La rilevanza della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari ai fini della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale

29 Agosto 2019

Se ai fini della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale ex art. 175 c.p.p., comma, nella formulazione antecedente alla modifica intervenuta con la l. n. 67 del 2014, la effettiva conoscenza del procedimento debba essere riferita solo alla conoscenza dell'accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in...
Massima

Ai fini della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale ex art. 175 c.p.p., comma 2, nella formulazione antecedente alla modifica intervenuta con l. n. 67 del 2014, la effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all'accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in iudicium, tale non può ritenersi la conoscenza dell'accusa contenuta nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all'art. 415-bis c.p.p., che non è di per sé sufficiente a garantire all'imputato anche quella del processo, fermo restando che l'imputato non deve avere rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione oppure deve essersi deliberatamente sottratto a tale conoscenza

Il caso

Il caso trae origine dalla decisione di un giudice dell'esecuzione di rigettare sia la richiesta di revoca dell'esecutività di una sentenza di condanna, sia la richiesta di restituzione nel termine per impugnare avanzata ai sensi dell'art. 175, comma 2, c.p.p. (testo ante riforma 2014), in ragione della ritenuta regolarità delle notifiche eseguite nei confronti dell'istante durante il giudizio di primo grado.

Nello specifico, la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini era avvenuta a mani della moglie dell'imputato presso il domicilio da questi eletto, mentre la notifica del decreto di citazione a giudizio e successivamente dell'estratto contumaciale della sentenza erano state effettuate ai sensi dell'art. 161, comma 4, c.p.p. ossia, dopo un tentativo, non andato a buon fine, di notifica al domicilio eletto, rispettivamente mediante consegna al difensore d'ufficio dell'imputato e mediante trasmissione al medesimo del provvedimento conclusivo al suo indirizzo di posta elettronica certificata.

Sennonché il ricorrente lamentava di non avere avuto conoscenza né del decreto di citazione a giudizio davanti al tribunale, né dell'estratto contumaciale della sentenza pronunciata nei suoi confronti.

La questione di cui veniva investita, dunque, la Cassazione è se, ai fini dell'esperimento del rimedio ex art. 175, comma 2, c.p.p. anteriforma 2014, l'effettiva conoscenza del procedimento in capo all'istante possa o meno essere desunta dalla regolare notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, avvenuta mediante consegna alla moglie convivente presso il domicilio eletto.

La Prima sezione della Cassazione, rilevando un contrasto interpretativo sul punto, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite.

La questione

La questione di diritto rimessa alle Sezioni Unite è la seguente «se ai fini della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale ex art. 175 c.p.p., comma, nella formulazione antecedente alla modifica intervenuta con la l. n. 67 del 2014, la effettiva conoscenza del procedimento debba essere riferita solo alla conoscenza dell'accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in iudicium o anche quella contenuta nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari».

