La revisione europea dopo la sentenza Contrada (in attesa delle Sezioni Unite)

Marzia Minutillo Turtur
12 Luglio 2019

La revisione c.d. “europea” trova la propria origine e inquadramento sistematico, a seguito dell'intervento della Corte costituzionale (sentenza n. 113/2011), nell'ambito della ratio tipica della revisione prevista nel codice di procedura penale, ovvero la volontà di rimediare all'errore giudiziario che abbia in qualche modo compresso il giudizio e...
Massima

La notizia di decisione n. 18/2019 della Sesta sezione della Corte dicassazione comunica la rimessione alle Sezioni Unite della questione relativa al «se sia ammissibile per una persona condannata in via definitiva far valere con lo strumento della revisione europea la violazione dell'art. 7 CEDU, richiamando a sostegno dell'istanza la sentenza della Corte EDU del 14 aprile 2015 nel procedimento Contrada c. Italia, secondo la quale il concorso esterno in associazione di tipo mafioso per fatti commessi antecedentemente al 1994 costituiva un reato non sufficientemente chiaro e prevedibile» (ord. 21767/2019).

Inquadramento sistematico

La revisione c.d. “europea” trova la propria origine e inquadramento sistematico, a seguito dell'intervento della Corte costituzionale (sentenza n. 113/2011), nell'ambito della ratio tipica della revisione prevista nel codice di procedura penale, ovvero la volontà di rimediare all'errore giudiziario che abbia in qualche modo compresso il giudizio e, successivamente, il giudicato penale. Ciò al fine di giungere a un effettivo e sostanziale raggiungimento della verità, in una ottica di giustizia sostanziale. A tale risultato si è arrivati anche grazie all'elaborazione della Corte EDU che ha affrontato con efficacia e costanza una serie di tematiche direttamente incidenti sulla nostra disciplina processuale (costituzione del rapporto giuridico e processo in contumacia, il diritto al pieno contraddittorio sull'accusa con particolare riferimento alla qualificazione giuridica del fatto, garanzie in tema di pubblicità o meno dell'udienza, piena esplicazione del diritto di difesa). Sono state evidenziate dalla Corte EDU soluzioni di sistema, proposte con le c.d. sentenze “pilota”, per evitare il proliferare di determinate violazioni rispetto ai principi enunciati dalla Convenzione.

È dunque emerso un ruolo sempre più attivo della Corte EDU che, con tali sentenze “pilota”, invita di fatto lo Stato condannato all'adozione di una serie di misure di sistema, che tuttavia dovranno sempre essere attuate dallo Stato stesso e non avranno mai immediata efficacia nel nostro ordinamento e che, comunque, trovano secondo l'interpretazione della Corte costituzionale e della giurisprudenza di legittimità un limite nel principio dell'intangibilità del giudicato, che è principio fondante del nostro ordinamento.

Nella considerazione della portata della c.d. revisione “europea” è necessario ricordare che la Convenzione europea per i diritti dell'uomo non ha efficacia diretta nel nostro ordinamento e, conseguentemente, rientrando in ambito di diritto internazionale pattizio deve essere correlata alla previsione di cui all'art. 117, comma primo, della Costituzione.

Nessuna disapplicazione diretta dunque da parte del giudice nazionale nel caso in cui con sentenza della Corte EDU venga acclarata una violazione e contrasto della norma nazionale rispetto ai principi convenzionali. Attesa la natura dichiarativa delle decisioni della Corte EDU, lo Stato destinatario dovrà attivarsi perché le cause che hanno portato alla violazione siano eliminate sia in relazione al caso singolo, che, nel caso di violazioni sistemiche segnalate dalle sentenze pilota, attraverso misure di ordine generale, per evitare violazioni future a carattere generalizzato.

Occorre considerare come nell'impostazione della Corte EDU l'attività dello Stato destinatario deve essere principalmente volta alla realizzazione di un'effettiva restitutio in integrum conseguente all'accertata violazione dei diritti umani, mentre l'equo soddisfacimento rappresenta un rimedio a carattere accessorio (in questo senso le note decisioni Scozzari e Giunta c. Italia e Lucà c. Italia). Lo Stato destinatario dunque dovrà certamente versare al ricorrente le somme a titolo di equo soddisfacimento come indicato in sentenza, ma avrà anche il dovere di arginare ed eliminare con mezzi adeguati le violazioni accertate mediante l'adozione di puntuali misure generali.

Ecco che, nell'ambito della generale previsione dell'art. 46 della Convenzione EDU, secondo la quale gli Stati contraenti hanno assunto l'impegno di conformarsi alle sentenze della Corte in cui sono parti, emerge la necessità di approntare uno strumento idoneo a creare tutela in relazione a violazioni accertate dell'art. 6 della Convenzione EDU, quanto all'effettivo rispetto delle garanzie del giusto processo.

La Corte costituzionale ha, con la previsione di un allargamento concreto dell'istituto della revisione, determinato una profonda trasformazione al fine di realizzare un effettivo collegamento tra il nostro ordinamento e la previsione di cui all'art. 46 della Convenzione.

Tale evoluzione è certamente collegata all'interpretazione costante della Corte costituzionale nel senso che non sia possibile per il giudice nazionale ai sensi dell'art. 6.3 della Convenzione disapplicare direttamente la legge interna contrastante con i principi della Convenzione, potendo invece tentare un'interpretazione della norma nazionale in senso conforme alla Convenzione o, nell'impossibilità, ove ricorra un conflitto non superabile in tal senso, sollevare questione di legittimità costituzionale della norma nazionale perché in violazione dell'art. 117 Cost. (Corte cost. 348, 349 del 2007 e 210 del 2013).

La nuova ipotesi di revisione del processo, conseguente alla decisione della Corte costituzionale n. 113 del 2011 si giustifica in considerazione di una pronuncia di condanna della Corte EDU per violazione dell'equo processo ai sensi dell'art. 6 della Convenzione. L'effettiva violazione delle garanzie processuali può dunque portare ad una riapertura del processo che sia stato trattato con evidente violazione delle garanzie processuali dell'imputato. All'accertata violazione con sentenza della Corte EDU dei principi del giusto processo consegue la possibilità di incidere anche su sentenze ormai definitive dell'ordinamento interno. La stessa possibilità non sembra essere invece attivabile nel caso in cui la Corte EDU censuri l'eventuale violazione di un diritto sostanziale (in generale in questi casi sia giurisprudenza che dottrina richiamano gli artt. 629, 625-bis, art. 670c.p.p.).

Occorre ricordare, sempre in ottica sistematica ricostruttiva, come il nuovo istituto della revisione ”europea”, che secondo parte della dottrina rappresenta per la sua struttura e caratteristiche un elemento di rottura rispetto alla tenuta del principio di intangibilità del giudicato, trova riconoscimento, sebbene indirettamente, anche nell'art. 4, del VII protocollo CEDU e nell'art. 14 paragrafo 6 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici, che hanno esplicitamente richiamato la possibilità di una riapertura del processo in caso di fatti nuovi o vizi procedurali che avrebbero potuto condizionare la soluzione del procedimento. L'introduzione da parte della Corte costituzionale di un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna, al fine di conseguire la riapertura del processo, quando sia necessario ai sensi dell'

art. 46 Convenzione EDU

per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte che abbia accertato l'avvenuta violazione delle garanzie fondamentali riconosciute dalla Convenzione in tema di equo processo, rappresenta la scelta ordinamentale per poter giungere, in assenza di interventi legislativi, alla eventuale restitutio in integrum in favore del soggetto ricorrente mediante la rinnovazione del giudizio.

Le problematiche emerse dopo la sentenza Contrada e l'interpretazione evolutiva della corte quanto alla “revisione europea”

Le tematiche connesse alla revisione “europea” e all'incidenza della sentenza della Corte EDU Contrada c. Italia sono divenute nell'ultimo periodo un tema ricorrente nelle decisioni della Corte, oggetto di studio e commento nelle sue diverse prospettive anche a seguito dei ricorsi proposti dal Dell'Utri avverso le sue sentenze definitive di condanna (v. commento di BELTRANI, Caso Contrada, un esito che non convince).

In merito alla portata della sentenza Contrada c. Italia, occorre ricordare che già con Cass. pen., Sez. I, 6 luglio 2017 (dep. 20 settembre 2017), n. 43112 il ricorrente aveva attivato sia l'incidente d'esecuzione, che l'istanza di revisione europea (alla quale in seguito rinunciava) al fine di ottenere, ai sensi dell'

art. 46 della Convenzione EDU

, la realizzazione dell'obbligo dei giudici italiani di conformarsi, per il ricorrente in sede europea Contrada, alla decisione emessa nei suoi confronti. È nota la conclusione dell'iter conseguente alla decisione della Corte di cassazione, che ha annullato senza rinvio l'ordinanza che aveva dichiarato inammissibile l'istanza e ha individuato lo strumento per rimuovere le conseguenze della sentenza irrevocabile emessa dalla Corte di appello di Palermo nell'incidente di esecuzione in applicazione dei principi enunziati dalla sentenza Dorigo (Cass. pen., Sez. I, 1 febbraio 2006, n. 2800), seppure il caso Dorigo fosse riferibile a una violazione di natura processuale.

Ma il problema interpretativo che si pone invece ha manifestato una portata più ampia e diversa nel caso dei ricorsi Dell'Utri, poiché il ricorrente non ha presentato ricorso alla Corte EDU e ha richiesto che vengano “estesi” nei suoi confronti elementi rilevanti della decisione Contrada, che, appare opportuno sottolinearlo, non rappresenta una c.d. decisione pilota, ma risulta assunta da una Sezione semplice della Corte predetta, senza evidenziare difetti di carattere sistemico e generalizzato del nostro ordinamento, né individuando in alcun modo il tipo di rimedio a carattere generale da apprestare per eventualmente risolvere tali difetti sistemici.

Ancora, occorre considerare come nel caso Contrada la pena risultava interamente eseguita. Nella decisione delle Sezioni Unite, Gatto, n. 42858 del 29 maggio 2014 si è chiarito come la sentenza della Corte EDU nel caso Contrada non imponesse interventi in executivis differenti da quelli di cui agli art. 666 e 670 c.p.p., nel senso di consentire quindi l'eliminazione degli effetti pregiudizievoli derivanti da una condanna emessa dal giudice italiano in violazione di disposizione convenzionale, con conseguente riferibilità al giudice dell'esecuzione del dovere di riportare la decisione censurata ai canoni di legittimità.

Si deve dunque considerare, in relazione a questi ed altri ricorsi che in tal senso sono stati progressivamente presentati, l'interpretazione evolutiva della giurisprudenza di legittimità in ordine al rimedio della c.d. revisione europea

Un recente e rilevante momento di riflessione, in senso evolutivo rispetto alle decisioni precedenti della Corte è rappresentato dall'articolata analisi in tema di “revisione europea” da parte di Cass. pen., Sez. II, 7 settembre 2017, n. 40889, secondo la quale la c.d. “revisione europea” presuppone una pronuncia della Corte di Strasburgo relativa allo stesso processo che si intende revisionare, sicché la riapertura conseguente del processo è legittima esclusivamente nel caso in cui la restitutio in integrum, conseguente ad una accertata violazione convenzionale, possa essere attuata solo attraverso la riedizione del processo.

