Divieto per l'avvocato di assumere l'incarico contro l'ex cliente

17 Settembre 2019

La questione giuridica di rilievo nella pronuncia in esame si incentra sulla configurabilità o meno nella condotta tenuta dall'avvocato della violazione del precetto di cui all'art. 51 cod. deont. for. (ora art. 68 cod. deont. for.).
Massima

Il divieto di assumere l'incarico nei confronti dell'ex cliente prescinde dalla natura giudiziale o stragiudiziale dell'attività prestata ed è soggetto al limite temporale di due anni dalla cessazione del rapporto professionale, restando altresì irrilevante il motivo per il quale sia avvenuta la dismissione del mandato. Da tale vincolo deontologico l'avvocato può essere sciolto solo dall'autorizzazione espressa dell'ex cliente.

Il caso

A seguito dell'esposto presentato da una ex cliente contro un avvocato al COA di Ancona, il predetto COA disponeva l'apertura del procedimento disciplinare a carico dell'avvocato, all'esito del quale infliggeva al medesimo legale la sanzione della censura per aver lo stesso violato il divieto di assumere incarichi contro l'ex cliente prima del decorso del termine di legge (art. 51 cod. deont. for. ora art. 68 cod. deont. for.).

In particolare l'ex cliente dell'avvocato esponeva che in precedenza aveva conferito mandato al predetto legale al fine di assisterla in un procedimento di divisione giudiziale; esponeva altresì di avergli conferito un successivo incarico di natura stragiudiziale al fine di pervenire ad una separazione consensuale dal marito nonché di averglielo successivamente revocato; infine, l'ex cliente lamentava di aver riscontrato che nel giudizio per la separazione personale da ella promosso, il proprio marito si era costituito con l‘avvocato cui ella aveva in precedenza conferito e poi revocato il mandato.

Il COA di Ancona, quindi, a conclusione del procedimento disciplinare, infliggeva all'avvocato la sanzione della censura per avere assunto la difesa del marito nel giudizio per la separazione personale dalla moglie, che l'avvocato in questione aveva in precedenza assistito nella medesima controversia (seppure per la fase stragiudiziale) nonché anche in un procedimento di divisione giudiziale, in tal modo violando il divieto di assumere incarichi contro l'ex cliente prima del decorso del termine di legge.

Avverso tale decisione l'avvocato proponeva rituale e tempestivo ricorso chiedendo l'annullamento della sanzione inflitta. A sostegno del proprio ricorso, in particolare, l'avvocato ricorrente deduceva che (i) la sua ex cliente aveva sostanzialmente abdicato alla tutela di cui all'art. 51 cod. deont. for., acconsentendo che egli assumesse la difesa del marito nel giudizio di separazione, così venendo meno il rilievo disciplinare astrattamente insito in tale condotta e che (ii) la mancata ammissione da parte del COA della prova testimoniale da egli articolata gli aveva impedito di potersi difendere compiutamente.

La questione

La questione giuridica di rilievo nella pronuncia in esame si incentra sulla configurabilità o meno nella condotta tenuta dall'avvocato della violazione del precetto di cui all'art. 51 cod. deont. for. (ora art. 68 cod. deont. for.). La pronuncia in commento si sofferma altresì a valutare se la violazione dell'art. 51 cod. deont. for. (ora art. 68 cod. deont. for.) sia esclusa dal fatto che l'attività di assistenza in precedenza prestata dall'avvocato (generativa del conflitto) fosse stata di natura stragiudiziale nonché dal fatto che la parte precedentemente assistita con la sottoscrizione di un atto di conferimento di incarico congiuntamente al marito avesse espressamente consentito all'avvocato di assumere successivamente l'incarico contro di lei e a favore del di lei marito.

Le soluzioni giuridiche

Il CNF con la sentenza in commento ha ritenuto infondati i motivi di ricorso proposti dall'avvocato ricorrente ed ha quindi respinto il ricorso confermando il comportamento deontologicamente scorretto.

Il CNF rileva, così come anche correttamente osservato dal COA, come i fatti sulla base dei quali era stata formulata l'incolpazione non fossero controversi.

Ritiene il CNF quindi che la condotta considerata rientra scolasticamente nella fattispecie prevista dall'art. 51 cod. deont. for. previgente (“assunzione di incarichi contro ex clienti”) - ora disciplinata (in diversa articolazione grafica, ma in sostanziale identità di contenuti) dall'art. 68 del nuovo cod. deont. for. entrato in vigore il 16 dicembre 2014 (“assunzione di incarichi contro una parte già assistita”) - la quale, in buona sostanza, consente all'avvocato di assumere un incarico contro una parte già assistita nel rispetto di due concorrenti condizioni e, cioè che (i) sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale e che (ii) l'oggetto del nuovo incarico sia “estraneo” a quello espletato in precedenza (diversamente, infatti, il divieto di assumere incarichi contro una parte già assistita si configura come assoluto e perdurante, quindi, nonostante il trascorrere del biennio), restando fermo “in ogni caso” (anche, cioè, quando sia trascorso il biennio e il nuovo incarico sia diverso per oggetto da quello precedente) il divieto per l'avvocato di utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto già esaurito.

