“Negozi della crisi matrimoniale”: i benefici fiscali estesi agli atti dispositivi a favore di terzi estranei a nucleo familiare

13 Agosto 2019

In tema di agevolazioni "prima casa", il trasferimento dell'immobile prima del decorso del termine di cinque anni dall'acquisto, in esecuzione di quanto previsto da una delle condizione dell'accordo di separazione consensuale...
Massima

In tema di agevolazioni "prima casa", il trasferimento dell'immobile prima del decorso del termine di cinque anni dall'acquisto, in esecuzione di quanto previsto da una delle condizione dell'accordo di separazione consensuale, anche se effettuato a favore di un terzo estraneo al nucleo familiare, non comporta la decadenza delle anzidette agevolazioni fiscali, attesa la "ratio" dell'art. 19 della L. n. 74/1987, che è quella di favorire la complessiva sistemazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi in occasione della crisi, escludendosi che in qualunque caso possano derivare ripercussioni fiscali sfavorevoli ai coniugi per effetto degli accordi intervenuti in tale sede.

Fonte: iltributario.it

Il caso

L'Agenzia delle Entrate di Perugia ha revocato, le agevolazioni fiscali godute dal contribuente in sede di acquisto della prima casa di abitazione sul presupposto che il contribuente stesso, prima che fosse trascorso il quinto anno dal momento dell'acquisto, ne avesse fatto cessione ad un terzo estraneo al nucleo familiare, sia pure in esecuzione di un'apposita clausola stipulata nel contesto degli accordi con i quali il contribuente ed il suo coniuge avevano consensualmente regolato il regime della propria separazione personale.

La Commissione Provinciale, ha accolto il ricorso della parte contribuente, annullando l'atto impositivo. Avverso la detta sentenza si è doluta l'Agenzia delle Entrate e ne ha ottenuto la riforma da parte della Commissione Regionale che ha ritenuto del tutto legittimo il provvedimento di revoca dei benefici fiscali.

A questo riguardo la CTR ha argomentato nel senso che la revoca del beneficio fiscale previsto per la prima casa d'abitazione dall'art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986, non è in contrasto con il principio di non tassabilità degli atti dispositivi che i coniugi realizzano come effetto degli accordi raggiunti in sede di separazione per due distinte ragioni, e cioè sia perché la cessione dell'immobile non avviene “attraverso l'omologazione della separazione” ma con distinto ed autonomo negozio giuridico, sia perché la tassazione dell'atto di vendita non è “occasionata dalla crisi coniugale, bensì dalla revoca di un precedente beneficio fiscale”.

Le questioni

La questione centrale affrontata dalla pronuncia qui in rassegna è quella della prospettata violazione dell'art. 19 della Legge n. 74 del 6 marzo 1987 - da cui promana il regime di esenzione (dal bollo, dal registro e da ogni altra tassa) - sull'assunto che detta esenzione deve ritenersi estensibile anche agli atti di trasferimento di immobili in comunione matrimoniale a favore di terzi estranei.

È agevole supporre, per quanto non se ne trovi riepilogo nella motivazione della pronuncia, che la parte ricorrente abbia sottoposto a critica entrambi i profili della ‘ratio' posta dalla Commissione Regionale a sostegno della propria determinazione e cioè:

1) che la cessione dell'immobile al terzo dovrebbe considerarsi estranea ai “provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi”, come letteralmente recita il richiamato art. 19;

2) che la revoca del beneficio fiscale in precedenza goduto trovi la sua mera occasione nella crisi coniugale, ma la trovi sua causa nella cessione del bene immobile prima della scadenza del periodo quinquennale previsto dalla legge.

Mette conto, a quest'ultimo proposito, rammentare che il comma 4 della nota 2-bis all'art. 1 della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131/1986 prevede espressamente che “In caso ... di trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con i benefici di cui al presente articolo prima del decorso del termine di cinque anni dalla data del loro acquisto, sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonche' una sovrattassa pari al 30 per cento delle stesse imposte”.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, tuttavia, ha affrontato compiutamente entrambe le questioni logiche sottese alla censura di parte ricorrente, sia pure in un unico ed indifferenziato percorso logico-deduttivo.

Da un canto, la Corte ha sposato apertamente l'orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto applicabile l'agevolazione in parola anche “agli atti esecutivi degli accordi intervenuti tra i coniugi”, atteso il carattere di “negoziazione globale” attribuibile agli strumenti con cui complessivamente si attua “la liquidazione del rapporto coniugale”.

Detto orientamento, affermatosi con l'innovativa Cass. Civ., sez. trib., n. 2111, 3 febbraio 2016, ha posto in chiara evidenza che la distinzione tra elementi negoziali “essenziali” ed elementi negoziali “eventuali” è a tutt'altro finalizzata che non a distinguere tra negozi agevolabili e negozi non agevolabili, e cioè a discernere i patti che sono soggetti alla procedura di modifica o revoca, ex art. 156 ultimo comma c.c. e 710 c.p.c., rispetto a quelli che a detta procedura restano estranei, così che la loro efficacia tra le parti trova il proprio riferimento normativo nell'art. 1372 c.c., e si situa nel perimetro della libera disponibilità contrattuale.

