Rifiuto di trattamenti sanitari da parte dell'a.d.s.: la l. n. 291 non è incostituzionale

Roberto Masoni
20 Agosto 2019

Il conferimento all'amministratore di sostegno della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario non porta con sé, anche e necessariamente, il potere di rifiutare i trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita...
Il caso

Il giudice tutelare del Tribunale di Pavia, con ordinanza 24 marzo 2018, ha evidenziato che, con decreto di nomina era stato nominato un amministratore di sostegno a favore di un beneficiario, senza attribuzione di poteri in materia di consenso informato medico sanitario.

La relazione clinica del 21 febbraio 2018 certificava poi che lo stesso si trovava «in stato vegetativo in esiti di male epilettico in paziente affetto da ritardo mentale grave da sofferenza cerebrale perinatale in sindrome disformica e portatore di p.e.g.». Si evidenziava l'indispensabilità dell'integrazione del decreto di nomina ai fini dell'individuazione dei poteri in ambito sanitario, non residuando alcuna capacità in capo all'amministrato.

La questione

Dovendo quindi il g.t. provvedere ad integrare i poteri dell'a.d.s. conferendo pure poteri in materia di trattamenti sanitari, in applicazione dell'art. 3, commi 4 e 5, della novella n. 219 del 2017, si è ritenuto così che il g.t. dovrebbe attribuire pure il potere di rifiuto delle cure, «ancorché si tratti di cure necessarie al mantenimento in vita dell'amministrato». Ecco il quesito giuridico che l'ordinanza di remissione aveva sollevato. Sarebbe rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, commi 4 e 5, della legge 219/2017, nella parte in cui stabilisce che l'amministratore di sostegno la cui nomina preveda l'assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento, possa rifiutare, senza l'autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell'amministrato, tenuto conto dell'ipotizzabile violazione degli articoli 2, 3, 13, 32 della Costituzione.

Le soluzioni giuridiche

A giudizio del remittente l'art. 3, commi 4 e 5 della novella, sarebbero in contrasto con i richiamati principi costituzionali, laddove, essa non prevede, in assenza di d.a.t., l'intervento autorizzatorio del giudice quando l'amministratore di sostegno intenda rifiutare le cure proposte, pur in assenza di contrasto col medico.

Il presupposto da cui parte il g.t. pavese per dubitare della legittimità costituzionale delle disposizioni normative di nuovo conio è dato dalla constatazione secondo cui, in materia di rifiuto delle cure, vengono in considerazioni valutazioni di ordine personalissimo,«inscindibili dal soggetto interessato ed indissolubilmente legate alle sue proprie convinzioni religioso-filosofiche ed inclinazioni culturali, come tali insuscettibili di essere vagliate alla luce di un giudizio obiettivo o alla stregua del parametro del best interstizi», come precisa la pronunzia.

Riprendendo taluni passaggi contenuti nella pronunzia c.d. Englaro (Cass. civ. n. 748/2007), il remittente ha precisato che il rifiuto delle cure non può derivare da riflessioni ed individuali valutazioni dell'a.d.s., ma deve trovare «la propria inderogabile legittimazione nella volontà dell'interessato e nei suoi orientamenti esistenziali». Indispensabile, si appaleserebbe quindi, la ricerca della volontà individuale espressa dall'incapace in materia di rifiuto delle cure, quando lo stesso era ancora capace di autodeterminazione, cosicchè l'a.d.s. dovrebbe limitarsi a trasmettere la volontà già formata dell'amministrato. Si afferma, quindi, che le disposizioni dettate dalla legge sul c.d. biotestamento risulterebbero inidonee a «salvaguardare compiutamente la natura eminentemente soggettiva del diritto in questione,» in quanto tali da rimettere all'a.d.s.. «un potere potenzialmente autonomo di rifiuto delle cure», avendo come effetto quello di condurre alla «negazione dell'essenza personalissima del diritto de quo e la sua correlativa violazione».

Sotto il profilo costituzionale, quindi, i precetti impugnati sono stati sospettati di ledere i principi sanciti dagli artt. 2, 13 e 32 Cost., laddove la scelta di rifiutare le cure, come dispone la norma censurata, sia espressa unicamente dall'a.d.s., senza autorizzazione del g.t.

Si censuravano ancora le disposizioni di cui all'art. 3, commi 4 e 5, della l. n. 219, per incoerenza e per manifesta irragionevolezza, con susseguente violazione dell'art. 3 Cost, all'interno dell'architettura di sistema delineata dall'istituto dell'amministrazione di sostegno.