Nell'ambito di una motivazione articolata e approfondita la decisione sottolinea, dopo aver richiamato gli orientamenti della Corte di cassazione sul tema della revisione europea, che si deve ritenere inammissibile il ricorso a tal fine introdotto quando la richiesta sia relativa a situazione processuale esaurita e coperta da giudicato, in assenza di esito favorevole dinanzi alla Corte EDU da eseguire in Italia, a prescindere dalla natura “pilota“ o ordinaria della sentenza europea richiamata a sostegno della propria istanza.

Anche nel caso esaminato da questa decisione il ricorrente ha richiesto l'applicazione della revisione europea, sebbene non vi fosse alcuna sentenza della Corte EDU da eseguire nei suoi confronti, asserendo l'omogeneità della sua posizione rispetto a quella esaminata dalla nota sentenza Drassich (violazione accertata e correlata alla riqualificazione del fatto in assenza di contraddittorio).

La decisione n. 40889 del 2017 della Sezione II richiama in modo analitico portata e contenuto della sentenza additiva della Corte costituzionale n. 113 del 2011 in ordine all'istituto della revisione europea, nella sua funzione tipica di rendere eseguibili le sentenze della Corte di Strasburgo che riconoscono vizi processuali, con conseguente perdita di stabilità del giudicato interno al fine di emendare i vizi procedurali rilevati.

La revisione europea viene dunque a essere un rimedio ordinario nel caso in cui un privato risulti condannato all'esito di un procedimento inficiato da inosservanze dell'art. 6 Conv. EDU. La revisione predetta trova quindi fondamento nella decisione della Corte cost. al fine di individuare una procedura che consenta alla persona, condannata all'esito di un processo iniquo secondo la Corte europea, la restituzione delle garanzie violate.

La decisione della seconda sezione penale sottolinea come la sentenza della Corte costituzionale limiti la funzione esecutiva della revisione ai soli casi in cui la Corte europea abbia rilevato vizi procedurali, inemendabili attraverso un intervento diretto sul titolo ed eliminabili solo attraverso la riedizione del processo.

Proprio la natura “esecutiva” della revisione europea rende evidente l'impossibilità, a parere del Collegio giudicante, di una lettura e interpretazione estensiva dell'istituto, con impossibilità di incisione su giudicati per processi asseritamente analoghi, dunque connotati dallo stesso vizio procedurale.

E la possibilità di un'estensione interpretativa viene nettamente e recisamente esclusa, e resa non praticabile neanche per via interpretativa, anche nel caso in cui la sentenza della Corte EDU abbia (con riferimento ad altro ricorrente) la natura di sentenza pilota.

La decisione in questione dunque contesta gli approdi interpretativi a carattere estensivo di altre decisioni della Corte di cassazione volti sostanzialmente a consentire la riapertura di processi coperti da giudicato relativi a persone che non abbiano adito la Corte Edu, a prescindere dalla natura pilota o meno della sentenza richiamata e ritenuta applicabile in via interpretativa anche al diverso caso concreto (Cass. pen., Sez. I, 11 ottobre 2016, n. 44193; Cass. pen., Sez. VI, 2 marzo 2017, n. 21635; Cass. pen., Sez. VI, 23 settembre 2014, n. 46067).

L'importanza della decisione n. 40889 si trae anche dalla motivazione esplicita che propone in ordine alla non estensibilità, oltre gli stretti limiti evidenziati dalla Corte costituzionale, della revisione europea da individuare nella necessità di difendere le situazioni processuali “esaurite” e dunque di difendere il giudicato, presidio ineludibile della certezza del diritto.

Viene in tal senso richiamata: - sul fronte interno quanto già affermato dalle Sez. unite, 29 marzo 2007, n. 27614, che ha chiarito come anche in caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale, pur in presenza di efficacia erga omnes e forza invalidante della pronuncia, la forza invalidante della decisione riguarda pur sempre le situazioni pregresse, sempre però che non si tratti di situazioni giuridiche esaurite, come quelle caratterizzate dalla formazione del giudicato; - sul fronte europeo la sentenza Scoppola, che ha chiarito come la conclusione della progressione processuale con la pronuncia della sentenza definitiva impedisce l'applicazione di eventuali pene sopravvenute più favorevoli. Sottolinea in modo efficace la decisione come il diritto convenzionale, per come costantemente interpretato dalla Corte di Strasburgo, non abbia alcuna efficacia diretta, nel senso che non consente una disapplicazione della norma interna incompatibile ma, nei processi in corso (e solo in quelli), genera precisi obblighi in capo al giudice che procede (interpretazione conforme alla Convenzione o necessità di sollevare questione di legittimità costituzionale ove non possibile un'interpretazione conforme alla convenzione).

Si evidenzia quindi, ancora una volta, l'impossibilità per sentenze della Corte Edu di incidere su situazioni esaurite.

Dunque, sulla base di questa decisione, si dovrebbe da una parte riscontrare il non completo esaurimento della situazione processuale e dall'altra anche l'evidente inapplicabilità della c.d. parte rilevante della sentenza Contrada c. Italia anche al caso dell Dell'Utri e dei molti altri ricorrenti su tema analogo, atteso la mancata proposizione di ricorso alla Corte EDU.

Deve inoltre essere considerata, nell'interpretazione della decisione richiamata, la natura non pilota della sentenza Contrada c. Italia della Corte EDU (come approfonditamente evidenziato anche dalla sentenza della Cass. pen., Sez. I, 11 ottobre 2016, n. 44193), nonché la violazione convenzionale che si intende far valere, e si richiama nelle diverse istanze, dell'art. 7, e non dell'art. 6 della Convenzione.

Nell'interpretazione evolutiva della Sezione II richiamata emerge dunque un concetto di revisione europea da considerare in modo rigido, in correlazione alla portata latamente esecutiva della stessa, attivabile solo nel caso in cui si tratti di eseguire la specifica decisione emessa dalla Corte EDU nei confronti della medesima persona condannata dallo Stato italiano e sempre che la restituito in integrum sia realizzabile esclusivamente attraverso la riedizione del processo.

Gli stessi principi sono stati affermati anche in precedenza dalla Sezione VI con la decisione n. 39925 del 29 maggio 2014 secondo la quale appunto è inammissibile l'istanza di revisione fondata sulla richiesta di applicazione dei principi enunciati da una sentenza della Corte EDU riguardante errores in procedendo verificatisi in procedimento relativo ad altro imputato, in ragione dell'asserita sussistenza di una situazione analoga, in quanto, la violazione dei parametri convenzionali si misura nella logica dell'effettiva lesione del diritto ad un equo processo, alla luce di valutazioni strettamente correlate alla fattispecie specifica.

Quanto premesso sembra dunque evidenziare un'oggettiva impossibilità di ricorrere alla revisione europea in assenza di una decisione, a seguito di ricorso dell'interessato, proprio sul processo oggetto di giudicato interno e in mancanza di una accertata lesione del diritto ad una decisione sulla base di un reato che al momento della commissione appariva non sufficientemente prevedibile.

Residua quindi la valutazione in ordine alla possibilità di adire in modo proficuo il giudice dell'esecuzione allo scopo di ottenere una effettiva incisione sul titolo esecutivo, sebbene per il mero richiamo all'applicazione della sentenza Contrada c. Italia, in assenza di qualsiasi osservazione circa un'eventuale illegalità della pena sembra far propendere per una soluzione negativa.

In tal senso occorre considerare la decisione della Sezione I n. 44193 del 11 ottobre 2016, che, sempre in tema di rapporto tra revisione europea e incidente di esecuzione, ha chiarito che lo strumento dell'incidente di esecuzione può essere utilizzato solo quando l'intervento di rimozione o modifica del giudicato sia privo di contenuto discrezionale, risolvendosi nell'applicazione di altro e ben identificato precetto senza necessità della previa declaratoria di illegittimità costituzionale di alcuna norma, fermo restando che, qualora l'incidente di esecuzione sia promosso per estendere gli effetti favorevoli della sentenza della Corte EDU ad un soggetto diverso da quello che l'aveva adita, è necessario anche che la predetta decisione (pur non adottata nelle forme della "sentenza pilota") abbia una obiettiva ed effettiva portata generale, e che la posizione dell'istante sia identica a quella del caso deciso dalla Corte di Strasburgo.

Questa decisione si pone dunque in senso diverso rispetto alla successiva sentenza della Sezione II n. 40889 e lascia, quanto alla possibilità di agire mediante incidente di esecuzione, maggiori spazi affermando che occorre considerare in concreto la portata della sentenza, anche se non pilota, riscontrandone una portata generale e la posizione dell'istante che si deve ritenere in tutto identica a quella del caso deciso dalla Corte EDU. La sentenza della I sezione ha affrontato sempre un ricorso del Dell'Utri affermando, con una motivazione ampia ed articolata, che si debba escludere che l'incidente di esecuzione, correlato esclusivamente all'ipotesi della totale irrilevanza del fatto, sia la sede idonea per discutere nuovamente della legalità convenzionale della decisione definitiva di condanna, proprio perché la decisione, per quanto allegato e riscontrato, non presentava aspetti di illegalità convenzionale.

Ciò che comunque appare in generale risolutivo nella considerazione dei diversi mezzi articolati dal ricorrente Dell'Utri (uno dei casi più significativi in questo senso), sulla base delle diverse decisioni della Corte, è la considerazione del mancato ricorso in sede europea e dunque della concreta assenza di una decisione che abbia accertato un'illegalità convenzionale da eseguire ai sensi dell'art. 46 della Convenzione, in presenza di una sentenza, quale quella nei confronti del Contrada, che non ha natura di sentenza pilota, né si caratterizza per essere stata pronunziata in relazione a situazioni e violazioni a carattere sistemico (la stessa decisione della Corte EDU infatti si presenta correlata esclusivamente al caso esaminato nei confronti del ricorrente Contrada).

Dunque sebbene siano state scelte due diverse vie per ottenere l'allargamento della decisione Contrada c. Italia sembra potersi affermare l'inidoneità di tali strumenti (revisione europea e incidente di esecuzione) al fine indicato nelle relative istanze, sia per la mancanza dei presupposti legittimanti l'avvio di una revisione europea, che per l'assenza di elementi che possano ritenere possibile una incisione sul titolo esecutivo in mancanza di una pena evidentemente illegale o di una norma che abbia dichiarato costituzionalmente illegittima la norma applicata.

Rimane dunque come presidio ineludibile la difesa delle situazioni esaurite e dunque del giudicato come diversamente sottolineato dalle sentenze sopra richiamate.

In senso conforme si è di recente pronunziata anche la Quinta sezione della Corte di Cassazione, con la decisione n. 7918 del 2019, che ancora una volta ha affermato l'impossibilità di ricorrere alla revisione europea richiamando l'effetto estensivo di un giudicato convenzionale distinto, in mancanza di avvio di ricorsi dinnanzi alla Corte EDU.

