Decreto sicurezza bis convertito in legge. Tutte le modifiche

23 Agosto 2019

La l. 8 agosto 2019, n. 77, di conversione con modifiche del d.l. 14 giugno 2019, n. 53, recante Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica, entrata in vigore il 10 agosto 2019, prevede, per quanto qui rileva, numerose modifiche alle norme di diritto sostanziale e processuale in materia penale.Grazie a un intervento eterogeneo, la novella risulta disseminata tra le Disposizioni urgenti in materia di contrasto all'immigrazione illegale e di ordine e sicurezza pubblica (artt. 3, 3-bis, 4, 6 e 7); le Disposizioni urgenti per il potenziamento dell'efficacia dell'azione amministrativa a supporto delle politiche di sicurezza (art. 9) e le...
Abstract

La l. 8 agosto 2019, n. 77, di conversione con modifiche del d.l. 14 giugno 2019, n. 53, recante Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica, entrata in vigore il 10 agosto 2019, prevede, per quanto qui rileva, numerose modifiche alle norme di diritto sostanziale e processuale in materia penale.

Grazie a un intervento eterogeneo, la novella risulta disseminata tra le Disposizioni urgenti in materia di contrasto all'immigrazione illegale e di ordine e sicurezza pubblica (artt. 3, 3-bis, 4, 6 e 7); le Disposizioni urgenti per il potenziamento dell'efficacia dell'azione amministrativa a supporto delle politiche di sicurezza (art. 9) e le Disposizioni urgenti in materia di contrasto alla violenza in occasione di manifestazioni sportive (artt. 14, 15 e 16).

L'aggravante relativa alle manifestazioni sportive

L'art. 16 d.l. 53/2019, introduce il numero 11-septies dell'art. 61 c.p., recante una nuova circostanza aggravante comune (a effetto comune) con la funzione di adeguare l'entità della sanzione alla reale gravità del fatto, anche nell'ottica di una maggiore individualizzazione e personalizzazione della responsabilità:

«l'avere commesso il fatto in occasione o a causa di manifestazioni sportive o durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui si svolgono dette manifestazioni»

La formulazione della norma, strutturata causalmente e dell'evento sportivo, deve essere interpretata non tanto e non solo nel senso che il fatto debba essersi verificato necessariamente durante il suo svolgimento, ma anche quando abbia un'immediata e univoca connessione (nesso eziologico) con la manifestazione. La ratio della norma, infatti, è quella di estendere l'efficacia dissuasiva laddove il fatto, determinato da una mal governata passione sportiva (incontrollabili stati emotivi) e dalla distorsione del ruolo del tifoso, si realizzi in un momento diverso dal verificarsi del fattore che li ha scatenati. Si pensi agli appartenenti a frange di tifoserie organizzate rivali, che commettano il fatto in un contesto temporale diverso da quello dello svolgimento della partita.

Il rilievo attribuito al generico momento del trasferimento da o verso i luoghi in cui si svolgono le manifestazioni, invece, sembra eccessivamente indeterminato.

Resta il dubbio, in applicazione del principio di specialità, della compatibilità di tale circostanza comune con le nuove aggravanti speciali introdotte quando il fatto sia commesso nel corso di “manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico”; infatti, se da un lato, è evidente che le manifestazioni sportive si svolgono sempre in luogo pubblico o aperto al pubblico, dall'altro, l'aggravante in esame aggiunge anche i trasferimenti in relazione ai luoghi ove si svolgono solo le manifestazioni sportive.

L'esclusione della particolare tenuità del fatto

L'art. 131-bisc.p. prevede una (specifica) causa di non punibilità per i casi di c.d. irrilevanza del fatto, evincibile dalla particolare tenuità dell'offesa e dalla non abitualità del comportamento, in relazione alle condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a 5 anni.

Il metodo di ricerca di tale causa di espunzione dall'area della punibilità si fonda su una complessa operazione che parte da una concezione gradualistica dell'illecito, sotto il profilo dell'an e del quantum, per sfociare in un fatto tipico, antigiuridico e colpevole – un reato – ma che, considerato il suo minimo disvalore complessivo, non giustifica la necessità della pena, che costituirebbe, invece, anche nel minimo edittale, una risposta sproporzionata per eccesso rispetto all'effettiva offesa al bene giuridico protetto: exigua iniuria nulla poena.

Si tratta di uno strumento normativo specifico, che dà la possibilità di definire in modo alternativo – mediante una diversion processuale – alla sentenza penale di condanna situazioni di evidente palese minima consistenza offensiva ma che tuttavia risultino sussumibili astrattamente in specifiche fattispecie incriminatrici. In tal modo, fuori da ogni automatismo, si rimette al magistrato, attraverso un procedimento interamente giurisdizionalizzato, l'apprezzamento, caso per caso e in concreto, della diagnosi di esiguità, sulla prognosi di non meritevolezza della pena.

