Sull'ignoranza inevitabile ex art. 5 c.p. in un caso di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali

27 Agosto 2019

La questione di diritto che si pone è quella relativa all'applicabilità o meno al caso di specie della c.d. ignoranza inevitabile, che come noto rende scusabile l'ignoranza della legge penale ai sensi dell'art. 5 c.p. per come interpretato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 364 del 1988.
Massima

La dimenticanza sull'esistenza di un obbligo di legge si traduce in un'ignoranza del precetto penale rilevante nei limiti di cui all'art. 5 c.p., a condizione che essa sia inevitabile secondo i parametri individuati dalla sentenza della Corte Cost. n. 364 del 1988, e cioè solo qualora eventualmente sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma da cui deriva l'obbligo.

Il caso

Il Tribunale del Riesame, decidendo a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione, aveva rigettato l'istanza di riesame proposta nell'interesse dell'indagato, confermando così il decreto di sequestro preventivo anche per equivalente emesso dal GIP presso il Tribunale relativamente all'autovettura di proprietà dell'istante. All'indagato era, in particolare, contestato il reato di omessa comunicazione di ogni variazione patrimoniale non inferiore ad Euro 10.392,14 - previsto dalla d.lgs. 159 del 2011, art. 76, comma 7, e art. 80, - in relazione all'acquisto della suddetta autovettura, nonostante egli fosse gravato dagli obblighi di comunicazione stabiliti per la durata di dieci anni dalle predette norme di legge, in quanto sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.

Occorre, dunque, tener presente la previsione di cui all'art. 76, comma 7, d.lgs. 159/2011: «Chiunque, essendovi tenuto, omette di comunicare entro i termini stabiliti dalla legge le variazioni patrimoniali indicate nell'articolo 80 è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.329 a euro 20.658. Alla condanna segue la confisca dei beni a qualunque titolo acquistati nonché del corrispettivo dei beni a qualunque titolo alienati. Nei casi in cui non sia possibile procedere alla confisca dei beni acquistati ovvero del corrispettivo dei beni alienati, il giudice ordina la confisca, per un valore equivalente, di somme di denaro, beni o altre utilità dei quali i soggetti di cui all'articolo 80, comma 1, hanno la disponibilità»; in particolare, il citato art. 80, al comma 1, stabilisce che «le persone già sottoposte, con provvedimento definitivo, ad una misura di prevenzione, sono tenute a comunicare per dieci anni, ed entro trenta giorni dal fatto, al nucleo di polizia tributaria del luogo di dimora abituale, tutte le variazioni nell'entità e nella composizione del patrimonio concernenti elementi di valore non inferiore ad euro 10.329,14. Entro il 31 gennaio di ciascun anno, i soggetti di cui al periodo precedente sono altresì tenuti a comunicare le variazioni intervenute nell'anno precedente, quando concernono complessivamente elementi di valore non inferiore ad euro 10.329,14. Sono esclusi i beni destinati al soddisfacimento dei bisogni quotidiani».

Orbene, avverso il provvedimento in questione l'indagato proponeva ricorso avanti la Suprema Corte lamentando la mancata osservanza, da parte del giudice del rinvio, delle indicazioni del Giudice di legittimità circa la necessaria verifica della sussistenza dell'elemento psicologico del reato ascritto al ricorrente.

Secondo la ricostruzione della difesa, infatti, egli, detenuto in ragione dell'ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti, eseguita solo quattro giorni dopo l'acquisto dell'auto che sarebbe oggetto dell'omessa comunicazione, era nell'impossibilità materiale di adempiere al dettato normativo, versando dunque in ipotesi di condotta non esigibile per causa di forza maggiore che avrebbe impedito l'adempimento dell'obbligo. Si deduceva, in proposito, la circostanza che l'indagato è analfabeta e, d'altra parte, l'illogicità della motivazione impugnata nella parte in cui ritiene tale dato irrilevante in considerazione del ruolo criminale di spicco del ricorrente e dell'essere stato sottoposto egli da molti anni a procedimenti penali e di prevenzione; in realtà, ad avviso della tesi difensiva, i reati commessi dal ricorrente non avevano alcun collegamento con le sue capacità di comprensione di una normativa così specifica quale è quella relativa al reato in contestazione.

La questione

La questione di diritto che si pone è quella relativa all'applicabilità o meno al caso di specie della c.d. ignoranza inevitabile, che come noto rende scusabile l'ignoranza della legge penale ai sensi dell'art. 5 c.p. per come interpretato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 364 del 1988.

Le soluzioni giuridiche

Ad avviso della Corte di Cassazione, il ricorso è inammissibile perché «aspecifico e affetto, pertanto, da genericità estrinseca, non confrontandosi il ricorrente che apoditticamente con le ragioni del Tribunale del Riesame». Secondo quanto considerato dal Giudice di legittimità, il Tribunale del rinvio aveva infatti risposto alle indicazioni stabilite dalla decisione della Prima Sezione della Corte di Cassazione, motivando espressamente e specificamente sulla irrilevanza dello stato di detenzione ai fini della configurabilità del reato. Come correttamente specificato dal Giudice, la condizione di detenzione non rappresentava, infatti, una causa impeditiva assoluta di qualsiasi forma di comunicazione esterna, ben potendo il ricorrente adempiere anche dopo il decorso del termine di trenta giorni previsto dalla disciplina del d.lgs. 159/2011, cosa che, invece, non è avvenuta.