Nel caso concreto il ricorrente chiedeva l'estensione nei suoi confronti del portato della decisione della Corte EDU Lorefice c. Italia, della quale riteneva la natura di sentenza pilota, considerato il vizio sistemico rilevato relativo ad una identica progressione sfavorevole del giudicato, consistente nel passaggio da sentenza assolutoria di primo grado a sentenza di condanna in secondo grado in assenza di rinnovazione della prova ritenuta decisiva. Sempre nell'ambito del ricorso si evidenziava come la natura pilota della sentenza Lorefice e l'effettivo riscontro di un vizio a carattere sistemico doveva essere desunta anche dall'intervento del legislatore, conseguente alla nota decisione Dasgupta delle Sezioni Unite, con l'introduzione del comma 3- bis, dell'art. 603 c.p.p. da parte della L. n. 103 del 2017.

La Corte ha ritenuto infondato il motivo di ricorso posto quanto all'estensione della sentenza Lorefice c. Italia mediante l'accesso alla revisione europea, dichiarando inammissibile il ricorso e chiarando che la genesi dell'intervento normativo richiamato dalle difese doveva essere rintracciata nel recipimento progressivo di principi enunciati dalla stessa giursprudenza di legittimità, a sua volta permeata dall'orientamento espresso dalla Corte di Strasburgo “all'esito di una profonda e complessiva rivisitazione della disciplina processuale del giudizio di appello”, orginata da precedenti decisioni della Corte di cassazione in tema di motivazione rafforzata, in applicazione del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio.

Ne consegue, secondo la decisione sopra richiamata, che la riforma della fase istruttoria del processo d'appello risulta fondata su una molteplicità di principi concorrenti, sollecitati dalla giuriprudenza convenzionale nel suo complesso, è” non già dalla necessità di adeguamento ad un dictum vincolante della Corte EDU per lo Stato italiano, e non può pertento essere posta ex se a fondamento di un'istanza di revisione, in quanto, pur ispirata a decisioni della Corte di Strasburgo, costituisce il punto di arrivo di un originale percorso interpretativo, che ha avuto ad oggetto il sistema processuale italiano, destinato “ad uniformare per il futuro l'orientamento giurisprudenziale, ma senza che possa incidere retroattivamente ab extrinseco, nei casi in cui si sia formato il giudicato”.

Ciò posto la decisione della Quinta sezione penale ha escluso il carattere di sentenza pilota della sentenza Lorefice c. Italia, considerato sia il dispositivo, che nel suo tenore si presenta limitato al riconoscimento della sola tutela risarcitoria, che “l'ordito motivazionale”, centrato esclusivamente sulla disamina dello specifio caso sottoposto alla Corte di Strasburgo ed alla conseguente violazione dell'art. 6 della Convenzione per una progressione sfavorevole del processo penale celebrato nei confronti del ricorrente. La condanna emessa dunque nel caso Lorefice nei confronti dello Stato italiano, proprio per le sue caratteristiche, non giustifica un'interpretazione estensiva dell'istituto della revisione europea tendente a consentire l'incisione del giudicato formatosi nei processi che hanno riguardato casi asseritamente analoghi, ovvero genericamente connotati dallo stesso vizio procedurale.

Richiama quindi in tal senso la Quinta sezione la decisione della Sesta sezione n. 21635 del 2017 che esclude l'esperibilità generalizzata del rimedio della revisione europea fuori dei limiti del giudicato convenzionale alle ipotesi di riforma della sentenza di assoluzione in assenza della previa rinnovazione della prova dichiarata decisiva, con l'ulteriore precisazione che la richiesta estensione non è praticabile in via interpretativa neanche quando la sentenza della Corte EDU posta alla base dellla revisione abbia effettivamente la qualità di sentenza pilota.

La ratio da rinvenire in modo esplicito al contenimento della revisione europea negli stretti limiti tracciati dalla Corte costituzionale deve essere quindi identificata nella difesa delle situazioni processuali esaurite, ovvero del giudicato, ancora oggi presidio ineludibile della certezza del diritto.

Richiama dunque il portatto motivazionale e le ragioni esplicitate in tal senso dalla sentenza Cairolo, ritenendo non condivisibili gli orientamenti giurisprudenziali che estendono la revisione europea oltre gli stretti limiti evidenziati dalla Corte costituzionale, sostanzialmente rendendo possibile l'utilizzo della revisione europea anche per processi coperti da giudicato, non esaminati dalla Corte di strasburgo, che presenterebbero vizi asseritamente analoghi a quelli rilevati dalla Corte EDU in uno specifico caso, a prescidnere dalla natura pilota o meno della decisione. Solo l'accesso effettivo dunque del ricorrente, con ricorso alla Corte di Strasburgo, avrebbe consentito l'eventuale possibile o potenziale riconoscimento, nel caso concreto, di un'effettiva violazione delle garanzie convenzionali. E solo in questo caso, ove l'unico rimedio sia da considerare la riedizione del processo, sarà possibile giungere all'utilizzo dello strumento della revisione europea.

Un orientamento questo che tende a consolidarsi in diverse pronunce della Corte di cassazione e che di fatto, a fronte delle decisioni della Prima e Sesta sezione, sopra richiamate ha portato al radicarsi di un conflitto interpretativo.

Infatti occorre considerare come, proprio con riferimento al portato della sentenza delle Sezioni Unite Demitry, e al collegamento con l'affermazione della Corte EDU nel caso Contrada, secondo la quale il reato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso sarebbe da ritenere un reato di creazione giurisprudenziale, è emerso un contrasto interno alla stessa Prima Sezione.

In tal senso occorre richiamare alcune recenti decisioni che hanno ancora una volta confermato il principio di diritto enunciato dalla sentenza della Seconda Sezione Cairolo e, in precedenza, dalla Sesta Sezione (n. 39925 del 2014), che aveva a suo tempo chiarito che è inammissibile l'istanza di revisione fondata sulla richiesta di applicazione dei principi enunciati da una sentenza della Corte EDU riguardante "errores in procedendo" verificatisi in procedimento relativo ad altro imputato, in ragione dell'asserita sussistenza di una situazione analoga, in quanto, la violazione dei parametri convenzionali si misura nella logica dell'effettiva lesione del diritto ad un equo processo, alla luce di valutazioni strettamente correlate alla fattispecie specifica.

In particolare la Prima Sezione con la decisione n. 56613 del 2018, richiamando il principio predetto - ancora una volta evidenziando la portata insuperabile del principio di salvaguardia delle situazioni esaurite e coperte da giudicato e l'irrilevanza della presenza o meno di una sentenza pilota – ha sottolineato che nella valutazione del caso concreto (relativo alla violazione del principio del c.d. giusto processo “europeo” per mancata riassunzione in appello di due prove decisive a seguito di assoluzione in primo grado) “è decisivo ai fini della dichiarazione di inammissibilità del ricorso l'oggettiva assenza di una decisione della Corte EDU resa nella medesima vicenda oggetto della condanna irrevocabile”.

Anche in questo caso è stata esclusa la natura di sentenza pilota per la sentenza Lorefice c.Italia. In motivazione la Corte ha precisato che se la dizione dell'

art. 46 della Convenzione EDU

deve essere inteso nel senso che l'obbligo di adeguamento dello Stato attiene alle sentenze definitive della Corte sulle contorversie nelle quali sono parti, non vi è ragione di prendere in considerazione il tema sostenuto da altri delle c.d. sentenze pilota.

In sostanza o vi è un giudicato europeo rispetto al quale è sancito un dovere di adempimento e riapertura del procedimento o, in mancanza, è da escludere l'interpretazione estensiva per casi analoghi in mancanza di ricorso alla Corte EDU. La Corte in questa decisione afferma che, in generale, quando si chiede, come accaduto in diverse occasioni, l'estensione di una decisione Corte EDU intervenuta tra altri, non è in discussione l'obbligo di conformazione alle sentenze della stessa Corte, ma piuttosto se da un orientamento anche consolidato in sede d'interpretazione della Corte possa discendere il superamento di situazioni coperte da giudicato di condanna in assenza di un vero e proprio obbligo di esecuzione.

Insuperabile per Sezione Prima la portata letterale e chiarissima della decisione della Corte costituzionale che ha introdotto la revisione europea al fine di realizzare la restitutio in integrum, tramite riapertura del processo, solo mediante l'adozione di misure individuali che lo Stato convenuto è tenuto a porre in essere, così che occorra mettere in discussione il giudicato formatosi “sulla vicenda giudiziaria sanzionata”.

Emerge una chiara volontà della Corte costituzionale di centrare l'attenzione “sulla singola e specifica vicenda, senza poter giustificare letture ampie che inducano a utilizzare la revisione al di fuori di ben precisi obblighi esecutivi in favore del singolo ricorrente davanti alla Corte EDU”.

Difatti l'art. 46 della CEDU deve essere letto in combinazione con l'art. 41 a norma del quale se la Corte dichiara che vi è stata violazione della convenzione o dei suoi protocolli e il diritto interno dell'altra parte contraente non permette che in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa. Ne consegue secondo la Corte che sembra incontestabile che le “misure di specifica reintegrazione nello status quo ante siano una modalità di esecuzione, certo migliore, ma di pari natura della soluzione indennitaria, e come questa devono allora essere valutate in riguardo esclusivamente al condannato che abbia vittoriosamente esperito un ricorso in sede europea”.

Ancora una volta, con motivazione articolata e puntuale, si sottolinea la funzione a carattere esecutivo della revisione europea come alternativa alla soluzione indennitaria, ma sempre con riferimento ad un caso concreto oggetto di ricorso dinnanzi alla Corte EDU.

Ci si discosta criticamente dalla decisione della Prima Sezione n. 44193 del 2016, secondo la quale lo strumento per adeguare l'ordinamento interno ad una decisione definitiva della Corte EDU va individuato in via principale nella revisione introdotta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 113 del 2011, anche nel caso in cui il condannato nel processo asseritamente iniquo sia diverso dal ricorrente in sede europea, e ciò perché se così si ragionasse si dovrebbe di fatto affermare che la portata demolitoria di una qualsiasi sentenza della Corte EDU rispetto a situazioni coperte da giudicato sarebbe ben più pregnante e rilevante della portata delle decisioni di legittimità costituzionale pronunziate dalla Corte costituzionale rispetto a norme di pari tipo.

Infatti per le pronunce di illegittimità costituzionale la legge indica espressamente la disciplina e rilevanza di tali decisioni rispetto a giudicati di condanna, prescrivendo espressamente che “quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali (art. 30, comma 4, della legge n. 87 del 1953)”. Richiamando argomentazioni già evidenziate dalla sentenza Cairolo, questa decisione sottolinea come anche la pronuncia di illegittimità costituzionale è in grado di travolgere il giudicato quando ad esempio la illegittimità accertata abbia ad oggetto un trattamento sanzionatorio, ma solo ed in quanto tale trattamento sia ancora in corso (Cass. pen., Sez. Unite n. 18821 del 2014, Ercolano).