Ed ha anche posto in evidenza che l'ulteriore e più sottile distinzione (rinvenibile, tra le altre, in Cass. Civ., sez. trib., n. 15231 del 03 dicembre 2001) tra “atti relativi al procedimento di separazione e divorzio” ed "atti stipulati in occasione della separazione e del divorzio" (così che il limite per l'applicazione dell'agevolazione in questione si rinverrebbe nel rapporto di «causalità necessaria» tra atti recanti il trasferimento della proprietà esclusiva di beni immobili da un coniuge all'altro e il procedimento di separazione o di divorzio, in ragione della finalizzazione dei medesimi atti allo scioglimento della comunione) appare supportata da un argomento anche testualmente superato, a seguito della declaratoria d'illegittimità costituzionale dell'art. 8 lett. b) della Tariffa, parte I, ad opera di Corte Cost. n. 202/2003, nella parte in cui non esenta dall'imposta ivi prevista i provvedimenti emessi in applicazione dell'art. 148 c.c., in tema di determinazione del contributo di mantenimento fissato a carico del genitore naturale obbligato ed a favore del genitore affidatario, propriamente attinenti all'ambito dei rapporti tra genitori e figli e perciò semplicemente occasionati dalle procedure di sistemazione attinenti ai rapporti di comunione tra i coniugi.

Il richiamo all'innovativo indirizzo di legittimità non solo è bastato - nella sentenza qui in commento - per confutare la fondatezza del primo degli argomenti del giudice di appello, ma ha fornito anche il destro per evidenziare, d'altro canto, che la causa che presiede all'agevolazione riconosciuta a tutti gli elementi negoziali della separazione (essenziali o eventuali; relativi al procedimento o occasionati da esso) è il favor per la “sistemazione” dei rapporti patrimoniali tra i coniugi maturati nel corso della convivenza matrimoniale, sicchè essa agevolazione appare di portata assolutamente generale, così come confermano sia la dizione comprensiva della norma recata dall'art. 19 della Legge n. 74/1987 sia la intima contraddizione che si genererebbe per effetto di una interpretazione contraria. Infatti, anche il solo recuperare l'imposta come effetto della violazione della disciplina espressamente prevista a favore dell'acquisto della prima casa di abitazione equivarrebbe comunque a costituire una sorta di nuova imposta su un trasferimento avvenuto in esecuzione dell'accordo tra i coniugi, con palese tradimento della ratio sottesa alla previsione del più volte richiamato articolo 19.

Da qui l'impulso a ritenere compresi nell'ambito del regime esonerativo anche gli atti dispositivi a favore di terzi, con il superamento di quell'orientamento negativo che aveva trovato il proprio paladino in Cass. civ., sez. trib., n. 860 del 17/01/2014, secondo la quale militerebbero a favore della tesi restrittiva non solo il tenore letterale della norma (che, nel riferirsi a patti assunti in sede di procedimenti di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio o di separazione personale, non può che riguardare le prestazioni esecutive rese da un coniuge nei confronti dell'altro) ma anche la logica dell'agevolazione, che mira a promuovere una soluzione idonea a garantire un nuovo equilibrio, anche economico, per i coniugi, di tal che l'inclusione di atti di diversa natura si presterebbe facilmente ad intenti elusivi, nonché infine il principio di stretta interpretazione che ispira l'esegesi delle disposizioni tributarie agevolative.

Senonchè, un semplice rilievo empirico contenuto nella sentenza qui in commento pare idoneo a superare ogni diversa obiezione formale. Ed invero, l'effetto che la vendita ad un terzo di un immobile di comune proprietà dei coniugi produce è quello di consentire la successiva divisione tra i coniugi del prezzo ricavato, ciò che si conforma alla ratio legis ed alla finalità perseguita dalla disciplina di favore e rende perciò inattuale ed inconferente qualsivoglia distinzione teorica a riguardo della configurazione giuridica dei negozi che si originano o trovano la loro mera occasione nelle procedure di gestione della crisi matrimoniale.

Osservazioni

Prosegue, dunque, senza sosta il processo espansivo delle agevolazioni fiscali riconosciute ai “negozi della crisi matrimoniale”.

Abbiamo già rammentato che il testo originario della norma contemplava il beneficio a riguardo dei soli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (ivi compresi i procedimenti, anche esecutivi e cautelari, diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni conseguenti all'esito dei ridetti procedimenti); che la sentenza n. 176/1972 della Corte costituzionale ha determinato l'estensione del beneficio alle iscrizioni di ipoteca effettuate a garanzia delle obbligazioni assunte dal coniuge nel giudizio di separazione; che altra sentenza n. 154/1999 della Corte costituzionale ha determinato l'estensione dell'esenzione in parola a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi.

