Decreto penale, ragguaglio tra pena detentiva e pecuniaria e successione di leggi nel tempo: quale disciplina?

23 Luglio 2019

Il comma 1-bis dell'art. 459 c.p.p., introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, che, in relazione al decreto penale di condanna, ha previsto una deroga a quanto disposto dall'art. 135 c.p.p. in ordine al ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, è norma processuale con effetti sostanziali...
Massima

Il comma 1-bis dell'art. 459 c.p.p., introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, che, in relazione al decreto penale di condanna, ha previsto una deroga a quanto disposto dall'art. 135 c.p.p. in ordine al ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, è norma processuale con effetti sostanziali, poiché implica un trattamento sanzionatorio più favorevole rispetto al precedente, pur se collegato alla scelta del rito, e si applica, quindi, anche nelle ipotesi in cui il decreto penale sia stato emesso precedentemente ma notificato nel vigore della richiamata disposizione, ai sensi dell'art. 2, comma 4, c.p.

Il caso

La decisione della S.C. trae origine da un ricorso avente a oggetto l'applicabilità dell'art. 459 comma 1-bis c.p.p. nel caso in cui un decreto sia emesso precedentemente all'entrata in vigore della norma più favorevole, ma notificato nel vigore della disposizione, in relazione alla natura della norma.

La questione

La difesa ipotizza la possibilità di proporre, per fruire della disciplina più favorevole, ricorso per cassazione, essendo il decreto penale atto incidente sulla liberta personale, con conseguente lettura estensiva dell'art. 619, comma 3, c.p.p. in relazione all'art. 111 Cost.; ove tale strada non risulti percorribile, chiede alla S.C. di sollevare questione di legittimità costituzionale degli artt. 461 e 464 c.p.p. nella parte in cui il prima articolo, in presenza di una norma più favorevole al reo, non consente di riformare il decreto penale di condanna ed il secondo nella parte in cui non permette al giudice dell'opposizione di irrogare una pena più lieve.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza, pur dichiarando il ricorso inammissibile, è destinata ad assumere - quantomeno sul piano dell'incidenza statistica - una rilevanza significativa.

La stessa non riconosce la sussistenza della questione di legittimità costituzionale, ai fini della decisione, non essendo il decreto penale impugnabile dall'imputato con il ricorso per cassazione; la decisione in effetti:

  • esclude la possibilità di ricorso alla S.C. per fruire della disciplina più favorevole, richiamando un costante orientamento ermeneutico in base al quale il ricorso per cassazione proposto dall'imputato avverso il decreto penale di condanna e inammissibile, essendo proponibile dall'imputato avverso il decreto penale solo l'opposizione prevista dall'art. 461 c.p.p. (Cfr. Cass. Sez. IV, n. 45556, 17/09/2013, CED 257578)
  • dichiara la manifesta infondatezza della tesi del ricorrente, laddove questi invoca l'applicazione nel giudizio di legittimità dell'art. 459 comma 1-bis c.p.p., sottolineando il fatto che la determinazione della pena pecuniaria in sostituzione della pena detentiva attiene al memento genetico del decreto penale e impone valutazioni di merito esclusive del giudice emittente.
  • esclude la possibilità di proporre ricorso mediante l'art. 620 lett. i) c.p.p., norma che presuppone l'assenza di ulteriori, necessari, accertamenti di fatto.

Nondimeno, la S.C. riconosce che il ricorrente non è privo di tutela. Tutela, tuttavia, che:

  • non può essere proposta al GIP che ha emesso il decreto penale di condanna perché questi, una volta emesso il provvedimento, si spoglia dei poteri decisori sul merito dell'azione penale
  • non può essere assicurata in sede di cognizione mediante l'opposizione o con richiesta di riti alternativi, quali il patteggiamento o il giudizio abbreviato, perché ciò determinerebbe la revoca del decreto penale e il ricorrente ne perderebbe gli effetti, fra cui la conversione nel senso più favorevole previsto dall'art. 459 comma 1-bis c.p.p.

In primo luogo, la sentenza assume che «per quanto l'art. 459 comma 1-bis c.p.p. sia una norma processuale finalizzata, come si ricava dai lavori parlamentari, alla riduzione del numero dei detenuti presso le strutture carcerarie, all'incameramento di maggiori somme, e alia necessita di diminuire il numero delle opposizioni al decreta penale di condanna, indubbiamente produce effetti sostanziali, perché determina la riduzione della pena pecuniaria, derivante dalla conversione della pena detentiva, anche ove applicata nel massimo; implica un trattamento sanzionatorio più favorevole, anche se collegato alla scelta del rito». Non solo: «La necessità di applicare l'art. 2, comma 4, c.p. a un caso come quello in esame deriva dalla necessità di rispettare il principia di proporzionalità, posto che la pena è stata stabilita in concreto in base a criteri che, in linea di massima, appaiono di maggior gravità rispetto a quelli che il condannato avrebbe avuto diritto di vedersi applicare, anche se solo in sede di conversione, sia pure con una valutazione compiuta a posteriori».