In particolare, si evidenzia che, de iure conditum, l'autorizzazione del g.t. è prevista ai fine del compimento degli atti elencati negli artt. 374 e 375 c.c. (che, in tema di a.d.s., sono richiamati dall'art. 411). Tuttavia, continuava la pronunzia, prevedere tale autorizzazione per “l'esplicazioni di atti attinenti la sfera patrimoniale” e, al contempo, non prevederla per l'atto di rifiuto alle cure, «sintesi ed espressione dei diritti alla vita, alla salute, alla dignità, all'autodeterminazione della persona, si profilerebbe come irrazionale».

Osservazioni

La questione di legitimità costituzionale sollevata, come aveva pronosticato la maggioranza della dottrina che l'aveva commentata criticamente, è stata ritenuta infondata e pertanto è stata rigettata. La Corte Costituzionale con la pronuncia in rassegna ha evidenziato come risulti “errato il presupposto interpretativo” da cui si è sviluppato il ragionare del giudice remittente.

Dopo avere rammentato il tenore della disciplina di nuovo conio sotto il profilo dell'introduzione del principio del consenso informato e delle D.A.T., oltre che della declinazione di quel principio con riguardo ai soggetti incapaci, la Corte ha ricordato che, a tenore dell'art. 3 di quella legge, i poteri in ambito sanitario possono essere conferiti dal g.t. all'amministratore di sostegno all'uopo nominato, istituto quest'ultimo non disciplinato dalla novella del 2017, ma dagli artt. 404 e segg. c.c. (innovati dalla legge n. 6 del 2004).

Si ricorda pertanto che i poteri conferiti all'a.d.s. sono disciplinati da queste ultime disposizioni normative e, in particolare, dal decreto del g.t. che, in modo duttile ponendosi come un “vestito su misura” (Cendon), determina, volta a volta, i poteri del vicario, tenendo conto delle sue specifiche condizioni di salute, in forza della generale direttiva che impone di “limitare nella minore misura possibile la capacità di agire” della persona disabile impossibilitata a provvedere ai propri interessi.

In forza della testè richiamata ricostruzione dogmatica dell'istituto dell'a.d.s., come precisa la Corte, emerge come si riveli «errato il presupposto interpretativo su cui si fondano le questioni di legitimità costituzionale proposte dal g.t. di Pavia».

Prosegue la pronunzia evidenziando che, «contrariamente a quanto ritenuto dal giudice remittente, le norme censurate non attribuiscono ex lege a ogni amministratore di sostegno che abbia la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario anche il potere di esprimere o no il consenso informato ai trattamenti sanitari di sostegno vitale».

È quindi il g.t. che, volta a volta, individua l'oggetto dell'incarico e gli atti che l'amministratore di sostegno ha il potere di compiere a beneficio del disabile, in forza di una concreta ed effettiva valutazione, che tenga conto delle «circostanze del caso di specie» e, pertanto, in particolare,«alla luce delle concrete condizioni di salute del beneficiario»

Proprio in relazione al quadro clinico e alla riscontrata patologia che affligge il disabile, è compito precipuo del g.t. quello di conferire all'a.d.s. il potere di «prestare consenso o il diniego ai trattamenti sanitari di sostegno vitale».

In conclusione, il conferimento all'a.d.s. di poteri in ambito sanitario, conclude la Corte, non reca con sé anche quello di rifiutare i trattamenti necessari al mantenimento in vita del paziente, al punto che le norme censurate dal giudice remittente si limitano a disciplinare il caso in cui l'a.d.s. abbia in concreto ricevuto dal giudice il potere di rifiutare le cure.

Conclude la Corte evidenziando che, in forza di quanto precede, consegue l'infondatezza della questione di legittimità sollevata.

L'approdo cui è prevenuta la pronunzia in rassegna appare condivisibile se solo si considera il trasparente e nitido quadro normativo come ricostruito dalla medesima pronunzia.

La neofita disciplina dettata in tema di consenso informato e d.a.t. interferisce con la misura dell'amministrazione di sostegno, come si era da più parti evidenziato.

Già in passato, in via interpretativa, traendo spunto dai compiti di «cura della persona interessata» (art. 405, 3° comma, c.c.), si era ipotizzata l'attribuibilità all'a.d.s. (nel decreto di nomina) anche di poteri in ambito sanitario.

Questi poteri potevano concernere la manifestazione del consenso informato, alla stregua della ricostruita volontà del disabile antecedentemente espressa, ovvero, eventualmente, anche quello di rifiuto.

