Detenzione: i criteri di computo dello spazio minimo disponibile per la valutazione del trattamento inumano e degradante

Veronica Manca
10 Settembre 2019

Si torna nuovamente a discutere, in un momento in cui il sovraffollamento carcerario è un problema strutturale e diffuso, dei criteri di computo dello spazio minimo disponibile al di sotto del quale si configura la violazione dell'art. 3 CEDU. Come noto, la Corte europea individua nella misura di 3 metri quadri, il limite vitale per ogni detenuto in celle condivise; 7 metri quadrati in caso di celle singole (secondo le indicazioni del CPT).
Massima

In tema di rimedio risarcitorio di cui all'art. 35-ter ord. pen., ai fini dell'accertamento della violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, l'esistenza di una separazione mobile tra l'area occupata dai servizi igienici e il resto di una cella di oltre sette metri quadri e pur in difetto di un autonomo impianto di areazione, non consente di ravvisare alcun trattamento idoneo a comportare privazioni d'intensità superiore al livello di sofferenza che discende, inevitabilmente, dalla detenzione e a ledere la dignità dell'individuo (Annulla con rinvio, Tribunale di sorveglianza L'Aquila).

Il caso

Con la pronuncia in esame, la Cassazione torna nuovamente sulla questione dell'individuazione dei criteri (e dell'onere della prova, oltre che dell'obbligo di motivazione in capo al giudice di merito) in forza della quale sia possibile accertare una violazione dei diritti umani della persona reclusa, sotto il profilo specifico dello spazio minimo detentivo a disposizione del detenuto in caso di cella singola. Nulla di nuovo, né di eclatante rispetto ad una sentenza che annulla con rinvio la decisione del Tribunale di sorveglianza de L'Aquila per omessa motivazione: il caso trae origine dall'impugnazione del Ministero della Giustizia avverso la decisione della Magistratura con cui si accoglieva il reclamo giurisdizionale (ai sensi dell'art. 35-ter ord. pen.) presentato dal detenuto in relazione alle condizioni di detenzione in una cella singola (di circa 7 metri quadrati, con i servizi igienici a vista, separati dalla zona notte, solo con una tenda rimovibile; il tutto privo di un sistema di areazione). Tuttavia, il caso consente di sviluppare alcune riflessioni a margine della più recente giurisprudenza di legittimità sui criteri di accertamento dell'avvenuta lesione degli standard di tutela di cui all'art. 3 CEDU rispetto a situazioni in cui lo spazio vitale è superiore ai 3 metri quadrati. Inoltre, di rilievo sono gli spunti interpretativi circa l'evoluzione della giurisprudenza di Strasburgo da Muršić c. Croazia in poi, fino al più recente caso Nikitin e altri c. Estonia, del 29 gennaio 2019.

La questione

Si torna nuovamente a discutere, in un momento in cui il sovraffollamento carcerario è un problema strutturale e diffuso, dei criteri di computo dello spazio minimo disponibile al di sotto del quale si configura la violazione dell'art. 3 CEDU. Come noto, la Corte europea individua nella misura di 3 metri quadri, il limite vitale per ogni detenuto in celle condivise; 7 metri quadrati in caso di celle singole (secondo le indicazioni del CPT).

Con il leading case Torreggiani e altri c. Italia, la Corte europea impone un orientamento consolidato sui criteri di individuazione di limiti spaziali al di sotto dei quali si configura una violazione dei parametri dell'art. 3 CEDU, in quanto trattamento e pena inumana e degradante. La mancanza di spazio – al di sotto dei 3 metri quadri per detenuto – rappresenta, secondo la Corte, una violazione di per se stessa dell'art. 3 CEDU, integrando una forma di trattamento inumano e degradante (specie, in un Paese come l'Italia gravato da una situazione di sovraffollamento carcerario endemico e diffuso). Ulteriori circostanze, come la mancanza di un sistema di areazione, i servizi igienici a vista, l'inadeguata presenza di attività fuori dalla cella, l'impossibilità di libero movimento in spazi diversi dalla cella, costituiscono solamente degli indici di rafforzamento della violazione, di per sé già integrata (si rileva, come già in una primissima fase, la Corte europea oscilla nell'individuazione dei criteri uniformi, tra casi di accertata violazione dell'art. 3 CEDU, per la permanenza al di sotto dei 3 metri quadrati, a casi in cui si estendeva tutela anche per spazi tra i 3 e 4 metri quadrati, a casi in cui tale condizione non costituiva violazione di per sé, ma solo una “forte presunzione”).

