L'incidenza dei potenziali incrementi di reddito sul contributo al mantenimento dei figli

05 Luglio 2019

Il fatto che i redditi professionali dell'obbligato siano suscettibili di incremento rappresenta una circostanza rilevante nella valutazione delle capacità economiche del coniuge obbligato ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento a favore della prole.
Massima

Il fatto che i redditi professionali dell'obbligato siano suscettibili di incremento (in uno con la determinazione della media reddituale netta degli ultimi anni) rappresenta una circostanza rilevante nella valutazione (rimessa al giudice del merito, in tema di separazione fra i coniugi) delle capacità economiche del coniuge obbligato ai fini della (ri)determinazione dell'assegno di mantenimento a favore della prole – valutazione che deve essere operata sul reddito netto e non già su quello lordo.

Il caso

La pronuncia in commento trae origine dal ricorso per cassazione, proposto dal Sig. T.S., avverso la decisione con cui la Corte d'appello di Catania ha respinto l'impugnazione della decisione del Tribunale di Catania che aveva determinato nella somma di complessivi Euro 1.000,00 mensili l'assegno da corrispondere per il mantenimento dei figli di coppia non coniugata.

Nel confermare la decisione di primo grado, il giudice di seconde cure ha argomentato nel senso che le dichiarazioni dei redditi riferite al ricorrente, avvocato soprattutto amministrativista, sono di provenienza unilaterale e pertanto sono soggette al prudente apprezzamento del giudice.

La Corte ha, inoltre, sottolineato la corretta determinazione della media reddituale netta degli ultimi anni operata dal Tribunale, osservando, altresì, che tale situazione potrà essere rivalutata in presenza di redditi diversi e che si è tenuto conto anche dell'immobile di proprietà dell'appellante come anche dell'onere di mantenimento di altro figlio.

La questione

La questione principale affrontata dalla decisione che qui si commenta riguarda il tema della ricostruzione della capacità reddituale dei genitori che il Giudice è chiamato a fare nella determinazione dell'assegno di mantenimento per i figli a norma degli artt. 337 ter, comma 4, e 156 c.c., e, più in particolare, dell'incidenza sullo stesso dei potenziali incrementi di reddito. Nello specifico, il professionista avvocato è tenuto al mantenimento della prole potendo fare affidamento su redditi in continua evoluzione e suscettibili di incremento.

Le soluzioni giuridiche

Occorre, innanzitutto, premettere che la questione affrontata dalla decisione in commento non si pone solo nei giudizi di separazione, ma anche nei giudizi di divorzio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio, attualmente di competenza del Tribunale ordinario in forza dell'art. 38 disp. att. c.c., come modificato dalla l. n. 219/2012.

Invero, la ricostruzione della capacità reddituale ed economico-patrimoniale delle parti nei giudizi aventi ad oggetto conflitti familiari è necessaria sia per la determinazione del contributo al mantenimento dei figli, sia per la determinazione dell'assegno di mantenimento del coniuge, sia dell'assegno divorzile.

Nella decisione in commento, la Suprema Corte si è uniformata ai principi consolidati in giurisprudenza e richiamati in una recentissima sentenza della Corte di Cassazione del 14 gennaio 2019 n. 651 con la quale i giudici di legittimità hanno affermato che, in tema di separazione fra i coniugi e di cessazione degli effetti civili del matrimonio, la valutazione in ordine alle capacità economiche del coniuge obbligato, ai fini del riconoscimento e delle determinazione dell'assegno di mantenimento a favore dell'altro coniuge, non può che essere operata sul reddito netto e non già su quello lordo, poiché in costanza di matrimonio la famiglia fa affidamento sul reddito netto e ad esso rapporta ogni possibilità di spesa (cfr. Cass. civ. n. 9719/2010; Cass. civ. n. 14610/2012; Cass. civ. n. 13954/2018).

Peraltro, occorre sottolineare, che la giurisprudenza è concorde nell'affermare che, al fine della decisione sull'an e sul quantum dei contributi al mantenimento, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede necessariamente l'accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare attraverso l'acquisizione di dati numerici o rigorose analisi contabili e finanziarie, essendo sufficiente un'attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi (Cass. civ. 23051/2007; Cass. civ. 16575/2008; Cass. civ. n. 2098/2011; Cass. civ. n. 14336/2013; Cass. civ. n. 23263/2016).

Osservazioni

Prima di procedere ad un esame più approfondito della tematica in oggetto occorre, a sommesso parere di chi scrive, effettuare alcune considerazioni di ordine generale al fine di meglio comprendere l'argomento trattato.

