Incidenza degli assegni familiari sull’assegno di mantenimento per la prole

02 Settembre 2019

In materia di determinazione del contributo al mantenimento del figlio minore, ove gli accordi tra i coniugi o le statuizioni del giudice nei processi di separazione personale e divorzio non abbiano espressamente tenuto conto dell'ammontare degli assegni familiari corrisposti per i figli dal datore di lavoro al coniuge affidatario, siffatte voci non compongono la base delle entrate su cui calcolare il concorso dei coniugi al mantenimento dei figli...
Massima

In materia di determinazione del contributo al mantenimento del figlio minore, ove gli accordi tra i coniugi o le statuizioni del giudice nei processi di separazione personale e divorzio non abbiano espressamente tenuto conto dell'ammontare degli assegni familiari corrisposti per i figli dal datore di lavoro al coniuge affidatario, siffatte voci non compongono la base delle entrate su cui calcolare il concorso dei coniugi al mantenimento dei figli, restando nella facoltà del giudice e nella disponibilità delle parti la scelta di ricomprenderle o meno al fine di stabilire eque modalità di contributo al mantenimento.

Il caso

Con ricorso per decreto ingiuntivo, la signora XX chiedeva che fosse ingiunto all'ex coniuge il pagamento della somma di euro 37.655,48 a titolo di differenze, interessi e rivalutazione monetaria sugli assegni di mantenimento e divorzili determinati in suo favore e in quello del figlio dalle sentenze di separazione e di divorzio. La ricorrente deduceva che l‘inesatto adempimento delle prestazioni economiche derivava dall'aver l'ex marito scomputato dalle somme stabilite nelle predette sentenze, gli importi che le erano stati corrisposti direttamente dal datore di lavoro di quest'ultimo (Parlamento Europeo) a titolo di assegno capo famiglia, di assegno figlio a carico e di altre indennità. Il tribunale di Roma accoglieva il ricorso, con decreto provvisoriamente esecutivo del 7 maggio 2008.

L'ingiunto, sig. XY, si opponeva al decreto, eccependo, in diritto, la prescrizione del credito vantato dall'ex moglie e, nel merito, la sovrapponibilità agli assegni di mantenimento delle indennità riconosciute direttamente all'ex coniuge dal proprio datore di lavoro. Il tribunale di Roma, ritenendo infondate le eccezioni, rigettava l'opposizione.

L'ex marito proponeva, quindi, appello deducendo la violazione dello Statuto dei Funzionari del Parlamento Europeo (adottato con Regolamento CEE n. 31, 11 del 1 gennaio 1962), direttamente applicabile in Italia, in materia di assegni familiari e altre indennità spettanti al funzionario coniugato o separato legalmente o divorziato o vedovo che abbia uno o più figli carico, direttamente corrisposti al coniuge affidatario “per conto e nome del funzionario”. L'appellante sosteneva che tali somme dovessero essere ricomprese nell'ammontare dell'assegno di mantenimento per il figlio e che, pertanto, dovessero essere scomputate dall'importo da corrispondere all'ex coniuge.

La Corte di appello di Roma, con sentenza del 9 ottobre 2014, rigettava l'appello, ritenendo impropriamente posta la questione della diretta applicabilità della normativa comunitaria e confermando come, nel caso di specie, dovesse applicarsi in via analogica la disciplina degli assegni familiari, prevista dall'art. 211 legge n. 151/1975.

L'ex marito proponeva, infine, ricorso per cassazione, affidandolo a due motivi, uno afferente alla violazione e falsa applicazione delle norme sulla prescrizione tra coniugi separati e l'altro alla violazione e falsa applicazione di norme convenzionali (Regolamento C.E.E. n. 31 del 1 gennaio 1962 e successive modifiche, con cui è stato adottato lo Statuto dei Funzionari del Parlamento Europeo).

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondati entrambi i motivi e ha rigettato il ricorso.

La questione

Dalla somma dovuta a titolo di assegno per il mantenimento per la prole, può essere decurtato l'assegno familiare che il genitore collocatario/convivente percepisce direttamente dal datore di lavoro del genitore obbligato al pagamento?

