Autoriciclaggio. Il concorso del terzo extraneus nelle condotte riciclatorie poste in essere dall'autore del delitto presupposto

30 Agosto 2019

Una delle questioni più dibattute in tema di autoriciclaggio, emersa fin dalla sua introduzione nell'ordinamento, attiene all'individuazione delle norme applicabili in sede di affermazione della penale responsabilità nei confronti di chi, sebbene estraneo al reato presupposto, abbia contribuito, insieme all'autore di quest'ultimo, al riciclaggio dei proventi derivanti dal reato stesso.
Abstract

La legge n. 186 del 2014 ha introdotto nel nostro ordinamento, all'art. 648-ter.1 c.p., il reato di autoriciclaggio, il quale sanziona penalmente chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa. La norma esclude la configurabilità del reato nel caso di condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità sono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.

Una delle questioni più dibattute in tema di autoriciclaggio, emersa fin dalla sua introduzione nell'ordinamento, attiene all'individuazione delle norme applicabili in sede di affermazione della penale responsabilità nei confronti di chi, sebbene estraneo al reato presupposto, abbia contribuito, insieme all'autore di quest'ultimo, al riciclaggio dei proventi derivanti dal reato stesso.

Il dibattito antecedente al riconoscimento del reato di autoriciclaggio

La portata della questione della qualificazione della responsabilità del terzo extraneus nei termini appena esposti non è solo teorica, ma anche pratica, in quanto nella realtà è difficile imbattersi in un autoriciclatore “puro”, che non abbia rapporti, ai fini della realizzazione del reato, con soggetti estranei al delitto presupposto; così come è raro che le condotte di riciclaggio siano realizzate senza il coinvolgimento dell'autore del reato presupposto, ciò perché spesso è proprio chi detiene i proventi illeciti che si attiva per individuare il soggetto terzo che può compiere l'attività di riciclaggio. La questione di cui si discute, peraltro, è la conseguenza della scelta tecnica adottata dal legislatore per introdurre questa nuova fattispecie incriminatrice; pertanto, ciò premesso, appare opportuno accennare brevemente alle caratteristiche del reato di autoriciclaggio così come concepito nel 2014.

Per lungo tempo si è discusso di una sua introduzione nel nostro ordinamento, che veniva negata prevalentemente per due ragioni: da un lato, per la sussistenza nel nostro sistema penale del divieto di bis in idem, alla stregua del quale perseguire per riciclaggio l'autore del delitto presupposto avrebbe significato addebitare due volte allo stesso soggetto un accadimento valutato unitariamente dal punto di vista normativo; dall'altro lato, perché la fattispecie in esame poneva un problema di compatibilità anche con il principio di nemo tenetur se detegere, perché le attività di ripulitura del profitto costituiscono nella prassi uno strumento privilegiato per evitare le indagini.

Si discuteva, inoltre, della tecnica legislativa da utilizzare per la sua previsione. In particolare, la proposta di eliminazione pura e semplice della clausola di riserva, prevista in apertura dell'art. 648-bis c.p., da alcuni paventata, era da altri criticata, perché avrebbe determinato un automatico aggravio della responsabilità per ciascun delitto suscettibile di ingenerare proventi illeciti riciclabili, a prescindere dal disvalore concreto del fatto, con un aumento repressivo ingiustificato, posto che la stessa attività di reimpiego costituisce di solito una operazione “naturale” per chi consegue proventi derivanti da una precedente attività delittuosa, con la conseguenza che essa avrebbe finito per costituire un post factum non punibile.

Nonostante tali criticità, e anche in forza di spinte internazionali, si è giunti al superamento della impostazione tradizionale e alla punibilità nel nostro ordinamento della condotta di autoriciclaggio; ciò, però, non attraverso la problematica eliminazione della clausola di riserva citata, ma tramite l'introduzione di una disposizione nuova, che individua specifiche condizioni per la configurabilità del reato che disciplina, collocata sistematicamente dopo quelle di riciclaggio e reimpiego.

Tale superamento si basa essenzialmente sulla negazione di una violazione del principio di ne bis in idem, in quanto le norme del cui rapporto di assorbimento si discute devono perseguire scopi per loro natura omogenei, pur non essendo necessario che l'omogeneità si traduca in identità del bene giuridico. Nel caso in questione, invero, vi era eterogeneità dei beni giuridici tutelati (il patrimonio nel caso del riciclaggio e l'ordine pubblico economico nel caso dell'autoriciclaggio) e ciò rendeva non ammissibile l'idea che la punizione del delitto presupposto potesse “consumare” il disvalore del riciclaggio, tanto più che il delitto–presupposto spesso è punito meno gravemente rispetto al riciclaggio. Così si è giunti alla conclusione che la punizione dei reati contro il patrimonio non può consumare anche la condotta di autoriciclaggio che aggredisce un altro bene giuridico, e cioè l'ordine pubblico economico, e, appunto, alla previsione della fattispecie di cui all'art. 648-ter.1 c.p.