Anzitutto, l'art. 30 Cost. prevede l'obbligo dei genitori (anche non coniugati) di mantenere i figli, per il solo fatto di averli generati (Cass. civ. n. 10102/2004), in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo, come espressamente sancito dall'art. 148 c.c.

Più in particolare, il testo attuale dell'art. 148 c.c. contiene rinvio all'art. 315 bis c.c. e prevede espressamente che i coniugi devono adempiere l'obbligazione di cui all'art. 147 c.c., secondo quanto previsto dall'art. 316 bis c.c. La ratio di tale modifica può essere individuata nella volontà del Legislatore di unificare la disciplina relativa al concorso dei genitori al mantenimento dei figli, senza distinzione tra i figli nati nel matrimonio o fuori di esso. Il primo comma dell'art. 316 bis c.c., norma richiamata dallo stesso art. 148 c.c., specifica che l'adempimento dell'obbligo di mantenimento della prole deve essere ancorato al principio di proporzionalità, come è reso evidente dall'inciso «in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo».

L'obbligo in questione riguarda innanzitutto i figli minori. In particolare, in caso di separazione o divorzio il giudice adotta i provvedimenti relativi ai figli minori con esclusivo riferimento ai loro interessi materiali e morali, affinché conservino – se possibile – l'ambiente, le abitudini, le consuetudini familiari, non percependo eccessivamente il divario anche economico tra la nuova situazione e quella precedente alla separazione. L'obbligazione di mantenimento è, altresì, previsto per i figli maggiorenni che non siano economicamente autosufficienti e per quelli affetti da handicap grave.

La disciplina di riferimento, che individua i presupposti per il riconoscimento dell'assegno di mantenimento a favore dei figli e i criteri utili alla sua determinazione si applica in caso di separazione dei coniugi, ma anche, per espressa disposizione di legge, ai casi di scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio (art. 337 bis c.c.). Sono validi ed efficaci gli eventuali accordi tra i genitori o tra il genitore obbligato e il figlio maggiorenne che diano atto della raggiunta autonomia economica del figlio.

La modalità classica di mantenimento dei figli minori (o dei maggiorenni non economicamente indipendenti) è appunto quella dell'assegno di mantenimento: essa può essere decisa dalle parti o imposta dal giudice in sede di separazione consensualeodivorzio.

Nell'importo dell'assegno sono comprese le spese ordinarie per il mantenimento, l'educazione e l'istruzione dei figli. A tal fine, i protocolli dei tribunali in materia di procedimenti di separazione e divorzio invitano gli avvocati a specificare nelle condizioni della separazione e del divorzio alcuni elementi utili proprio per la determinazione dell'importo da corrispondere anche al fine di evitare eventuali conflitti in merito. È opportuno, quindi, indicare sia le spese straordinarie (rispetto al contributo fisso mensile) che i coniugi dovranno corrispondere pro quota, a seconda dei rispettivi redditi, e le modalità del pagamento e per le quali un genitore è obbligato a consultare l'altro; sia le spese mediche urgenti per le quali non è necessario un accordo preventivo essendo sufficiente il rispetto della reciproca informazione.

Per mera completezza si ricorda che vi sono anche altre modalità di mantenimento dei figli.

Tra queste si ricorda la facoltà, riconosciuta ai coniugi, di prevedere una pattuizione in forza della quale uno dei coniugi trasferisce o si impegna a trasferire in favore dei figli la piena proprietà di uno o più beni immobili o anche mobili. A tal proposito, è necessario specificare che il mantenimento costituisce un obbligo di ciascun genitore stabilito direttamente dalla legge, non dall'accordo di separazione che, al più, può regolare le concrete modalità di adempimento di quell'obbligo.

Un'altra modalità di mantenimento dei figli è costituita dal pagamento una tantum, espressione che indica la possibilità riconosciuta ai genitori di accordarsi e pagare una somma di denaro in un'unica soluzione.

Infine si ricordano l'istituzione di un trust a beneficio del figlio conferendo un bene immobile di proprietà di uno dei due e la costituzione di un vincolo di destinazione su beni immobili come contributo al mantenimento.

