Revenge porn: una risposta sanzionatoria adeguata?

10 Settembre 2019

Nell'ambito di una revisione globale del sistema penale finalizzata ad assicurare un contrasto maggiormente ampio ed efficace alla violenza di genere, le nuove fattispecie in tema di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti rappresentano un importante tassello, la cui piena metabolizzazione deve passare attraverso la risoluzione di un'ampia e complessa serie di problemi ermeneutici. Problemi correlati, in particolare, al rapporto tra le nuove fattispecie e quelle già presenti nel sistema e all'individuazione dell'esatto ambito di applicazione della nuova norma.
Massima

Nell'ambito di una revisione globale del sistema penale finalizzata ad assicurare un contrasto maggiormente ampio ed efficace alla violenza di genere, le nuove fattispecie in tema di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti rappresentano un importante tassello, la cui piena metabolizzazione deve passare attraverso la risoluzione di un'ampia e complessa serie di problemi ermeneutici. Problemi correlati, in particolare, al rapporto tra le nuove fattispecie e quelle già presenti nel sistema e all'individuazione dell'esatto ambito di applicazione della nuova norma.

Premessa

Come più volte accaduto anche in un recente passato, la realtà socio-criminale impone al legislatore di completare il sistema di tutela penale con nuove fattispecie, funzionali a “coprire” ambiti evidentemente riconosciuti come privi di strumenti effettivamente idonei a garantire specifici diritti e interessi. In questa prospettiva, tra le non poche novità contenute nella l. 19 luglio 2019, n. 69, Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere (pubblicata in G.U. n. 173 del 25 luglio 2019, in vigore dal 9 agosto 2019) un significativo rilevo assumono le nuove fattispecie prevista dall'art. 10, che ha introdotto l'articolo 612-terc.p. in materia di Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti. Reato per il quale si è già affermata, quantomeno nei media, la definizione di revenge porn.

Con tale espressione si intende in senso lato «la creazione consensuale di immagini intime o sessuali all'interno di un contesto di coppia e la non consensuale pubblicazione delle stesse da parte di uno dei membri - generalmente, l'uomo - finalizzata a vendicarsi della rottura spesso burrascosa della relazione intima»(revenge porn in senso stretto). Tale espressione è utilizzata, nel linguaggio comune, soprattutto giornalistico, in senso più ampio anche per indicare ogni forma di diffusione non consensuale di immagini pornografiche o comunque aventi un contenuto sessuale (revenge porn in senso estensivo), a prescindere quindi dalla pregressa esistenza di una relazione sentimentale ovvero dalla finalità ritorsiva di colui che pubblica le immagini. Rientra nella nozione estensiva di revenge porn, ad esempio, la pubblicazione in rete delle immagini e dei video sessualmente espliciti di celebrità in conseguenza dell'hackeraggio dei loro account icloud» (cfr. Misure per il contrasto del c.d. revenge porn- nota breve 57- marzo 2019 Servizio Studi del Senato).

Un reato indubbiamente plurioffensivo - diretto a tutelare non solo la libertà di autodeterminazione dell'individuo, quanto anche il decoro, la reputazione e il diritto alla riservatezza, in relazione alla vita sessuale - introdotto nel sistema nell'ambito di un intervento organico diretto a fronteggiare, nelle sue varie forme, la violenza di genere.

Una domanda preliminare che l'interprete deve porsi è se, prima di tale norma, vi fossero comunque strumenti adeguati alla tutela degli interessi in oggetto. Verosimilmente sì, ma il problema non è tanto - e solo - dato dalla possibilità di fornire una risposta penale al problema, quanto di calibrare la stessa sull'effettiva “portata”, anche sul piano socio-culturale, del fenomeno. Al riguardo, si pensi a quanto avvenuto nel 2009, con l'entrata in vigore della nuova fattispecie di cui all'art. 612-bis c.p., in tema di atti persecutori. Non erano mancate le critiche rispetto a delitto reputato “sovrabbondante” rispetto all'apparato sanzionatorio già disponibile – a fronte di reati quali i reati di molestie e/o violenza provata di cui agli artt. 660 c.p. o il 610 c.p. già avrebbero consentito di stigmatizzare negativamente determinati comportamenti. Al contrario, purtroppo, il “successo” delle disposizioni in tema di stalking ha dimostrato che si è trattato trattava di una nuova ipotesi di reato di grande rilievo statistico e di straordinario impatto sul piano sociologico. Norma che non ha certamente risolto tutti i problemi del settore, ma che li ha correttamente inquadrati e che ha tentato di fornire una risposta adeguata alla gravità del fenomeno.