A ciò si aggiunga, infine, ai fini dell'ammissibilità di quest'ultima, la considerazione secondo cui congelare il profitto in mano all'autore del reato-presupposto ne impedisce la sua utilizzazione maggiormente offensiva, intesa proprio quale l'esposizione a pericolo o la lesione dell'ordine economico.

Il problema della commissione del reato di autoriciclaggio in forma plurisoggettiva: le posizioni della giurisprudenza

Come accennato in precedenza, il legislatore italiano ha scelto di punire la condotta di chi “autoricicla” attraverso la previsione nell'ordinamento di una autonoma fattispecie criminosa, collocata sistematicamente dopo quelle di riciclaggio e reimpiego, con una pena detentiva più mite per l'autoriciclatore rispetto a quelle prevista dai precedenti artt. 648-bis e 648-ter c.p.

Tuttavia, lo stesso legislatore non si è preoccupato di regolare i rapporti tra le figure criminose citate, né di individuare quali istituti giuridici applicare al fine di risolvere la questione paventata in apertura, cioè quali norme utilizzare per affermare la responsabilità del soggetto terzo che, estraneo al reato presupposto, contribuisca, congiuntamente all'autore di quest'ultimo, al riciclaggio dei proventi derivanti dallo stesso.

Il tema, a ben vedere, si ricollega alla natura del delitto di autoriciclaggio, qualificato dal legislatore quale reato proprio (cioè quello che può essere commesso solo da chi è titolare di una particolare qualità personale), e alla teoria generale del concorso di persone nel reato proprio. Sul punto si distinguono diverse tesi.

In particolare, un primo orientamento giurisprudenziale risolve la questione qualificando il reato in esame come proprio e la condotta del terzo extraneus come quella di chi concorre in tale reato (a seconda dei casi ex artt. 110 o 117 c.p.). Siffatto concorso, infatti, per la giurisprudenza e la dottrina, è configurabile anche se la condotta tipica viene materialmente posta in essere non dal soggetto munito di qualifica (in relazione al caso di specie, l'autore del reato presupposto), ma dal concorrente estraneo, cioè quel soggetto che prima della novella del 2014 era l'unico chiamato a rispondere penalmente per il reato di riciclaggio, posto che l'autore del delitto presupposto era protetto dalla clausola di riserva ed andava esente da responsabilità.

La conseguenza di tale prima impostazione è che, seguendo la stessa, il terzo extraneus va incontro ad un trattamento sanzionatorio più favorevole rispetto al passato, vedendosi applicare la pena prevista oggi per l'autoriciclaggio, più mite rispetto a quella applicabile allo stesso prima della novella, cioè quella prevista per il reato di cui all'art. 648-bis c.p.

In altri termini, così ragionando, il terzo finisce per ottenere il beneficio, non voluto dal legislatore e, pertanto, non giustificato, del trattamento sanzionatorio meno duro previsto per l'autore del reato presupposto, con il rischio di condurre ad una disapplicazione delle fattispecie di riciclaggio e reimpiego a vantaggio della meno grave incriminazione dell'autoriciclaggio, contestato in termini di concorso.

Le conseguenze a cui conduce tale impostazioni sono, quindi, in parte irragionevoli e di certo non in linea con la volontà perseguita dal legislatore della riforma.

Un secondo orientamento, invece, risolve la questione qualificando il reato di autoriciclaggio come reato proprio, ma “esclusivo” o “di mano propria”, in virtù del legame indissolubile che lega l'autore del reato presupposto alle sole condotte punite dall'art. 648-ter.1 c.p.

In questi casi, per aversi offesa al bene giuridico tutelato, la condotta materiale (di sostituzione, trasferimento o reimpiego) richiesta dalla norma deve essere realizzata solo dall'intraneus;con la conseguenza che quest'ultimo risponde di autoriciclaggio solo quando non abbia incaricato terzi di effettuare l'operazione di sostituire, trasferire, reimpiegare etc. Viceversa, ove vi sia incarico a terzi, e, quindi, vi sia un concorso nel reato proprio esclusivo, poiché è solo il terzo che commette l'azione tipica e non anche l'intraneus, secondo tale impostazione, il primo risponde del reato di cui all'art. 648-bis c.p., mentre il secondo non risponde di alcuna ipotesi criminosa, non avendo, appunto, commesso la condotta materiale richiesta per la configurabilità del reato. La conseguenza di tale impostazione è che si finisce per ritrovarsi nella stessa situazione delineata prima della novella legislativa, con l'autore del reato presupposto “protetto” dalla clausola di riserva del reato di riciclaggio.