Non esiste un limite di età prestabilito oltre il quale il genitore non è più tenuto a provvedere al mantenimento dei figli. Di regola, i genitori devono mantenere i figli fino a quando iniziano a svolgere un'attività lavorativa e il lavoro permette loro di raggiungere l'indipendenza economica, a meno che non riescano a provare che il mancato svolgimento di un'attività lavorativa dipende da inerzia, rifiuto o abbandono ingiustificato del lavoro. Nelle ipotesi di figli maggiorenni conviventi con un solo genitore, l'assegno di mantenimento a carico del coniuge con il quale non convivono deve essere oggetto di richiesta (diversamente da quanto accade per il caso dei figli minorenni), da parte del genitore convivente con il figlio o del figlio maggiorenne non economicamente indipendente, se non convive con alcuno dei genitori.

Nel primo caso, la richiesta è rivolta al giudice ed è diretta nei confronti dell'altro genitore. Per coabitazione si intende un collegamento stabile con l'abitazione del genitore, pur non coabitandovi quotidianamente. Nel caso di figlio maggiore d'età non economicamente indipendente, se non convive con alcuno dei genitori, la richiesta del figlio è fatta al giudice e ha come destinatari uno o entrambi i genitori. Se il figlio ha già intentato un'azione autonoma, è esclusa la legittimazione del genitore.

Inoltre, come già anticipato, i genitori hanno nei confronti dei figli maggiorenni portatori di handicap grave gli stessi doveri che hanno nei confronti dei figli minori e devono, quindi, corrispondere loro un assegno di mantenimento, senza necessità di una esplicita richiesta (come, invece, per i maggiorenni non economicamente indipendenti).

Secondo la legge, l'handicap è grave quando la minorazione riduce l'autonomia personale correlata all'età, rendendo necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione. Resta inteso che il portatore di handicap grave che può svolgere un'attività lavorativa anche minima o che percepisce una pensione di invalidità o un'indennità di accompagnamentoo altro, può avere comunque diritto ad un assegno di mantenimento da commisurare al tenore di vita goduto prima della separazione dei genitori, anche se la pensione di invalidità può essere considerata sufficiente per far fronte alle necessità del soggetto: in tal caso il genitore convivente col figlio portatore di handicap deve utilizzarla per provvedere alle sue necessità quotidiane e il genitore non convivente non è tenuto a versare il contributo di mantenimento.

Su entrambi i genitori grava l'obbligo di mantenere i figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti in proporzione al proprio reddito: l'assegno, quindi, deve essere determinato tenendo conto delle possibilità economiche dei genitori.

Più precisamente, ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento, il giudice, secondo quanto stabilito dall'art. 337 ter c.c., dovrà considerare:

1) le attuali esigenze del figlio (anche sotto il profilo dell'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, dell'assistenza morale e dell'opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione);

2) il tenore di vita goduto dal figlio durante la convivenza con entrambi i genitori: a tal fine, il giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito ma deve valutare anche altri elementi di ordine economico in grado di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio anche mobiliare e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso. Il giudice non può disporre la riduzione dell'assegno, anche se si tratta di una somma cospicua, sul solo rilievo che un importo elevato potrebbe risultare diseducativo. Ciò perché la legge impone di determinare l'assegno considerando le esigenze dei figli in rapporto al tenore di vita goduto durante la convivenza con entrambi i genitori e alle risorse e ai redditi di costoro;

3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;

4) le risorse economiche di entrambi i genitori, in relazione alla consistenza dei loro patrimoni (i redditi da attività lavorativa, ma più in generale ogni altra forma di reddito o utilità, come il valore dei beni mobili o immobili posseduti, le quote di partecipazione sociale, i proventi di qualsiasi natura percepiti);

5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore(come fare la spesa, cucinare, accompagnare i figli a scuola, provvedere alle faccende domestiche, lavare, stirare, aiutare i figli nello svolgimento dei compiti scolastici). Maggiore è il tempo che il figlio trascorre con un genitore, maggiori sono i compiti di natura domestica.

Per accertare la capacità economica dei genitori, ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento dei figli minori in sede di divorzio, le dichiarazioni fiscali dei redditi hanno un valore solo indiziario (Cass. n. 605/2017). Ciò significa che il giudice ha un ampio potere istruttorio, che gli consente di decidere verificando le condizioni patrimoniali delle parti e delle esigenze di vita dei figli. Se le informazioni economiche fornite non sono sufficientemente documentate, egli può disporre un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi (Cass. civ. n.4994/2017).

Ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento, si considera anche l'assegnazione della casa familiare. Il giudice, quindi, può ridurre l'assegno di mantenimento al coniuge assegnatario della casa, anche quando l'immobile è di proprietà comune dei genitori e anche quando il genitore non assegnatario è titolare di un diritto reale di godimento sull'abitazione. Non è così, invece, se la casa familiare è detenuta a titolo di locazione.

