Domanda di scioglimento del condominio: il giudice non può valutare il vantaggio della scelta

Adriana Nicoletti
12 Agosto 2019

Chiamato a decidere in ordine allo scioglimento di un condominio, il Tribunale capitolino ha chiarito i limiti della propria competenza rispetto alla relativa domanda, nel senso di limitare il proprio scrutinio all'accertamento dei presupposti soggettivi ed oggettivi di quest'ultima, così come precisamente delineati dal legislatore, ma non di valutare i vantaggi della gestione separata, atteso che, diversamente, vi sarebbe un'invasione di campo del giudice nell'autodeterminazione di coloro che hanno proposto l'azione.
Massima

La condizione essenziale affinché si possa procedere allo scioglimento del condominio è rappresentata dal fatto che le unità immobiliari che formano l'edificio o il gruppo di edifici abbiano caratteristiche di autonomia, ossia che ricorra la divisibilità del gruppo di edifici in parti che abbiano le caratteristiche di edifici strutturalmente autonomi. Peraltro, non compete al giudicante alcuna valutazione sull'opportunità della decisione di divisione, nel senso di accertare se questa renda più o meno semplice ed economica la gestione separata (per i nuovi condomini) e comune (per le parti rimaste comuni) rispetto alla prosecuzione della gestione unitaria che si è avuta fino a quel momento, poiché trattasi di valutazione rimessa all'iniziativa dei condòmini dello stabile ai sensi dell'art. 61 disp.att.c.c.

Il caso

Alcuni condomini, pari ad un oltre terzo dei partecipanti di una palazzina sita in complesso condominiale, convenivano in giudizio i restanti condomini unitamente ai proprietari di altro stabile facente parte del medesimo plesso, per sentire dichiarare, previo accertamento dei presupposti di cui agli artt. 61 e 62 disp.att.c.c., lo scioglimento del condominio, con contestuale dichiarazione della permanenza in comunione dei beni già ab origine tali(il viale antistante gli edifici; la portineria e l'immobile destinato ad abitazione del portiere). Alla prima convenuta costituitasi, che non si era opposta alla domanda, si affiancavano altri convenuti che chiedevano l'accoglimento delle conclusioni formulate dagli attori. Successivamente, altri condomini intervenivano nell'incardinato giudizio, anch'essi associandosi alle domande di scioglimento del condominio mentre, nel corso del giudizio, alcuni degli attori e degli intervenuti, oltre che dei convenuti, rinunciavano agli atti del giudizio. Il contraddittorio veniva, comunque, integrato per ordine del giudice nei confronti degli altri soggetti non presenti nel giudizio.

Il consueto quesito, avente ad oggetto la sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 61 e 62 disp.att.c.c. e l'indicazione dei beni comuni suscettibili o meno di divisione, veniva poi integrato con altro interrogativo avente ad oggetto la verifica se almeno un terzo del numero totale di condomini di una delle due palazzine fosse al momento aderente o non rinunciante alla domanda di scioglimento. Integrazione che si era resa necessaria proprio per le intervenute mutazioni delle parti presenti nel giudizio stesso.

All'esito dell'elaborato del perito, il quale provvedeva anche alla formulazione di nuove tabelle millesimali, il Tribunale accoglieva la domanda ponendo le spese legali (comprensive di ctu) a carico, pro quota, di tutte le parti in causa.

La questione

Dalla lettura della decisione del Tribunale capitolino, emergono alcune questioni di particolare interesse e che vanno al di là dell'individuazione dei presupposti di fatto e di diritto che consentono l'applicabilità degli artt. 61 e 62 disp.att.c.c., che si risolvono attraverso l'esperimento di una consulenza tecnica di ufficio e che, in ogni caso, sono oggetto di pacifica giurisprudenza. I temi sui quali vogliamo portare l'attenzione del lettore sono sostanzialmente i seguenti: da un lato, le modalità di calcolo del quorum per ottenere lo scioglimento del condominio in via giudiziale, soprattutto - come nella fattispecie in esame - quando nel corso del giudizio ad interventi in causa di condomini si affianchino atti di rinuncia da parte di attori originari e, dall'altro, quali siano i limiti posti al giudice chiamato a decidere sulla domanda di scioglimento del condominio.

