettava il ricorso.

Rimanendo fedele al proprio orientamento per cui le disposizioni che regolano l'esecuzione della pena detentiva sono norme processuali (v. Cass. pen., Sezioni Unite, 13 luglio 1998, n. 20; Cass. pen., Sezioni Unite, 30 maggio 2006, n. 24561), la S.C. ha circoscritto gli effetti del principio tempus regit actum, applicandolo alla disciplina esecutiva, che si è delineata, con riguardo ai delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, a seguito delle modifiche intervenute per effetto dell'entrata in vigore della l. 3 del 2019 (c.d. “legge anticorruzione”):

«nel casi in cui siano stati emessi l'ordine di carcerazione e il provvedimento di contestuale sospese sia stata avanzata dal condannato richiesta di concessione di misure alternativa detenzione, l'atto complesso - costituito dalla sospensione dell'ordine, dalla proposizione dell'istanza e dalla decisione del Tribunale di sorveglianza - è stato già compiuto, al momento dell'entrata in vigore della l. 3 del 2019, in alcuni dei suoi tasselli essenziali, sicché la sopravvenienza normativa che aumenta il novero di delitti di cui al catalogo contenuto nell'art. 4-bis ord. pen., richiamato dall'art. 656 c.p.p., comma 9, ai fini del divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione, non può comportare la revoca della sospensione già disposta e il mutamento delle regole per la eventuale concessione delle misure alternative richieste».

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