Le soluzioni giuridiche

Con il primo motivo, il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 2941 comma 1, 2948 comma 2, 2943 c.c. e dell'art. 643 u.c. c.p.c., in ragione del mutamento di orientamento della Corte di legittimità in tema di sospensione della prescrizione tra coniugi separati. L'art. 2941, comma 1 c.c. dispone che la prescrizione tra i coniugi rimane sospesa e la Corte di Cassazione ha sempre interpretato tale norma facendo rientrare nella categoria di coniugi anche quelli separati. Sulla scorta di tale orientamento, nella vicenda giudiziaria in esame, il giudice di primo grado aveva rigettato l'eccezione di prescrizione sollevata dall'ex marito. Così, in ragione della consolidata giurisprudenza, in sede di appello il ricorrente aveva rinunciato a riproporre l'eccezione. Tuttavia, nelle more del giudizio di secondo grado, la giurisprudenza di legittimità aveva mutato posizione, stabilendo la non operatività della sospensione dei termini di prescrizione tra coniugi legalmente separati (Cass., 4 aprile 2014 n. 7981). L'appellante – essendo già la causa stata trattenuta in decisione - non aveva avuto la possibilità di rilevare al giudice la nuova lettura della norma e, in sede di ricorso per cassazione, deduceva che la sopracitata sentenza n. 7981/2014 avesse la forza e gli effetti proprio del fenomeno dell'overruling.

Gli Ermellini, nella sentenza in commento, hanno giudicato il motivo infondato, ritenendo escluso l'invocato overruling al nuovo indirizzo sulla prescrizione, poiché, per consolidato orientamento della Corte, tale istituto è circoscritto al non prevedibile mutamento della giurisprudenza di legittimità in materia di norme processuali (Cass. civ., 11 marzo 2013 n. 5962; Cass. civ., 3 settembre 2013, n. 20172; Cass. civ., 24 marzo 2013, n. 6862), mentre la normativa in tema di prescrizione ha natura sostanziale.

Oltre a queste considerazioni, il primo motivo del ricorso è stato ritenuto infondato, in quanto incapace di superare il giudicato formatosi in ordine alla non prescrizione del credito azionato, dovuto al fatto che il ricorrente non aveva riformulato l'eccezione di prescrizione in sede di appello.

Con il secondo motivo, il ricorrente ha lamentato, ai sensi dell'art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e la falsa applicazione di norme comunitarie, nello specifico dello Statuto dei Funzionari del Parlamento Europeo (adottato con il Regolamento C.E.E. n. 31 del 1 gennaio 1962 e successive modifiche), relativamente agli assegni per la famiglia. L'Allegato VII del citato Statuto (art. 1, comma 5) prevede che, qualora i figli a carico del funzionario siano affidati ad altra persona, gli assegni per la famiglia vengano corrisposti direttamente a quest'ultima “per conto e a nome del funzionario”.

Il ricorrente ha sostenuto, in proposito, che la sentenza impugnata avrebbe interpretato in modo errato le sentenze di separazione e divorzio resa tra le parti, ritenendo applicabile al regime tra i coniugi la normativa italiana in tema di assegni familiari (ex art. 211 della legge n. 151/1975), secondo cui «Il coniuge cui i figli sono affidati ha diritto in ogni caso a percepire gli assegni familiari per i figli, sia che ad essi abbia diritto per un suo rapporto di lavoro, sia che di essi sia titolare l'altro coniuge» e, così, equiparando le “corpose indennità” previste per i funzionari del Parlamento Europeo agli assegni familiari previsti dalla normativa nazionale. In tal modo, il giudice territoriale sarebbe incorso nella violazione della normativa comunitaria, la quale, essendo direttamente applicabile al regime patrimoniale tra i coniugi, avrebbe dovuto portare alla disapplicazione della normativa nazionale in contrasto.

La Suprema Corte ha ritenuto il secondo motivo infondato, oltre che inammissibile.

