Il danno da detenzione abusiva di un immobile concesso in comodato va riconosciuto in re ipsa?

Nicola Frivoli
15 Luglio 2019

Il Tribunale meneghino è stato chiamato ad accertare la sussistenza dei presupposti per il rilascio di un immobile concesso in comodato, oltre che il riconoscimento dei danni per la sua detenzione abusiva in virtù della ritardata restituzione.
Massima

In tema di comodato, il comodante deve provare il danno da mancata restituzione dell'immobile e tale danno non va riconosciuto in re ipsa. Nel corso di un giudizio necessita dimostrare di aver subìto un'effettiva lesione del proprio patrimonio per non averlo potuto realmente godere, configurandosi il c.d. danno-conseguenza.

Il caso

Il comodante, con ricorso ex art. 447 bis c.p.c., formulava domanda di restituzione di un appartamento concesso in comodato al comodatario, deducendo di aver formalmente richiesto il rilascio con apposita comunicazione.

Il ricorrente aveva provato il suo assunto dando prova della raccomandata inviata al comodatario, il quale non restituendo l'immobile alla richiesta, lo deteneva abusivamente ed il comodante chiedeva anche il riconoscimento di un danno connesso con la detenzione abusiva.

Instauratosi il contraddittorio, il comodatario-resistente si opponeva alla domanda formulata dal ricorrente

Il giudice ritenuta la causa matura per la decisione, poiché di natura documentale, rinviava la stessa all'udienza discussione e lettura del dispositivo.

A tale udienza il magistrato decideva con lettura del dispositivo ed accoglieva la domanda relativa all'intervenuta cessazione del rapporto contrattuale di comodato, condannava il comodatario-resistente all'immediata restituzione dell'immobile, però rigettava la domanda formulata dal comodante in ordine ai danni del ritardato rilascio, con la condanna al rimborso in favore del ricorrente delle spese di giudizio.

La questione

Si trattava di accertare e verificare se fossero presenti, al caso posto all'attenzione del Tribunale competente, i presupposti per la pronuncia di immediato rilascio di un appartamento concesso in comodato. Tale aspetto è stato esaminato dal Tribunale meneghino, il quale aveva rilevato e verificato in atti la sussistenza dei presupposti per l'immediato rilascio dell'unità immobiliare in virtù della comunicazione inviata dal comodante al comodatario la quale, però, era rimasta inosservata.

In particolare, l'ulteriore domanda formulata dal ricorrente verteva sulla condanna del comodatario al risarcimento dei danni per la ritardata restituzione del bene e la detenzione abusiva dell'immobile.

La domanda così formulata non veniva accolta dal magistrato poiché il ricorrente non aveva provato concretamente il detto danno sotto il profilo dell'an per l'occupazione sine titulo.

Dunque, il giudice di prime cure aveva fatto proprio un orientamento della Suprema Corte, rigettando la domanda per i danni sopportati per la perdita di disponibilità del bene da parte del dominus.

Pertanto, si è solo accolta la domanda circa la immediata restituzione dell'immobile e si rigettava quella in ordine alla richiesta dei danni, con condanna resistente-soccombente a rifondere le spese processuali in favore del ricorrente.

Le soluzioni giuridiche

In linea di principio, è stata ritenuta corretta l'affermazione contenuta nella pronuncia del Tribunale milanese, secondo cui è stata accolta la domanda principale di rilascio dell'immobile concesso in comodato, con regolazione delle spese processuale in favore dei ricorrente-comodante.

Invece, è stata rigettata la domanda circa la richiesta di risarcimento dei danni per la detenzione abusiva dell'unità immobiliare concessa in comodato.

Infatti, il giudicate, da un attento esame della documentazione in atti, verificava l'esistenza tra le parti di un contrato di comodato scritto ed aveva rilevato l'avvenuta comunicazione, inviata dal comodante al comodatario, che avrebbe dovuto comportare il rilascio immediato dell'appartamento, provando la cessazione del rapporto contrattuale.

Tale circostanza della restituzione dell'immobile non si era concretizzata ed il comodante si vedeva costretto ad agire con ricorso ex art. 447-bis c.p.c., per riottenere l'appartamento abusivamente detenuto, non potendosi applicare nella presente fattispecie il procedimento sommario dell'intimazione di sfratto disciplinato dagli artt. 657 e 658 c.p.c. posto che la disciplina del contrato di comodato (ex artt. 1803 ss. c.c.) non rientra nell'alveo della detta procedura sommaria, ricorrendo, giustamente, al giudizio speciale menzionato, con applicazione delle norme del processo del lavoro, ex artt. 414 ss. c.c., al fine di rendere più celere la restituzione dell'immobile.

