Circolazione stradale. I limiti del principio di affidamento in materia di responsabilità colposa

Simone Bonfante
06 Settembre 2019

Quali sono i limiti che incontra il “principio dell'affidamento” in materia di responsabilità colposa derivante dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale? Quando il comportamento del veicolo antagonista può definirsi imprevedibile e inevitabile?
Massima

Il principio dell'affidamento, nello specifico campo della circolazione stradale, trova un opportuno temperamento nell'opposto principio secondo cui l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché rientri nel limite della prevedibilità.

Il caso

La Corte di Appello di Ancona confermava la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Ascoli Piceno nei confronti di L.G. in ordine all'accertamento della penale responsabilità per il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale.

L'imputato, a bordo della propria autovettura, stava percorrendo un tratto di strada rettilinea e pianeggiante quando, giunto in corrispondenza di un centro commerciale, effettuava una manovra di svolta a sinistra, omettendo in tal modo di dare la precedenza al motociclo condotto da C, che percorreva il medesimo tratto di strada in senso opposto. C., che viaggiava ad una velocità di poco superiore al limite consentito (tra i 58 e i 62 Km/h), alla vista dell'autovettura, che peraltro indugiò più a lungo del dovuto sulla carreggiata opposta, frenò bruscamente perdendo così il controllo della moto che andava così ad impattare contro l'autovettura.

All'imputato veniva pertanto rimproverato di avere cagionato la morte di C. per colpa generica e specifica (artt. 145 e 154 cod. strada). Lo stesso ricorreva per Cassazione lamentando l'erronea applicazione della legga penale (art. 589 c.p.) atteso che i giudici della Corte territoriale non avrebbero dato alcun rilievo, sotto il profilo causale, al principio secondo cui l'utente della strada deve rispondere anche del comportamento imprudente altrui solo quando lo stesso sia prevedibile. Secondo la difesa dell'imputato, infatti, la vittima, che già viaggiava ad una velocità superiore a quella consentita, sicuramente distratta, non avrebbe dovuto inchiodare bruscamente alla vista dell'ostacolo, ma semplicemente evitarlo allargando a sinistra.

La questione

La questione di cui si è dovuta occupare la pronuncia in esame è la seguente: quali sono i limiti che incontra il “principio dell'affidamento” in materia di responsabilità colposa derivante dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale? Quando il comportamento del veicolo antagonista può definirsi imprevedibile e inevitabile?

Le soluzioni giuridiche

In materia di reati colposi il c.d. principio dell'affidamento è dai più considerato un corollario della teoria del rischio consentito. Il rischio è infatti insito nella circolazione stradale la quale, tuttavia, rappresenta un'attività non solo lecita (addirittura costituzionalmente tutelata) ma anche socialmente utile. A ben vedere infatti, quasi tutte le norme di carattere precauzionale contenute nel codice della strada sono volte a scongiurare il rischio di verificazione di un evento infausto. Ebbene tali norme, e lo stesso vale negli altri ambiti della responsabilità colposa, rappresentano l'estrinsecazione di giudizi di prevedibilità ed evitabilità dell'evento e sono volte a contemperare gli interessi sottesi ad ogni attività lecite con il rischio di lesione (o messa in pericolo) di determinati beni giuridici. Può pertanto accadere che la verificazione di un sinistro possa rientrare nel c.d. rischio consentito qualora lo stesso non sia ricollegabile ad alcuna violazione di norme cautelari. L'utente della strada è tenuto sia al rispetto delle norme specifiche contemplate dal codice che, secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità, “delle regole di comune esperienza e normale prudenza” (Cass. pen., Sez. IV, 24 marzo 2000, 4557; nello stesso senso Cass. pen., Sez. IV, 27 aprile 2017, n. 25552). Norme che, ci rammenta la Cassazione, oltre che “rigide” possono avere un contenuto “elastico” cioè definito in base alle circostanze emerse nel caso concreto.

Ora, in ossequio alla riconosciuta duplice misura dell'imputazione colposa, alla “oggettiva” violazione delle regole cautelari, dovrà affiancarsi la “soggettiva” rimproverabilità all'agente del mancato rispetto delle medesime. Rimproverabilità che rinviene il proprio fondamento nel principio di personalità della responsabilità penale e che svolge la funzione di “collegare l'inosservanza della regola cautelare al soggetto inosservante” (F. MANTOVANI, Diritto Penale, Parte Generale, p. 356, 2001, Padova). Valutazione questa che, al fine di comprendere l'effettiva esigibilità di una condotta osservante nel caso concreto, dovrà tener conto dell'agente-modello (homo ejusdem condicionis et professionis) secondo un giudizio da effettuarsi ex ante.