Le soluzioni giuridiche

Il contrasto interpretativo nasce in ragione dell'equivoco riferimento al procedimento contenuto nell'art. 175, comma 2, c.p.p., norma che nella sua formulazione antecedente alla riforma del 2014 prevedeva, nel caso di sentenza contumaciale o decreto penale di condanna, che l'imputato potesse essere restituito nel termine per proporre impugnazione o opposizione «salvo che lo stesso [avesse] avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento o [avesse] volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione o opposizione». Orbene, secondo la convenzione linguistica seguita dal legislatore del 1988 il termine procedimento vale ad indicare l'intera sequenza procedimentale che inizia con la notitia criminis e si conclude con la sentenza definitiva. Sennonché è evidente come, ai fini di un pieno esercizio del diritto di difesa, un'informazione relativa ai soli momenti iniziali delle indagini preliminari non possa ritenersi sufficiente. Non a caso l'orientamento maggioritario (Cass. pen., Sez. I, 28 aprile 2016, n. 18549, Zanellato; Cass. pen., Sez. I, 18 maggio 2015, n. 20526; Cass. pen., Sez. I, 30 gennaio 2014, n. 6736, Farago, in C.e.d. Cass. n. 259629; Cass. pen., Sez. I, 24 giugno 2009, n. 29851, Cari; Cass. pen., Sez. IV, 17 giugno 2009, n. 41860, Tagliabue; Cass. pen., Sez. I, 16 gennaio 2009, n. 3746, Del Duca; Cass. pen., Sez. V, 14 novembre 2007, n. 44123, Bacalanovic; Cass. pen., Sez. VI, 21 febbraio 2007, n. 10541, in Dir. pen.proc., 2007, p. 753; Cass. pen., Sez. V, 29 novembre 2006, n. 40734, Harabache, in Cass. pen., 2007, p. 3383) legge il riferimento al procedimento in chiave restrittiva come sinonimo di processo ed esige, dunque, per negare l'accesso al rimedio restitutorio, la conoscenza di un atto in cui l'accusa sia cristallizzata come nella formale vocatio in iudicium. In sostanza, secondo tale impostazione per superare la presunzione di ignoranza del procedimento da parte dell'imputato rimasto contumace occorre la prova della conoscenza dell'accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in iudicium dell'imputato davanti all'organo giurisdizionale che lo deve giudicare, poiché solo così può ritenersi volontaria la sua rinuncia a comparire. La giurisprudenza, come detto, non è però allineata sul punto. Secondo una diversa impostazione, ancorata maggiormente al dato letterale, infatti, può ritenersi idoneo a precludere l'accesso alla restituzione nel termine per impugnare, la prova della conoscenza di un qualsiasi atto, anche precedente all'esercizio dell'azione penale, contenente «la contestazione di un fatto reato coincidente in modo sostanziale e tendenziale con quello poi ritenuto in sentenza» se non addirittura un qualsivoglia 'contatto ufficiale con l'iter procedimentale (anche se lontano nel tempo dalla vocatio in iudicium) (cfr. Cass. pen., Sez. II, 21 febbraio 2006, n. 9104, in Cass. pen.,2007, p. 1211; Cass. pen., Sez. II, 3 luglio 2013, n. 43452, Baloc, in C.e.d. Cass.n. 256822). In particolare, si ritiene che la rituale notifica dell'avviso di conclusione delle indagini sia sufficiente ad attestare l'effettiva conoscenza del processo di seguito instaurato. Infatti, l'imputato, una volta raggiunto dall'avviso ex art. 415-bis c.p.p., così come da altri atti dell'autorità giudiziaria (es. misura cautelare o precautelare), deve ritenersi in condizione di scegliere consapevolmente se prendere parte o meno alle successive dinamiche processuali.

Le Sezioni Unite non hanno aderito a tale minoritaria impostazione.

Al contrario, hanno risolto il nodo interpretativo affermando che:

la conoscenza deve essere riferita all'accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in iudicium. Tale non può ritenersi la conoscenza dell'accusa contenuta nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all'art. 415-bis c.p.p. che non è di per sé sufficiente a garantire all'imputato anche quella del processo, fermo restando che l'imputato non deve avere rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione oppure non deve essersi deliberatamente sottratto a tale conoscenza.

Osservazioni

La scelta di aderire all'orientamento più restrittivo appare coerente con gli insegnamenti della Corte di Strasburgo in tema di diritto alla presenza e con gli atti normativi adottati dal legislatore dell'Unione.

Il giudice europeo – ormai da tempo – interpreta la garanzia contemplata nell'art. 6 Cedu nel senso che la conoscenza effettiva del procedimento presuppone un atto formale di contestazione idoneo a informare l'accusato, in tempi celeri, in una lingua comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico, della data dell'udienza e del giudice dinnanzi al quale deve presentarsi, al fine di consentirgli di difendersi nel merito (Corte eur., 12 febbraio 1985, Colozza v. Italia, § 32; Corte eur., 9 settembre 2003, Jones v. Regno Unito; Corte eur., 18 maggio 2004, Somogyi v. Italia, § 72; Corte eur., 12 dicembre 2006, Battisti v. Francia; Corte eur., GC, 18 ottobre 2006, Hermi c. Italia.).

Dal canto suo, il legislatore europeo, sia nella decisione quadro 2009/299/GAI, adottata dal Consiglio europeo il 26 febbraio 2009, sia nella più recente direttiva 2016/343/UE del Parlamento europeo e del Consiglio «sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e sul diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali», attribuisce rilievo esclusivamente a una conoscenza diretta e qualificata e dell'accusa e dell'udienza.

Al contempo non può non mettersi in luce che l'avviso di conclusione delle indagini preliminari è un atto molto differente sul piano funzionale e strutturale rispetto a ogni altro atto che si collochi nel segmento preimputativo, considerata la stretta correlazione che esiste tra lo stesso e la formulazione dell'accusa.

Quello che si vuol dire è che una valorizzazione delle differenze che intercorrono tra l'avviso di cui all'art. 415-bis c.p.p. e un qualunque altro atto che si collochi nelle movenze iniziali delle investigazioni avrebbe potuto anche portare a una diversa soluzione della questione.