Gli Ermellini hanno rilevato che la Corte di appello di Roma aveva fondato il proprio convincimento su un solido indirizzo della giurisprudenza di legittimità, che, nella sentenza in commento, viene formulato nei seguenti termini: «in materia di determinazione del contributo al mantenimento del figlio minore ove gli accordi tra i coniugi o le statuizioni del giudice nei processi di separazione personale e divorzio non abbiamo espressamente tenuto conto dell'ammontare degli assegni familiari corrisposti per i figli dal datore di lavoro al coniuge affidatario, siffatte voci non compongono la base delle entrate su cui calcolare il concorso dei coniugi al mantenimento dei figli, restando nella facoltà del giudice e nella disponibilità delle parti la scelta di ricomprenderle o meno al fine di stabilire eque modalità di contributo al mantenimento». In altre parole, la regola generale è che gli assegni familiari non assumono rilievo in sede di valutazione delle risorse economiche del genitore onerato e di quantificazione dell'assegno perequativo per la prole, salvo che ciò sia espressamente previsto dagli accordi tra le parti o dalle statuizioni del giudice.

Partendo da questa premessa, la Corte di appello aveva, quindi, esaminato le sentenze di separazione e divorzio rese tra le parti, rilevando che gli assegni alla famiglia erogato dal Parlamento Europeo non erano stati computati tra le risorse economiche del coniuge onerato al pagamento del contributo perequativo per il figlio.

La Corte territoriale aveva, inoltre, ritenuto che la questione della diretta applicabilità alla controversia della normativa comunitaria fosse stata impropriamente proposta, mentre aveva accolto l'interpretazione analogica operata dal giudice di primo grado tra la disciplina degli assegni familiari di cui all'art. 211 legge n. 151/1975 e le indennità attribuite dal Parlamento Europeo, quale riconoscimento ulteriore rispetto alla retribuzione, in quanto connesso ai carichi familiari e come tale corrisposto al coniuge dipendente, ove affidatario dei figli in seguito a separazione o divorzio.

In sostanza, secondo la Corte di appello, anche nel caso degli assegni familiari erogati dal Parlamento Europeo, il giudice della separazione e del divorzio avrebbe potuto statuire che questi fossero computati nell'assegno di mantenimento, ma, non avendolo fatto, doveva ritenersi che nella quantificazione del contributo al mantenimento, si fosse tenuto conto di tali entrate come rientranti in quelle del coniuge affidatario.

La Suprema Corte ha ritenuto che il secondo motivo del ricorso, sotto le mentite spoglie di una doglianza per violazione di una norma di legge, fosse diretto in realtà a contestare in modo non consentito il giudicato esterno intervenuto nei separati giudizi di separazione e divorzio.

Osservazioni

La sentenza in commento tocca due diversi aspetti: uno di natura più procedurale ed attinente all'applicabilità dell'istituto dell'overruling con riguardo al nuovo orientamento in tema di sospensione dei termini di prescrizione tra coniugi separati e, l'altro, di natura prettamente sostanziale e concernente l'incidenza degli assegni familiari sulla quantificazione dell'assegno di mantenimento per la prole.

In merito alla seconda questione, che in questa sede interessa maggiormente, è utile ricordare che l'assegno al nucleo familiare (più comunemente noto come “assegno familiare”) costituisce un sostegno economico per le famiglie dei lavoratori dipendenti e dei pensionati da lavoro dipendente, i cui nuclei familiari siano composti da più persone e che abbiano redditi inferiori a quelli determinati ogni anno dalla legge.

Al riguardo va rilevato che, originariamente, gli assegni familiari (previsti per la prima volta dal R.D.L. 21 agosto 1936, n. 1632) consistevano in un'attribuzione di importo fisso per ogni familiare a carico, attribuzione poi sostituita da quella in favore del nucleo familiare inteso nella sua unitarietà, per effetto del d.l. 13 marzo 1988, n. 69, convertito in legge 13 maggio 1988, n. 153. Prima della predisposizione di tale ultimo provvedimento, erano state, inoltre, emanate due norme per regolare la situazione di conflitto fra coniugi separati e favorire il coniuge affidatario dei figli (legge n. 151 del 1975, art. 211 e legge n. 903 del 1977, art. 9) che, sostanzialmente, hanno sancito il diritto dell'affidatario a percepire gli assegni familiari per i figli, indipendentemente da chi sia titolare del rapporto posto a base della relativa erogazione.