Ora, tornando al principio dell'affidamento menzionato dalla sentenza in parola, è a dirsi come lo stesso si estrinsechi nella fiducia che ogni consociato ripone nell'osservanza delle regole cautelari da parte dei terzi (concepito inizialmente proprio con riferimento alla circolazione stradale, è poi stato applicato in particolare all'attività medica di equipe). Nel momento infatti in cui sia l'autore che il soggetto passivo sono tenuti all'osservanza di regola cautelari, va da sé che ognuno, nel proprio agire, deve poter confidare sul fatto che l'altro le rispetti in egual misura. In linea di principio pertanto, ognuno dovrebbe rispondere per il proprio operato, non per l'altrui comportamento negligente. Come si diceva in premessa tuttavia, stante l'elevatissimo rischio di condotte inosservanti insito nella circolazione stradale, il principio dell'affidamento, secondo l'elaborazione giurisprudenziale consolidatasi negli ultimi anni, incontra diversi limiti, tra i quali, in particolare quello dell'altrui prevedibile condotta imprudente. In giurisprudenza si è addirittura affermato come costituisca di per sé condotta negligente l'aver riposto fiducia nell'osservanza del codice della strada da parte degli altri utenti (Cass. pen., Sez. IV, 15 novembre 2013, n. 8090).

Ci si dovrà pertanto domandare, per tornare al caso in commento, se l'altrui condotta inosservante fosse dall'automobilista-modello prevedibile ed evitabile.

Osservazioni

Trattasi di un fatto commesso sotto il vigore del vecchio art. 589, comma II, c.p., oggi sostituito dalla fattispecie di omicidio stradale di cui all'art. 589-bis c.p. prevista dalla L. n. 41/2016. Una riforma questa che ha fatto molto discutere e che inevitabilmente è frutto della presa d'atto del costante aumento della verificazione di sinistri con conseguenze letali e caratterizzati da una macroscopica violazione delle regole cautelari connesse alla circolazione stradale (LATTANZI, L'omicidio stradale, in Cass. Pen., 2014, p. 1979).

Ebbene a sommesso avviso di chi scrive la dichiarazione di inammissibilità del ricorso pare nel caso di specie del tutto condivisibile.

E ciò per almeno due ordini di ragioni.

In primo luogo, è corretta la valutazione di “non imprevedibilità” della manovra della moto, la quale, alla vista di un ostacolo improvviso ha naturalmente frenato.

Sia consentito sul punto richiamare il noto insegnamento del Supremo Collegio secondo cui: «nei reati colposi conseguenti ad incidenti stradali è esclusa la responsabilità del conducente quando il fatto illecito altrui, ed in particolare della vittima, configuri per le sue caratteristiche una vera causa eccezionale atipica e non prevedibile che sia stata da sola sufficiente a provocare l'evento» (Cass. pen., Sez. IV, 15 giugno 2005, n. 28615; nello stesso Cass. Pen., Sez. IV, 25 gennaio 2018, n. 14544).

Ci si chiede inoltre sulla base di quali argomentazioni tecnico-scientifiche la difesa abbia sostenuto che la condotta alternativa-ipotetica (consistente nell'evitare l'ostacolo senza frenare) fosse non solo esigibile dal motociclista medio ma, soprattutto, con probabilità rasente la certezza, nel caso concreto salvifica.

Sul punto a dire il vero la sentenza in commento spende solo poche parole, richiamando a contrario solo il ragionamento della Corte territoriale secondo cui l'evento non si sarebbe verificato se l'imputato avesse semplicemente atteso il passaggio della moto.

Per mera completezza forse la Suprema Corte avrebbe potuto fare un accenno sulla (pacifica) sussistenza nel caso di specie del nesso di causalità, al solo fine di sottolineare come lo stesso non potesse certo considerarsi rescisso, ai sensi dell'art. 41 c.p., dall'improvvisa frenata della moto.

La ragione di tale impostazione trova probabilmente una spiegazione nel fatto che, nel caso di specie, i profili colposi, rispetto a quelli eziologici, paiono preponderanti.

Non solo l'imputato non poteva trincerarsi dietro l'imprevedibilità del comportamento del motociclista, ma nemmeno dietro la propria ineccepibile condotta: lo stesso ha infatti omesso di dare la precedenza e di eseguire la manovra al centro della intersezione, prolungando infine l'ingombro della corsia di pertinenza della moto oltre il tempo dovuto. A tale proposito si tenga presente che in giurisprudenza si è affermato come non possa essere esigibile una manovra di emergenza da parte del veicolo antagonista da parte di chi ha posto in essere una turbativa colposa della circolazione (Cass. pen., Sez. IV, 4 dicembre 1989, n. 1504, Salmaso).

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