Pertanto, è condivisibile la condanna del resistente-comodante al rilascio immediato del bene detenuto illegittimamente.

L'ulteriore domanda formulata dal ricorrente circa il risarcimento del danno, patito in conseguenza del ritardo della restituzione, non risultava suscettibile di accoglimento poiché non era stato provato l'assunto del detto danno sotto il profilo dell'an.

Il magistrato adìto, in tema di danno da occupazione sine titulo, non ha applicato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il danno del proprietario usurpato fosse in re ipsa in quanto da rapportarsi al semplice fatto della perdita della disponibilità del bene da parte del dominus ed all'impossibilità per costui di conseguire l'utilità normalmente ricavabile da bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso.

Conseguentemente, non ha ritenuto che la determinazione del risarcimento ben potesse essere determinata sulla base di elementi presuntivi semplici, facendo riferimento al c.d. danno figurativo e, quindi, con riguardo al valore locativo del cespite abusivamente occupato (Cass.civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972).

Questa impostazione non è stata recepita dal Tribunale lombardo, il quale ha dichiarato espressamente che il danno da occupazione abusiva di immobile non è qualificabile come in re ipsa, invece è da considerarsi di un danno-conseguenza.

Il danneggiato è tenuto a provare di aver subìto un'effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto ad es. locare ed utilizzare l'immobile, o aver perso l'occasione di venderlo a prezzo conveniente e tali situazioni devono essere provate in un giudizio e valutate dal giudice di merito (Cass.civ., sez. III, 17 giugno 2013, n. 15111; Cass.civ., sez. III, 11 gennaio 2005, n. 378).

Dunque, il ricorrente ha l'onere di allegare e provare, con l'ausilio di presunzioni, il fatto da cui discende il lamentato pregiudizio, ossia che se avesse immediatamente recuperato la disponibilità dell'immobile l'avrebbe subito impiegato per finalità produttive, quale il suo godimento diretto o la sua locazione (Cass.civ., sez.VI/III, 15 dicembre 2016, n. 25898).

Pertanto, quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza che deve essere provato ed articolato secondo gli elementi costituiti dalla condotta, dal nesso causale tra questa e l'evento dannoso che è rappresentato dalla lesione dell'interesse protetto ed il danno appunto in re ipsa snatura la funzione del risarcimento che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo (Cass.civ., sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601; Cass.civ., sez.III, 21 settembre 2015, n. 18494).

Così ci troviamo di fronte ad un “danno punitivo” (sistema punitivo) ovvero avente un elemento sanzionatorio che sostituisce quello risarcitorio, ma nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito dal proprietario non può ritenersi automatico (in re ipsa).

Ne consegue che tale danno da occupazione illegittima sine titulo, in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma un alleggerimento dell'onere probatorio di tale natura non può includere anche l'esonero dalla allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l'intenzione concreta del proprietario di mettere l'immobile a frutto (Cass.civ., sez. III, 30 maggio 2018, n. 13701).

Osservazioni

A fondamento del rapporto intercorrente tra comodante ed il comodatario vi è il contratto di comodato disciplinato dagli artt. 1803 ss. c.c. Il comodato, in generale, secondo quanto dispone l'art. 1803 c.c., è un contratto essenzialmente gratuito (comma 2), con il quale una parte consegna all'altra una cosa immobile (oltre che mobile) affinché se ne serva per un tempo ed uso determinato e con l'obbligo di restituirla in favore della stessa.

Perciò, il contratto di comodato è essenzialmente gratuito e l'interesse del comodante (proprietario) non ha di per sé contenuto patrimoniale, ovvero pur avendolo, si tratta della prospettiva di un vantaggio indiretto e mediato, o, comunque un interesse secondario del concedente, il cui vantaggio non viene a trovarsi in rapporto di corrispettività con il beneficio concesso al comodatario (Cass. civ., sez. III, 28 maggio 1996, n. 4912).

Per meglio dire, il comodato è un negozio da cui normalmente al concedente non deriva un vantaggio economico, ma da esso non può e non deve derivare un danno, e trova giustificazione nel fatto che al momento della stipula il comodante non ha alcuna necessità di servirsi dell'immobile (o mobile) nell'immediato futuro.

