Fonti contestuali di rumore possono rendere difficoltoso individuare il grado di illiceità delle immissioni che provengono dalla birreria

Adriana Nicoletti
11 Settembre 2019

Il Tribunale emiliano si confronta nuovamente con il classico problema delle immissioni acustiche che superano i livelli di normale tollerabilità, ma determinate in un quadro diverso e più complesso. La fonte del rumore, infatti, non si propaga più da un solo punto, ma rappresenta una componente di più sorgenti di rumori contestuali per orari e localizzazione. In questo àmbito, pertanto, anche il noto criterio comparativo invocato dall'art. 844 c.c. assume una diversa connotazione.
Massima

In materia di immissioni, non appare neppure astrattamente configurabile una responsabilità solidale nell'ipotesi in cui l'intollerabilità, ovvero il superamento della soglia, non derivi da una singola sorgente sonora ma dal complesso di suoni emessi dalle varie attività. Quando soggetti diversi, non legati da rapporti tra loro, immettano nell'ambiente suoni che - singolarmente considerati - non risultano superare la soglia di tollerabilità, la circostanza che - nel complesso - il rumore ambientale che si viene a determinare e che viene percepito dai residenti sia intollerabile non può essere imputato alla singola sorgente sonora che si mantiene al di sotto della soglia di liceità.

Il caso

Alcuni condomini residenti in un medesimo stabile ed altri soggetti residenti in immobili adiacenti convenivano contestualmente in giudizio la società, che gestiva un locale adibito a birreria ed il proprietario/locatore dell'immobile per sentirli condannare, previo accertamento dei fatti loro ascritti, alla cessazione dell'attività che provocava immissioni intollerabili e tali da superare il valore prescritto dalla zonizzazione acustica del comune, nonché al risarcimento del danno alla salute. A fondamento della domanda gli attori lamentavano: assembramenti in prossimità dell'ingresso al condominio, che si protraevano sino a tarda notte; consumo incontrollato di alcoolici sulla strada pubblica nonché la situazione insostenibile a causa della musica proveniente da detto locale.

Si costituivano i convenuti, eccependo il difetto di legittimazione attiva di alcuni degli attori (i quali non risiedevano nel condominio di cui faceva parte il locale); l'assenza di violazioni al regolamento condominiale (in quanto l'immobile non aveva accesso al condominio); l'insussistenza delle immissioni acustiche, poiché nella zona vi era una concentrazione di locali e la mancata prova del danno alla salute asseritamente subito.

Esperiti accertamenti da parte dell'ARPA nonché CTU fonometrica, il Tribunale rigettava le domande formulate degli attori.

La questione

Nella lunga motivazione della decisione, si possono individuare due questioni: 1) la valenza di un regolamento condominiale in relazione ai divieti ivi sanciti ed aventi per oggetto divieti e limiti di destinazione e di esercizio di attività all'interno di proprietà esclusive site in immobile condominiale; 2)la problematica delle immissioni acustiche derivanti dal fondo del vicino disciplinate dall'art. 844 c.c. e l'incidenza di altre fonti di rumore rispetto a quella che sia oggetto di causa, ponendo particolare attenzione - in presenza di ulteriori sorgenti di rumore - alla sussistenza del nesso causale tra i vari fenomeni.

Le soluzioni giuridiche

Per quanto concerne il primo profilo (violazione del regolamento di condomino), confrontando l'atto regolamentare con la fattispecie oggetto di causa era emerso che il vincolo di destinazione a determinate e specifiche attività alle quali si andava ad aggiungere, più generalmente, qualsivoglia uso che potesse creare turbativa alla tranquillità dei condomini o che fosse contrario all'igiene dell'edificio, era limitato ai locali dell'edificio che avevano accesso dall'androne comune. Questo, quindi, escludeva che detto vincolo si potesse estendere anche alla birreria, il cui ingresso si affacciava direttamente sulla via pubblica, essendo irrilevante che un'entrata secondaria al magazzino della stessa, da considerarsi accesso di servizio e non utilizzabile dagli avventori, si trovasse nell'androne comune. In tale limitazione il giudice aveva individuato la finalità della clausola: vietare le attività connotate da un eccessivo afflusso di estranei all'interno del condominio.