Ma il potere (rimesso all'amministratore di sostegno) di rifiutare le terapie suppone un decreto del g.t., che tale potere espressamente conferisca.

Si consideri che in passato, all'a.d.s., nominato per assistere o rappresentare un beneficiario appartenente alla congregazione dei Testimoni di Geova, era stato espressamente attribuito il potere di rifiutare le emotrasfusioni che si fossero rese necessarie per la cura della persona.

In particolare, all'amministratore di sostegno erano dstati emandati compiti sostitutivi dell'incapace, compendiabili nella «negazione di consenso ai sanitari coinvolti a praticare, prima, nel corso e a seguito dell'intervento chirurgico della frattura, qualsivoglia trasfusione di sangue, ancorché ritenuta indispensabile per la sopravvivenza della beneficiaria» (Trib. Modena 16 settembre 2008; Trib. Bologna, sez. Imola, 4 giugno 2008).

Ad analogo risultato si era pervenuti in altra analoga vicenda giudiziaria.

Era stato demandato all'a.d.s. il potere di rifiutare determinati trattamenti sanitari, anche salvavita, che una paziente affetta da s.l.a in fase avanzata aveva rifiutato, con effetti vincolanti per il personale medico (Trib. Modena 13 maggio 2008).

Come si vede, compiendo una corretta ed esaustiva esegesi, nonchè una ricostruzione rigorosa del microsistena delle misure di protezione dei disabili, la Corte ha evidenziato il non corretto punto di partenza nel ragionamento ermeneutico compiuto dal giudice remittente.

Infatti, la normativa impugnata (come d'altronde la dottrina aveva subito evidenziato) non sconta alcun vulnus costituzionale, dato che la quaestio iuris sollevata era solubile facendo corretta applicazione della flessibile disciplina contenuta nel capo II° del titolo IX del libro I° del c.c., dedicato alle «Misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia».

Come si vede i nodi che sin da subito si erano aggrovigliati attorno alle dirompenti innovazioni normative introdotte dalla legge n. 219 del 22 dicembre 2017 stanno progressivamente venendo al pettine e, seppur molto lentamente, dipanandosi.

A seguito del positivo superamento del vaglio di costituzionalità delle norme dettate in tema di soggetti incapaci in essi contenute e come ha chiarito la pronunzia in oggetto, si attende ora la prossima implementazione della disciplina di competenza del Ministero della Salute, in tema di istituzione della banca dati d.a.t. (già prevista dall'art. 1, commi 418 e 419, della l. n. 205 del 2017), in grado di raccogliere le d.a.t. provenienti dai notai, dagli uffici anagrafe e dalle u.s.l., rendendole conoscibili.

Infatti, di recente, un ulteriore tassello è stato collocato.

Con provvedimento in data 29 maggio 2019, il Garante della Privacy (in attuazione a quanto dispone il comma 419 della l. n. 205) ha espresso parere favorevole, seppur con taluni rilievi tecnici, allo schema di decreto ministeriale istitutivo della banca dati.

Tale essenziale strumento, che dovrebbe ormai essere di prossima attuazione, seppur con un ritardo di oltre un anno rispetto ai tempi previsti, risulta essenziale per garantire l'integrale funzionamento della disciplina dettata dalla l. n. 219.

Una volta a regime, la banca dati potrà consentire ai medici che hanno in cura il paziente divenuto incapace all'autodeterminazione, oltreché al fiduciario nominato ed in carica, di avere piena contezza dell'eventuale esistenza e degli esatti termini del testamento biologico previamente confezionato dal parte del paziente.

Si attende peraltro per il 24 settembre prossimo un ulteriore assestamento della normativa contermine, mediante la pronunzia di incostituzionalità “annunciata” sull'art. 580 c.p.c. (in forza di quanto dispone l'ordinanza interlocutoria della Corte Cost., 16 novembre 208, n. 207), a fronte della latitanza del Parlamento nel legiferare in materia.

Guida all'approfondimento

De Filippis, Biotestamento e fine vita, Padova, 2018;

Bonilini,Tommaseo, Dell'amministrazione di sostegno, in Il codice civile commentario, diretto da F. BUSNELLI, Milano, 2018, II° ed.;

Masoni, Potere dell'a.d.s. di rifiutare le cure senza l'intervento del g.t.: il Tribunale di Pavia solleva questione di legittimità costituzionale, in Il Familiarista, 9 maggio 2018;

Masoni, Aiuto al suicidio ed eutanasia attiva: la rivoluzionaria pronunzia della Consulta sull'autodeterminazione al trattamento medico da parte del paziente, in Il Familiarista, 26 marzo 2019.

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