Non si tratta di creare criminali legibus soluti, ma di prevedere la possibilità di rinunciare alla punizione nei casi di piccoli abusi o di condotte che ledono in misura minima il concreto bene giuridico protetto.

Ciò consente di evitare quella disfunzione del sistema - rispetto ai valori costituzionali, alle logiche normative nonché al comune sentire dei cittadini - che determina una sostanziale non-giustizia dovuta a quella stridente contraddizione nell'applicazione di sanzioni pur formalmente ineccepibili, ma obiettivamente sproporzionate alle reali dimensioni dei fatti oggetto di giudizio, che risulta fonte di tensione del principio di uguaglianza.

Ne deriva un diritto penale meno enfatico, che prevede una soglia minima di accesso alla meritevolezza della pena, ma più capace di prevenzione primaria, quale idoneità della legge di ottenere consenso e adesione sociale anche da parte del trasgressore che riconosce, nella sua scelta sbagliata, l'autorevolezza della norma.

La tutela degli interessi della persona offesa è garantita dalla mancanza di pregiudizio per l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del danno, al fine di evitare effetti di denegata giustizia, nei confronti della vittima che si rivolge fiduciosa all'organo istituzionalmente destinato a risolvere i (micro)conflitti sociali, ne cives ad arma ruant.

Il secondo comma, nell'introdurre una presunzione legale negativa, precisa che l'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità nei tipizzati casi di comportamenti (ex lege ritenuti intrinsecamente “gravi”) caratterizzati da:

  • motivi abbietti o futili - id est, ripugnanti (riprovevoli, spregevoli e perversi) rispetto alla morale comune o sproporzionati all'entità del fatto commesso;
  • crudeltà, anche in danno di animali, o sevizie - idonee a infliggere sofferenze fisiche o patimento morale non necessari;
  • approfittamento della minorata difesa della vittima, anche in base all'età; facilitazione nella commissione del reato dovuta a circostanze di tempo, di luogo o di persona della vittima (minori o anziani).
  • in caso di morte o lesioni gravissime a una persona.

La novella aggiunge un periodo al secondo comma che esclude l'applicazione della particolare tenuità del fatto quando si tratti di «delitti commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, punibili con una pena superiore nel massimo a 2 anni e 6 mesi di reclusione».

Per la determinazione del limite edittale, ostativo all'operatività dell'istituto, il comma 1 dell'art. 131-bisc.p. evoca la pena detentiva “prevista” per il singolo reato, riferendosi quindi alla pena edittale stabilita dalla singola norma incriminatrice e non a quella in concreto irrogata; mentre, il comma 4 considera solo gli accidentalia delicti a efficacia speciale autonoma - per i quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria - o indipendente - che comportano un aumento o una diminuzione della pena superiore a un terzo - tra i quali non sono annoverabili le diminuenti premiali.

Ne deriva che, ai fini del computo di pena non superiore nel massimo a 2 anni e 6 mesi di reclusione, non dovrà tenersi conto della nuova aggravante comune di cui all'art. 61 n. 11-septies c.p.

Secondo la relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del decreto l'intento sarebbe quello di garantire la punibilità di condotte che, per il particolare allarme sociale che determinano, non possano mai costituire ipotesi di lieve entità.

Inoltre, in sede di conversione, l'esclusione della particolare tenuità del fatto è stata estesa anche quando si proceda per i «delitti di cui agli artt. 336, 337 e art. 341-bis, quando siano commessi nei confronti di un pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni».

La formulazione, che non tiene conto del fatto che gli artt. 336 e 337 c.p. prevedono che le relative condotte possano essere indirizzate anche nei confronti dell'incaricato di servizio, sembra escludere la tenuità solo in relazione ai fatti commessi nei confronti del pubblico ufficiale e non anche di colui che presta un pubblico servizio.

Ma vi è di più. Come detto, la costruzione della norma esclude dalla tenuità del fatto la violenza, la resistenza e l'oltraggio, a condizione che siano commessi mentre l'agente pubblico è nell'esercizio delle proprie funzioni. La previsione risulta ridondante, oltre che pericolosa; infatti, tutte e tre le condotte richiedono, per definizione, l'esercizio delle mansioni pubbliche.