A parere della Prima Sezione se queste sono le complessive considerazioni relativamente ai diversi limiti ordinamentali, questi stessi parametri non possono essere applicati al caso in cui oggetto della dichiarazione di incostituzionalità sia una norma processuale applicata nel singolo processo, conclusosi con il giudicato di condanna, seppure si possa ritenere che appartenga al nucleo del c.d. giusto processo costituzionale. Supporto interpretativo che trova poi la propria origine già nella decisione Lista delle Sezioni Unite (n. 27614 del 2007) secondo la quale appunto «vale l'indiscusso principio per il quale la sentenza che dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma di legge ha efficacia erga omnes.. e forza invalidante, con conseguenze simili a quelle dell'annullamento, nel senso che essa incide … anche retroattivamente in relazione a fatti o rapporti instauratisi nel periodo in cui la norma incostituzionale era vigente, sempre però che non si tratti di situazioni giuridiche esaurite, e cioè non suscettibili di essere rimosse o modificate, come quelle determinate dalla formazione del giudicato, dall'operatività della decadenza, dalla preclusione processuale».

Una diversa conclusione, volta ad attribuire alla revisione europea una portata generale con rimozione dei giudicati relativi a casi analoghi per violazioni dell'art. 6 della Convenzione, determinerebbe a parere del collegio giudicante uno squilibrio irragionevole nell'ordinamento interno, non giustificato dalle previsioni convenzionali (viene richiamata Sezioni Unite n. 34472 del 2012 Ercolano). In tal senso appare imprescindibile chiarire che, ove vengano riscontrati ex art. 6 errores in procedendo, questi attengono inevitabilmente alla vicenda specifica oggetto di ricorso, con un accertamento che non può che essere rilevato se non caso per caso. Viene quindi richiamato quale principio di diritto adeguato alla soluzione del caso sottoposto alla Corte quello già da tempo evidenziato dalla decisione Attanasio della Sesta Sezione penale (n. 39925 del 2014), poi ulteriormente approfindito dalla sentenza Cairolo.

Occorre infine dar conto di altre recenti decisioni sul tema della revisione europea, che propongono interessanti riflessioni proprio quanto alla portata della sentenza Contrada e al tema della prevedibilità del reato di concorso esterno nel reato di associazione di stampo mafioso.

La decisione della Prima Sezione n. 13856 del 2019 è relativa al rigetto pronunziato dal Tribunale di Marsala quanto alla richiesta di imputato, condannato per il reato di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso, volta ad ottenere la revoca del giudicato di condanna in forza del portato della decisione della Corte EDU Contrada c. Italia.

Il ricorrente ha dunque azionato lo strumento esecutivo per ottenere la revoca del giudicato di condanna e ha sottolineato che, ove si ritenesse strumento adeguato a tal fine invece la revisione europea, sarebbe necessaria la rimessione della questione alle Sezioni Unite sul punto, attesa la presenza di diversi orientamenti interpretativi nell'ambito della Corte di cassazione. Il ricorrente ha poi proposto motivo nel quale ha sostenuto difetto di motivazione, considerato che soltanto con la sentenza Demitry delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, dell'ottobre 1994, è stato ammesso in maniera esplicita l'esistenza del reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, con conseguente illegittimità delle condanne emesse per fatti commessi prima di quella data, a prescindere dalla data della pronunzia.

La decisione chiarisce che la questione relativa all'estensione della portata della decisione Corte EDU Contrada c. Italia è stata più volta esaminata dalla Corte di cassazione, con la costante affermazione che tale decisione non può essere estesa a casi diversi da quello che ne forma direttamente oggetto, in relazione al quale soltanto vigono gli obblighi imposti dall'art. 46 CEDU; ciò perchè l'assunto per il quale il concorso esterno in associazione di tipo mafioso costituirebbe reato di creazione giurisprudenziale non corrisponde alla realtà dell'ordinamento penale nazionale, che si ispira al criterio di legalità formale (Sezione I, n. 36509 del 2018, Marfia, Sezione I n. 8861 del 2018, Esti).

Il punto di svolta interpretativo di questo filone di decisioni è rappresentato dalla considerazione che le affermazioni della Corte EDU circa l'origine meramente giurisprudenziale della fattispecie incriminatrice del concorso esterno si pongono in termini problematici rispetto al modello di legalità formale al quale è ispirato il nostro sistema penale, in cui non è ammissibile alcun reato di origine giurisprudenziale, atteso che la punibilità della condotta illecita trova il suo fondamento nei principi di legalità e tassatività. (Sezione I, n. 35509 del 2018). Infatti, per come affermato dalla decisione delle Sez. Unite Mannino (n. 33478 del 2005) la fattispecie di concorso eventuale nel reato associativo è il risultato della combinazione della clausola generale di previsione del concorso di persone nel reato di cui all'art. 110 c.p. con la norma incriminatrice della partecipazione associativa strutturata come reato necessariamente plurisoggettivo, con la possibilità conseguente di consentire rilevanza ed estendere l'area della tipicità e della punibilità delle altre condotte, altrimenti atipiche, di soggetti esterni al gruppo associativo.

Viene evidenziata l'erroneità della premessa dalla quale ha preso spunto la sentenza della Corte Edu nel caso Contrada c. Italia, essendo stata trascurata la considerazione che “la punibilità del concorso eventuale di persone nel reato nasce, nel rispetto del principio di legalità, sancito dall'art. 1 del c.p. e dall'art. 25, comma 2, Cost. dalla combinazione tra le singole norme penali incriminatrici specili e l'art. 110 c.p.” (Sezione quinta n. 42966 del 2016). Richiamati questi presupposti, ed in particolare l'inconciliabilità dell'affermazione dell'origine giurisprudenziale del reato con i principi di stretta legalità che governano il sistema penale italiano, diverse decisioni della Corte di cassazione hanno per ciò stesso ritenuto l'impossibilità di esportare a casi analoghi la portata della decisione Contrada, a prescindere dalla scelta dello strumento indicato alternativamente nella revisione europea o nell'incidente di esecuzione.

Con la decisione n. 12802 del 2019 la Prima Sezione ha affrontato il ricorso con il quale si censurava la valutazione d'inammissibilità pronunziata dalla Corte di appello di Salerno da parte di soggetti condannati per partecipazione ad associazione a delinquere di tipo mafioso, che ritenevano la loro situazione processuale sostanzialmente assimilabile a quella oggetto della decisione della Corte EDU Dan c. Moldavia, poiché nell'ambito del loro processo era stato azionato un meccanismo di recupero probatorio ex art. 500, comma 4, c.p.p. incompatibile con la pretesa di rinnovazione del mezzo di prova. La corte territoriale aveva innanzi tutto evidenziato la mancanza di una sentenza della Corte EDU alla quale uniformarsi in relazione allo specifico caso concreto e dall'altro sottolineava come la ratio sottesa al diniego della rinnovazione era da rinvenire nella sopravvenuta impossibilità di giungere ad una genuina riassunzione della prova a causa della subornazione del teste.

Sul tema specifico della revisione europea, e della conseguente possibilità di riconoscere effetti estensivi alle decisioni non pilota su casi diversi della Corte EDU, la Prima sezione ha affermato che nel caso concreto il principio convenzionale richiamato dai ricorrenti era già stato affermato e doveva essere fatto valere, essendo il processo ancora in corso, con gli ordinari rimedi e strumenti di impugnazione, ovvero il ricorso per cassazione, con conseguente non azionabilità dello strumento della revisione una volta che le censure non siano state in alcun modo dedotte nel giudizio di merito prima di giungere al giudicato.

Secondo la Corte dunque la mancata proposizione delle doglianze nel merito, già proponibili all'epoca in considerazione della previa affermazione di un principio convenzionale, impedirebbe l'avvio del meccanismo della revisione europea anche in considerazione del disposto dell'art. 35 della CEDU, che prevede che il ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo sia esperibile solo una volta esauriti i rimedi interni, principio questo richiamato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 113 del 2011 e più volte ribadito dalla stessa Corte EDU. In tal senso anche la Corte EDU ha affermato che, nel caso Negrea e altre c. Romania, in virtù dell'art. 1 della Convenzione, l'attuazione e la ratifica dei diritti e delle libertà grantiti dalla Convenzione spettano in primo luogo alle autorità nazionali. Ne consegue che il meccanismo di denuncia alla Corte EDU assume carattere sussidiario rispetto ai sistemi nazionali di salvaguardia dei diritti dell'uomo. Gli stati contraenti hanno dunque la possibilità e l'occasione di prevenire o riparare le violazioni imputate agli stessi, prima che vengano sottoposte alla Corte EDU. Il ricorso in sede europea dunque rappresenta secondo il collegio un'extrema ratio, che consente di travolgere il giudicato formatosi realizzando una sorta di ulteriore grado di giudizio, che tuttavia si deve ritenere limitato e circoscritto solo ed esclusivamente alla specifica criticità che viene denunciata.

Proprio questi presupposti giustificano a parere della Corte la natura esecutiva della revisione europea, come chiaramente affermato dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 113 del 2011. La portata della decisione della Corte costituzionale ha chiarito, secondo il collegio, come il rimedio di nuova introduzione sia esplicitamente correlato alla necessità di «conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte EDU, la quale abbia affermato come necessaria la riapertura di un determinato processo». La funzione della revisione europea deve dunque essere individuata secondo la Corte come una funzione eminentemente “esecutiva”, come esplicitamente chiarito dalla Corte costituzionale con il richiamo all'art. 46 della Convenzione e alla violazione accertata ex art. 6.

E se la giurisprudenza di Strasburgo ha evidenziato che il rimedio tipico per sanzionare una violazione ai sensi dell'art. 6 della Convenzione è rappresentato dalla possibile “restitutio in integrum”, nel rispetto di tutte le regole di un processo equo, occorre a parere del collegio che a tal fine sia possibile rimettere in discussione il giudicato, e specificamente quello, già formatosi sulla vicenda giudiziaria sanzionata, proprio per consentire al singolo interessato nella specifica vicenda di agire giudizialmente nelle medesime condizioni in cui si sarebbe trovato in assenza della lesione accertata.

È solo in questo caso, e in considerazione della specifica violazione procedurale accertata con la decisione della Corte EDU, che sarà possibile giungere ad una deroga del principio di carattere generale per cui i vizi processuali restano coperti dal giudicato.

La revisione europea ha dunque il carattere di strumento che interviene nella fase patologica, quando il procedimento si è concluso e il principio non ha trovato attuazione, perché non è stato riconosciuto, sebbene siano stati esauriti i rimedi interni.

Da ciò deriva l'onere per il ricorrente di adire la Corte EDU perché tale principio possa trovare applicazione, nonostante la formazione del giudicato. A tal fine “deve dimostrare però di avere azionato tutti i rimedi interni e di non essere riuscito, ciò nonostante, ad ottenere che il principio convenzionale fosse applicato.”

