Il risarcimento punitivo: verso la privatizzazione del diritto penale?

24 Settembre 2019

Secondo l'insegnamento tradizionale risarcimento del danno e sanzione penale perseguono finalità differenti. Il risarcimento svolge una funzione riparatoria e compensativa, suo scopo è quello di riportare il danneggiato nello status quo ante la commissione dell'illecito, prima che alcun danno gli fosse cagionato. La sanzione penale ha, invece, funzione punitivo-repressiva e per mezzo di essa il Legislatore persegue scopi di prevenzione generale e speciale. La distinzione appena richiamata ha, negli ultimi anni, assunto confini alquanto incerti.
Abstract

Secondo l'insegnamento tradizionale risarcimento del danno e sanzione penale perseguono finalità differenti.

Il risarcimento svolge una funzione riparatoria e compensativa, suo scopo è quello di riportare il danneggiato nello status quo ante la commissione dell'illecito, prima che alcun danno gli fosse cagionato.

La sanzione penale ha, invece, funzione punitivo-repressiva e per mezzo di essa il Legislatore persegue scopi di prevenzione generale e speciale.

La distinzione appena richiamata ha, negli ultimi anni, assunto confini alquanto incerti.

Si è assistito, infatti, a un duplice fenomeno: da un lato il risarcimento del danno ha assunto un carattere punitivo e dall'altro il diritto penale si è appropriato di istituti di matrice civilistica.

Più avanti si cercherà, quindi, di analizzare alcuni esempi di tale contaminazione tra diritto civile e diritto penale.

Le pene private

a) Sono esempi di pene private legali le pene legali da inadempimento, previste nella disciplina generale delle obbligazioni, allorquando si occupa degli interessi moratori legali ex art. 1282 c.c. Tali interessi sono dovuti automaticamente nel caso in cui il debitore sia in mora, essi, quindi, devono essere corrisposti a prescindere dalla prova del danno subito dal creditore a causa del ritardo nell'adempimento e, conseguentemente, non possono avere una funzione meramente compensativa, bensì hanno una funzione prevalentemente punitiva.

Altri esempi di pene legali da inadempimento possono rinvenirsi nella disciplina riservata ad alcune fattispecie contrattuali, come nel caso della subfornitura, dove all'art. 3, comma 3, della L. 192/1998, è previsto che, qualora il committente non rispetti il termine di pagamento contrattualmente stabilito, deve al subfornitore un interesse di mora pari al tasso che la Banca centrale europea applica nelle sue principali operazioni di rifinanziamento maggiorato di ben otto punti percentuali. Tale tasso è talmente elevato da essere superiore al danno subito dal subfornitore e da avere, pertanto, una funzione ultra-compensativa; esso ha, infatti, una funzione sanzionatoria volta a punire il committente moroso e a scoraggiarlo dal cd. inadempimento efficiente, si vuole cioè evitare che il committente, utilizzando diversamente il denaro che dovrebbe consegnare al subfornitore, tragga da questo un'utilità maggiore del tasso di interesse legale.

b) Ulteriore esempio di pene private legali sono le pene giudiziali.

Esempi di pene giudiziali sono rinvenibili nell'art. 96, comma 3, c.p.c., secondo il quale il giudice può condannare la parte soccombente, oltre che alle spese, al pagamento di un'ulteriore somma in favore della controparte, e nell'art. 614-bis c.p.c., volto a punire e scoraggiare l'inadempimento di una condanna di facere infungibile.

c) Nel novero delle pene private legali viene ricompresa anche la sanzione pecuniaria civile prevista in caso di diffamazione a mezzo stampa dall'art. 12 della l. 47/1948, secondo il quale la persona offesa dal reato può chiedere, oltre al risarcimento del danno, una somma a titolo di riparazione.

d) Infine, e senza pretesa di esaustività, devono essere citate le sanzioni pecuniarie civili previste dal d.lgs.n. 7/2016 - su cui si tornerà più avanti - per mezzo del quale sono state depenalizzate alcune ipotesi di reati minori.

In tali casi il Legislatore ha ritenuto di sostituire la sanzione penale con una sanzione pecuniaria che viene applicata dal giudice civile in aggiunta al risarcimento del danno ed è versata all'entrata del bilancio dello Stato secondo quanto previsto all'art. 10 del decreto medesimo.