Se quello che occorre per superare la presunzione di ignoranza del procedimento in capo all'interessato ex art. 175, comma 2, c.p.p. è la conoscenza di un atto che contesti un addebito i cui contorni siano definiti con una certa stabilità, tale caratteristica non può che riconoscersi anche alla contestazione preliminare veicolata nell'avviso di conclusione delle indagini. Non solo. Con l'invio dell'avviso di conclusione delle indagini, l'interessato è informato della possibilità di prendere visione ed estrarre copia degli atti a disposizione del pubblico ministero. Peraltro, la ricezione di tale avviso non può lasciare dubbi in capo all'interessato in ordine al fatto che il procedimento evolverà in processo, salvo un ripensamento del pubblico ministero determinato dalla strategia difensiva dell'interessato.

Le Sezioni Unite scelgono un'altra via per giungere alla loro soluzione.

Esse muovono da una disamina delle modifiche che hanno interessato la disciplina del processo contumaciale, sulla scorta delle indicazioni fornite, ora dalla giurisprudenza di Strasburgo ora dal legislatore europeo, fino a giungere all'attuale processo in assenza.

Tale excursus è funzionale a mettere in luce l'evoluzione della disciplina che ha portato al superamento di un sistema che privilegiava la conoscenza legale degli atti del processo, basata sulla regolarità formale delle notifiche, a favore di un sistema che privilegia la conoscenza effettiva.

In particolare, a seguito delle riforma attuata nel 2005, da cui è scaturita la dizione dell'art. 175, comma 2,c.p.p. applicabile al caso di specie, è riconosciuto al contumace il diritto incondizionato alla restituzione nel termine per impugnare la sentenza resa in sua assenza ed è prevista la possibilità di negare tale diritto solo in caso di prova positiva della conoscenza “effettiva” dello svolgimento del processo, quindi del contenuto dell'accusa e della data e del luogo di svolgimento dello stesso.

Ciò considerato la prova idonea a superare la presunzione di cui all'art. 175, comma 2, c.p.p. previgente, non può essere rappresentata dal solo dato della notifica (ancorché a mani proprie) dell'avviso di conclusione delle indagini.

Anche la disciplina introdotta dalla l. n. 67 del 2014 sarebbe testimone di questo mutamento di prospettiva. L'art. 420-bis c.p.p. prevede infatti la possibilità di procedere in assenza dell'imputato solo quando lo stesso abbia specifica conoscenza della fissazione del processo. Tale norma richiede, nello specifico, che l'imputato abbia ricevuto personalmente la notificazione dell'avviso dell'udienza ovvero risulti con certezza che sappia del procedimento oppure si sia volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo. D'altro canto, anche nelle “ipotesi di conoscenza tipizzata” (dichiarazione o elezione di domicilio, applicazione di misure precautelari nomina di un difensore di fiducia), che si aggiungono alle situazioni in cui vi è una prova positiva della conoscenza, non si procede- secondo le Sezioni Unite - sulla base di una forma di conoscenza presunta, ma in ragione della 'volontaria sottrazione' del soggetto alla conoscenza, desunta dalla sua mancata attivazione per tenersi informato sui futuri sviluppi del processo.

Il fatto che tra tali atti non compaia l'avviso di conclusione delle indagini preliminari, non sarebbe casuale ma giustificato dal fatto che anche se portato a conoscenza personalmente, tale avviso rappresenta una comunicazione fatta dal pubblico ministero di quale sia il contenuto della accusa senza, però, alcuna indicazione sul futuro sviluppo del procedimento (…) e alcuna informazione utile con riferimento al (futuro ed eventuale) processo.

Alla luce di ciò la Corte, conclude affermando che la prova idonea a superare la presunzione di cui all'art. 175, comma 2, c.p.p. previgente, non può essere rappresentata dal solo dato della notifica (ancorché a mani proprie) dell'avviso di conclusione delle indagini.

La conoscenza di tale atto, infatti, non significa affatto «sicura consapevolezza della pendenza del processo e precisa cognizione degli estremi del provvedimento», mentre ai fini della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale la effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all'accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in iudicium.

La Cassazione opta, dunque, per l'interpretazione più garantista e tale scelta non può che condividersi.

Non si può però non sottolineare che tale soluzione interpretativa evidenzia una contraddizione nell'attuale disciplina del giudizio in assenza.

Se, infatti, neppure la ricezione dell'avviso di conclusione delle indagini, che di poco anticipa la formulazione dell'accusa può precludere la restituzione nel termine per impugnare, non si vede come si possa attribuire in modo automatico alle situazioni indicate nell'art. 420-bis c.p.p. una idoneità dimostrativa della conoscenza del processo in capo all'interessato tale da giustificare lo svolgimento del giudizio in assenza.

Come è noto, infatti, in base a tale disposizione è possibile procedere in assenza qualora l'imputato «nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare; ovvero abbia nominato un difensore di fiducia», sul presupposto che tali situazioni dimostrino che l'interessato è quantomeno a conoscenza dell'esistenza di un procedimento a proprio carico.