Permane dunque a parere della Corte la considerazione della revisione europea quale strumento straordinario e la causa necessitante della stessa deve essere individuata nella presenza di una sentenza della Corte EDU alla quale conformarsi per dare applicazione ad un principio convenzionale già affermato e non riconosciuto nel caso specifico. Ne consegue che la Corte europea nell'accertare l'inosservanza dei canoni del giusto processo opera una valutazione complessiva strettamente legata al caso concreto, sì che il deficit di garanzia potrebbe per soggetti diversi non sortire effetti analogamente lesivi.

Circostanza questa emergente anche dalla decisione n. 210 del 2013 della Corte costituzionale, che ha chiarito che l'accertamento di non equità del processo ex art. 6 della CEDU vertendo su errores in procedendo, e implicando valutazioni strettamente correlate alla fattispecie specifica, non può che essere compiuto caso per caso, con l'effetto che il giudicato interno può essere messo in discussione soltanto a fronte di un vincolante dictum della Corte di strasburgo sulla medesima fattispecie. In sostanza viene richiamato il valore del giudicato anche nella sua portata convenzionale. Quanto invece alla violazioni sostanziali si deve considerare come un intervento adeguatore sia possibile, considerando recessivo il valore dell'intangibilità del giudicato, a fronte di sopravvenienze relative alla punibilità e al trattamento punitivo del condannato, mediante l'attivazione di un rimedio dirimente in sede esecutiva.

L'ordinanza di rimessione n. 21767 del 2019.

Il caso sottoposto alle Sezioni Unite della Corte di cassazione è relativo al rigetto pronunziato dalla Corte di appello di Caltanissetta quanto alla richiesta di revisione proposta dall'imputato avverso la sentenza della Corte di assise di Palermo del 15 febbraio 1999, con la quale lo stesso era stato condannato per il reato di cui agli art. 110, e 416-bis cod. pen. commesso sino alla data del 5 febbraio 1994.

In particolare l'istante risultava condannato quale concorrente esterno nel reato predetto avendo realizzato contributi apprezzabili per la sua esistenza.

Veniva quindi, come nel caso Contrada, in considerazione dell'epoca dei fatti contestati, richiamato il difetto di chiarezza e prevedibilità.

Secondo il ricorrente qualsiasi condanna per concorso esterno in associazione mafiosa, commesso anteriormente all'ottobre 1994, doveva essere ritenuta necessariamente censurabile ai sensi dell'art. 7 CEDU per il principio sancito dell'irretroattività della norma incriminatrice. In sostanza il richiamo effettuato dalla Corte Europea quanto alla mancanza di una base legale della condanna a causa del difetto di prevedibilità (perché di creazione giurisprudenziale) determinerebbe un vero e proprio vizio sistemico dell'ordinamento nazionale, non suscettibile di valutazioni caso per caso.

Occorre ricordare che la Corte di appello di Caltanissetta ha ritenuto ammissibile la richiesta di revisione, richiamando il portato della decisione della sentenza della Corte di cassazione n. 44193 del 2016 (così massimata: “Lo strumento per adeguare l'ordinamento interno ad una decisione definitiva della Corte EDU va individuato, in via principale, nella revisione introdotta dalla sentenza additiva della Corte costituzionale n. 113 del 2011, applicabile sia nelle ipotesi di vizi procedurali rilevanti ex art. 6 della Convenzione EDU, sia in quelle di violazione dell'art. 7 della stessa Convenzione che non implichino un vizio assoluto di responsabilità (per l'assenza di una norma incriminatrice al momento del fatto), ma solo un difetto di prevedibilità della sanzione - ferma restando la responsabilità penale - o che comunque lascino aperte più soluzioni del caso; lo strumento dell'incidente di esecuzione, invece, può essere utilizzato solo quando l'intervento di rimozione o modifica del giudicato sia privo di contenuto discrezionale, risolvendosi nell'applicazione di altro e ben identificato precetto senza necessità della previa declaratoria di illegittimità costituzionale di alcuna norma, fermo restando che, qualora l'incidente di esecuzione sia promosso per estendere gli effetti favorevoli della sentenza della Corte EDU ad un soggetto diverso da quello che l'aveva adita, è necessario anche che la predetta decisione (pur non adottata nelle forme della "sentenza pilota") abbia una obiettiva ed effettiva portata generale, e che la posizione dell'istante sia identica a quella del caso deciso dalla Corte di Strasburgo”).

Dunque presupposto della decisione della Corte di appello di Caltanissetta è stata ritenuta la piena applicabilità della revisione “europea”nei giudizi definiti con sentenza irrevocabile non solo in tema di equo processo ex art. 6, ma anche per violazioni sostanziali ex art. 7. È stata affermata la piena ricorribilità al rimedio della revisione europea per rimuovere un vizio dell'accertamento sostanziale della responsabilità non assoluto, con conseguente necessità di apprezzamento discrezionale con un nuovo giudizio.

Ciò posto la Corte di appello di Caltanissetta ha rigettato la richiesta di revisione europea ritenendo che la commissione del fatto anteriorimente alla decisione Demitry delle Sezioni Unite non comportasse di per sé la violazione dell'art. 7 CEDU, così dovendosi valutare la concreta vicenda processuale, la condizione soggettiva dell'imputato al momento del fatto, le modalità di esercizio della difesa durante il processo; nonchè affermando che la sentenza Contrada c. Italia non poteva spiegare effetti generali nell'ordinamento italiano, considerato che sul punto si era consolidato l'orientamento interpretativo che evidenziava come tale sentenza muovesse dall'erroneo presupposto che il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa fosse di creazione giurisprudenziale.

In assenza di un apprezzabile deficit sistemico e tenuto conto delle contestazioni elevate la richiesta veniva quindi rigettata.

Avverso questa decisione è stato proposto ricorso per cassazione sollecitando la considerazione di diverse violazioni di legge ex artt. 629 e 630 c.p.p., 3, 24, 97, 11, 117 Cost. e 13, 14 CEDU a causa della disapplicazione da parte della Corte di appello della sentenza Contrada c. Italia, poiché incorrerebbe sul giudice nazionale l'obbligo di evitare nuove ed analoghe violazioni, a prescindere dal fatto dell'effettiva presentazione di ricorso anche dinnanzi alla Corte EDU, con richiesta di rimessione delle questioni sollevate alle Sezioni Unite.

La sezione remittente ha introdotto i temi oggetto di rimessione con un'approfondita e sistematica considerazione delle decisioni della Corte costituzionale e della Corte di cassazione in materia circa l'efficacia espansiva delle sentenze della Corte EDU (i c.d. figli minori), con particolare rfierimento al tema sollevato dell'effettiva portata erga alios della sentenza dalla Corte EDU Contrada c. Italia.

La portata della decisione della Corte costituzionale n. 113 del 2011, quanto agli strumenti accordati dall'ordinamento per rendere eseguibile una condanna pronunciata dalla Corte EDU ove fosse stata accertata la violazione dei principi in tema di equo processo, è centrata su di una violazione delle garanzie previste dall'art. 6, mentre nel caso Contrada la violazione accertata deve essere riferita all'art. 7 della Convenzione.

Questo è certamente uno dei punti principali di riflessione dell'ordinanza di rimessione in relazione alla particolarità del caso concreto.

Viene quindi richiamato sinteticamente il ragionamento della Corte EDU, secondo il quale era incontroverso tra le parti il fatto che la fattispecie di concorso esterno in associazione di tipo mafioso costituisse un reato di origine giurisprudenziale, considerato che i giudici di merito avevano richiamato a fondamento della decisione, e della configurabilità del reato di concorso esterno, le sentenze emesse dalla Corte di cassazione tra l'anno 1994 e l'anno 2005, sicchè si doveva concludere che all'epoca in cui erano stati commessi i fatti ascritti al ricorrente il reato in questione non fosse sufficientemente chiaro e prevedibile, con la conseguenza che il ricorrente non poteva conoscere chiaramente la pena nella quale poteva incorrere, in presenza di una evidente violazione dell'art. 7 della Convenzione.

L'ordinanza di rimessione sottolinea che, a seguito della definitività della decisione Contrada c. Italia, la stessa risulta inserita nel sito web del Dipartimento per l'esecuzione delle sentenze della Corte EDU ed è significativamente classificata come “leading case”, ovvero come uno di quei casi che in base alla valutazione diretta della Corte o del Comitato dei Ministri rivelano nuovi problemi strutturali o sistemici, che richiedono quindi l'adozione di misure generali per prevenire analoghe violazioni in futuro.

Sembra emergere già a livello sovranazionale, a parere del collegio remittente, un elemento di particolare rilevanza quanto alla considerazione della portata della decisione Contrada c.Italia.

Tuttavia il Governo italiano ha obiettato, nel senso della non necessità di misure generali: - che la sentenza Contrada non rappresenta una sentenza pilota, e che nella decisione non si riscontra alcun riferimento ad un problema strutturale del sistema penale italiano, né tanto meno sono state richieste misure da eseguire, neppure individuali, oltre al risarcimento del danno; - che il sistema italiano si basa sul principio costituzionale della legalità della pena e della riserva di legge, senza alcuna possibilità per la giurisprudenza di creare nuove norme incriminatrici, ma solo di interpretarle secondo criteri esegetici bene determinati; - che il sistema interno offre comunque una serie di rimedi per coloro che si trovino in una situazione identica a quella che ha già dato luogo alla constatazione della violazione da parte della Corte EDU, considerati i principi elaborati dalla Corte costituzionale (sentenza n. 201 del 2013, 49 del 2015, 57 del 2016) e dalla Corte di cassazione.

In sostanza, dopo aver richiamato i rimedi interni attivabili, il Governo ha chiesto che la questione venga riesaminata dalla Corte EDU, considerato l'errore di fatto sul quale era stata basata la decisione Contrada, ovvero l'affermazione secondo la quale non vi fosse stata contestazione in ordine alla origine giurisprudenziale del reato di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso, quanto un errore di diritto, in ordine alla mancata valutazione delle regole in materia di concorso di persone nel reato e all'adozione di una nozione di prevedibilità ampia e suscettibile di vanificare le disposizioni penali.

Il collegio affronta quindi alcuni temi presupposto della questione rimessa, ovvero da una parte il tema dell'efficacia espansiva delle sentenze della Corte EDU e dall'altra la effettiva portata della decisione Contrada c. Italia quanto ad eventuali deficit sistemici del nostro ordinamento.

Un elemento da sottolineare, rispetto alle precedenti interpretazioni della Corte di casssazione, è che secondo il collegio remittente “l'ampiezza del dispositivo della sentenza 113 del 2011 fa poi ritenere il rimedio forgiato dalla Corte costituzionale non limitato soltanto alla tipologia di violazioni dell'equo processo… ben potendo anche una violazione che attiene al diritto sostanziale richiedere per essere riaperta, un'ulteriore attività cognitiva del giudice”. Mentre quello che sembra essere, sulla base di tale pronuncia, tratto essenziale del rimedio della revisione europea è che lo stesso venga azionato da soggetti che hanno adito vittoriosamente la Corte di Strasburgo, come ribadito dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 123 del 2017.