Si tratta di una tesi certamente suggestiva, ma che non convince del tutto, né aiuta l'attività dell'operatore del diritto, poiché finisce per privare di efficacia la nuova previsione normativa e azzerare la volontà del legislatore di punire chi autoricicla nell'ipotesi più diffusa nella prassi, cioè quando l'autore del reato presupposto si serve dell'aiuto del terzo estraneo allo stesso.

Un terzo orientamento, infine, sostiene che nell‘ipotesi in esame si configura il concorso di due reati monosoggettivi diversi: l'autoriciclaggio, quale reato proprio, di cui risponde l'intraneus, e il riciclaggio, di cui risponde il terzo. In altri termini, secondo tale ultima impostazione, nel caso in cui l'autore del delitto presupposto si rivolga a terzi per effettuare le operazioni di trasferimento, sostituzione o reimpiego tale soggetto risponderà ex art. 648-ter.1 c.p., mentre il terzo extraneus sarà responsabile del più grave reato di cui all'art. 648-bis c.p. Questa ultima soluzione appare senza dubbio la più condivisibile, in quanto consente di salvare la razionalità complessiva del sistema dopo l'introduzione della nuova figura di reato in esame.

Del resto, come chiarito dalla stessa giurisprudenza, la diversificazione dei titoli di reato in relazione a condotte lato sensu concorrenti non costituisce una novità per il nostro sistema penale, che ricorre a questa soluzione in alcuni casi di realizzazione plurisoggettiva di fattispecie definite dalla dottrina "a soggettività ristretta". Ad esempio, con riferimento al delitto di evasione (art. 385 c.p.), costituente anch'esso un reato proprio, il concorso di terzi estranei non detenuti è autonomamente incriminato a titolo di procurata evasione, ex art. 386 c.p. (Cass. pen., Sez. II, 17 gennaio 2018, n. 17235).

La posizione della Corte di Cassazione in una recente pronuncia

Di recente la Suprema Corte è tornata sulla questione della responsabilità del terzo estraneo alle condotte riciclatorie poste in essere dall'autore del delitto presupposto, in occasione di un ricorso avverso un'ordinanza emessa dal tribunale della libertà di Reggio Calabria, che riqualificava il fatto contestato all'imputato nel delitto di cui all'art. 648-bis c.p. e confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. dello stesso tribunale nei confronti dell'imputato S.F.A., avente ad oggetto beni, denaro, patrimonio e quote societarie come equivalente del delitto di riciclaggio.

Avverso detta ordinanza proponeva ricorso per cassazione l'imputato, il quale lamentava, per ciò che a noi interessa, con il primo motivo di ricorso, la violazione di legge quanto alla sussistenza del fatto contestato, in quanto il concorso dell'extraneus nelle condotte riciclatorie poste in essere dall'autore del delitto presupposto doveva qualificarsi come concorso di persone in autoriciclaggio (ex artt. 110 e 648-ter.1 c.p.) e non come riciclaggio, come, invece, ritenuto dal tribunale del riesame che aveva riqualificato i fatti.

La Suprema Corte rigetta tale motivo di gravame; lo fa conformandosi all'ultimo degli orientamenti giurisprudenziali esposti nel paragrafo precedente in tema di autoriciclaggio e concorso del terzo extraneus. Sulla base di tale orientamento, come esposto, il soggetto che, non avendo concorso nel delitto-presupposto non colposo, ponga in essere la condotta tipica di autoriciclaggio o contribuisca alla realizzazione da parte dell'autore del reato-presupposto delle condotte indicate dall'art. 648-ter.1 c.p., risponde di riciclaggio e non di concorso nel delitto di autoriciclaggio, essendo questo configurabile solo nei confronti dell'intraneus (Cass. pen., Sez. II, 17 gennaio 2018, n. 17235, Rv. 272652, cit.). Tale pronuncia citata, analizzando la ratio istitutiva del delitto di autoriciclaggio, individuata nella volontà del legislatore di colpire quelle condotte poste in essere dall'autore del delitto presupposto che possano avere effetti pregiudizievoli rispetto al bene giuridico ordine pubblico economico, giunge alla conclusione che l'introduzione della norma non può avere effetti paradossali punendo più lievemente le condotte precedentemente colpite a titolo di riciclaggio, mortificandosi, per tale via, lo scopo dell'intervento normativo. Ne deriva che in caso di attività di sostituzione od occultamento del profitto illecito posta in essere da un terzo su mandato dell'autore del delitto presupposto, quest'ultimo risponde del "nuovo" delitto di cui all'art. 648-ter.1 c.p. e il primo continua a rispondere del più grave delitto di riciclaggio. Ciò anche per la considerazione che una sanzione più lieve nei suoi confronti non è spiegabile in termini di minore rilevanza penale della condotta, rimasta identica anche a seguito della modifica normativa.