Infine, si osserva come la formulazione della norma, limitata ai soli delitti di cui agli artt. 336, 337 e 341-bis c.p. lasci fuori l'ipotesi prevista dall'art. 343, sebbene la stessa sia stata oggetto di modifiche da parte dello stesso d.l. 53/2019, alla lett. b-bis) dell'art. 7 (su cui vedi infra). Ne deriva che in caso di oltraggio “a un magistrato in udienza” - il quale resta pur sempre un pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni - può continuare ad applicarsi la causa di non punibilità per particolare tenuità dell'offesa.

Le aggravanti relative alle manifestazioni in luogo pubblico

L'art. 7d.l. 53/2019, sull'assunto che i reati commessi nel contesto di manifestazioni che si tengono in luogo pubblico o aperto al pubblico siano intrinsecamente minacciosi e di particolare effetto intimidatorio e, quindi, di maggior pericolosità sociale, tale da meritare una espressa menzione, apporta una serie di modifiche accomunate dalla finalità di inasprire il relativo trattamento sanzionatorio.

Luogo pubblico è uno spazio che, per definizione e natura, è accessibile liberamente a tutti senza particolari limitazioni (un'area, una piazza, una via, un giardino pubblico, una spiaggia demaniale, ecc.).

La locuzione luogo aperto al pubblico, individua qualsiasi luogo nel quale l'accesso è consentito a particolari condizioni soltanto dopo l'espletamento di particolari formalità (quali il pagamento di un biglietto di ingresso; l'esibizione di un invito; l'obbligo di iscrizione a un'associazione, ecc.).

La lettera a) introduce nel primo comma dell'art. 339 c.p. un'ulteriore circostanza aggravante, a effetto comune, per i reati di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (art. 336 c.p.), resistenza a un pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), e violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti (art. 338 c.p.), qualora le condotte siano poste in essere durante manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico.

La lettera b) aggiunge un ulteriore comma all'art. 340c.p.che introduce una circostanza aggravante, a effetto speciale, che comporta la pena della reclusione fino a 2 anni, nel caso in cui l'interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, sia posta in essere nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico.

La lettera c) estende la circostanza aggravante, a effetto comune, di cui al secondo comma dell'art. 419, qualora le condotte di devastazione e saccheggio vengano perpetrate nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico.

La lettera d) reca modifiche al delitto di danneggiamento di cui all'art. 635 c.p. - già integralmente riscritto dall'art. 2, comma 1 lett. l) d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7.

La novella, dopo aver espunto dalla fattispecie base di cui al primo comma il riferimento alle manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico, ricolloca la relativa ipotesi in un nuovo comma, che prevede una circostanza aggravante, a effetto speciale, che comporta la pena della reclusione da 1 a 5 anni. Come conseguenza, ne deriva la possibilità di procedere all'arresto facoltativo in flagranza ai sensi dell'art. 381 c.p.p.

In chiave di coordinamento è modificato anche il quarto comma, che prevede che il Tribunale monocratico subordina la concessione della sospensione condizionale all'adempimento di determinati comportamenti riparatori speciali. Da un lato, un facere imposto a ristoro della condotta antigiuridica: eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato; dall'altro, in alternativa, sempre che il condannato non si opponga, la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività, secondo le modalità stabilite dal giudice in sentenza, per un tempo non superiore alla durata della pena sospesa.

L'aumento di pena per gli oltraggi

L'art. 7 d.l. 53/2019, alla lettera b-bis), inserita in sede di conversione, reca una modifica di pena per il delitto di cui all'art. 341-bis.

Il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, già abolito dall'art. 18 l. 25 giugno 1999, n. 205, è stato reintrodotto nel codice penale - dopo 10 anni di assenza, ma con talune modifiche rispetto al testo del passato - dall'art. 1, comma 8,l. 15 luglio 2009, n. 94, recante Disposizioni in materia di sicurezza pubblica.

La fattispecie, oltre a richiedere il verificarsi dell'evento offensivo - congiunto, sia all'“onore” (inteso con riferimento alle qualità morali della persona), che al “prestigio” (inteso come quella particolare forma di decoro determinata dalla posizione del soggetto passivo e attinente alla dignità e al rispetto da cui la pubblica funzione deve essere circondata) - in luogo pubblico o aperto al pubblico, prevede, come ulteriore elemento costitutivo, la “presenza di più persone” (che abbiano la possibilità di udire le parole oltraggiose) che, un tempo, costituiva, invece, mera circostanza aggravante.

Il pubblico ufficiale, inoltre, deve trovarsi nell'atto di compiere un'opera d'ufficio e a causa o nell'esercizio delle sue funzioni (c.d. nesso di causalità o temporalità tra l'offesa e la funzione esercitata).

A differenza della precedente formulazione, invece, non è più previsto che l'offesa sia recata “in presenza” del pubblico ufficiale (nel senso materiale, di cui al primo comma, o ideale, di cui al secondo comma dell'art. 341, abrogato).