La considerazione dell'evoluzione interpretativa della Corte costituzionale in ordine alla efficacia delle sentenze della Corte EDU porta il collegio remittente a sottolineare che, pur restando la decisione sempre legata alla concretezza della situazione che la ha originata, può comunque assumere un valore generale e di principio (Corte cost. n. 236/2011) e i giudici interni devono sì applicare e interpretare in prima battuita il sistema normativo di riferimento, ma non possono ignorare l'interpretazione della Corte EDU una volta che si sia consolidata in una certa direzione (Corte cost. n. 49 del 2017).

Secondo il collegio remittente dunque, tenuto conto dell'evoluzione interpretativa della Corte costituzionale, il giudice interno è tenuto a porre a fiondamento del proprio processo interpretativo ”solo un diritto consolidato, generato dalla giurisprudenza europea anche sotto forma di sentenza pilota, mentre nessun obbligo esiste in tal senso a fronte di pronunce che non siano espressive di un orientamente oramai divenuto definitivo”.

Il gudice poi può valutare se effettivamente un certo orientamento si possa di fatto considerare consolidato o meno, e tale elemento può emergere come evidenziato dalla Corte costituzionale nel caso in cui il giudice europeo non sia stato messo in grado di apprezzare i tratti peculiari dell'ordinamento giuridico nazionale (sent.n. 49 del 2015). Tutto sempre però che non ci si trovi di fronte ad una sentenza pilota, poiché in questo caso, contrariamente a quanto sostenuto da altre decisioni della Corte di cassazione, il giudice italiano si dovrà ritenere vincolato a recepire la norma individuata a Strasburgo, adeguando ad essa il suo criterio di giudizio.

Ovviamente tale processo decisionale risulta condizionato dalla necessità di un costante bilanciamento con altri principi presenti nella Costituzione, di modo che non si giunga ad una valutazione sistemica diversa o in contrasto con quella oggetto di accertamento nel caso di specie a seguito del riconoscimento della violazione di un diritto fondamentale riconosciuto dalla CEDU.

Viene inoltre richiamata la portata della sentenza dalla Corte costituzionale n. 210 del 2013, quanto al tema della rivisitabilità del giudicato di condanna per effetto di una violazione sistemica rilevata dalla Corte EDU.

Il richiamo è all'ormai noto caso Ercolano e all'affermazione della Corte costituzionale secondo la quale, tenuto conto della sentenza Scoppola (richiamata dal giudice remittente), per stabilire la portata generale o meno di una sentenza della Corte EDU non appare necessario che la stessa contenga misure generali esplicite, incombendo comunque sullo Stato convenuto l'obbligo, in base all'art. 46 della CEDU di adoperarsi affinchè gli eventi lesivi siano eliminati.

Il richiamo alla portata del giudicato, e alle insite ragioni di certezza del diritto e di stabilità nell'assetto dei rapporti giuridici, sono state di fatto superate dalla necessità di evitare l'esecuzione di una sanzione rivelatasi, successivamente al giudicato, convenzionalmente e costituzionalmente illegittima.

Il tema è dunque, come noto, quello dell'illegalità della pena, un tema che “in fase esecutiva deve ritenersi costantemente sub iudice e non ostacolata dal dato formale della situazione esaurita”.

Il giudicato è quindi aggredibile, per come evidenziato dalle decisioni della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, quando la questione controversa, relativa alla specie e o alla misura della pena, sia identica a quella decisa dalla Corte EDU e la decisione sovranazionale alla quale adeguarsi abbia riscontrato un vizio strutturale della normativa interna, che o deve essere interpretato in modo convenzionalmente orientato ovvero sottoposto a giudizio di legittimità costituzionale ove ciò non sia possibile.

Le considerazioni del collegio remittente portano a distinguere nettamente le due situazioni previste quanto a violazioni convenzionali dell'art. 7 o dell'art. 6 della Convenzione EDU.

Così mentre per quanto riguarda violazioni a carattere sostanziale, considerata la specie o la misura di una pena illegale, può sembrare percorribile la via di un'estensione dell'accertamento convenzionale a situazioni analoghe, che non avrebbero altrimenti possibilità di tutela, diverso appare il caso in cui la violazione sia accertata a seguito di eventuali errores in procedendo, circostanza questa che implica valutazioni “strettamente correlate alla fattispecie specifica”, e che non può che essere compiuto caso per caso, con l'inevitabile conseguenza che il giudicato può essere intaccato soltanto in presenza di un vincolante dictum della Corte di Strasburgo sulla medesima fattispecie, atrraverso la riapertura del processo con la revisione europea.

Richiamando l'elaborazione delle Sezioni Unite, confluita nella sentenza Gatto, il collegio remittente ha sottolineato la “flessibilizzazione “ del giudicato là dove non venga in discussione l'incostituzionalità della norma incriminatrice, ma di altra norma sostanziale. Si deve dunque dare atto di una duplice dimensione del giudicato: una dimensione relativa all'accertamento del fatto, realmente intangibile, non essendo consentita al di fuori delle speciali ipotesi rescissorie una rivalutazione del fatto oggetto di giudizio; ed una differente dimensione relativa alla determinazione della pena, che sprovvista di reale copertura convenzionale o costituzionale appare maggiormente permeabile in bonam partem alle sollecitazioni esterne alla cosa giudicata, rivelando la rilevanza di un interesse collettivo, ovvero quello della certezza dei rapporti giuridici esauriti, suscettibile di bilanciamento con altri principi costituzionali e convenzionali, quali la libertà personale, la legalità della pena, la finalità rieducativa, il principio di uguaglianza che nella loro dimensione individuale sono prevalenti rispetto alla dimensione collettiva sottesa all'esigenza della certezza dei rapporti giuridici. (Sezioni Unite Marcon, n. 37107 del 2015).

Ciò posto, secondo il collegio remittente - considerato che l'interpretazione della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite ha riconosciuto la possibilità, attraverso l'incidente di esecuzione, di far valere violazioni di diritto sostanziale che non richiedono la riapertura del processo, ovvero valutazioni incompatibili con i poteri del giudice dell'esecuzione - è un dato di fatto che da tale ambito resterebbero esclusi, e dunque privi di tutela, le posizioni di coloro che vorrebbero avvalersi della decisione della sentenza europea, non avendo adito la Corte di Strasburgo, quando proprio per giungere a tale applicazione sarebbe necessario considerare la possibilità di una rivalutazione del caso.

In sostanza il collegio sottolinea come la revisione europea sarebbe rimedio astrattamente idoneo a rimediare anche questa particolare categoria di vizi, mentre l'interpretazione normalmente proposta ne limiterebbe gli effetti confinandone l'uso in relazione alle sole doverose esigenze esecutive derivanti da una pronuncia di condanna della Corte EDU, in attuazione degli specifici obblighi derivanti dall'art. 46 della Convenzione.

Tali elementi sono dunque posti dal collegio all'attenzione delle Sezioni Unite, considerata la presenza di orientamenti contrastanti all'interno della Corte in ordine all'estensibilità del dictum della sentenza Contrada c. Italia.

A seguito della decisione della Prima sezione penale, proprio sul caso Contrada n. 43112 del 2017 - secondo la quale in presenza di una violazione sostanziale, riconducibile all'art. 7 CEDU, poiché era stata riscontrata la genericità, imprecisione e indeterminatezza della base legale sulla quale si era giunti alla condanna, la soluzione poteva essere rinvenuta nell'incidente di esecuzione ricorrendo un errore di diritto che non chiedeva alcuna riedizione del processo, né tanto meno la rimozione del giudicato di condanna perché non richiesto dalla decisione della Corte EDU, risultando sufficienti gli interventi adottabili.

Il collegio remittente richiama la sentenza n. 44193 del 2016, sottolineando in particolare come, secondo questa decisione, pur non potendo essere considerata la sentenza Contrada c.Italia una sentenza pilota, tuttavia in tema di esecuzione erga alios i principi di sistema applicabili erano da identificare: - nella necessaria ricorrenza di un problema strutturale dell'ordinamento interno, derivante dall'applicazione di una norma di legge, purchè i casi da esaminare si presentino del tutto identici, con conseguente estensibilità ai sensi dell'art. 46 della CEDU quando emerga con chiarezza, o dalla decisione, o dall'interpretazione data della stessa, la natura generale della violazione del diritto riconosciuto dalla convenzione europea; - nel caso in cui l'infrazione derivi da una violazione di legge occorre la necessaria attivazione del giudizio di legittimità costituzionale rispetto a tale previsione per potenziale trasgressione del disposto dell'art. 117 Cost.: - nel caso in cui si giunga ad una pronuncia di incostituzionalità si dovrà rimediare mediante l'apertura di un procedimento di revisione europea.

Secondo la decisione, ed è questo certamente uno dei punti centrali della riflessione rimessa alle Sezioni Unite, la scelta della Corte costituzionale con la sentenza n. 113 del 2011 non preclude esplicitamente la rilevanza dell'intervento additivo anche in relazione a violazioni dell'art. 7 della Convenzione, considerati i termini assolutamente generici con in quali la stessa Corte costituzionale si era espressa. La soluzione adottata nel caso concreto dalla Corte è già stata ampiamente richiamata in precedenza (vaglio concreto della vicenda, rispetto al caso Contrada, al fine di riscontrare la sussistenza o meno in capo all'imputato di quel deficit soggettivo di prevedibilità negli effetti della condotta rilevante ai fini della colpevolezza).

Viene ancora una volta sottolineato uno dei punti fondamentali e caratteristici della decisione Contrada c. Italia, ovvero il fatto che l'incertezza sottolineata dalla Corte EDU era riferibile alla esatta qualificazione giuridica del fatto, che veniva immediatamente e conseguentemente a riflettersi sul quantum della pena. E sempre che in ordine a tale incisione della prospettiva di pena diversa e meno afflittiva sia stata comunque sollecitata dalla parte una diversa qualificazione giuridica della condotta.

Dunque deficit di prevedibilità collegato alla prevedibilità della pena e della sanzione rispetto alla condotta contestata, condotta la cui qualificazione risultava sin dall'inizio contestata dal ricorrente Contrada (favoreggiamento piuttosto che concorso esterno). Tale deficit non viene riscontrato dalla prima sezione penale in relazione al Dell'Utri, non solo perché lo stesso non aveva mai proposto la questione dinnanzi alla Corte EDU, ma soprattutto perché non aveva mai contestato la qualificazione giuridica dei fatti imputati, con conseguente reale consapevolezza delle questioni e della portata della pena conseguente alla imputazione allo stesso riferibile, anche considerato che le eventuali diverse condotte allo stesso ascrivibili (concorso esterno o partecipazione in associazione di stampo mafioso) risultavano punite con la stessa pena. Nello stesso senso Sez. I, n. 53610/2017, Gorgone.

In senso diverso, e di qui la considerazione del contrasto, Sez. 1 n. 8661/2018, Esti, secondo la quale non ricorre una possibilità di estensione erga alios della sentenza Contrada, considerato che gli obblighi di conformazione ex art. 46 CEDU riguardano lo specifico caso coinvolto dalla pronuncia, soprattutto tenuto conto del portato motivazionale della decisione europea, il cui nucleo centrale era costituito dalla ritenuta ed “incontroversa” tra le parti natura giurisprudenziale della fattispecie del concorso esterno in associazione mafiosa, affermazione questa non condivisa e contestata dalla decisione sopra richiamata.