Da quanto detto, in relazione al caso oggetto della sentenza in esame, deriva che correttamente il tribunale del riesame riqualificava la condotta contestata nel delitto di riciclaggio, poiché essendo il ricorrente soggetto estraneo al reato o ai reati presupposto, che si assumono consumati dal fratello, lo stesso deve rispondere del delitto di cui all'art. 648-bis c.p. e non anche di concorso in autoriciclaggio.

(Segue). Le conseguenze di tale impostazione in tema di confisca

Nella sentenza in esame viene affrontata anche una questione interessante in tema di profitto confiscabile a seguito della riqualificazione della responsabilità del terzo estraneo alla commissione del delitto presupposto.

In particolare, con il ricorso alla Corte di Cassazione l'imputato lamentava anche la violazione degli artt. 321 e 324 c.p.p., in relazione all'art. 648-bis c.p., con riguardo all'individuazione del profitto confiscabile, dovendosi ritenere che il vincolo debba ricadere sempre solo sull'esatto ammontare del profitto delittuoso, anche da parte del giudice del riesame; sicché, nel caso in esame, a fronte di un contratto di finanziamento per un importo pari a 250.000 €, l'importo effettivamente riciclato era di 140.000 €, somma questa realmente percepita dall'indagato, e tale era il quantum che avrebbe dovuto essere indicato nel provvedimento ablativo.

La Corte di Cassazione ritiene fondato tale motivo di ricorso e lo accoglie. Ciò in quanto, dalla non configurabilità del concorso nel delitto di autoriciclaggio a carico del terzo extraneus, derivano alcune conseguenze anche in tema di profitto del reato sequestrabile, in via diretta o per equivalente, e sequestrabile in via preventiva nella fase delle indagini preliminari. Conseguenze che non erano state oggetto di valutazione da parte del tribunale della libertà di Reggio Calabria, anche per l'assenza di precedenti giurisprudenziali sul punto.

Occorre premettere che la Corte di Cassazione ha costantemente ribadito il principio secondo cui, in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca, il provvedimento cautelare può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entità del profitto accertato, ma non può complessivamente eccedere nel quantum l'ammontare del profitto complessivo (Cass. pen., Sez. II, 26 aprile 2018, n. 29395); e in applicazione di tale principio si è precisato, con altra pronuncia, che è legittimo il sequestro preventivo, funzionale alla confisca, di cui all'art. 322-ter c.p., eseguito per l'intero importo del prezzo o profitto del reato nei confronti di un concorrente del delitto di cui all'art. 640-bis c.p., nonostante le somme illecite siano state incamerate da altri coindagati, salvo l'eventuale riparto tra i concorrenti medesimi, che costituisce fatto interno a questi ultimi, privo di alcun rilievo penale (Cass. pen., Sez. II, 9 gennaio 2014, n. 5553). E poiché qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato (Cass. pen., Sez. Unite, 26 giugno 2015, n. 31617), nei confronti dei concorrenti nello stesso reato è possibile procedere a confisca diretta dell'intero importo del profitto illecito che, ove costituito da denaro, può comportare il sequestro delle somme da ciascuno dei concorrenti depositate in conti correnti bancari od altri impieghi finanziari.

Ma, a ben vedere, chiarisce la Suprema Corte, tali principi trovano applicazione solo nei confronti del concorrente nell'unico delitto produttivo di profitto illecito costituito da denaro, e, in relazione al quale, il sequestro può colpire tutte le somme allo stesso rinvenute, ma, non trovano applicazione nei casi di consumazione di titoli di reato diversi da parte degli autori delle condotte di autoriciclaggio e riciclaggio; infatti, in queste ipotesi, all'autore di tale ultima condotta può essere sequestrato, ai fini di confisca, solo l'importo del profitto di tale delitto e non anche di quello posto in essere dall'autore dell'autoriciclaggio, che può avere ad oggetto somme superiori o beni di origine illecita trasferiti a soggetti giuridici diversi.