Per la restituzione della cosa concessa in comodato - come già ribadito - sia in caso di rapporto contrattuale a termine, oppure in mancanza dello stesso, il giudizio da intraprendere da parte del comodante-ricorrente, è disciplinato processualmente dalle regole del rito speciale, con riferimento all'art. 447-bis c.p.c.

La fattispecie posta al vaglio del Tribunale meneghino riguarda la durata del rapporto di comodato.

In tal senso, il codice civile disciplina due forme di comodato, quello con una durata determinata (art. 1803 c.c.) e quello invece c.d. precario (art. 1810 c.c.).

Il primo riguarda il comodato che sorge con la consegna della cosa per un tempo predefinito o per un uso che consente di stabilirlo. L'obbligo di restituzione sorge soltanto alla scadenza del termine oppure quando il comodatario se ne sia servito in conformità del contratto, salva la facoltà del comodante di richiedere la restituzione immediata dell'immobile nel caso in cui sopravvenga un suo urgente ed imprevisto bisogno.

Nulla vieta, peraltro, che la messa in mora del comodatario per la restituzione del bene avvenga mediante notifica del libello introduttivo in giudizio, salve le conseguenze sul regolamento delle spese del giudizio nel caso in convenuto aderisca immediatamente alla domanda e rilasci il bene (Cass. civ., sez. II, 27 dicembre 2016, n. 27044).

È caratterizzato comunque dalla facoltà del comodante di esigere la restituzione del bene, oltre che alla scadenza pattuita, anche in via immediata, in presenza però di una sua necessità sopravvenuta, urgente ed imprevista (Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 2017, n. 3553). La portata del bisogno non deve essere grave, ma certamente concreto e serio. Deve dunque trattarsi di un motivo che obbiettivamente giustifichi la restituzione e, come tale, non voluttuario e né capriccioso o artificiosamente indotto e, soprattutto, imminente, restando così esclusa la rilevanza di un bisogno non attuale, ma soltanto astrattamente ipotizzabile. In tal senso è stato affermato che il bisogno che giustifica la richiesta del comodante di restituzione del bene deve essere imprevisto e, dunque, sopravvenuto rispetto al momento della stipula del contratto di comodato, oltre che urgente, senza che rilevino bisogni non attuali, né concreti o solo astrattamente ipotizzabili (Cass. civ., sez. II, 29 settembre 2014, n. 20448).

Scaduto il termine di durata del comodato, qualora l'immobile non venga volontariamente rilasciato dal comodatario, il proprietario può agire giudizialmente nei confronti dell'occupante per fare valere il suo diritto a riottenere la piena disponibile del bene concesso in uso.

Il comodato precario è, invece, quello senza determinazione di durata ed è disciplinato dall'art. 1810 c.c. in applicazione del quale quando il termine di restituzione non è stato convenuto dalle parti e non può desumersi dall'uso cui il bene deve essere destinato, il comodatario, prescindendo da giusti motivi del comodante, è tenuto a restituire il bene stesso non appena quest'ultimo gliene faccia richiesta. Esso è caratterizzato da una libera facoltà di recesso unilaterale del rapporto riconosciuta in capo al comodante. Tale figura contrattuale, prevista dal citato articolo sotto la dizione “comodato senza determinazione di durata”, non vale ad annullare l'essenzialità del termine del contratto, ma mira a sottolineare soltanto che, in simile ipotesi, il termine possa essere determinato da uno solo dei contraenti mediante l'esecuzione del recesso, evitando in tal modo che il rapporto possa protrarsi all'infinito (Trib. Roma 3 marzo 2017, n. 4537).

In conclusione, la pronuncia del Tribunale lombardo è da considerarsi condivisibile sia per la condanna alla restituzione dell'immobile, richiesto a mezzo raccomandata, ma non rilasciato dal comodatario e detenuto sine titulo, sia sotto il profilo del rigetto della domanda per la risarcibilità del danno da mancato godimento del bene, non avendo il comodante provato il suo assunto, sposando l'orientamento del danno-conseguenza.

Guida all'approfondimento

Cirla, Comodato, in condominioelocazione.it, 16 luglio 2018

Frivoli - Tarantino, Le invalidità delle locazioni ad uso abitativo, Milano, 2017, 180

Frivoli - Tarantino, Il contratto di comodato nei rapporti di famiglia, Milano, 2014, 58

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