A conclusioni analoghe è verosimile si potrà giungere con il c.d. revenge porn. Una tipologia di reato impensabile venti anni orsono, astrattamente ipotizzabile dieci anni fa ma che negli ultimi anni ha assunto una dimensione rilevante; dimensione la cui “contrazione” non è allo stato ipotizzabile, se non a fronte di una si spera- di una generalizzata e diffusa percezione del disvalore delineato dal testo dell'art.612-ter c.p.Si deve tuttavia notare che - sebbene inserito nella legge che ha creato una corsia preferenziale riservata ad alcuni reati in materia di violenza domestica e di genere, con l'obiettivo di dare priorità e velocità alle indagini con la previsione di imporre al p.m. di sentire le persone offese e chi ha presentato denuncia, querela o istanza entro tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato– il revenge porn non rientra tra le ipotesi per le quali tale corsia referenziata è stata prevista. Una scelta singolare e, considerato l'impianto generale e le finalità della legge, per certi aspetti non facilmente comprensibile.

Il rapporto con altre fattispecie

La disposizione dell'art. 612-ter c.p. si apre con la clausola Salvo che il fatto costituisca più grave reato; indicazione assolutamente doverosa, considerato che la condotta descritte nella due ipotesi “base” contenute nell'articolo (come per altro quelle aggravate susseguenti) si sovrappongo in vario modo ad altre fattispecie, per le quali le condotte riconducibili al revenge porn sono state o potrebbero essere sanzionate. In prima battuta, anzi, il problema di comprendere gli esatti confini del nuovo reato potrebbe essere tra quelli più delicati. Ciò sotto un triplice profilo: per comprendere quando si debba applicare la citata di riserva, ma anche quando si debba ipotizzare un concorso con altri reati o quando la contestazione della fattispecie di cui all'art. 612-ter c.p. possa escludere la sussistenza di ipotesi di minore gravità, esaurendone il disvalore.

Prima dell'entrata in vigore della l.n. 69/2019 la condotta descritta è stata qualificata ai sensi dell'art. 595, comma 3, c.p., ossia diffamazione aggravata in quanto arrecata con qualsiasi altro mezzo di pubblicità. In particolare, per la S.C. la condanna per diffamazione aggravata commessa attraverso la diffusione telematica, su un sito di condivisione, di un filmato amatoriale a contenuto erotico che vedeva protagonista la persona offesa unitamente all'imputato, può legittimamente trovare fondamento sulle sole dichiarazioni della vittima, ritenute intrinsecamente coerenti e precise, nonché riscontrate nelle dichiarazioni rese dai testi escussi, che non solo affermi di aver girato siffatti filmati esclusivamente con l'imputato, ma che riveli di aver ricevuto la confidenza di questi circa l'avvenuta diffusione del video (Cass. pen., Sez. V, 15 ottobre 2013, n. 45966).

La contestazione di diffamazione può essere considerata una risposta solo in parte soddisfacente, ove si consideri che la condotta di revenge porn risulta lesiva non solo della reputazione della persona offesa (interesse tutelato dall'art. 595 c.p.) quanto anche della riservatezza e della capacità di autodeterminazione in ambito sessuale.

In questa prospettiva s'impone un richiamo alla disciplina dell'art. 167 del d.lgs. n. 196/2003 in tema illecito trattamento di dati personali, modificata recentemente dal d.lgs. n. 101/2018, sulla base delle indicazioni del Regolamento (UE) 2016/679. Un adeguamento che ha portato a sanzionare condotte non solo dirette a trarre un profitto, ma anche finalizzate ad arrecare un danno ad altri, come accade sostanzialmente nel fenomeno del revenge porn.