Al pari del passato, è prevista un'aggravante speciale, ma a efficacia comune, se l'offesa consista nell'attribuzione di un fatto determinato. Tuttavia, mediante la riproduzione di quanto stabilito in relazione alla diffamazione dall'art. 596, è prevista la causa di esclusione della punibilità dell'exceptio veritatis, id est nella raggiunta prova della verità dell'addebito o nella condanna per tale fatto del pubblico ufficiale.

È, infine, previsto che la realizzazione di quella condotta che normalmente integra l'attenuante comune di cui all'art. 62 n. 6 c.p. - attivo ravvedimento, mediante intera riparazione del danno prima del giudizio - risulti idonea a costituire una (inedita, quanto singolare) causa di estinzione del reato. Poiché come noto, il delitto di oltraggio è un reato plurioffensivo, che lede il prestigio tanto della pubblica amministrazione (offeso primario, mediato), quanto della persona fisica che la rappresenta (offeso secondario, immediato), il risarcimento del danno dovrà essere operato sia nei confronti del singolo pubblico ufficiale, che dell'ente di appartenenza.

Il quantum sanzionatorio ha previsto un massimo edittale che arriva fino a 3 anni di reclusione, mentre il minimo risulta individuato facendo riferimento al limite di 15 giorni, fissato in via generale dall'art. 23 per la pena della reclusione.

Sulla base di questo scenario - dopo ulteriori 10 anni - la novella introduce il minimo edittale pari a 6 mesi di reclusione.

Anche la formulazione di cui al previgente art. 341 c.p., sebbene recasse un massimo contenuto in 2 anni, stabiliva come limite edittale minimo 6 mesi di reclusione.

In merito non si può fare a meno di evidenziare che la Corte Costituzionale (con sentenza 25 luglio 1994 n. 341), ebbe ad affermare che «la previsione di 6 mesi di reclusione come minimo della pena […] non è consona alla tradizione liberale italiana né a quella europea». Secondo la Consulta, tale limite, inserito dal codice penale del 1930, costituisce il prodotto di quella concezione autoritaria tipica dell'epoca, che risulta estranea alla coscienza democratica instaurata dalla Costituzione repubblicana, per la quale il rapporto tra amministrazione e società non è più di imperio, ma di strumento per la cura degli interessi dei cittadini. Ne deriva che la rigidità e severità di quel minimo edittale risulta il frutto di un bilanciamento ormai manifestamente irragionevole tra tutela dell'onore e del prestigio del pubblico ufficiale (e del buon andamento dell'amministrazione) anche nei casi di minima entità, e quello della libertà personale del soggetto agente. In tal senso, se da un lato, l'atteggiamento dei giudici di merito ha da sempre manifestato disagio nel dare risposte sanzionatorie manifestamente eccessive, dall'altro, il legislatore, nonostante i ripetuti inviti ad adeguare la disciplina ai principi costituzionali, non è mai intervenuto. In conclusione, l'art. 341, comma 1, è stato dichiarato incostituzionale nella parte in cui prevedeva come minimo edittale la reclusione per mesi 6.

Sulla base di questo scenario - e tenuto anche conto della manifesta irragionevolezza della norma impugnata che emerge dal raffronto con il trattamento sanzionatorio previsto per l'ingiuria, il cui delitto è stato medio tempore abrogato dall'art. 1, comma 1, lett. c) d.lgs. 15 gennaio 2016 n. 7, per essere trasformato in illecito sottoposto a sanzione pecuniaria civile - si ritiene che il Giudice delle leggi avrà gioco facile nel confermare l'incostituzionalità, per il delitto de quo, del limite minimo edittale della reclusione per mesi 6.

Quanto sopra deve esser letto anche alla luce del fatto che, con la recente ordinanza del 29 gennaio 2019, il Tribunale di Torino, osservato come, a parità di interessi giuridici tutelati, sussiste un'iniqua sproporzione tra la sanzione applicata nel caso di “oltraggio a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario” di cui all'art. 342, punito con la multa da 1.000 a 5.000 euro, e quella nel caso di oltraggio a pubblico ufficiale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 341-bisc.p., stante la diversa specie della pena prevista per le due fattispecie in esame, per violazione degli artt. 3 e 27, comma 3, Cost.

La lettera b-ter), inserita in sede di conversione, reca una modifica di pena per il delitto di cui all'art. 343 c.p., recante oltraggio a magistrato in udienza.

La ratio dell'incriminazione è la tutela dello Stato nell'esercizio della funzione giudiziaria.