Di regola, nella separazione personale il contributo al mantenimento dei figli minori consiste in una somma fissa mensile in favore del genitore affidatario. Quando uno dei coniugi ha chiesto un assegno di mantenimento per i figli, la domanda, se ritenuta fondata, deve essere accolta a decorrere dalla data della sua proposizione. La parte che abbia chiesto il pagamento dell'assegno ha, poi, la facoltà di chiedere un adeguamento del relativo ammontare, non costituendo tale richiesta una domanda nuova e anche l'aumento decorrerà dalla data di deposito del ricorso.

Se il genitore tenuto al pagamento è inadempiente, il debito va maggiorato, a far data dalle singole scadenze mensili, di interessinella misura legale, anche anatocistici ricorrendone le condizioni.

Il pagamento dell'assegno non può essere sospeso durante il tempo in cui il figlio convive con il genitore obbligato a versare l'assegno di mantenimento e dunque, in particolare durante i periodi di vacanza né può essere compensato.

L'assegno a favore dei figli è automaticamente adeguato per legge agli indici Istat, a meno che le parti o il giudice non abbiano indicato un diverso parametro in sede di separazione.

Una volta riconosciuto il diritto di percepire l'assegno di mantenimento per i figli e quantificato il suo ammontare, l'assegno può essere oggetto di revisione. Ciò significa che può essere aumentato o diminuito oppure può anche essere soppresso. Tra i motivi che spingono uno dei coniugi a richiedere una sua revisione vi sono il cambiamento (in meglio o in peggio) delle capacità economiche, la costituzione di un nuovo nucleo familiare nonché le accresciute esigenze dei figli.

Alla luce di tali premesse, è possibile analizzare più approfonditamente la questione inerente la determinazione dell'assegno di mantenimento per la prole.

Come anticipato, la misura dell'assegno da corrispondere ai figli deve tenere conto del reddito complessivo di entrambi i genitori in funzione del quale viene determinata la percentuale che gli stessi devono destinare ai figli.

Tale valore si fonda su rilevazioni empiriche attinenti la frequenza con cui vengono attribuiti assegni ai figli da parte di diversi Tribunali e tiene conto del numero dei figli e delle cosiddette “scale di equivalenza dell'ISEE. Le regole ISEE costituiscono un dato normativo primario, oggettivo e giuridicamente utilizzabile per la determinazione delle proporzioni da applicare ai nuclei familiari conseguenti lo scioglimento del nucleo originario. In tal modo si ricava una percentuale che varia in funzione di differenti parametri. Invero, occorre tener presente il numero dei figli e la loro collocazione presso uno dei genitori. Rileva, altresì, una funzione di regressione che permette di diminuire progressivamente, la percentuale destinata ai figli in relazione alla maggiore quantità di reddito disponibile da parte di entrambi i genitori.

Ebbene, il caso di specie sottoposto all'attenzione della Suprema Corte riguarda il reddito dei liberi professionisti la cui caratteristica precipua, secondo i giudici di legittimità, è quella di essere passibile di continuo incremento ed evoluzione. Infatti nel caso di specie la Corte rigetta il ricorso proposto avverso provvedimento che stabiliva l'obbligo di un padre, giovane avvocato amministrativista, di versare la somma di euro 1000 alla ex compagna per il mantenimento dei figli avuti dalla stessa. La Corte valuta che le dichiarazioni dei redditi del professionista essendo di natura autodichiarativa vadano considerate con "ragionevole prudenza" e valuta la media netta degli introiti dichiarati dal ricorrente ed anche dall'obbligo del mantenimento di un altro figlio minore avuto da una precedente relazione al fine di fissare la somma da versarsi.

La pronuncia in esame, quindi, ribadisce un importante insegnamento ai fini della ricostruzione corretta della capacità reddituale delle parti nei giudizi sui conflitti familiari che in uno con tutti gli altri principi consolidati affermati in materia dalla Suprema Corte consentono all'interprete di giungere a decisioni che siano davvero corrispondenti alle singole situazioni familiari. In tal modo, dunque, il Giudice è in grado di determinare contributi per il mantenimento dei figli e per il coniuge o ex coniuge effettivamente rispondenti al principio di proporzionalità ed idonei a garantire le esigenze di vita della famiglia disgregata.

Guida all'approfondimento

Bianchi, Rinolfi, Determinazione dell'assegno di mantenimento, Milano, 2019

Rinaldi, L'assegno di mantenimento per i figli, Rimini, 2017

Rossi, Il mantenimento dei figli, Giuffrè, 2015

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