Con il caso Ananyev e altri c. Russia, alla mancanza di spazio, si aggiungono altri criteri, come, ad es., la condizione della disponibilità del letto per ogni detenuto e la circostanza per cui i detenuti devono avere a disposizione una superficie tale che consenta la libertà di movimento rispetto agli arredi della cella. Tali criteri, da soddisfarsi cumulativamente, vengono poi ripresi nella giurisprudenza successiva, nelle sentenze pilota, Varga e altri c. Ungheria e Neshkov e altri c. Bulgaria. Già in queste due pronunce, inizia ad emergere il concetto di strong indication, atteso che la detenzione sotto i 3 metri quadri rappresenta solamente “una forte indicazione” di violazione dell'art. 3 CEDU: cadono, quindi, gli automatismi affermati in Torreggiani e altri c. Italia. Con riguardo ai casi di permanenza in celle con spazio inferiore ai 3 metri quadri, comunque, secondo la Corte europea, si ricade nell'ambito di una "forte presunzione", importante ma non inconfutabile: è onere del Governo convenuto dedurre indici compensativi tali da vincere la presunzione (del tipo: 1. le riduzioni di spazio devono essere brevi, occasionali e di modesta entità; 2. la libertà di movimento non deve essere inibita e dovrebbe essere assicurata la possibilità di svolgere attività fuori dalla cella; 3. la presenza del letto oltre che di una generale condizione complessivamente adeguata di detenzione, priva di condizioni aggravanti (così, v. Kurkowski c. Polonia).

Tale orientamento, improntato alla verifica del caso concreto, si cristallizza nel caso Muršić c. Croazia, decisione molto discussa e parzialmente riformata dalla Grande Camera con la sentenza del 20 ottobre 2016. In tale occasione vengono ribaditi i seguenti principi: (i) il limite di 3 metri quadrati rappresenta lo standard minimo rilevante; (ii) nel caso in cui lo spazio a disposizione scenda sotto i 3 metri quadrati, tale circostanza è ritenuta così grave da far sorgere una “forte presunzione” di violazione dell'art. 3 CEDU; presunzione che può essere vinta dal Governo convenuto, chiamato a dimostrare la sussistenza di indici compensativi idonei a mitigare la mancanza di spazio; (iii) in tali casi, tuttavia, gli indici compensativi devono essere presenti cumulativamente. Nei casi di spazio minimo disponibile oscillante tra i 3 metri quadri e i 4, si ritiene che lo spazio materiale rimanga comunque un elemento pregnante di valutazione: per esservi violazione dell'art. 3 CEDU, devono sussistere anche altri criteri di inadeguatezza della condizione, come, ad es., l'impossibilità di fare esercizio all'aria aperta, di avere accesso alla luce naturale e all'aria, l'insufficiente areazione, l'inadeguatezza della temperatura della stanza, l'impossibilità e inadeguatezza dei servizi igienici. Nei casi, ancora, in cui lo spazio superi i 4 metri quadrati e, quindi, lo spazio fisico non costituisca più un problema dirimente, si tende ad escludere la violazione dell'art. 3 CEDU, a meno che le condizioni materiali di detenzione, secondo altri parametri, non risultino comunque inadeguate (v. sul punto, Story e altri c. Malta).

La più recente giurisprudenza di Strasburgo sembra essersi definitivamente assestata intorno alla linea interpretativa del caso Muršić c. Croazia: nel caso Nikitin e altri c. Estonia, si ribadisce come la “strong presumption”, per spazio inferiore ai 3 metri quadrati, possa essere superata sola alla luce di tre indici che devono essere presenti cumulativamente: (i) il periodo di permanenza in uno spazio vitale così ridotto deve essere breve, occasionale e minimo; (ii) tali periodi devono essere accompagnati da una sufficiente libertà di movimento e attività fuori dalla cella; (iii) le condizioni generali di detenzione non devono essere aggravate da ulteriori limitazioni.