Dette disposizioni hanno determinato una scissione fra titolarità del diritto alla corresponsione del trattamento di famiglia e diritto alla percezione dello stesso.

Identico diritto è riconosciuto anche al genitore convivente con il minore nato fuori del matrimonio, il quale può ottenere il pagamento degli assegni al nucleo familiare sulla posizione dell'altro genitore lavoratore dipendente non convivente (Circolare Inps n. 36/2008).

Si noti che la legge fa riferimento al genitore “affidatario” e non a quello collocatario/convivente con la prole. Presumibilmente, ciò è ricollegabile alla circostanza che nel 1975, anno di emanazione della legge di riforma del diritto di famiglia, l'affidamento monogenitoriale rappresentava il regime più frequente e che, salvo poche eccezioni, il genitore collocatario era anche l'unico affidatario. Oggi non è più così e, di norma, salvo che ciò sia contrario all'interesse del minore, la regola è che entrambi i genitori siano affidatari dei figli. Da ciò deriva che, in base ad un'interpretazione letterale della disposizione di cui all'art. 211 legge 151/1975, in caso di affidamento condiviso, entrambi i genitori hanno diritto all'assegno familiare, anche se evidentemente solo uno di essi può percepirlo. La posizione dell'Inps è quella di rimettere la decisione alla scelta delle parti e, solo in caso di mancanza di accordo, di erogarlo al genitore convivente con la prole (Circolare Inps n. 210/1999).

La sentenza in commento ribadisce il principio secondo cui, se l'assegno familiare non è stato preso in considerazione nella fase di ricognizione delle risorse del coniuge obbligato e di quantificazione dell'assegno di mantenimento, esso non potrà essere successivamente considerato quale parte dell'assegno perequativo e, quindi, non potrà essere scorporato dalle somme che devono essere corrisposte a tale titolo.

Già in precedenti arresti, la Suprema Corte aveva già chiarito che «Il coniuge affidatario del figlio minorenne ha diritto, ai sensi dell'art. 211 della legge 19 maggio 1975 n. 151, a percepire gli assegni familiari corrisposti per tale figlio all'altro coniuge in funzione di un rapporto di lavoro subordinato di cui quest'ultimo sia parte, indipendentemente dall'ammontare del contributo per il mantenimento del figlio fissato in sede di separazione consensuale omologata a carico del coniuge non affidatario, salvo che sia diversamente stabilito in modo espresso negli accordi di separazione»(Cass. civ., sez. VI, sent., 23 maggio 2013, n. 12770; Cass. civ., sez. I, sent., 02 marzo 2003, n. 5060; Cass. civ., sez. un., 27 novembre 1989, n. 5135).

Gli assegni familiari rappresentano, quindi, una voce aggiuntiva rispetto all'assegno di mantenimento, anche se erogati dal datore di lavoro dell'altro genitore, salve diverse intese tra le parti o diversa indicazione giudiziale.

Questa è la situazione verificatasi anche nel caso de quo (almeno secondo quanto ritenuto dalla Corte di appello) e, pertanto, l'ex coniuge funzionario del Parlamento Europeo non era legittimato a decurtare dalle somme dovuta all'ex moglie per il mantenimento dei figli quanto da quest'ultima ricevuto a titolo di assegni per la famiglia.

Si tratta di un principio pienamente condivisibile. Difatti, la circostanza di non aver ricompreso gli assegni familiari tra le entrare dell'onerato, ha anche comportato che il dato reddituale di quest'ultimo, su cui è stato calcolato l'assegno di mantenimento, fosse inferiore.

In ogni caso è certo che, ai fini di una più equa valutazione delle risorse dei genitori, andrebbe sempre tenuto conto espressamente degli assegni familiari e di chi li percepirà.

Guida all'approfondimento

M. Petri, Doppio binario per gli assegni familiari in caso di separazione, in Giur. it., 2003, I, 2011;

S. Slataper, Assegni familiari e separazione dei coniugi, in Lav. giur., 2004, 474 ss.

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