Le soluzioni giuridiche

La decisione in commento è lineare e corretta poiché, attraverso un semplice richiamo delle norme che disciplinano lo scioglimento del condominio, ha sostanzialmente ribadito principi generali che non temono di essere smentiti, in quanto patrimonio consolidato del panorama giurisprudenziale. Questo vale nel caso in cui lo scioglimento sia deliberato in sede assembleare con la maggioranza degli intervenuti, che rappresenti almeno la metà del valore dell'edificio (art. 1136, comma 2, c.c.), oppure quando la separazione venga richiesta - come nella fattispecie - per via giudiziale da almeno un terzo dei comproprietari della parte di edificio che chiede la separazione. E' stato anche confermato che la condizione essenziale per realizzare lo scioglimento del condominio è rappresentata dal fatto che le nuove entità abbiano le caratteristiche di edifici autonomi che si possano essi stessi costituire in condominii separati. Tutto ciò pur potendo rimanere in comunione parti che siano a servizio di tutti i condominii.

Fino a qui, dunque, nulla di diverso da quanto non sia stato più volte rilevato in analoghe fattispecie. Mentre per quanto concerne il quorum che consente di accedere alla domanda di scioglimento giudiziale del condominio e che si riferisce al numero dei condomini e non al valore delle rispettive quote millesimali (ed in questo senso il testo dell'art. 61, comma 2, disp.att.c.c. non lascia spazio a dubbi interpretativi di sorta), il Tribunale ha richiamato un solo precedente in materia, con il quale si era voluto appunto evidenziare la scelta testuale del legislatore (Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 1974, n. 397). Il calcolo per le c.d. “teste” ha avuto, dunque, rilevanza nel caso che ci riguarda, poiché si è trattato di fare un calcolo matematico considerando sia i proprietari degli appartamenti che quelli dei negozi (la norma codicistica, infatti, non fa alcuna distinzione tra le due tipologie di unità immobiliari) al momento della proposizione della domanda e detraendo coloro che in corso di causa avevano rinunciato all'azione. Malgrado tali defezioni il Tribunale ha accertato che la condizione posta dalla norma richiamata era stata rispettata. Da ultimo vale la pena sottolineare come il giudice abbia chiarito i limiti della propria competenza rispetto alla domanda di scioglimento del condominio: accertamento dei presupposti soggettivi ed oggettivi della domanda, come precisamente delineati dal legislatore, non valutazione dei vantaggi della gestione separata. Diversamente vi sarebbe un'invasione di campo del giudice nell'autodeterminazione di coloro che hanno proposto l'azione di scioglimento.

Osservazioni

L'art. 61 disp.att.c.c. si può definire norma di carattere eccezionale in quanto deroga al principio generale, secondo il quale la divisione può essere attuata solo con il consenso unanime dei partecipanti alla comunione. In tal senso non è suscettibile di applicazione analogica all'inversa ipotesi di fusione in un unico condominio di più edifici autonomi, mancando tra le due fattispecie una identità di ratio (Cass. civ., sez. II, 28 ottobre 1995, n. 11276). L'unica via per realizzare lo scioglimento di un condominio in entità autonome è quella sancita dal legislatore, per cui ogni determinazione assunta in sede diversa da quella naturale è nulla. Ne consegue che non assume alcuna rilevanza un verbale redatto da un gruppo spontaneo di condomini che, autonomamente, decida di nominare il proprio amministratore al fine di distaccarsi dall'unico condominio per formarne uno proprio. In tal caso, infatti, è evidente che le singole palazzine sono prive di soggettività giuridica (Trib. Roma 22 novembre 2013, n. 23488).