Le soluzioni giuridiche

Chiarita la questione dell'individuazione dello spazio minimo disponibile, la Corte di Cassazione, nel tentativo di uniformare l'applicazione dei rimedi interni (art. 35-ter ord. pen.) alla giurisprudenza convenzionale, risolve il problema delle modalità di computo della superficie disponibile per detenuto, al netto o al lordo del mobilio della cella. Sul punto, in linea con la pronuncia n. 5728/2014, la Corte di Cassazione, nel caso Morello, precisa che la superficie minima deve essere calcolata al netto dell'ingombro degli oggetti di arredo fissi (v. Cass. pen., Sez. I, 17 novembre 2016, n. 13124: la quale, a sua volta, richiama la pronuncia Ananyev e altri c. Russia, secondo cui l'importante è determinare se i detenuti hanno la possibilità di muoversi liberamente nella cella: (i) ogni detenuto deve disporre di uno spazio individuale per dormire all'interno della cella; (ii) deve avere a sua disposizione almeno 3 metri quadrati di spazio al suolo; (iii) la superficie complessiva della cella deve essere tale da consentire ai detenuti di muoversi liberamente tra gli elementi di arredamento, condizioni la cui assenza fonda la forte presunzione di trattamento degradante ed inumano). Scomputati, quindi, i servizi igienici e gli arredi fissi (in forza della giurisprudenza europea e delle linee del CPT), rimane la questione se nel calcolo della superficie deve essere incluso anche il letto: secondo la Prima Sezione, nel computo dei 3 metri quadrati deve essere scomputata la presenza del letto, se a forma di struttura “a castello”, perché presenta un peso tale da non poter essere spostato e da restringere a sua volta, come gli armadi, appoggiati o infissi stabilmente alle pareti o al suolo, l'area ove muoversi (così, sul punto, v. Cass. pen., Sez. I, 7 marzo 2019, n. 29476, per cui vale il seguente principio di diritto: al fine dell'accertamento della violazione del divieto di trattamenti detentivi inumani e degradanti, il computo dello spazio minimo individuale, fruibile per ciascun occupante una cella collettiva, va effettuato mediante detrazione dalla superficie della camera detentiva dell'area destinata ai servizi igienici e dello spazio occupato dagli arredi fissi e dal letto).

Osservazioni

Venendo al caso in esame, pare corretta la decisione della Cassazione, in punto di onere motivazionale incombente sul giudice del merito: trattasi nel caso di specie, di un detenuto recluso in cella singola, circostanza che allieva di molto la detenzione e amplia i metri quadrati a disposizione dello stesso per la valutazione della presunta violazione (si tengano in considerazione i 7 metri quadrati indicati, come criterio auspicabile, dal CPT). Pregnante, infatti, risulta la verifica delle generali condizioni di detenzioni, che siano adeguate ed appropriate rispetto agli standard europei (quali, appunto, la possibilità di permanere al di fuori dalla cella, la presenza di attività, ecc.). Ancor più decisiva, l'analisi della qualità e della struttura della cella, in linea con l'art. 19 delle Regole Penitenziarie e le cd. Mandela Rules: meno pertinente pare il riferimento alla giurisprudenza convenzionale Muršić c. Croazia, atteso che, in questo caso, non è tanto l'elemento superficie ad essere determinante, né la co-presenza di altri detenuti, quanto l'idoneità della strutturazione della superficie rispetto alla qualità della vivibilità della reclusione. Il riferimento normativo è sicuramente l'art. 6 dell'ordinamento penitenziario, così come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. b) del d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 124.

Guida all'approfondimento

AA. VV., La tutela preventiva e compensativa per i diritti dei detenuti, (a cura di) Fiorentin, Giappicchelli Editore, Torino, 2019;

FIORENTIN, Risarcimenti per la detenzione in condizioni inumane e degradanti: il giudice italiano guarda alla giurisprudenza Muršić (e oltre) per il bilanciamento dei criteri di accertamento, in Arch. pen. web, 2017;

FIORENTIN, Rimedi risarcitori per l'inumana detenzione: il giudice ordinario come l'asino di Buridano, in Cass. pen., 2017, 3, pp. 1185 ss.;

FIORENTIN, Art. 3 Cedu: risarcimento per trattamento inumano e degradante, in Dir. pen. proc., 2016, 10, pp. 1386 ss.;

FIORENTIN, Risarcimento per l'inumana detenzione: bilancio a un anno dall'introduzione dei ‘‘rimedi compensativi'' di matrice europea, in Studium iuris, 2016, 3, pp. 266 ss.;

PASSIONE, 35-ter O.P.: effettivamente, c'è un problema, in Giurisprudenza penale web, 2017, 3;

CANCELLARO, Carcerazione in meno di 3 mq: la Grande Camera sui criteri di accertamento della violazione art. 3 CEDU, in Dir. pen. cont., 13 novembre 2016.

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