Codice Penale art. 558 bis - Costrizione o induzione al matrimonio 1Costrizione o induzione al matrimonio 1 [I]. Chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile è punito con la reclusione da uno a cinque anni. [II]. La stessa pena si applica a chiunque, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell'autorità derivante dall'affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile. [III]. La pena è aumentata se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni diciotto. [IV]. La pena è da due a sette anni di reclusione se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni quattordici. [V]. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando il fatto è commesso all'estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia. competenza: Trib. monocratico (udienza prelim.) arresto: facoltativo fermo: non consentito (comma 1); consentito (comma 4) custodia cautelare in carcere: consentita altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d'ufficio Articolo inserito dall'art. 7, comma 1, l. 19 luglio 2019, n. 69, in vigore dal 9 agosto 2019. InquadramentoLa fattispecie si propone di sanzionare le condotte riconducibili al fenomeno del c.d. matrimonio forzato (o anche delle “spose bambine”), pratica che già la comunità internazionale (art. 16 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; Raccomandazione n. 1723/2005 dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa; Art. 37, Convenzione di Istanbul) ha inteso contrastare sottolineando la necessità di una criminalizzazione di tali condotte che vedono minori costretti dalla famiglia al matrimonio. SoggettiE' un reato comune, che può essere commesso da chiunque (primo comma). La condotta descritta dal secondo comma circoscrive i soggetti attivi richiamando la necessaria presenza di relazioni familiari, domestiche, lavorative o richiamanti una relazione di cura, istruzione, educazione, vigilanza, custodia. MaterialitàLa fattispecie prevede due condotte; la prima (comma 1, “costrizione al matrimonio”) riproduce sostanzialmente la condotta commissiva del reato di “violenza privata” (art. 610 c.p.), prevedendo come elemento specializzante la costrizione a contrarre matrimonio o unione civile. Il secondo comma descrive invece la condotta di “induzione al matrimonio”, che, sanzionata nella stessa misura di quanto previsto al primo comma, prevede tuttavia una modalità di realizzazione diversa, consistente nell'approfittamento delle condizioni vulnerabilità, inferiorità psichica, necessità del soggetto passivo, e nell'abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell'autorità derivante dall'affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia. Il tale ipotesi, diversamente da quanto previsto per il primo comma, il consenso al matrimonio non è estorto con la violenza, ma è conseguito avvalendosi dell'autorità genitoriale o familiare, e del condizionamento psicologico che ne deriva (si v. Pepè). L'evento consiste nel contrarre “matrimonio o unione civile”. In senso critico rispetto a tale elemento, si è osservato come la formulazione della norma sembri assegnare rilevanza esclusivamente ai vincoli aventi effetti civili per l'ordinamento italiano(si v. Pepè), escludendo così i matrimoni celebrati all'estero non aventi tali effetti o comunque i riti aventi valore di matrimonio nella comunità di riferimento, così da restringere l'ambito applicativo della norma. La Corte di legittimità, con recente sentenza, ha affermato come, tra le norme incriminatrici di cui agli artt. 600 e 558-bis c.p. non si sia verificato un fenomeno di successione di leggi nel tempo in riferimento ad un fatto integrante reificazione della vittima (nella fattispecie esaminata, cessione della figlia minore dell'imputato contro il c.d. corrispettivo della sposa), atteso che i fatti incriminati dalla due norme non presentano, sotto il profilo strutturale, punti di contatto, posto che la violenza e la minaccia non sono elementi costitutivi del delitto di riduzione in schiavitù (Cass. V, n. 30538/2021). Elemento psicologicoIl delitto è doloso; il dolo, generico. Forme di manifestazioneLa fattispecie prevede due circostanze aggravanti. La prima (comma 3), stabilisce un aumento di pena nel caso in cui il soggetto passivo sia un minore. Un ulteriore aumento di pena è fissato (nel comma 4) ove la condotta sia commessa a danno di un minore degli anni 14. In senso critico rispetto a questa soluzione si è osservato come più opportuna, per quest’ultima ipotesi, sarebbe stata la sua qualificazione come fattispecie autonoma, in cui non figurassero le modalità coercitive come forma di realizzazione del reato, presumendosi invece l’incapacità del soggetto ad esprimere un consenso libero rispetto all’atto matrimoniale (si v. Pepè). Profili processualiL'ultimo comma (comma 5) stabilisce una deroga al principio di territorialità, prevedendo l'applicazione della norma anche laddove la condotta sia realizzata (come di norma avviene), all'estero: da un cittadino italiano o da uno straniero residente in Italia ovvero in danno di un cittadino italiano o di straniero residente in Italia(per una previsione analoga, si v. l'art.583 bis, comma 5, cp). BibliografiaPepé, I matrimoni forzati presto previsti come reato anche in Italia?, in penalecontemporaneo.it, 20 maggio 2019; Motta, Il rapporto tra i reati di cui agli artt. 558-bis e 600 c.p. e l'irrilevanza del movente culturale nel delitto di riduzione in schiavitù, in Cass.pen, 2022, 198 ss. . |