Oggetto dello scioglimento è la costruzione, che deve essere caratterizzata da un'autonomia strutturale e non gestionale od amministrativa, per cui il termine “edificio” che ricorre nelle norme richiamate, si riferisce solo ad un fabbricato con una propria indipendenza fisica che gli consenta una vita autosufficiente. Una volta accertata la sussistenza di tali presupposti la divisione del condominio unico in più edifici separati è possibile anche se rimangano in comunione tra gli originari partecipanti alcuni dei beni comuni indicati nell'art. 1117 c.c. che, come noto, ne contiene un elenco indicativo ma non esaustivo, in quanto estensibile a tutte quelle entità che svolgono una funzione utile per tutti i partecipanti. Lo scioglimento del condominio, quindi, non potrà mai prescindere dallo stato dei luoghi.

Nel caso portato all'esame del Tribunale capitolino, era stato accertato, tramite perizia tecnica d'ufficio, che non esistevano ostacoli all'accoglimento della domanda di scioglimento, poiché il condominio era strutturato in due palazzine separate e distinte rispettivamente con ingresso e servizi comuni e l'autorimessa interrata formata da box privati era indipendente, mentre potevano rimanere di competenza del condominio la gestione di parti e servizi comuni quali l'appartamento del portiere, il locale portineria ed il cancello di accesso alle due palazzine, le reti de servizi comuni nei rispettivi tratti non esclusivi (acqua, scarichi di acque bianche e nere, luce, gas e telefono) nonché il cortile comune.

Se è vero che per lo scioglimento del condominio non occorre, né in sede assembleare né allorché si proceda in via giudiziaria, un quorum assoluto è altrettanto vero che in questo secondo caso tutti i condomini devono prendere parte al giudizio con la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di coloro che sono rimasti formalmente estranei all'azione promossa solo da alcuni condomini. Vi è, dunque, una carenza di legittimazione passiva dell'amministratore (Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 2008, n. 1460).

La decisione in esame, attraverso una notazione del giudicante, ha poi evidenziato il problema del limite che incontra il giudice chiamato a decidere su tale domanda. La valutazione sulla opportunità della decisione assembleare è prerogativa che spetta all'assemblea, alla quale è rimesso il potere discrezionale di valutare la convenienza dello scioglimento, mentre l'intervento del giudice è circoscritto alle sole questioni di legittimità della delibera, essendo egli chiamato ad accertare se vi sia un contrasto tra il contenuto della delibera e le norme di legge o di regolamento (Trib. Roma 30 marzo 2010, n. 7224).

Il giudice, invece, può intervenire negando la divisione del condominio quando questa non sia attuabile senza modificare lo stato delle cose attraverso interventi di ristrutturazione. E' questo, infatti, il principio espresso dalla Corte di cassazione la quale ha chiarito che in tale ipotesi, al fine di una corretta interpretazione degli art. 61 e 62 disp. att. c.c., soltanto l'assemblea può, con un numero di voti che sia espressione di due terzi del valore dell'edificio e rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio, determinarsi a procedere allo scioglimento del condominio (Cass. civ., sez. II, 19 dicembre 2011, n. 27507).

Guida all'approfondimento

Bartiromo, Condominio con più scale: possibile la separazione?, in Condominioweb.com

De Tilla, Sullo scioglimento del condominio, in Arch. loc. e cond., 2012

Gallucci, Per lo scioglimento del condominio l'autonomia dei “nuovi edifici” deve essere strutturale e non meramente amministrativa, in dirittoegiustizia.it

Nuzzo, Lo scioglimento del condominio: presupposti, disciplina e conseguenze, in Condominioweb.com

Palombella, Il giudice può disporre lo scioglimento del condominio solo se non occorrono opere edili, in dirittoegiustizia.it

Salciarini, Lo scioglimento del condominio, in Immobili & proprietà, 2012

Scarpa, Edifici autonomi e scioglimento del condominio, in Immobili & proprietà, 2011

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