L'attuale formulazione dell'art. 167, comma 2, d.lgs. n. 196/2013 stigmatizza negativamente la condotta di chi «salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre per sé o per altri profitto ovvero di arrecare danno all'interessato, procedendo al trattamento dei dati personali di cui agli articoli 9 e 10 del Regolamento in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 2-sexies e 2-octies, o delle misure di garanzia di cui all'articolo 2-septies ovvero operando in violazione delle misure adottate ai sensi dell'articolo 2-quinquiesdecies arreca nocumento all'interessato»; in particolare, rientrano nell'art. 9Regolamento (UE)2016/679 i dati personali relativi all'orientamento sessuale della persona.

Indubbiamente la fattispecie più “sociologicamente” prossima alle nuove fattispecie è quella di atti persecutori ex art. 612-bis c.p., che per molti aspetti (ferma restando la necessità di reiterazione della condotta) ben poteva consentire una tutela penale a fronte di situazioni di revenge porn. A proposito della necessità di reiterazione, ben si può ritenere che non debba essere la condotta “tipica” dell'art. 612-ter c.p. a essere reiterata, laddove la stessa, anche se posta in essere in un'unica occasione, sia corredata da una degli altri comportamenti che possono determinare gli eventi descritti dalla fattispecie di cui all'art. 612-bis c.p. Per la S.C. integra l'elemento materiale del delitto di atti persecutori il reiterato invio alla persona offesa di "sms" e di messaggi di posta elettronica o postati sui cosiddetti social network nonché la divulgazione attraverso questi ultimi di filmati ritraenti rapporti sessuali intrattenuti dall'autore del reato con la medesima (Cass. pen., Sez. VI, 6 luglio 2010, n. 32404 CED 248285).

Il differente oggetto di tutela consente, verosimilmente, di ravvisare il concorso tra le due ipotesi. Concorso che potrebbe al contrario essere più difficilmente ravvisabile rispetto alla diffamazione e al delitto di cui all'art.615-bis c.p. - interferenze illecite nella vita privata – limitatamente a condotte avvenute e “documentate” nell'ambito domiciliare.

Un altro reato che deve essere confrontato con le nuove fattispecie è quello introdotto dall'art. 1d.lgs. n. 216/2017 all'art.617-septies c.p. (Diffusione di riprese e registrazioni fraudolente) che sanziona con la reclusione sino a quattro anni la condotta di chi, al fine di recare danno all'altrui reputazione o immagine, diffonde con qualsiasi mezzo riprese audio o video, compiute fraudolentemente, di incontri privati o registrazioni, pur esse fraudolente, di conversazioni, anche telefoniche o telematiche, svolte in sua presenza o con la sua partecipazione.

Com'è stato precisato nella menzionata nota breve dell'ufficio studi del Senato, «tale fattispecie, sebbene sia stata introdotta nell'ordinamento per punire le operazioni captative illecite, tuttavia, nella parte in cui fa riferimento a “incontri privati” sembrerebbe idonea a trovare applicazione, anche con riguardo ad alcune forme di diffusione di video intimi, anche se solo limitatamente ai casi in cui la ripresa è “compiuta fraudolentemente”. Ne consegue che il reato potrebbe considerarsi integrato soltanto nei casi di pubblicazione di immagini create senza il consenso della persona ritratta».

Si deve rilevare che tutti i reati sopra menzionati non costituiscono fatti più gravi rispetto a quelli sanzionati dall'art. 612-ter c.p.; ne consegue che gli stessi potranno concorrere o ritenersi “assorbiti”, ma non escludere la rilevanza penale diretta delle condotte di cui all'art. 612-ter c.p.

Per altro, un reato ravvisabile nelle situazioni in oggetto che certamente risulta punito con pena più grave è quello di cui pornografia minorile all'art. 600-ter c.p., che sanziona con la pena detentiva fino a 12 anni la produzione e divulgazione di immagini pedopornografiche. Reato che dovrebbe “assorbire” l'ipotesi di cui all'art. 612-ter c.p.

L'elemento oggettivo delle fattispecie

Le fattispecie “base” dell'art. 612-ter c.p. – per le quali è prevista la pena della reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000 - sono accumunate dall'oggetto, indicato dal legislatore come immagini o video a contenuto sessualmente esplicito; importante è pertanto chiarire cosa debba intendersi per sessualmente esplicito.