In senso tecnico-giuridico, il magistrato deve ritenersi “in udienza” tutte le volte che, indipendentemente dall'oggetto del giudizio, e in qualunque fase processuale, si trovi ad amministrare la giustizia nel contraddittorio (effettivo o potenziale) e con l'intervento (effettivo o virtuale) delle parti o dei loro difensori, e in qualsiasi seduta, nella normale aula di udienza, o anche altrove, nella quale si svolga l'attività giudiziaria.

Il trattamento sanzionatorio, che inizialmente prevedeva la pena detentiva da 1 a 4 anni, è stato rideterminato, dall'art. 18 l. 205/1999, nella reclusione fino a 3 anni.

Anche in questo caso, la novella introduce il minimo edittale pari a 6 mesi di reclusione.

Vale, con buona probabilità, quanto già osservato in relazione all'aumento di pena previsto per l'art. 341-bis.

In relazione ai delitti fin qui esaminati (escluso l'art. 340), resta, in ogni caso, applicabile quella causa di non punibilità recata dall'art. 393-bis - introdotto dal comma 9 dell'art. 1 l. 94/2009 (e, successivamente, modificato dall'art. 4, comma 1,l. 105/2017), che riproduce i contenuti dell'abrogato art. 4 d.lgs 14 settembre 1944, n. 288 - generalmente nota come “legittima reazione agli atti arbitrari dei pubblici ufficiali”.

Modifiche alle disposizioni a tutela dell'ordine pubblico

L'art. 6d.l. 53/2019 interviene sulla l. 22 maggio 1975, n. 152 (c.d. legge Reale), anche nella prospettiva di offrire maggior tutela per gli operatori delle forze di polizia impiegati in servizio di ordine pubblico.

La lettera a), modifica l'art. 5 che vieta, in luogo pubblico o aperto al pubblico, l'uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo idoneo a travisare o a mascherare la persona, in modo da impedire o rendere difficoltoso il suo riconoscimento:

  • senza giustificato motivo (comma 1, I periodo);
  • in ogni caso in occasione di manifestazioni, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino (comma 2, II periodo).

Con la riforma, la pena edittale, già fissata per entrambe le modalità di commissione della contravvenzione, nell'arresto da 1 a 2 anni e nell'ammenda da 1.000 a 2.000 euro, viene limitata alla sola ipotesi recata dal I periodo del comma 1, id est per l'uso senza giustificato motivo.

Per le manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, invece, attesa la maggiore pericolosità, viene inserito un apposito comma sanzionatorio, che diversifica e inasprisce la pena, determinata nell'arresto da 2 a 3 anni e nell'ammenda da 2.000 a 6.000 euro.

La lettera b), introduce la fattispecie di delitto recata dal nuovo art. 5-bis, ai sensi del quale è punito, con la reclusione da 1 a 4 anni, chi, nel corso delle manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, lanci o utilizzi illegittimamente, in modo da creare un concreto pericolo per l'incolumità delle persone, artifizi pirotecnici e oggetti atti ad offendere. In sede di conversione, il pericolo concernente l'integrità delle cose, è stato distinto da quello relativo all'integrità delle persone, per essere punito con la più lieve pena della reclusione da 6 mesi a 2 anni.

Si tratta di un reato di pericolo concreto, con la conseguenza che, ai fini della sua configurabilità, non è richiesto che si cagioni un evento lesivo, il quale andrebbe a costituire un'ipotesi di delitto aggravato dall'evento; infatti, nei reati di pericolo la tutela del bene giuridico è anticipata, e la repressione del comportamento vietato avviene in una fase precedente rispetto ai reati di danno.

La condotta ricalca quella già prevista in occasione di manifestazioni sportive. Infatti, la riforma, ferma la clausola di riserva che il fatto costituisca più grave reato - si pensi all'ipotesi delittuosa di cui all'art. 6 l. 2 ottobre 1967, n. 895 - fa espressamente salva la specifica disciplina prevista dagli artt. 6-bis e 6-terl. 13 dicembre 1989, n. 401.

La peculiarità della previsione sta nell'uso dell'avverbio “illegittimamente”, collegato al lancio o utilizzo degli strumenti vietati. Infatti, in assenza di una definizione circa il loro utilizzo legittimo, non risulta facilmente comprensibile come e in cosa possa consistere l'utilizzo illegittimo.

Inoltre, la norma attribuisce rilievo decisivo alla creazione di “un concreto pericolo” per l'incolumità delle persone. La previsione - già utilizzata anche dal citato art. 6-bisl. 401/1989 - integra una condizione obiettiva di punibilità, in ordine alla ricorrenza della quale, nella specifica situazione di riferimento, derivano notevoli difficoltà di accertamento, probatorie e valutative, suscettibili di letture affatto inequivoche.