L'esistenza nel nostro ordinamento di pene private confuta la tesi tradizionale, sostenuta dalla giurisprudenza meno recente, secondo cui il risarcimento del danno svolgerebbe una funzione esclusivamente compensativa.

A tal proposito vale la pena citare la sentenza n. 1183/2007 della III Sezione civile della Corte di Cassazione secondo cui «nel vigente ordinamento l'idea della punizione e della sanzione è estranea al risarcimento del danno, così come è indifferente la condotta del danneggiante. Alla responsabilità civile è assegnato il compito precipuo di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, mediante il pagamento di una somma di denaro che tenda ad eliminare le conseguenze del danno arrecato».

Il summenzionato orientamento, che ha trovato conforto anche in sentenze di pochi anni or sono (si veda la sentenza delle S.U. civili n. 15350/2015), è stato recentemente contraddetto dalla sentenza delle S.U. civili n. 16601/2017, la quale ha ammesso, al ricorrere di determinate condizioni, la delibabilità della sentenza straniera che riconosce i cd. danni punitivi, partendo dalla premessa secondo cui «nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile».

Contaminazioni civilistiche nel diritto penale

Preso atto della natura polifunzionale della responsabilità civile, può osservarsi come il Legislatore, in ossequio al principio di sussidiarietà del diritto penale, costituente extrema ratio di tutela della società,abbia affidato al risarcimento del danno anche una funzione punitiva in un'ottica deflativa e al fine di ridurre l'operatività del carcere (la cd. fuga dalla pena detentiva. v. F.BRICOLA).

Peraltro, occorre altresì osservare come l'inserimento nel sistema di diritto penale di sanzioni pecuniarie - che addirittura possono sostituirsi alla pena - passi attraverso una visione vittimo-centrica, che sempre più si fa spazio nel nostro ordinamento anche in conseguenza della legislazione europea e della giurisprudenza della Corte EDU.

In proposito attenta dottrina non ha mancato di rilevare come «la riscoperta della vittima e l'istanza risarcitoria esprimono […] un paradigma che si impernia sulla privatizzazione del conflitto penalistico, che si situa nel percorso di modernizzazione del diritto penale, che tende a ridurre, così, la sua carica “etica”» (PIERGALLINI).

Sul punto deve premettersi che l'idea di affiancare o addirittura sostituire alla pena la misura del risarcimento del danno risale alla Scuola positiva e trova riscontro nel Progetto Ferri per un nuovo codice penale del 1921 (si fa riferimento al Progetto preliminare di codice penale italiano per i delitti (Libro I), in Scuola positiva, 1921, I, 131), secondo il quale il risarcimento del danno da reato costituisce sia una pena da cumulare a un'altra di diversa natura, sia una pena esaustiva della pretesa punitiva (MARTIELLO).

Il citato Progetto prevedeva che ogni sentenza di condanna imponesse il risarcimento del danno derivante da reato, il quale assumeva una spiccata finalità punitiva al punto che, qualora non fosse stato possibile quantificare il danno medesimo sulla base degli atti processuali, il giudice avrebbe dovuto commisurarne l'importo non solo sulla base della gravità del danno, ma anche in base alla gravità e modalità del delitto e alle condizioni economiche dell'imputato e della sua famiglia. Il carattere punitivo di tale risarcimento del danno era reso ancor più palese dal fatto che il giudice potesse modificarne l'importo a seconda delle mutate condizioni economiche e capacità lavorative del reo.

Non solo, la connotazione pubblicistica del risarcimento del danno era, inoltre, resa evidente dal fatto che il pubblico ministero, oltre a richiedere la condanna dell'imputato, doveva richiedere il risarcimento del danno cagionato dal delitto e doveva, altresì, occuparsi dell'esecuzione della sentenza anche nella parte relativa alle statuizioni civili. Il pubblico ministero aveva per di più il compito di provvedere all'immeditata ipoteca legale sui beni immobili di proprietà dell'imputato e l'immediato sequestro dei beni mobili, stipendio e salario per una parte proporzionata all'entità del danno.

Come sopra accennato, era, altresì, prevista la possibilità che la sanzione riparatoria si sostituisse integralmente alla pena. Infatti, qualora l'imputato avesse commesso un solo delitto e in caso di circostanze eccezionali di minore pericolosità o nel caso in cui il delitto fosse molto lieve e sottoposto a una pena inferiore alla segregazione, il giudice avrebbe potuto concedere il perdono giudiziale, tuttavia avrebbe potuto subordinare il perdono al pagamento del risarcimento del danno che, conseguentemente, esauriva e ricomprendeva la risposta punitiva dell'ordinamento al delitto commesso.