Più precisamente, l'autoriciclatore può avere compiuto operazioni di sostituzione od occultamento dell'intero profitto illecito del delitto presupposto, così risultando esposto a confisca e sequestro diretto o per equivalente di valori corrispondenti a tale complessiva somma, ove si tratti di beni di origine illecita. Questa è, nel caso in esame, la posizione del coindagato S.A. (fratello dell'imputato) che, ove si accerti abbia effettivamente compiuto preventive attività illecite, avrebbe poi appostato il profitto delle stesse nel capitale sociale o nel patrimonio della società straniera e ciò fino alla concorrenza di 250.000 €, suscettibili nei suoi confronti di confisca e di sequestro preventivo; diversa, è, invece, la posizione dell'indagato di riciclaggio, cioè il ricorrente, perché egli risponde solo del reato commesso attraverso l'attività di sostituzione di quei capitali o beni effettivamente ricevuti e trasformati, e ciò in quanto non concorre nel delitto di autoriciclaggio, ma commette il titolo autonomo di reato di riciclaggio. Pertanto, nei suoi confronti, non può sempre essere disposto il sequestro dell'intero importo che si assume autoriciclato, perché non concorre in questo reato, ma commette un fatto diverso, in cui il profitto è limitato alle sole somme o beni ricevuti ed oggetto di sostituzione, trasformazione, occultamento. Se è certo che gli importi dell'autoriciclaggio e del riciclaggio possano coincidere, nei casi in cui l'autore del delitto presupposto abbia trasferito l'intero profitto illecito ad un solo soggetto, incaricandolo di compiere le operazioni decettive, sicché questi risponde del delitto di cui all'art. 648-bis c.p. per importi corrispondenti all'imputazione di cui all'art. 648-ter.1 c.p., è anche vero che può avvenire che l'autore del delitto presupposto compia le operazioni di autoriciclaggio attraverso più riciclatori ai quali trasferisca quote del profitto illecito, ciascuno essendo poi incaricato di compiere operazioni decettive.

Pertanto, all'avvenuta riqualificazione del reato contestato al ricorrente da concorso in autoriciclaggio a riciclaggio autonomo, consegue che il tribunale del riesame è chiamato a verificare se, dagli elementi in suo possesso, risulti che il ricorrente avesse ricevuto l'intera somma precedentemente autoriciclata dal fratello attraverso il convogliamento nella società straniera e poi oggetto del contratto di finanziamento tra le due società o solo una parte di essa, così come prospettato in ricorso con specifico riferimento ad atti dell'indagine che vengono indicati, poiché ove oggetto delle attività decettive sia solo una quota parte del maggior importo del profitto illecito, il vincolo reale apponibile mediante il sequestro nei confronti del soggetto c.d. riciclatore è pari al solo quantum ricevuto e da questi sostituito. Da ciò deriva che, a fronte di un contratto di finanziamento per un rilevante importo, avente ad oggetto somme di denaro che si assumono provento di delitto, il profitto confiscabile e quindi anche sequestrabile, nei riguardi dell'indagato di riciclaggio è pari alle somme ricevute e sostituite, e non all'intera somma indicata in contratto, che, come chiarito, può essere oggetto di versamenti frazionati. Questo anche per la considerazione che essendo reato a evento naturalistico il riciclaggio punisce, quale delitto consumato, le attività di sostituzione del profitto illecito già effettuate, il cui importo diviene sequestrabile in via preventiva ai fini della successiva confisca, mentre non può procedersi ancora alla confisca ed al preventivo sequestro di quanto non oggetto ancora di attività di sostituzione.

Alla luce delle di quanto esposto l'ordinanza oggetto di impugnazione viene annullata dalla Suprema Corte con rinvio al tribunale della libertà di Reggio Calabria che, in sede di nuovo giudizio cautelare, dovrà rispettare i principi fissati in tema di profitto sequestrabile nei riguardi delle operazioni decettive poste in essere da un terzo incaricato dall'autore dei delitti presupposto.

In conclusione

Da quanto precede emerge che il tema della qualificazione della responsabilità del terzo extraneus nelle condotte riciclatorie poste in essere dall'autore del delitto presupposto è complesso, soprattutto per le implicazioni pratiche ne derivano, ma la giurisprudenza, in assenza di interventi legislativi specifici, sembra ormai essersi attestata nella qualificazione di tale responsabilità nel senso di ritenere il terzo autore del reato di riciclaggio, ex art. 648-bis c.p., che concorre con l'autore del delitto presupposto, il quale risponderà della nuova fattispecie di autoriciclaggio, con le conseguenze, già viste, che ne derivano in tema di profitto confiscabile.

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