Ancora, quella fin troppa minuziosa e analitica elencazione degli oggetti - razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l'emissione di fumo o di gas visibile o in grado di nebulizzare gas contenenti principi attivi urticanti - risulta in grado di restringere l'applicabilità del reato ai soli (per quanto numerosi) strumenti ivi previsti, lasciando aperta, con eccessiva frammentazione del precetto, una lacuna repressiva in relazione a tutti quelli non ricompresi - e.g. girandole, mortaretti, bombe carta, castagnole, ecc.

Infine, sembrano porsi dubbi in merito al rispetto del “principio della riserva di codice”, di cui all'art. 3-bis c.p., posto che la nuova fattispecie è inserita all'interno di una legge che non disciplina in maniera organica la materia dell'ordine pubblico.

Estensione delle indagini di competenza della procura distrettuale

L'art. 3d.l. 53/2019, al fine di contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina, estende le attribuzioni delle direzioni distrettuali antimafia previste dall'art. 51 c.p.

Viene così integrato il comma 3-bis, che attribuisce le funzioni, nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado, all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente, per alcuni delitti associativi.

L'art. 18 d.l. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito con modifiche dalla l. 13 aprile 2017 n. 46, aveva previsto l'attribuzione alla procura distrettuale dei delitti contro le immigrazioni clandestine limitatamente ai commi 3 e 3-ter dell'art. 12 d.lgs. 25/7/1998 n. 286.

La novella, a livello sistematico, integra l'elenco, estendendo ai già previsti reati di associazione finalizzata a commettere le ipotesi di favoreggiamento aggravato, anche quella realizzata al fine di commettere la fattispecie base di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, di cui al comma 1 dell'art. 12 T.U.I.S.

La previsione, in sostanza, coordina in maniera univoca l'intera disciplina delle fattispecie associative di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.

Ne deriva, come diretta conseguenza, anche l'implementazione degli strumenti di contrasto delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, di cui all'art. 266, comma 2-bis, c.p.p. - come da ultimo modificato dalla l. 9 gennaio 2019 n. 3 - e delle intercettazioni e controlli preventivi sulle comunicazioni, di cui all'art. 226 disp. att. c.p.p.

Al fine di evitare inopportuni trasferimenti di competenza a indagini già in corso, un'apposita disposizione transitoria prevede che, in deroga al principio del tempus regit actum che regola la successione delle leggi processuali nel tempo, la competenza della procura distrettuale opera solo in relazione ai procedimenti penali iniziati successivamente all'entrata in vigore della novella.

Nuova ipotesi di arresto obbligatorio in flagranza

L'articolo 3-bisd.l. 53/2019 inserisce nell'elenco speciale dei casi per i quali è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza, recato dal comma 2 dell'art. 380, la lettera m-quinquies).

La nuova ipotesi, si riferisce al delitto di “resistenza o violenza contro una nave da guerra”, previsto dall'art. 1100 R.D. 30/3/1942 n. 327, recante il Codice della navigazione.

In merito, si ricorda che, ai sensi della disposizione generale di cui all'art. 1087 C.N., alla navigazione interna - id est nelle acque territoriali - non si applicano i delitti recati dalle disposizioni degli articoli da 1088 a 1160 C.N. e, quindi, nemmeno l'art. 1100.

Disposizioni in materia di arresto in flagranza differita

L'art. 15d.l. 53/2019, nel recare modifiche all'art. 10 d.l. 20 febbraio 2017 n. 14, c.d. decreto sicurezza urbana, rende definitivo l'istituto dell'arresto in flagranza differita disciplinato dall'art. 8, comma 1-ter,l. 401/1989.

In caso di reati commessi con violenza alle persone o alle cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, per i quali è previsto l'arresto, obbligatorio o facoltativo, ai sensi degli artt. 380 e 381 c.p.p., quando non sia possibile procedere immediatamente all'arresto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica, si considera comunque in stato di flagranza ai sensi dell'art. 382 c.p.p. colui il quale, sulla base di documentazione video fotografica dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto, ne risulti autore, sempre che l'arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro 48 ore dal fatto.

Inoltre, ai sensi del comma 1-quater dell'art. 8 citato, quando l'arresto sia stato eseguito per uno dei reati sopraindicati, e nel caso di violazione del D.A.SPO., l'applicazione delle misure coercitive è disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli artt. 274 c. 1 lett. c) e 280 c.p.p.

L'istituto - che lascia ancora aperti numerosi dubbi di legittimità costituzionale - era stato introdotto in via transitoria: originariamente la misura poteva essere applicata fino al 30 giugno 2005, termine più volte prorogato con provvedimenti d'urgenza - prima, fino al 30 giugno 2007, dal d.l. 30 giugno 2005 n. 115; poi fino al 30 giugno 2010 dal d.l. 8 febbraio 2007 n. 8 - fino al differimento al 30 giugno 2020, previsto dall'art. 10, comma 6-ter,d.l.14/2017.