A detta del CNF pertanto il COA aveva correttamente rilevato che nella fattispecie, stante il fatto che il successivo mandato conferito all'avvocato dal marito dell'esponente aveva il medesimo oggetto di quello per il quale era stato conferito incarico dalla stessa esponente, il problema del rispetto del biennio non si poneva vertendosi nell'ipotesi di “non estraneità” dell'oggetto del nuovo incarico rispetto a quello afferente il rapporto esaurito che la norma configura come illecito disciplinare in termini assoluti, a prescindere ed oltre, cioè, il rispetto dell'intervallo temporale biennale.

Puntualizza infine il CNF (solo per completezza, non avendo le questioni formato oggetto di specifico motivo di ricorso) che il divieto di assumere l'incarico nei confronti dell'ex cliente, prescinde dalla natura (giudiziale o stragiudiziale) dell'attività prestata a favore di quest'ultimo (a tal fine richiamando alcune pronunce del CNF) nonché dal motivo per il quale sia intervenuta la dismissione del mandato (indipendentemente dal fatto che questa sia dovuta a revoca o rinuncia) e che, nella fattispecie, la violazione del precetto deontologico da parte dell'avvocato ricorrente non risultava scriminata da alcuna autorizzazione della precedente parte assistita ad assistere esclusivamente il proprio coniuge nel successivo giudizio volto ad ottenere la separazione personale. Rileva infatti il CNF che l'atto autorizzativo richiamato in tal senso dall'avvocato ricorrente altro non era che un mero atto di conferimento di incarico da parte di entrambi i coniugi che non configurava un'espressa autorizzazione della parte già assistita idonea a liberare l'avvocato dall'obbligo deontologico imposto dalla norma.

Osservazioni

La soluzione offerta dalla pronuncia in commento appare condivisibile in quanto rispettosa del precetto deontologico.

L'art. 68 cod. deont. for. sancisce infatti che l'avvocato può assumere un incarico professionale contro un ex cliente solo quando il rapporto professionale sia cessato da almeno due anni. Non solo: l'incarico può essere assunto esclusivamente se sia estraneo rispetto a quello espletato in precedenza e, in ogni caso, con il divieto di utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto esaurito. Il vecchio art. 51 cod. deont. for. nella sua formulazione ante riforma faceva riferimento invece al criterio della ragionevolezza al fine di valutare il lasso temporale trascorso tra la cessazione del rapporto professionale a favore del cliente e l'assunzione di un nuovo incarico contro l'ex cliente. La nuova formulazione del precetto (ora quindi art. 68 cod. deont. for.) ha eliminato l'incertezza relativa al concetto di ragionevole periodo di tempo e intensità del rapporto clientelare ammettendo quindi l'azione contro un ex cliente quando sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto e quando l'oggetto dell'incarico sia estraneo al precedente.

Ad ogni modo nella nuova formulazione l'art. 68 cod. deont. for. ricalca la medesima ratio del precedente art. 51, che si radica nella tutela dell'immagine della professione forense, ritenendosi non decoroso né opportuno che un avvocato passi rapidamente (senza che sia trascorso un adeguato lasso temporale) dal rappresentare e difendere gli interessi di una parte all'agire o a resistere contro la stessa parte precedentemente assistita. Le ragioni per le quali si ritiene sconsigliabile l'assunzione di incarichi contro la parte in precedenza assistita sono quindi evidenti: un rapporto di fiducia può ovviamente cessare ma non può immediatamente ribaltarsi fino al punto di consentire la lite contro questa parte, con possibilità di utilizzare notizie riservate e di generare situazioni di conflitto. Si ritiene quindi che l'assunzione di incarichi contro l'ex cliente sia da evitare perché il rapporto di fiducia esistito mal si concilia con l'iniziativa giudiziaria. È come se il dovere di fedeltà esprima una sorta di ultrattività dopo la cessazione del mandato, così come il dovere di segretezza e riservatezza.

Tenuto conto dei suddetti rilievi, la regola codificata ammette quindi la possibilità di assumere un incarico professionale contro un ex cliente quando ricorrano le seguenti e concorrenti (nel senso che è sufficiente l'esistenza di una di esse per escludere la possibilità di assumere un incarico contro un ex assistito) condizioni: (i) sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale (comma 1 art. 68 cod. deont. for.); (ii) l'oggetto dell'incarico sia del tutto estraneo a quello svolto in precedenza (comma 2 art. 68 cod. deont. for.; la norma in tal caso configura l'illecito disciplinare in termini assoluti, a prescindere ed oltre, cioè, il rispetto dell'intervallo temporale biennale); la norma prevede che (iii) in ogni caso (anche, cioè, quando sia trascorso il biennio e il nuovo incarico sia diverso dal precedente) l'avvocato non possa utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto professionale già esaurito (comma 3 art. 68 cod. deont. for.).