Più articolato il discorso relativo alla domanda di cessazione dell'attività in quanto esercitata in violazione delle disposizioni che disciplinano le immissioni acustiche che superino la normale tollerabilità, da valutarsi con riferimento allo stato dei luoghi. Secondo la prevalente giurisprudenza la questione si deve esaminare seguendo il c.d. “criterio comparativo”, fissando come punto di riferimento il rumore di fondo dell'ambiente circostante. Incrociando i dati tecnici emersi dalle perizie esperite per conto del Tribunale era emerso che il locale oggetto di controversia era situato in una piazzetta dove si trovavano altri locali che svolgevano, negli stessi orari, uguali attività commerciali all'esterno (bar, ristoranti, birrerie); che i livelli di massima concentrazione di immissioni acustiche si registravano quando tutti i locali (soprattutto nei week-end) erano contestualmente operativi e che era impossibile, pur a fronte della reale problematica acustica lamentata, attribuire una responsabilità esclusiva del superamento del limite consentito alla sola convenuta. In particolare era emerso che nel giorno di chiusura del locale al centro della controversia le immissioni non erano diminuite, confermando che l'immissione non poteva essere ricondotta, etiologicamente, alla sola birreria solo perché era collocata in un contesto interessato da ampia vita notturna.

Il problema posto dagli attori andava, dunque, inquadrato - ad avviso del Tribunale - in quel fenomeno urbano e sociale definito “movida” notturna, caratterizzato da un'alta concentrazione di locali e pubblici esercizi in una stessa strada che diviene luogo di ritrovo di persone che sostano all'interno ed in prossimità dei ritrovi medesimi.

Osservazioni

Solo un regolamento di natura contrattuale, o assunto in sede assembleare ma con unanimità di consensi, può contenere clausole che limitano le proprietà esclusiva sancendo, in particolare, divieti per l'esercizio di determinate attività. Per questo specifico aspetto, il contenuto del regolamento tende, non solo, a disciplinare l'uso dei beni (siano essi comuni che individuali), ma anche a tutelare la tranquillità dei residenti e di coloro che occupano a qualsivoglia titolo lo stabile. Tale obiettivo può essere realizzato anche con la predisposizione di norme regolamentari più rigide e limitative rispetto a quelle di carattere generale, tanto è vero che la Corte di Cassazione ha osservato al riguardo che, se il regolamento condominiale stabilisce un particolare divieto di attività rumorose o altrimenti moleste, alla disciplina della legge si sostituisce e prevale la particolare disciplina contrattuale, potendo l'autonomia privata porre limiti e divieti più rigorosi rispetto al criterio generale della normale tollerabilità delle immissioni (Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 2013, n. 1748; Cass. civ., sez. II,4 aprile 2001, n. 4963).

Tra i vari motivi posti a fondamento della domanda attrice, vi era quello concernente la violazione di una norma del regolamento del condominio che vietava destinazioni delle proprietà esclusive, in parte, indicate specificamente e tra le quali non era richiamato l'uso del locale come birreria e, per altro verso, determinate con formula generica, secondo il canonico rinvio a qualsiasi uso che possa turbare la serenità dei condomini od essere contrario all'igiene dell'edificio. La giurisprudenza, in questo àmbito, ha chiarito che i divieti ed i limiti, da intendersi come vincoli, devono risultare da una volontà chiaramente ed espressamente manifestata o da una volontà desumibile in modo non equivoco dal regolamento condominiale, così come possono essere formulati sia mediante la elencazione delle attività vietate, sia mediante riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare, ed in quest'ultimo caso occorre accertare in concreto se la destinazione contestata sia atta a produrre detti pregiudizi (Cass. civ., sez. II, 11 settembre 2014, n. 19229). Tutto ciò, pertanto, esclude che in questo campo vi possano essere interpretazioni di carattere estensivo delle clausole impositive di limiti e divieti (Cass. civ., sez. II, 20 ottobre 2016, n. 21307).