Una formula che il legislatore ha correttamente indicato in termini indeterminati, dovendo la stessa essere condizionata da mutamenti socio-culturali dei quali il giudice deve farsi interprete. Utili indicazioni possono, nondimeno, essere tratte da decisioni della S.C. in tema di pedopornografia minorile, laddove si è precisato che tale delitto è configurabile esclusivamente nel caso in cui il materiale pornografico, oggetto materiale della condotta criminosa ritragga o rappresenti visivamente un minore degli anni diciotto implicato o coinvolto in una condotta sessualmente esplicita, quale può essere anche la semplice esibizione lasciva dei genitali o della regione pubica. (Cass. pen., Sez. III, 4 marzo 2010, n. 10981, CED 246351); è stato altresì ritenuto materiale pornografico rilevante per l'integrazione del delitto de quo quello di contenuto lascivo, idoneo a eccitare le pulsioni erotiche del fruitore, sicché in esso vanno ricomprese non solo le immagini raffiguranti amplessi ma anche corpi nudi con i genitali in mostra (Cass. pen., Sez. III, 9 dicembre 2009, n. 8285, CED 246231).

Pare evidente la volontà del legislatore di anticipare la soglia di punibilità, delineando un reato di pericolo, in quanto non è richiesta che l'effettiva conoscenza da parte di una pluralità di utenti del materiale illecitamente diffuso, né il verificarsi- per la vittima, a differenza di quanto indicato nell'art. 612 bis c.p. – di un grave stato d'ansia o di timore.

L'autore del reato non s'identifica necessariamente con l'autore delle riprese; nella prima ipotesi al soggetto che ha realizzato i video o le immagini, è accomunato quelli che li ha sottratti - ossia a colui che se ne è impossessato con violenza o con modalità fraudolente.

Laddove video o immagini siano ceduti volontariamente dal soggetto passivo del reato, ricorrerebbe la seconda ipotesi dell'art.612-ter c.p., nella quale l'autore della condotta è indicato in colui che ha ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video.

Differente anche la “destinazione” di video e immagini; nella prima ipotesi è sanzionato il semplice invio, la consegna, la cessione, la pubblicazione o la diffusione di video o immagini destinati a rimanere privati: condotte tutte caratterizzate da un dolo generico.

Nella seconda, al contrario, le stesse condotte sono sanzionate laddove poste in essere al fine di recare nocumento alle persone rappresentate nei video e nei filmati destinati a rimanere privati, con previsione pertanto, di un dolo specifico. Nocumento che si identifica in un pregiudizio giuridicamente rilevante di qualsiasi natura, patrimoniale e non, conseguenza della condotta illecita (Cass. pen., Sez. III, 23 novembre 2016, n. 15221, CED 270056). Una differenziazione condivisibile, ove si consideri che in questo modo una disponibilità di video e immagini ab origine non “qualificata” da un rapporto diretto con la persona offesa o da una condotta di per sé criminosa è sanzionata solo laddove finalizzata a nuocere a quest'ultima.

Il problema del consenso

Le immagini e i video indicati delle fattispecie devono essere destinati a rimanere privati. Destinazione nella disponibilità del soggetto che compare nelle immagini, il cui consenso diviene, pertanto, fondamentale. Entrambe le fattispecie prevedono che i fatti debbano essere commessi senza il consenso delle persone rappresentate: si deve pertanto ritenere che il consenso dell'avente diritto non possa essere considerato scriminante, quanto elemento della fattispecie. Consenso che per altro potrebbe essere valutato in chiave putativa, laddove la condotta avvenga sull'erroneo presupposto della sussistenza di un consenso in realtà non ravvisabile, con conseguente non punibilità ex art. 59, comma IV, c.p. Una situazione che potrebbe essere meno infrequente del previsto, ove si consideri il caso di un consenso espresso poi “revocato”, in termini equivoci o indiretti.

Le ipotesi aggravate

La norma prevede tre aggravanti “ordinarie” e due a effetto speciale. Nel primo caso il comma terzo stabilisce che «la pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici».