Inoltre, il comma comma 6-quater dello stesso art. 10 d.l. 14/2017, sulla medesima falsariga, ha introdotto una nuova ipotesi di arresto in flagranza differita entro le 48 ore dal fatto, anche nel caso di reati commessi con violenza alle persone o alle cose, compiuti alla presenza di più persone anche in occasioni pubbliche, per i quali è previsto l'arresto (esclusivamente) come obbligatorio, quando non sia possibile procedere immediatamente all'arresto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica; ai fini dell'identificazione del responsabile si procede sulla base di documentazione videofotografica dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto e l'autore. Anche in questo caso, l'efficacia dell'istituto era prevista fino al 30 giugno 2020.

Ai fini della stabilizzazione di entrambe le ipotesi di arresto ritardato, la novella interviene, rispettivamente sui commi 6-ter e 6-quater dell'art. 10 d.l. 14/2017, con la semplice soppressione del riferimento temporale al 30 giugno 2020.

Resta da osservare che dalla soppressione del termine previsto nel comma 6-ter consegue, per i reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive e in caso di violazione del D.A.SPO., anche la messa a regime dell'applicazione delle misure cautelari coercitive in deroga ai limiti ordinari di pena previsti.

Ampliamento delle ipotesi di fermo di indiziato di delitto

L'art. 14d.l. 53/2019 interviene sull'art. 77 d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, c.d. Codice antimafia, che consente il fermo di indiziato di delitto nei confronti dei soggetti che possono essere destinatari delle misure di prevenzione personale (indicati nell'art. 4), anche al di fuori dei limiti di pena di cui all'art. 384 c.p.p., purché si tratti di reato per il quale è consentito l'arresto facoltativo in flagranza ai sensi dell'art. 381 c.p.p.

La novella estende l'applicabilità della citata ipotesi di fermo, con esenzione dai limiti edittali di pena, anche nei confronti di coloro che risultino gravemente indiziati di un delitto commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive, a condizione che risulti contemplato tra quelli per i quali è consentito l'arresto facoltativo.

In merito si ricorda che nei confronti delle «persone indiziate di avere agevolato gruppi o persone che hanno preso parte attiva, in più occasioni, alle manifestazioni di violenza di cui all'art. 6 l. 401/1989, nonché alle persone che, per il loro comportamento, debba ritenersi, anche sulla base della partecipazione in più occasioni alle medesime manifestazioni, ovvero della reiterata applicazione nei loro confronti del divieto previsto dallo stesso articolo, che sono dediti alla commissione di reati che mettono in pericolo l'ordine e la sicurezza pubblica, ovvero l'incolumità delle persone in occasione o a causa dello svolgimento di manifestazioni sportive», il fermo risulta già consentito, in quanto ricomprese nella lett. i) del comma 1 dell'art. 4 D.Lgs. 159/2011.

Proroga di termini in materia di intercettazioni

L'art. 9,comma2,d.l. 53/2019 proroga il termine a partire dal quale acquista efficacia la riforma introdotta dal d.lgs. 29 dicembre 2017 n. 216, recante Disposizioni in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni.

L'operatività della riforma delle intercettazioni era stata, fin dall'inizio, scaglionata nel tempo, a decorrere dai provvedimenti autorizzativi emessi dopo il 26 luglio 2018 (180° giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto). Tale termine è stato rinviato, prima, al il 31 marzo 2019 - dall'art. 2, comma 1, d.l. 25 luglio 2018 n. 91 (c.d. decreto milleproroghe) - e, successivamente, al 31 luglio 2019 - dall'art. 1, comma 1139, lett. a) n. 1 l. 30 dicembre 2018 n. 145, recante Legge di bilancio.

La novella, nel modificare il comma 1 dell'art. 9 d.lgs. 216/2017, rinvia l'applicazione delle disposizioni relative alle modifiche al codice di rito concernenti:

  • la riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni telefoniche e telematiche oggetto di intercettazione (di cui all'art. 2);
  • la trascrizione, il deposito e la conservazione dei verbali di intercettazione (di cui all'art. 3),
  • le intercettazioni mediante inserimento di captatore informatico (di cui all'art. 4);
  • le norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (di cui all'art. 5);
  • le disposizioni di attuazione per le intercettazioni mediante inserimento di captatore informatico e per l'accesso all'archivio informatico (di cui all'art. 7);

alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il 31 dicembre 2019.