Orbene, pur non volendo negare in radice la sintomaticità di tali indici, sebbene dei dubbi in merito comincino ad insinuarsi anche nella giurisprudenza di legittimità (v. Cass. pen., Sez. I, 1 marzo 2019, ord. n. 9114), non si condivide la scelta del legislatore di generalizzarne il valore, imponendo al giudice rigidi automatismi. Sarebbe stato infatti preferibile rimettere l'individuazione delle situazioni in cui è possibile presumere la conoscenza del processo da parte dell'interessato alla libera valutazione dell'organo giudicante.

Non a caso parte della dottrina suggerisce di leggere la clausola di chiusura ovvero risulti comunque con certezza che [l'imputato] è a conoscenza del procedimento, non tanto come una previsione che autorizza il giudice a individuare altre situazioni che denotano la conoscenza del procedimento in capo all'imputato, ma piuttosto come una norma che abilita il giudice, in presenza di uno degli indici sintomatici, a verificare la certezza della conoscenza del processo in capo all'interessato.

Tale lettura pare trovare un indiretto avallo nelle conclusioni cui sono pervenute le Sezioni Unite nel caso in esame. Il Supremo Collegio, nell'affermare che la rituale notifica dell'avviso di conclusione delle indagini non è sufficiente per superare la presunzione di ignoranza del procedimento, ha indirettamente negato la rilevanza della conoscenza di ogni atto che si collochi nella fase preimputativa.

Dunque, l'unico modo per recuperare la portata precettiva dell'art. 420-bis, comma 2, c.p.p., nella parte in cui individua delle situazioni di conoscenza tipizzata pare essere quello di ritenere che esso individui delle situazioni solo potenzialmente sintomatiche di conoscenza in presenza delle quali il giudice deve sempre e comunque verificare, nell'impossibilità di raggiungere l'interessato con una formale notifica della vocatio in iudicium, se sia possibile comunque ritenere che egli sia consapevole del fatto che si svolgerà un processo a suo carico nonostante la sua assenza. Solo in tale caso, infatti, dovrebbe essere possibile procedere in assenza sul presupposto che l'imputato abbia volontariamente rinunciato al suo diritto di partecipare al giudizio.

Tale rigore si impone al giudice, a maggior ragione, oggi che, sulla base della nuova disciplina, l'assente è nuovamente gravato dell'onere di dimostrare la sua incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo, al fine di potere accedere ai diversi rimedi restitutori.

Guida all'approfondimento

T. Bene, L'avviso di conclusione delle indagini, Napoli, 2004; A. Bricchetti -M. Cassano, Il procedimento in absentia, Milano, 2015; S. Ciampi, Notifica dell'avviso di conclusione delle indagini ed effettiva conoscenza del procedimento: alle Sezioni Unite l'ultima parola sulle condizioni per l'innesco della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 21 dicembre 2018; A. Ciavola, Alcune considerazioni sulla nuova disciplina del processo in assenza e nei confronti degli irreperibili, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 20 marzo 2015; C. Conti, Processo in absentia ad un anno dalla riforma: praesumptum de praesumpto e spunti ricostruttivi, in Dir. pen. proc., 2015, p. 461; D. Negri, Il processo nei confronti dell'imputato “assente”al tortuoso crocevia tra svolgimento e sospensione, in AA. VV., Strategie di deflazione penale e rimodulazione del giudizio in absentia, a cura di M. Daniele – P. P. Paulesu, Torino, 2015, p. 197; A. Mangiaracina, Garanzie partecipative e giudizio in absentia, Giappichelli, 2010; S. Marcolini, I presupposti del giudizio in assenza, in AA. VV., Il giudizio in assenza dell'imputato, a cura di D. Vigoni, Torino, 2015, p. 152; P. Moscarini, Una riforma da tempo necessaria: l'abolizione della contumacia penale e la sospensione del processo contro l'imputato irreperibile, in AA. VV., Le nuove norme sulla giustizia penale, a cura di C. Conti – A. Marandola – G. Varraso, Padova, 2014, p. 250; S. Quattrocolo, Il contumace cede la scena all'assente, mentre l'irreperibile l'abbandona, in Dir. pen. cont. Riv. trim., 2014, 2, p. 97; C. Conti – P. Tonini, Il tramonto della contumacia, l'alba radiosa della sospensione e le nubi dell'assenza “consapevole”, in Dir. pen. proc., 2014, p. 514; G. Ubertis, “Truffa delle etichette” nel processo penale: la “contumacia” è diventata “assenza”, in Cass. pen., 2015, p. 931; L. Vignale, Domicilio dichiarato o eletto e processo in absentia, in www.magistraturademocratica.it/mdem/qc (26 giugno 2014).

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