La prima ipotesi non pone ovviamente particolari problemi interpretativi, anche se stupisce per certi aspetti la mancata espressa equiparazione ai rapporti di coniugio delle unioni civili; unioni che, per altro, devono essere certamente ricomprese nel richiamo alle relazioni affettivi. Per quest'ultimo concetto è stata utilizzata una formula che consente margini interpretativi particolarmente ampi. In realtà il legislatore ha rimesso all'autorità giudiziaria l'individuazione di un inquadramento sociale condiviso della nozione di relazione affettiva. Una nozione che non richiama il dato della convivenza – che può presentare connotazioni di formalizzazioni e stabilità non perfettamente sovrapponibili rispetto al vincolo matrimoniale, anche se comunque storicamente verificabili – e che per altro, con il riferimento agli “affetti” piuttosto che ai profili strettamente sessuali o di vita in comune risulta meno “determinabile” e quindi ricostruibile anche in tale prospettiva. Di rilievo, poi, il fatto che la S.C., in tema di atti persecutori, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante di cui all'art. 612-bis, comma 2, c.p. abbia precisato che per "relazione affettiva" non s'intende necessariamente la sola stabile condivisione della vita comune, ma anche il legame connotato da un reciproco rapporto di fiducia, tale da ingenerare nella vittima aspettative di tutela e protezione. (Cass. pen., Sez. III, 9 gennaio 2018, n. 11920, CED 272383 – 01)

Per certi aspetti singolare la terza ipotesi (fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici) in quanto, almeno sul piano statistico-sociologico, si tratta della situazione che potrà verificarsi con maggiore frequenza e che - indubbiamente - presenta la maggiore oggettiva gravità.

Il comma quarto dell'art.612-ter c.p. prevede aggravanti di natura speciale - con aumento di pena da un terzo alla metà laddove il fatto sia commesso in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.

Si tratta di aggravanti di natura oggettiva, ai sensi dell'art. 70 c.p., riguardando condizioni e qualità personali dell'offeso; le stesse non pongono un problema particolare di accertamento del presupposto in fatto, quanto di conoscenza dei medesimi da parte dell'autore del reato. In tema di delitti a sfondo sessuale l'art. 609-sexies c.p. specificamente prevede che «il colpevole non può invocare, a propria scusa, l'ignoranza dell'età della persona offesa». La sussistenza nel sistema di un'eccezione quale quella richiamata porterebbe a pensare che, in via generale- e quindi nel caso di specie, in relazione alla condizione della donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità - l'autore della condotta sia ammesso a provare di aver ignorato tali dato di fatto. Per la gravidanza si tratta di condizione che, specie nei primi mesi, può essere conosciuta e/o conoscibile solo sulla base di una comunicazione diretta ovvero della visione degli esiti di accertamenti medici. Problematica in molti casi la condizione di inferiorità fisica o psichica; non è stata ripresa la formula usate nell'art. 612-bis c.p.p. (persona con disabilità di cui all'art. 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 10436) il che porta a ritenere che debba essere ricompresa anche una condizione di inferiorità psichica generica non rigorosamente riconducibile alla disciplina della menzionata legge.

Indubbiamente, se alcune forme delle condizioni descritte dalla legge possono risultare di non immediata percezione in occasione di incontri o contatti sporadici e superficiali o nel caso in cui le immagini siano state acquisite nell'ambito di un contatto diretto con la persona offesa.

Le scelte in tema di procedibilità

Il quarto comma dell'art. 612-ter c.p. subordina la procedibilità del delitto alla querela della persona offesa, al fine di non obbligare la vittima a “subire” il coinvolgimento in un procedimento penale se non lo desidera. In questo senso, a differenza di quanto previsto in tema di violenza sessuale dall'art. 609-septies c.p., non è stata prevista l'irrevocabilità della querela proposta; scelta questa certamente condivisibile nella prospettiva di sostanziale conciliazione tra aggressore e vittima, ma che espone inevitabilmente quest'ultima a ulteriori potenziali vessazioni e minacce finalizzata a ottenere la remissione stessa. Analogamente a quanto disposto dal menzionato art. 609-septies c.p., il termine ordinario di mesi tre per la proposizione della querela è stato individuato in mesi sei. Come previsto dall'art.612-bis c.p., la remissione della querela può essere soltanto processuale.