Dati tali presupposti, la S.C. precisa che, una volta divenuto esecutivo il decreto penale di condanna, il ricorrente può chiedere al giudice dell'esecuzione l'applicazione dell'art. 459, comma 1-bis,c.p.p., in relazione all'art. 2, comma 4, c.p., essendo entrata in vigore la disciplina più favorevole prima della esecutività del decreto penale di condanna.

È richiamata al proposito la decisione delle S.U. (Cass. pen., Sez. Unite, n. 46653/2015, CED 265110) la quale, nel ricostruire anche il principio di legalità della pena e l'ambito del giudicato, affermato che il diritto dell'imputato, desumibile dall'art. 2, comma quarto, c.p., di essere giudicato in base al trattamento più favorevole tra quelli succedutisi nel tempo, comporta per il giudice della cognizione il dovere di applicare la lex mitior anche nel caso in cui la pena inflitta con la legge previgente rientri nella nuova cornice sopravvenuta, in quanta la finalità rieducativa della pena e il rispetto dei principi di uguaglianza e di proporzionalità impongono di rivalutare la misura della sanzione, precedentemente individuata, sulla base dei parametri edittali modificati dal legislatore in termini di minore gravita.

In particolare, il principio costituzionale di legalità della pena riguarderebbe non solo l'an dell'irrogazione della pena bensì anche il quomodo e in particolare il quantum di pena inflitta; le S.U., richiamando i principi di proporzionalità, uguaglianza e di rieducazione, osservano «Di ben maggiore peso e l'argomentazione che si ricava dall'inquadramento della violazione sopravvenuta in esame tra le violazioni dei diritti fondamentali della persona che impongono anche al giudice, in base alla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell'uomo, di eliminare le conseguenze di tali violazioni; e tra queste violazioni non può non essere inclusa, per le ragioni già indicate, quella di vedersi applicate un trattamento sanzionatorio sfavorevole in presenza di innovazioni normative che l'hanno mitigate».

Una soluzione, per altro anche in linea con la volontà del legislatore il quale, proprio per favorire l'applicazione della legge più favorevole, con l'art. 14 l. 8/2006, ha introdotto il terzo comma dell'art. 2 c.p. che consente al giudice dell'esecuzione, anche nel caso di condanna definitiva, di sostituire la pena detentiva, inflitta in base alla precedente normativa, quando la disciplina sia stata modificata successivamente con la previsione esclusiva della pena pecuniaria.

Ulteriore e definitiva conferma alla prospettazione ermeneutica proposta dalla S.C. deve essere individuata dalla recente applicazione dell'art. 2, comma 4, c.p.p. alle riduzioni collegate alla scelta del rito - nel caso esaminato il rito abbreviato per le contravvenzioni a seguito della modifica dell'art. 442, comma 2, c.p.p. (Cfr. Cass. Sez. IV n. 5034, 15/1/2019, CED 275218); in particolare la S.C. ha affermato il principio per cui l'art. 442 comma 2 c.p.p., come novellato dalla legge 23 giugno 2017, n. 103 - nella parte in cui prevede che, in caso di condanna per una contravvenzione, la pena che il giudice determina tenendo canto di tutte le circostanze e diminuita della meta, anziché di un terzo come previsto dalla previgente disciplina - si applica anche alle fattispecie anteriori, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile, ai sensi dell'art. 2, quarto comma, c.p., in quanto, pur essendo norma di carattere processuale, ha effetti sostanziali, comportando un trattamento sanzionatorio più favorevole seppure collegato alla scelta del rito. In questo senso dovrebbe «ormai ritenersi ius receptum il principio secondo cui il trattamento sanzionatorio, anche laddove collegato alla scelta del rito, finisce sempre con avere ricadute sostanziali ed è, dunque, soggetto alla complessiva disciplina di cui all'art. 2 c.p., pur ribadendosi che la natura sostanziale della diminuente premiale per il rito abbreviato predicata dalla CEDU nella sentenza in data 17 settembre 2009 (Grande Chambre della Corte EDU n.d.a.), non implica la trasformazione della natura processuale di tutta la restante normativa concernente i presupposti, i termini e le modalità di accesso al rito, aspetti rimessi alla scelta del legislatore nazionale e non immutati dalla giurisprudenza comunitaria».