A questo proposito, ritiene il Collegio che, «nel nostro sistema penitenziario, lo stato di detenzione non esclude certamente i soggetti ristretti dall'esercizio dei loro diritti e doveri elementari o necessari, magari sanciti anche da norme di legge che prevedono obblighi al cui inadempimento segua addirittura la configurabilità di un reato». In particolare, osserva il Collegio: «sarebbe schizofrenico quell'ordinamento giuridico che privasse, da un lato, una categoria di soggetti della possibilità di effettuare comunicazioni e, dall'altro, prevedesse a loro carico sanzioni addirittura penali per l'omissione delle medesime comunicazioni»; il nostro sistema giuridico, infatti, «prevede la possibilità per il detenuto di adempiere ai propri obblighi e di esercitare i propri diritti basilari, nelle forme ovviamente consone allo stato di detenzione».

Quanto alla eccepita condizione di analfabetismo dell'indagato, la Corte di Cassazione rileva che la regola dell'ignoranza inevitabile non è applicabile con riferimento alle norme contestate al soggetto ricorrente, in quanto perfettamente comprensibili, soprattutto da un soggetto che «non è certo nuovo ad esperienze di impatto con la legislazione penale, più volte violata così come più volte egli è stato sottoposto a procedimenti di prevenzione».

Peraltro, come ricordato dal Collegio, la giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che la dimenticanza sull'esistenza di un obbligo di legge si traduce in un'ignoranza del precetto penale rilevante nei limiti di cui all'art. 5 c.p., a condizione che essa sia inevitabile secondo i parametri individuati dalla sentenza della Corte Cost. n. 364 del 1988 (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 23 ottobre 2018, n. 58227), e cioè solo qualora eventualmente sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma da cui deriva l'obbligo (cfr. Cass. pen., Sez. VII, 13 luglio 2017, n. 44293). Poco dopo la suddetta pronuncia della Corte costituzionale, le Sezioni Unite hanno poi inteso dettare i criteri interpretativi che delimitano il concetto di inevitabilità incolpevole dell'ignoranza della legge penale, idonea a scusare l'autore dell'illecito, segnalando la necessità di operare tale verifica utilizzando anche parametri specificamente ricostruiti rispetto a costui ed alla sua situazione soggettiva di conoscenza della legge (Cass. pen., Sez. Un., 10 giugno 1994, n. 8154, le quali, in una fattispecie relativa a reati urbanistici, hanno in particolare affermato che «a seguito della sentenza 23 marzo 1988 n. 364 della Corte Costituzionale, secondo la quale l'ignoranza della legge penale, se incolpevole a cagione della sua inevitabilità, scusa l'autore dell'illecito, vanno stabiliti i limiti di tale inevitabilità. Per il comune cittadino tale condizione è sussistente, ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell'ordinaria diligenza, al cosiddetto “dovere di informazione”, attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell'illecito anche in virtù di una “culpa levis” nello svolgimento dell'indagine giuridica. Per l'affermazione della scusabilità dell'ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l'agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto»).

Ebbene, sotto tale profilo – ha evidenziato la Corte di Cassazione – il Tribunale del Riesame aveva correttamente chiarito che il ricorrente non poteva essere considerato uno “sprovveduto”, incapace di comprendere la portata di un precetto penale, benché analfabeta, in ragione della sua condizione di soggetto da tempo sottoposto a processi penali.

Per quanto concerne la sussistenza dell'elemento psicologico richiesto dal reato contestato, la giurisprudenza di legittimità, come rilevato dal Collegio, ritiene pacifico che il “coefficiente soggettivo” del delitto in questione sia integrato dal dolo generico, che si esaurisce nella coscienza e volontà di omettere le comunicazioni previste dalla norma e non si estende sino alla volontà specifica di occultare alla polizia economico-finanziaria le informazioni dovute (cfr. Cass. pen., Sez. V, 29 maggio 2015, n. 38098; Sez. VI, 15 giugno 2012, n. 33590).

Per tali motivi, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Osservazioni

La soluzione offerta dalla Corte di Cassazione nella vicenda esaminata appare condivisibile, nella misura in cui dalla lettura dell'art. 5 c.p. secondo i parametri forniti dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 364 del 1988 deriva il principio secondo il quale l'ignoranza della legge penale è “inevitabile” solo qualora vi sia una situazione di ignoranza assolutamente eccezionale in cui versi il soggetto agente, come quando vi sia una totale mancanza di socializzazione, o quando eventualmente vi sia una totale oscurità del testo legislativo. Circostanze, come si è visto, estranee al caso di specie: le norme contestate all'indagato, sono infatti del tutto comprensibili, specie da un soggetto che si è mostrato avere diverse esperienze di impatto con la legislazione penale, più volte violata, ed essere più volte destinatario di procedimenti di prevenzione.

A. BALSAMO - C. MALTESE, Il codice Antimafia, Milano, 2011.

A. CHELO, Altre sanzioni penali, in Commentario breve al Codice Antimafia e alle altre procedure di prevenzione, G. Spangher - A. Marandola (a cura di), Milano, 2019, 366 ss.;

M. FATTORE, Altre sanzioni penali, in V. Maiello (a cura di), La legislazione penale in materia di criminalità organizzata, misure di prevenzione ed armi, in F. Palazzo - C.E. Paliero (diretto da), Trattato teorico-pratico di diritto penale, Torino, 2015, 445 ss.

A. VANNI, Brevi note sull'accertamento giurisprudenziale del dolo di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali (artt. 30, 31 l. n. 646/1982), in Riv. trim. dir. pen. ec., 2009, 339 ss.

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