È comunque prevista la procedibilità d'ufficio:

  • se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza; sul punto, occorre comprendere se tali condizioni debbano sussistere al momento della diffusione del materiale o nel momento di realizzazione delle foto o dei video, atteso che in entrambi i casi emergono esigenze di una tutela rafforzata.
  • nei casi in cui il fatto è connesso con altro delitto per il quale è prevista la procedibilità d'ufficio. Si tratta di una disposizione chiaramente mutuata dall'art.609-septies c.p., nel quale viene disciplinata analoga aggravante in tema di violenza sessuale. Un'estensione desumibile dalla ratio-sostanzialmente identica - che accomuna sotto questo profilo il delitto di cui all'art.609-bis c.p. e quello di cui all'art. 612-bis e-ter c.p., ossia il fatto che la sussistenza dell'ipotesi di connessione risulta idonea a fare venire meno le esigenze di riservatezza connaturate a tale tipologia di reato. Sul tema la S.C. ha chiarito- in tema di reato di stalking – che , la connessione che lo rende procedibile d'ufficio, ai sensi dell'ultimo comma dell'art.612-bis c.p., è non solo quella in senso processuale, di cui all'art. 12 c.p.p. ma anche quella in senso materiale, che si verifica ogniqualvolta l'indagine sul reato procedibile d'ufficio comporti necessariamente l'accertamento di quello punibile a querela, in presenza delle condizioni di collegamento probatorio di cui all'art. 371 c.p.p., purché le indagini sul reato procedibile d'ufficio siano state effettivamente avviate e sebbene all'esito del giudizio i relativi fatti siano stati diversamente qualificati (Cass., Sez. V, n. 55807, 30.10.2017, CED 272004)

Occorre, infine, procedere a una breve disamina delle sentenze della S.C. sull'interpretazione dell'art. 124, comma 1, c.p. Lo stato di conoscenza dal quale tale disposizione fa decorrere il termine di tre mesi per proporre la querela è stato reiteratamente oggetto dell'attenzione della S.C.; deve così considerarsi che «[]il termine per proporre querela comincia a decorrere dal momento in cui il titolare del relativo diritto si sia reso conto di tutte le connotazioni oggettive e soggettive necessarie per l'integrazione del reato. Invero, per notizia del fatto che costituisce reato, indicata dal primo comma dell'art. 124c.p., è da intendere la conoscenza certa che del fatto delittuoso si siano verificati i requisiti costitutivi, in modo che l'offeso abbia avuto nozione di tutti gli elementi necessari per proporre fondatamente istanza di punizione» (Cass. pen., Sez IV, 8 aprile 1998, n. 5007, 8/41998, CED 210621). Il diritto di querela è così dilatato nella sua effettiva portata temporale, all'evidente fine di consentire al soggetto titolare del medesimo di esercitare la propria facoltà dopo aver raggiunto una globale ed esauriente informazione.

La questione potrà porsi in concreto in relazione all'art. 612-ter c.p.: nel caso, prima di tutto – del tutto verosimile – nel quale la persona offesa non sia a conoscenza delle effettive generalità dell'autore della condotta. Se quindi nella prospettiva di favorire il sopravvenire di una conciliazione tra le parti l'indicazione della procedibilità a querela deve ritenersi una scelta del tutto condivisibile, è altrettanto indiscutibile che la struttura della fattispecie nella sua varie componenti è logicamente incompatibile con un'individuazione certa, almeno in molti casi, del momento consumativo funzionale al computo del termini di cui all'art.124, comma 1, c.p.

In conclusione
  • Le nuove fattispecie si pongono in rapporto di sussidiarietà rispetto al delitto di cui all'art. 600-ter c.p. in tema di pornografia minorile e possono verosimilmente concorrere con il delitto di atti persecutori di cui all'art. 612-bis c.p.
  • Le formula utilizzate dal legislatore dovranno essere integrate dalla giurisprudenza, in relazione al concetto di contenuto sessualmente esplicito di video e immagini.
  • Il consenso indicato dalla norma rileva quale elemento costitutivo della fattispecie e non quale causa di non punibilità.
  • In relazione alle ipotesi aggravate, l'interprete potrà giovarsi di quanto elaborato dalla S.C. in relazione alle ipotesi aggravate di cui al delitto di atti persecutori ex art 612-bis c.p.
Guida all'approfondimento

S. RECCHIONE, Codice Rosso. Come cambia la tutela delle vittime di violenza domestica e di genere con la legge 69/2019;

R. A. MANCUSO, Revenge porn: la nuova fattispecie di reato, in altalex.it.

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