Dopo aver sancito tali principi generali, l'art. 68 cod. deont. for. prende in esame anche casi specifici chiarendo, in primo luogo, che l'avvocato che ha assistito in controversie di natura familiare i coniugi o i conviventi congiuntamente non può mai assistere uno solo di essiin controversie che si siano successivamente instaurate tre gli stessi. Inoltre l'avvocato che ha assistito un minore in controversie familiari non può mai assistere uno dei genitori in successive controversie della medesima natura e viceversa.

Ciò chiarito dal punto di vista normativo, nella fattispecie, il CNF ritiene irrilevante l'indagine in ordine al decorso del periodo temporale stabilito dalla normativa su richiamata in ragione dell'operatività della condizione della “non estraneità” esplicitata nel comma 2 dell'art. 68 cod. deont. for. Come anticipato, in tale ipotesi, l'illecito deontologico è configurato in termini assoluti.

In effetti, nella fattispecie, l'incarico conferito all'avvocato ricorrente dal marito dell'esponente aveva riguardato una vicenda (la separazione personale dei coniugi) avente identico oggetto rispetto a quello per il quale egli era intervenuto, fino a pochi giorni prima, nell'interesse della dell'esponente stessa. Neppure assumeva rilievo la circostanza per la quale il precedente incarico avesse avuto natura meramente stragiudiziale (fosse cioè finalizzato alla ricerca di un accordo tra i coniugi).

A tal proposito, in effetti, la pronuncia in esame coglie l'occasione per ribadire alcuni orientamenti consolidati a mente dei quali:

(i) il divieto di assumere l'incarico nei confronti dell'ex cliente, prescinde dalla natura (giudiziale o stragiudiziale) dell'attività prestata a favore di quest'ultimo, avendo più volte il CNF avuto modo di ribadire che la norma di cui all'art. 51 cod. deont. for. previgente (come quella di cui all'art. 68 nuovo cod. deont. for.) «non richiede che si sia espletata attività defensionale o anche di rappresentanza, ma si limita a circoscrivere l'attività nella più ampia definizione di assistenza» (CNF, 16 aprile 2014, n. 43 o 63), cosicché è sufficiente a integrare il divieto anche il fatto che la pregressa attività abbia avuto consistenza di mera attività stragiudiziale e non anche giudiziale (in senso adesivo, sul punto, ex plurimis: CNF, 14 aprile 2016, n. 78);

(ii) è irrilevante il motivo per il quale la dismissione del mandato sia avvenuta, sicché il divieto previsto dall' art. 51 cod. deont. for. previgente (e, ora, dall'art. 68 nuovo cod. deont. for.) resta integrato «indipendentemente dal fatto che questa sia dovuta a revoca o rinuncia» (CNF, 28 dicembre 2015 n. 226; CNF 13 marzo 2013, n. 35 e CNF, 18 giugno 2010, n. 37).

Un ulteriore importante principio che il CNF con la pronuncia in esame intende ribadire (poiché sollecitato dal primo motivo dall'avvocato ricorrente) è quello per cui il precetto deontologico di cui all'art. 51 cod. deont. for. non può ritenersi violato se l'assunzione dell'incarico sia avvenuta con il consenso espresso della parte già assistita, in quanto idoneo a liberare l'avvocato dall'obbligo deontologico imposto dalla norma (CFN, 22 ottobre 2010, 120). Infatti l'avvocato ricorrente nel suo primo motivo di ricorso aveva dedotto che l'esponente che egli aveva precedentemente assistito lo avesse espressamente autorizzato ad assumere la difesa del di lei marito nel successivo giudizio per la separazione personale. Ebbene correttamente il CNF evidenzia che il documento cui il ricorrente fa riferimento altro non è se non il conferimento di incarico che l'esponente ebbe a rilasciare in favore dell'avvocato ricorrente ad esperire l'azione di separazione personale dei coniugi unitamente al marito.

È del tutto evidente che il documento con cui viene conferito un incarico professionale non può essere interpretato nel senso (tutt'affatto diverso) voluto dall'avvocato ricorrente di “autorizzazione…a non tenere conto del divieto” di cui all'art. 51 cod. deont. for., ossia di consenso anche ad intraprendere (fallito che fosse il tentativo di pervenire ad una separazione consensuale) un giudizio di separazione nell'interesse esclusivo del marito contro di essa ovvero a costituirsi (come è in concreto avvenuto) nell'interesse del marito nel giudizio di separazione che essa avesse proposto (con l'assistenza del nuovo legale da lei incaricato).

Guida all'approfondimento
  • Remo Danovi, Il nuovo codice deontologico forense, Commentario, Milano, 2014, pag. 411 e ss.

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