Infatti il collegio afferma chiaramente in questo caso come fosse da escludere l'ingresso nell'ordinamento italiano di una fattispecie penale di origine giurisprudenziale, sicchè era da negare recisamente la ricorrenza di principi di carattere generale da applicare al di fuori del singolo caso concreto. Nello stesso senso si sono espresse diverse altre decisioni Sez. 5, n. 55894/2018, Sez. 1, n.13856/2019.

Il collegio remittente, dopo avere considerato il contrasto presente nelle decisioni della Corte, propone, a seguito di una critica circa le argomentazioni adottate dall'una e dall'altra decisione, una propria prospettiva interpretativa al fine di risolvere il contrasto.

In tal senso si afferma come la decisione della Corte EDU abbia in realtà ben inteso che la fonte del precetto sia da rinvenire come base legale nel codice penale, ritenendo piuttosto la creazione giurisprudenziale del risultato della combinazione inedita di due disposizioni incriminatrici rilevanti nel caso concreto.

Richiamato quindi il concetto di law ai sensi dell'art. 7 della Convenzione EDU (da riferire tanto al diritto di produzione legislativa quanto a quello di derivazione giurisprudenziale, inteso quale diritto vivente) il collegio sottolinea come nell'interpretazione della Corte EDU ricorre costantemente l'affermazione della violazione dell'art. 7 pur in presenza di una norma scritta, ma in assenza di una costante e uniforme giurisprudenza nazionale, ovvero in presenza di mutamenti interpretativi in malam partem.

Quindi anche la legge più indeterminata potrebbe da sola essere compatibile con il principio di legalità europea, se l'incertezza della sua formulazione fosse compensata da una giurisprudenza applicativa uniforme, ma non il contrario.

In tal senso si afferma che “il peso della certezza applicativa sembra prevalere nella giurisprudenza della Corte EDU sul valore della determinatezza testuale”.

Ne consegue secondo il collegio che la Corte EDU attribuisce all'interpretazione costante della giurisprudenza penale il “ruolo determinante di rendere prevedibile, e quindi compatibile con l'art. 7 un testo di legge”. Sicché, in concordanza con interpretazioni della dottrina, viene riconosciuta nell'art. 7 CEDU una garanzia ulteriore rispetto all'art. 25 della Costituzione che risiede nel fatto che “di fronte a qualsiasi norma di legge in vigore, magari già passata indenne al vaglio della Corte costituzionale, sotto il profilo della sua precisione, l'individuo potrà fare, al momento della decisione se agire o non agire, legittimo affidamento sull'interpretazione che di quella norma abbiano fornito i giudici interni avendo – così - un preciso diritto a non essere sorpreso ex post da estensioni interpretative di quella norma non prevedibili ex ante. E ciò del tutto indipendentemente dal fatto che queste estensioni interpretative siano compatibili con il dato letterale della norma incriminatrice e che possano avere dietro di sé argomenti sul piano storico, teleologico, sistematico: ciò che conta, dal punto di vista della garanzia dell'art. 7 CEDU, è soltanto se l'individuo potesse ragionevolmente prevedere tale estensione sulla base delle indicazioni della giurisprudenza, giuste o sbagliate che fossero, nello stato in cui si trovava alla commissione del fatto”.

A sostegno della propria interpretazione, quanto all'oggetto del ricorso, il collegio remittente richiama la decisione delle Sezioni Unite n. 18288/2010, Beschi, con la quale si è affermato un principio di legalità connotato in senso sostanziale, dove si riconosce al giudice un ruolo fondamentale nell'individuazione dell'esatta portata della legge penale, il cui significato è reso esplicito dalla combinazione del dato letterale confluito nel provvedimento legislativo e dal dato interpretativo, nell'ottica di una componente limitatamente creativa dell'interpretazione, che assumerebbe la funzione di precisare il contenuto e la latitudine applicativa della norma, assolvendo una funzione integrativa della stessa. Nello stesso senso si richiama la Quinta Sezione n. 37857/2018.

Occorre in sostanza, per essere accettabile ai sensi dell'art. 7 CEDU che il mutamento giurisprudenziale sia “ragionevolemente prevedibile” dal destinatario della norma affinchè lo Stato non incorra in violazione del predetto art. 7.

Ciò posto, secondo il collegio remittente, anche la decisione della prima sezione penale è censurabile nell'aver offerto una lettura in chiave prettamente interna del dictum della Corte EDU, “ancorando la ragionevole prevedibilità della rilevanza penale di un fatto ad un profilo eminentemente soggettivo, anziché alla qualità della norma da valutarsi oggettivamente”.

In tal senso sottolinea come l'effettiva lettura della decisione Contrada evidenzia come la sua condanna si fosse basata su una giurisprudenza consolidatasi in malam partem, successivamente ai fatti ascritti e che questi all'epoca della loro commissione non erano in termini generali e non soggettivi prevedibili in modo chiaro e sufficiente. Dunque qualunque ricorrente nelle condizioni del Contrada avrebbe avuto difficoltà a conoscere la pena correlata al comportamento contestato, considerato che nessun accertamento tra l'altro, quanto alla prevedibilità di tale indirizzo esegetico, era stato affrontato dai giudici in motivazione.

Prevale nella considerazione del collegio l'interpretazione volta a raggiungere un esame circa la certezza del diritto penale in senso oggettivo, piuttosto che soggettivo, sicchè la prevedibilità richiamata nel caso Contrada non “sarebbe più solo un problema di colpevolezza, ma verrebbe ad avvicinarsi a una idea di legalità formale (la tipicità), seppur indipendente dalla riserva di legge”.

Osserva il collegio remittente come l'interpretazione della prima sezione è stata chiaramente condizionata da un tentativo di mediare la portata dirompente sulla stabilità del giudicato della Sentenza Contrada c. Italia e pone conseguentemente, tenuto conto del concetto di prevedibilità in senso oggettivo proposto dalla Corte EDU, un interrogativo relativo al se tale decisione lasci al giudice nazionale un “margine di apprezzamento per valutare come applicare erga alios la nozione di prevedibilità della legge penale in presenza di contrasti giurisprudenziali, leggittimando quindi il ricorso a soluzioni individuali, caso per caso, senza aggredire le cause del deficit riscontrato, bensì facendo uso dei test di prevedibilità modellati su un giudizio di prevedibilità/colpevolezza, e quindi personale secondo i criteri della sentenza n. 364/1988 della Corte costituzionale”.

Tale decisione ha infatti affermato, secondo il collegio remittente, che la tassatività del precetto e quindi la prevedibilità del comando è la garanzia del principio di colpevolezza, con la conseguenza che il giudice non potrebbe punire un soggetto che abbia “ignorato il contenuto del precetto penale, in presenza di non risolti contrasti giurisprudenziali – anche in seno alla Suprema Corte – sulla sua esatta portata”. (Grande Camera GIEM c. Italia, che richiama un errore insormontabile che non poteva essere imputato a colui o colei che ne era vittima).

La conclusione originale che il collegio propone è che quindi, tenuto conto di tale connotazione del concetto di prevedibilità, la stessa debba essere vagliata “al momento della condotta e non essenzialmente al momento del processo”.

La necessità di riferire la prevedibilità al momento della condotta rileva per il collegio remittente nella “misura in cui viene a condizionare la ricevibilità del ricorso a Strasburgo da parte di chi intenda dolersi della violazione, dovendo dimostrare di aver esaurito i rimedi interni, sempre che gli stessi si dimostrino effettivi in pratica e non con ogni evenienza votati all'insuccesso (nel senso che una tale questione se pur proposta non avrebbe trovato alcuna considerazione).”

In questo ambito, il concetto di prevedibilità dovrebbe essere inteso, per come enucleabile dai principi della Corte EDU, in relazione non solo alla generica illiceità della condotta, ma anche quanto alla sua specifica rilevanza penale e quindi alle conseguenze sanzionatorie della norma penale “risolvendosi in definitiva nell'imprevedibilità della decisione giudiziale di condanna.”

Afferma il collegio remittente come la decisione della Prima Sezione Dell'Utri abbia trasformato quello che si deve ritenere un vero e proprio vulnus sistemico rilevato dalla Corte EDU in un vizio del singolo processo.

Viene quindi proposta una terza opzione interpretativa definita “più vicina al dictum della Corte EDU”, secondo la quale la sentenza sul caso Contrada “ha inteso censurare tout court la qualità della base legale della norma incriminatrice e della pena”.

Ne consegue che la sentenza Contrada dovrebbe trovare estensione ai c.d. fratelli minori, con applicazione del principio secondo cui “la fattispecie di concorso esterno delineata dagli art. 110 e 416-bis cod. pen. non potrebbe più trovare applicazione per i fatti commessi prima del cristallizzarsi dell'interpretazione consolidata delle sezioni unite in materia, risalente al 1994”.

Conricadute evidentemente molto rilevanti, in quanto queste conclusioni appaiono effettivamente esportabili ad ogni caso di contrasto giurisprudenziale, prima dell'intervento risolutore delle Sezioni Unite, e ciò a parere del collegio “indipendentemente dalla obiettiva oscurità o equivocità del precetto derivante dalla contrastante interpretazione giurisprudenziale che giustifichi la mancata rimproverabilità all'agente”. (Sezione Terza n. 5244/1996).

In conclusione

L'ordinanza di rimessione pone problemi interpretativi diversi alle Sezioni Unite della Suprema Corte.

Il primo spunto di riflessione, sul quale ricorre un pregiudiziale profilo di contrasto, è l'ambito di applicazione da riferire alla revisione europea.

La sua possibile applicazione, tenuto conto del disposto della sentenza della Corte costituzionale n. 113/2011, sia all'art. 7, che all'art. 6 della Convenzione EDU.

Con riferimento, dunque, non solo a vizi riconducibili a errores in procedendo, con violazione del principio del giusto processo, ma anche ad errori e violazioni a carattere sostanziale, pur sempre riconducibili tuttavia a un'effettiva incidenza sulla sanzione applicabile.

Un primo orientamento tende a ricondurre la revisione europea ad una funzione latamente esecutiva (Sezione II, Cairolo tra le molte), collegata dunque necessariamente al ricorso presentato dal singolo dinnanzi alla Corte EDU, sicché ne consegue l'impossibilità di estenderne il contenuto ad altri soggetti che si trovino in situazioni asseritamente analoghe in mancanza di ricorso alla Corte EDU, anche in presenza di una sentenza pilota.

Il richiamo al singolo processo, allo specifico vizio procedurale riscontrato nella progressione del processo, proprio per ciò, esclude qualsiasi possibilità di estensione erga alios da parte del giudice italiano.

In questo senso si è sottolineata l'irrilevanza del dato che la sentenza abbia carattere di sentenza pilota.

Una decisione con tali caratteristiche, rilevato un deficit sistemico in questo campo, si rivolgerebbe allo Stato parte contraente al fine di rimuoverne le cause e non potrebbe di per sé estendersi de plano ad altre controversie che, proprio perché incentrate su errores in procedendo, si caratterizzano in relazione alla specificità del singolo processo.