Non meno efficace di quello in ambito normativo è stato l'apporto che - sia pure ad andamento altalenante - al detto processo espansivo ha fornito l'esegesi giurisprudenziale: già Cass. Civ., sez. 5, n. 6065 del 12 maggio 2000 ha messo in evidenza che il riferimento, presente nella norma, ad ogni altra "tassa", identifica un uso atecnico del termine il quale, pertanto, deve intendersi ricomprende nel suo ambito anche tipi di imposta ulteriori rispetto a quelle di registro e di bollo, e pertanto anche l'INVIM.

In seguito Cass. civ., sez. trib., n. 14157 del 5 giugno 2013 ha ritenuto agevolabili anche i provvedimenti semplicemente "relativi" al procedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio, compresi quelli (nella specie, la divisione giudiziale con attribuzione della casa coniugale in proprietà esclusiva al contribuente) pronunciati fuori dallo stesso, purché rivolti a regolare rapporti economici insorti tra i coniugi a cagione della loro lite matrimoniale.

A sua volta, Cass. civ., sez. trib., n. 16348 del 28 gigno 2013 ha dato la stura all'orientamento che ritiene estendibile l'esenzione "a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi", in modo da garantire l'adempimento delle obbligazioni che i coniugi separati hanno assunto per conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici, anche con atti i cui effetti siano favorevoli ai figli.

Ed ancora, Cass. Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 3753 del 18/02/2014 ha affermato il principio secondo cui l'attribuzione al coniuge della proprietà della casa coniugale in adempimento di una condizione inserita nell'atto di separazione consensuale non costituisce una forma di alienazione dell'immobile rilevante ai fini della decadenza dai benefici per la cosiddetta "prima casa", bensì una modalità di utilizzazione dello stesso per la migliore sistemazione dei rapporti fra i coniugi in vista della cessazione della loro convivenza.

Del tutto naturale, perciò, che, inserendosi in questo filone, la pronuncia qui in rassegna sia pervenuta a coinvolgere nell'attribuzione del beneficio anche i negozi giuridici con terzi totalmente estranei alla compagine familiare, poiché a questa conseguenza, quasi inevitabilmente, conduce la teoria che qualifica come "negoziazione globale" tutti gli accordi e gli atti dispositivi che la coppia in crisi adotta -anche attraverso la previsione di trasferimenti mobiliari o immobiliari- al momento della "liquidazione" del rapporto coniugale, la cui causa è appunto rinvenibile nell'intenzione di definire in modo non contenzioso e tendenzialmente definitivo la crisi che è sfociata in un procedimento di separazione, divorzio o cessazione degli effetti civili del matrimonio.

In quest'ottica, anche gli accordi che prevedano, nel contesto di una separazione tra coniugi, atti comportanti trasferimenti patrimoniali dall'uno all'altro coniuge o in favore dei figli, o in favore di terzi debbono essere ricondotti nell'ambito delle "condizioni della separazione" di cui all'art. 711 comma 4 c.p.c., così che è possibile attribuire anche a detti accordi la qualificazione di contratti tipici e conseguente meritevolezza di tutela in ambito fiscale.

D'altronde, il timore che un simile (e dal legislatore probabilmente “imprevedibile”) risultato espansivo possa dare adito a condotte connotate da finalità elusiva (che trovino occasione d'inserimento nelle propaggini del procedimento giudiziale relativo ai coniugi unicamente per il conseguimento di un indebito risparmio fiscale) è già stato autorevolmente (cfr. Cass. Civ., sez. trib., n. 2111 del 3 febbraio 2016) ritenuto argomento non rilevante, sulla scorta del rilievo che -essendo il fenomeno dell'elusione, la sua prevenzione e la sua repressione oggetto di specifica regolamentazione normativa, che oggi trova il suo fondamentale riferimento nell'art. 10-bis della L. n. 212/2000- esistono gli opportuni rimedi ordinamentali per prevenirne l'esercizio e per impedire che esso snaturi la funzione giuridica dei contratti di cui qui si tratta.

Non resta che prendere atto del fatto che, nel conflitto tra interessi contrapposti ed idoneamente sottoposti a tutela, quello sotteso all'art. comma 4 della nota 2-bis all'art.1 della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131/1986 (volto a prevenire che atti dispositivi caratterizzati da intento speculativo beneficino di agevolazione fiscale), risulta ormai totalmente recessivo rispetto a quello tutelato dall'art. 19 della Legge n. 74/1987, che è volto ad agevolare la soluzione (preferibilmente non contenziosa) delle crisi coniugali, anche al fine di evitare che queste ultime costituiscano ulteriore alimento per la crisi della giustizia civile.

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