Osservazioni

Il ragguaglio tra pena detentiva e pecuniaria nel decreto penale. In termini generali – sul tema- si deve osservare che il possibile effetto deflattivo derivante dall'utilizzo dello strumento “decreto penale” – originariamente previsto dal codice - era in larga misura venuto meno dopo che l'art. 3, comma 62, l. n. 94/2009 aveva modificato l'art. 135 c.p., elevando il ragguaglio tra pene pecuniarie e detentive da 38 a 250 euro di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva. Un intervento parso per molti aspetti condivisibile — se rapportato al “valore” dell'importo originariamente previsto dal codice e di fatto mai aggiornato — ma che, nondimeno, aveva limitato fortemente le potenzialità deflattive proprio dell'istituto in oggetto. Il legislatore ha posto in essere una “correzione di rotta”, con l'art. 1, comma 53, d.lgs. 103/2017, che è intervenuto sull'art. 459 c.p.p., inserendo un nuovo comma 1-bis; tale norma stabilisce criteri particolari di ragguaglio da applicare al rito monitorio quando sia comminata la pena pecuniaria in sostituzione della pena detentiva, per superare le rigidità strutturali della pena pecuniaria, consentendo al giudice di individuare il “termine” di conversione tra un minimo di 74 e un massimo di 225euro.

L'articolo menzionato ha inserito nell'art. 459 c.p.p. il comma 1-bis, che ha stabilito, in tema di procedimento per decreto, specifici criteri di ragguaglio tra pena detentiva e pena pecuniaria: «1-bis. Nel caso di irrogazione di una pena pecuniaria in sostituzione di una pena detentiva, il giudice, per determinare l'ammontare della pena pecuniaria, individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l'imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Nella determinazione dell'ammontare di cui al periodo precedente il giudice tiene conto della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare. Il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma di euro 75 di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva e non può superare di tre volte tale ammontare. Alla pena pecuniaria irrogata in sostituzione della pena detentiva si applica l'articolo 133-ter del codice penale».

Per determinare l'ammontare della pena pecuniaria ( per la quale, ai sensi dell'art. 133-ter c.p. è prevista la possibilità per il giudice di disporre il pagamento in rate mensili della multa o dell'ammenda) il giudice individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l'imputato (o meglio: è verosimile pensare che il P.M. presenti un calcolo già “completo” in questo senso), moltiplicandolo quindi per i giorni di pena detentiva, tenendo conto della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare, individuando uno specifico valore giornaliero al quale può essere assoggettato l'imputato. La riforma ha previsto un limite nell'esercizio di tale discrezionalità, stabilendo che, in ogni caso, il valore in discorso non può essere inferiore alla somma di euro 75 e non può superare di tre volte tale ammontare (euro 225). Si tratta, come è evidente, di una novità destinata a “rivivificare” l'istituto del decreto penale, in relazione al quale la previsione di una modifica resa necessaria dopo che la l.n. 94/2009, elevando il criterio di ragguaglio da euro 38 a euro 250 il giorno, aveva di fatto reso l'opzione “decreto penale “non utilmente praticabile, considerato l'elevata entità degli importi applicabili.

Sul tema, la S.C. ha recentemente precisato che, nel caso di sostituzione di una pena pecuniaria a una pena detentiva, l'art. 459, comma 1-bis, c.p.p., così come modificato dall'art. 1, comma 53, l.n. 103/2017, consente al G.i.p., modulando l'entità della pena giornaliera in considerazione della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare, di modificare l'importo ragguagliato dal p.m., ferma restando l'intangibilità della pena detentiva da quest'ultimo indicata. (Cass., Sez. VI, 18 luglio 2018, n. 33472)

Una riforma, tuttavia, la cui efficacia è destinata a scontrarsi con un dato di fatto incontrovertibile: nei procedimenti definibili con decreto penale ben difficilmente il giudice avrà a disposizioni elementi effettivi di valutazione sulle condizioni economiche dell'imputato e del nucleo familiare di questi, di modo che la soglia di valore individuata dalla legge è destinata a divenire uno standard di riferimento sostanzialmente automatico, non essendo ragionevolmente prevedibile- vista la tipologia e il numero di reati- che il P.M. deleghi specifici accertamenti sul punto.

Ad ogni modo, per rendere nuovamente “appetibile” la soluzione rappresentata dal decreto penale, la l. 103/2017 non si è limitata a modificare il criterio di ragguaglio in tema di decreto penale; tale criterio è disposizione speciale rispetto al criterio generale di conversione, di cui all'art. 135 c.p.p., che non è stato modificato (e che resta, pertanto, di euro 250,00 per ogni giorno di pena detentiva). In questo senso, laddove, in esito all'opposizione al decreto penale- per il quale deve essere applicata la pena pecuniaria sulla base del più favorevole criterio di ragguaglio previsto per tale strumento- consegua una condanna, ferma restando la generale previsione di un possibile deteriore trattamento sanzionatorio a norma dell'art. 464, comma 4, c.p.p., l'eventuale sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria dovrà avvenire alla luce del criterio generale di euro 250 il giorno, a norma degli artt. 135 c.p. e 53 l. 689/1981. Una previsione tale da disincentivare l'opposizione al decreto penale.

Il nuovo testo dell'art. 459, comma 1-bis, c.p.p., non ha introdotto, tuttavia, un principio generale di sostituzione delle pene detentive, limitandosi a modificare — in termini maggiormente favorevoli- il criterio di ragguaglio previsto dalla normativa generale, nel caso in cui il giudice commini una sanzione pecuniaria in sostituzione di una detentiva.

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