Conseguentemente, previa modifica del comma 2, viene procrastinata l'efficacia della disposizione di cui all'art. 2, comma 1, lett. b), a decorrere dal 1° gennaio 2020.

La disciplina riguarda le modifiche recate al comma 2 dell'art. 114 c.p.p., che consente la pubblicazione dell'ordinanza cautelare, di cui all'art. 292 c.p.p., dopo la sua esecuzione.

Potenziamento delle operazioni di polizia sotto copertura

Nell'ottica del miglioramento investigativo e processuale (anche) del contrasto al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, l'art. 4d.l. 53/2019, potenzia, dal punto di vista dell'investimento finanziario, le operazioni di polizia sotto copertura, tramite agente infiltrato, disciplinate dall'art. 9 l. 16/3/2006 n. 146, utilizzabili con riferimento al delitto di cui all'art. 12, commi 1, 3, 3-bis, e 3-ter,d.lgs. 286/1998.

L'implementazione delle disponibilità finanziarie è, peraltro, specificamente finalizzata a far fronte agli oneri conseguenti al concorso di operatori di polizia di Stati con in quali siano stati stipulati appositi accordi per il loro impiego sul territorio nazionale.

La disposizione, se accompagnata dall'effettiva stipula degli accordi di cooperazione, potrà consentire di configurare operazioni sotto copertura in relazione alle quali l'ausiliario o l'interposto, ma anche lo stesso agente di polizia giudiziaria, possano essere soggetti appartenenti a forze di polizia estere.

In merito si ricorda che la lett. a) del comma 1 del citato art. 9 è stata, di recente, riscritta dall'art. 1, comma 8,l. 9 gennaio 2019 n. 3, per estendere la disciplina che esclude la punibilità degli ufficiali di polizia giudiziaria che pongano in essere condotte penalmente rilevanti (in quanto scriminate), al solo fine di acquisire elementi di prova anche in relazione ad alcuni reati contro la pubblica amministrazione di particolare allarme sociale.

L'operazione sotto copertura può avere come protagonista solo la figura dell'agente “infiltrato” - che si limiti a un'attività di osservazione, controllo e contenimento delle azioni illecite altrui, oltre che alla raccolta delle prove - e non quella dell'agente “provocatore” - la cui condotta consiste nell'induzione e nell'incitamento al reato, che assume rilevanza causale nel fatto commesso dal provocato nel quale venga suscitato un intento delittuoso prima inesistente.

In tal senso:

- da un lato, secondo la costante giurisprudenza della Corte Europea per i Diritti dell'Uomo, è ravvisabile la violazione del principio dell'equo processo (art. 6 CEDU) allorquando risulti che, senza l'istigazione dell'agente sotto copertura, il reato non sarebbe stato commesso e che, al contrario, è stata proprio l'attività delle forze dell'ordine ad avere determinato la commissione dell'illecito mediante una diretta sollecitazione che non si sia limitata a disvelare un'intenzione criminale (già) esistente;

- dall'altro, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, è ravvisabile la responsabilità penale dell'agente sotto copertura, con la conseguente inutilizzabilità della prova acquisita (ex art. 191 c.p.p.), nel caso in cui l'operazione si sia sostanziata nell'incitamento o nell'induzione alla commissione di un reato, in quanto all'agente sotto copertura, infatti, non è consentito commettere azioni illecite diverse da quelle dichiarate non punibili e da quelle strettamente e strumentalmente connesse; la scriminante in sostanza non sussiste nel caso in cui l'agente compia attività che si caratterizzino per determinare taluno a commettere illeciti penali prima inesistenti, atteso che l'esimente è configurabile solo in relazione all'acquisizione di prove relative ad attività illecite già in corso.

In conclusione

La scelta di ricorrere alla decretazione d'urgenza per emanare (tra le altre) leggi penali sostanziali e processuali, sembra violare nettamente la riserva di stretta legalità nell'adozione di misure limitative della libertà personale.

Se poi il provvedimento risulterà foriero di successi, o in grado di portare a un'eterogenesi dei fini perseguiti, ce lo dirà solo la sua applicazione.

Guida all'approfondimento

AA.VV., Il Pacchetto Sicurezza 2009 -edizioni Maggioli, Strumenti legali - 2009;

F. Piccioni, Tenuità del fatto e non punibilità. Exigua iniuria: nulla poena - Maggioli Editore, 2015.

Napolitano - Piccioni, Depenalizzazione e decriminalizzazione - Maggioli Editore, 2016.

AA.VV., Il nuovo decreto Sicurezza Urbana - edizioni Maggioli - 2017.

Bedessi - Piccioni, Il decreto sicurezza - Maggioli editore, 2019.

F. Piccioni, Compendio di diritto penale, parte speciale - edizioni Maggioli, 2019.

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