Un secondo orientamento, riferibile principalmente alla sentenza della Prima Sezione Dell'Utri si caratterizza per l'apertura, quanto alla possibile utilizzazione del rimedio della revisione europea sia a violazioni riferibili all'art. 7 che all'art. 6 della Convenzione, superando il concetto della funzione latamente esecutiva della stessa.

All'interno di questo secondo filone interpretativo si pone l'ordinanza del collegio remittente, che partendo dalla necessaria considerazione anche delle accertate violazioni sostanziali da parte della Corte EDU nell'ambito della revisione europea, di fatto pone una serie di osservazioni critiche sia alla decisione della Prima Sezione penale nella sentenza Dell'Utri, che alla sentenza Esti, per distaccarsene e proporre una nuova soluzione interpretativa.

Diversi gli spunti di riflessione che derivano dalla lettura delle decisioni richiamate, ovvero: - quale l'effettiva ampiezza da riconoscere alla sentenza Contrada (sentenza pilota o meno); - il ritenere effettivamente incontroversa tra le parti (circostanza fortemente contestata dal Governo italiano) la natura di matrice giurisprudenziale della fattispecie di concorso esterno in associazione mafiosa; - l'eventuale conseguente possibilità di estenderne gli effetti contra alios.

Ciò posto, il punto centrale del contrasto sembra da riferire alla natura della revisione europea in considerazione anche dell'interpretazione della Corte costituzionale su diversi aspetti di questo istituto, mentre quanto alla decisione Dell'Utri, correlata alla decisione Esti, più che di vero e proprio contrasto si potrebbe forse considerare, ancora una volta, la portata di un'interpretazione evolutiva nell'elaborazione della Corte.

Le caratteristiche della sentenza Contrada, la completa espiazione della pena da parte dello stesso, non si riscontrano negli stessi termini nei diversi casi sottoposti all'attenzione della Corte, e anche l'articolazione delle difese si è caratterizzata per elementi assai distanti tra loro, soprattutto quanto al tipo di reato contestato ed alla conseguente prevedibilità della sanzione.

Occorre tuttavia considerare l'originalità della soluzione proposta dal collegio remittente che afferma in primo luogo come sia assolutamente necessario estendere il rimedio della revisione europea anche alle violazioni sostanziali e non solo processuali, con ciò allineandosi alla decisione Dell'Utri, dalla quale tuttavia si distacca non solo nel riconoscere alla sentenza Contrada la valenza di sentenza pilota, ma anche proponendo un metodo di soluzione delle questioni proposte che non si limiti alla analisi del singolo caso concreto, ma si incentri su un concetto di “prevedibilità” in senso oggettivo emerso da diverse decisioni della Corte EDU.

Si sottolinea come un precetto, anche chiaro e seppure vagliato positivamente dalla Corte costituzionale, intanto è tale in quanto applicato sulla base di una interpretazione giurisprudenziale conforme.

Emerge dunque quello che è stato definito un diritto dell'imputato a non essere sorpreso ex post, rispetto a quanto a sua conoscenza al momento della commissione del fatto, da una diversa interpretazione giurisprudenziale giunta a risolvere un contrasto interpretativo presente all'epoca dei fatti.

Il punto certamente interessante, e sul quale la Corte a Sezioni Unite sarà chiamata ad una profonda riflessione, è quello relativo al poter applicare, secondo la prospettazione del collegio remittente un “test di prevedibilità” ai c.d. fratelli minori della sentenza Contrada.

Anche se occorre considerare che appare assai problematico individuare dei criteri di riferimento e costanti per ritenere un'interpretazione giurisprudenziale come non prevedibile, considerato che la continua evoluzione del contesto economico, culturale e sociale di cui la giurisprudenza è necessaria interprete porta per esperienza ad una caratteristica e continua evoluzione dell'interpretazione della norma scritta, proprio in relazione alle nuove ipotesi che emergono e che vengono sottoposte al giudizio.

Si impone quindi una riflessione circa l'effettiva possibilità di ritenere prevedibile ex ante una interpretazione estensiva ed evolutiva, perché è l'atteggiarsi in perenne movimento della condotta nelle sue più diverse manifestazioni fenomeniche, del tutto nuove, a determinarla, ma pur sempre nell'ambito della cornice normativa di riferimento, che altrimenti molte di queste manifestazioni resterebbero di per sé al di fuori della sfera del fatto rilevante, pur in presenza di una chiara disposizione di legge.

Ne potrebbe conseguire, come evidenziato dalla stessa ordinanza, una forte limitazione della rilevanza penale del fatto in tutti i casi condizionati da interpretazioni giurisprudenziali contrastanti, poi risolti da una decisione delle Sezioni Unite.

Premesso dunque il primo punto di contrasto (funzione esecutiva della revisione europea e limitazione alle violazioni procedurali), il centro della seconda problematica proposta è certamente il concetto di “ragionevole prevedibilità” (da considerare pur sempre correlato sia alla norma, ma anche alla sanzione che ne consegue), con la conseguenza che, come affermato dal collegio, «il peso della certezza applicativa sembra prevalere nella giurisprudenza della Corte EDU sul valore della determinatezza testuale».

Se dunque effettivamente si riscontrasse una tale portata per la Sentenza Contrada – elemento questo fortemente contrastato da molte decisioni della Corte in considerazione del necessario presidio per il nostro ordinamento rappresentato dal giudicato e dalla intangibilità delle situazioni esaurite – amplissimo sarebbe l'ambito di applicazione che ne conseguirebbe, da riferire ovviamente alle più svariate ipotesi di “fratelli minori” derivanti da radicati contrasti giurisprudenziali, tanto da non poter ritenere la ricorrenza di una “certezza applicativa”.

Tale conclusione andrebbe di pari passo con l'osservazione riportata dal collegio secondo la quale la Corte EDU non impedisce alla giurisprudenza nazionale di mutare il proprio orientamento nell'interpretazione di una norma legislativa, anche in materia penale. È tuttavia richiesto che tale mutamento sia ragionevolmente prevedibile dal destinatario della norma affinché lo Stato non incorra in una violazione dell'art. 7 in materia penale, con la conseguenza che “la ragionevole prevedibilità di un'interpretazione giurisprudenziale rappresenta il discrimine tra condotte che possono essere punite anche in ragione di una interpretazione che si è affermata in epoca successiva al loro compimento e condotte che devono invece andare esenti da pena.”

La riflessione sembra dunque essere destinata ad incentrarsi inevitabilmente sul concetto di prevedibilità, caratterizzato dal collegio remittente in senso fortemente oggettivo con una presa di distanza dalla connotazione soggettiva che aveva connotato le precedenti decisioni sul tema.

Quanto a tale profilo non può mancare, come spunto di riflessione, la considerazione della sentenza n. 49 del 2015della Corte costituzionale, che ha chiarito come l'obbligo di adeguamento da parte del giudice alle sentenze della Corte Edu non si può considerare come privo di limiti.

Specialmente nel caso in cui la sentenza da eseguire non si caratterizzi quale sentenza pilota in senso stretto, né si possa ritenere indicativa di una giurisprudenza consolidata della Corte europea, sarà dovere del giudice interno vagliarne e considerarne portata e ambito, senza alcun obbligo incombente sullo stesso di applicarne incondizionatamente il contenuto, con possibilità di allontanarsi dall'interpretazione enunciata nel singolo caso, proponendo una diversa interpretazione rispetto al diritto interno ed evidenziando la motivazione del caso concreto in una prospettiva di costante confronto con la Corte Europea.

In questo senso viene sollecitata una riflessione circa l'ambito e la portata del concetto di prevedibilità per come proposto dal collegio remittente.

Come osservato dalla Dottrina, su questo tema occorre chiedersi se la mera esistenza di un contrasto giurisprudenziale mini effettivamente la prevedibilità della decisione, piuttosto che rappresentare una condizione di incertezza e di dubbio circa l'esito dello scioglimento dell'alternativa interpretativa del caso concreto, il che, nell'interpretazione dei diversi commenti alle decisioni europee, non escluderebbe la colpevolezza dell'agente anche secondo i principi della sentenza n. 364 del 1988 della Corte costituzionale, che si ritiene abbia introdotto anche nel nostro ordinamento la rilevanza del principio della prevedibilità della condanna penale.

Sembra dunque, secondo tali interpretazioni e riflessioni, permanere un margine di apprezzamento discrezionale del giudice interno, che dovrebbe dunque poter rimanere libero nel compito di motivare e chiarire perché nel caso singolo il principio di prevedibilità non possa essere ritenuto violato, applicando una soluzione interpretativa distinta da quella del caso Contrada ad uno dei suoi supposti fratelli minori.

Guida all'approfondimento

In dottrina sul tema: Simone Lonati, La Corte costituzionale individua lo strumento per dare attuazione alle sentenze della Corte europea: un nuovo caso di revisione per vizi processuali, in Dir. pen. cont., 19 maggio 2011;Silvia Bernadi, La suprema corte torna sui limiti di operabilità dello strumento della “revisione europea”: esclusa l'estensibilità ai “fratelli minori” del ricorrente vittorioso a Strasburgo, in Dir. pen. cont., 26 settembre 2017;Francesco Viganò, Il caso contrada e i tormenti dei giudici italiani: sulle prime ricadute interne di una scomoda sentenza della Corte Edu, in Dir. pen. cont.; Giovanni Grasso e Fabio Giuffrida, L'incidenza sul giudicato interno delle sentenze della corte europea che accertano violazioni attinenti al diritto penale sostanziale, di Dir. pen. cont.; J.P. Costa, Il ragionamento giuridico della Corte Europea dei diritti dell'uomo, in Riv. int.dir.uomo, 2000; P. Perrone, L'obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte Europea dei diritti dell'uomo, Milano 2004; M. Chiavario, Commento all'art. 6, in Commentario alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Padova 2001; M. Geraci, La revisione quale rimedio interno deopo le condanne della Corte di Strasburgo: un avanzamento di tutela e molte incognite, in Proc. pen. e Giust., anno I, n.4 – 2011; M. Cartabia, Le sentenze “genelle”: diritti fondamentali, fonti, giudici, in Giur. Cost. 2007, 5; L. Parlato, Revisione del processo inquo: la Cprte costituzionale getta il cuore oltre l'ostacolo, in Dir. pen. proc., 2011; G. Canzio – R. E. Kostoris – A. Ruggeri, Gli effetti dei giudicati “europei” sul giudicato italiano dopo la sentenza n. 113/2011 della Corte costituzionale, in Rivista AIC, 2011; D. Pulitanò, Due approcci opposti sui rapporti fra Costituzione e CEDU in materia penale. Questioni lasciate aperte da Corte cost. n. 49/2015,in Dir. pen. cont. – Riv. Trim., n. 2/2015, p. 318 ss.; A. Ruggeri, Fissati nuovi paletti dalla Consulta a riguardo del rilievo della Cedu in ambito interno, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim., n. 2/2015, p. 325 ss.

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