Nel caso di specie va, peraltro, considerato che nessuna violazione al regolamento poteva essere riconosciuta dal momento che la clausola limitativa riguardava solo gli appartamenti mentre l'oggetto della controversia era un locale ab origine con destinazione non abitativa.

Il Tribunale, nel trattare in modo molto approfondito il tema delle immissioni acustiche, ha posto l'accento su di un aspetto che sempre di più interessa le nostre città nelle quali alcuni quartieri o strade rappresentano un punto di aggregazione nelle ore serali e notturne. Sono proprio questi spazi, nei quali si svolge la vita rigorosamente all'aperto, che sono al centro di controversie tra i residenti ed i gestori dei locali. Il concetto espresso dall'art. 844 c.c. di contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà ha trovato, come emerge dalla decisione in esame, una nuova connotazione proprio in considerazione di questo nuovo modo di vivere la città.

Nel caso specifico, possiamo dire che, al fine di valutare se vi sia un superamento della normale tollerabilità, non vale tanto il rumore di fondo quanto l'incidenza complessiva ed unitaria delle sorgenti sonore che si concentrano in uno stesso luogo. Come emerge dalla sentenza in esame, infatti, la vera difficoltà per individuare se il gestore di un locale destinato a birreria, pizzeria con tavoli all'aperto, bar e quant'altro sia effettivamente responsabile di immissioni oltre la norma, consiste nel distinguere tra il rumore prodotto dai frequentatori del locale oggetto di controversia e quello prodotto dagli avventori degli altri locali limitrofi. Questo da un punto di vista meramente tecnico che dovrà essere oggetto di relativo accertamento.

Tale problematicità ha - come ritenuto dal Tribunale - una ricaduta anche sulla eventuale responsabilità solidale dei due soggetti chiamati in causa, definita dal giudicante “impropria” a causa della peculiarità della fattispecie che deve essere inquadrata - come osservato - nell'àmbito di un fenomeno urbano e sociale di “movida” notturna.

Prendendo, invece, in considerazione il caso in cui non vi sia un'alta concentrazione di immissioni poiché queste provengono da un solo locale, il problema della responsabilità solidale tra proprietario/locatore e gestore del locale/conduttore è di diversa natura. Sulla questione, infatti, è intervenuta la Corte Suprema la quale ha affermato che, ai fini del risarcimento per danni di natura personale (nella specie:danno alla salute) la responsabilità del proprietario è configurabile, ai sensi dell'art. 2043 c.c. solo quando risulti provato che questi abbia concorso alla realizzazione del fatto dannoso in una con il conduttore titolare dell'attività, non essendo sufficiente a tale fine di avere omesso di rivolgere al conduttore una formale diffida per porre fine al suo comportamento illecito (Cass. civ., sez. III, 28 maggio 2015, n. 11125; Cass. civ., sez. II, 4 luglio 2017, n. 16407). Mentre il conduttore risponde sempre, ai fini risarcitori, ai sensi dell'art. 2051 c.c. in quanto egli è detentore qualificato dell'immobile e su di lui ricade l'onere di custodia dello stesso.

Guida all'approfondimento

Celeste, Le violazioni regolamentari che vietano le attività rumorose, in Immobili & diritto, 2011, fasc. 5, 14

Cirla, La tutela del singolo condomino di fronte alle immissioni di rumore, in Immobili & proprietà, 2005, 251

Monegat, Divieti del regolamento: la diversa destinazione d'uso di singole unità immobiliari prescinde dalle autorizzazioni amministrative, in Immobili & proprietà, 2017, 186

Palagano, La legittimazione passiva del proprietario e del conduttore nella richiesta di risarcimento per danni da immissioni rumorose, in Foro nap., 2016, 850

Salciarini, Immissioni e “normale tollerabilità condominiale”, in Arch. loc. e cond., 2001, 399

Spagnuolo, Il limite delle immissioni sonore previsto dal regolamento di condominio,in Immobili & diritto, 2006, fasc. 9, 27

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