Ebbene, esaurite le suesposte premesse, si venga ora ad analizzare alcuni degli “istituti ibridi” che testimoniano il processo di contaminazione tra sistema di diritto civile e sistema di diritto penale.

(Segue). Risarcimento del danno come misura ulteriormente afflittiva

L'analisi può prendere forma a partire da quelle ipotesi in cui il risarcimento del danno viene utilizzato dal Legislatore come misura ulteriormente afflittiva, che si aggiunge alla sanzione penale.

a) Ne è esempio la riparazione pecuniaria di cui all'art. 322-quater c.p., introdotto dalla L. 69/2015 e recentemente modificato dalla L. 3/2019, secondo il quale con la sentenza di condanna per alcuni dei delitti contro la Pubblica Amministrazione, ricompresi nel Capo I, è sempre ordinato il pagamento di una somma equivalente al prezzo o al profitto del reato a titolo di riparazione pecuniaria, in favore dell'amministrazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno.

Tralasciando le problematiche derivanti da una possibile sovrapposizione della misura in parola con quella prevista dall'art. 322-ter c.p. (v. MONGILLO, secondo cui “[…] un'irrogazione cumulativa comporterebbe una patente violazione del ne bis in idem sanzionatorio e del principio di proporzione (art. 3 Cost.), scongiurabile solo attraverso un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente (CEDU) orientata”), che prevede la confisca anche per equivalente del profitto e del prodotto del reato, deve rilevarsi come, nonostante l'etichetta attribuita, il Legislatore abbia di fatto introdotto una misura dal carattere marcatamente punitivo. Infatti, pur essendo l'articolo 322-quater c.p. rubricato “riparazione pecuniaria”, esso non prevede una condotta riparatoria vera e propria, poiché non introduce un comportamento spontaneo del reo volto a eliminare o a lenire le conseguenze dannose del reato.

Non solo, la riparazione pecuniaria viene disposta dal giudice con la sentenza di condanna a prescindere dalla richiesta della parte civile e in aggiunta al risarcimento del danno eventualmente disposto con la medesima sentenza.

Conseguentemente vi è chi ha prontamente osservato come la scelta di ricorrere a un istituto di natura civilistica sia stata dettata dall'esigenza di poter ricorrere a uno strumento più duttile “in quanto libero dai vincoli garantistici a cui le sanzioni sostanzialmente afflittivo-punitive non possono sottrarsi”.

b) Ulteriore esempio è rintracciabile nell'art. 187-undecies del d.lgs. 58/98 (T.U. dell'intermediazione finanziaria), ove si prevede che la Consob, qualora siano stati commessi i reati di abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato, possa costituirsi parte civile e richiedere, a titolo di riparazione dei danni cagionati dal reato all'integrità del mercato, una somma determinata dal giudice, anche in via equitativa, tenendo comunque conto dell'offensività del fatto, delle qualità personali del colpevole e dell'entità del prodotto o del profitto conseguito dal reato.

Il fatto che ai fini della quantificazione della riparazione in parola il giudice debba tenere conto anche della personalità del reo fa dubitare della natura esclusivamente risarcitoria dell'istituto, posto che, com'è noto, tratto distintivo della sanzione penale è proprio quello di essere commisurata alla personalità del colpevole.

Sul punto la Corte di Cassazione non ha mancato di rilevare «l'inconsueta sfasatura logica” tra il soggetto titolare del diritto leso (il mercato) e il soggetto legittimato a ottenere l'indennizzo (la Consob), osservando come “non è infondata la doglianza che vede nell'uso della statuizione riparatoria una vera leva della repressione penale, in sostituzione di quella, più coerente al sistema, dettata dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 185, comma 2)» (Cass. pen., sez. V., n. 8588/2010).

Tant'è vero che, successivamente, le S.U. civili nella summenzionata sentenza n. 16601/2017 hanno ritenuto che l'art. 187 undecies d.lgs. 58/98 sia esempio della natura polifunzionale dell'istituto risarcitorio.

(Segue). Risarcimento del danno come sanzione sostitutiva della pena

Proseguendo nell'analisi di alcuni degli istituti che testimoniano la contaminazione tra diritto civile e diritto penale, balzano all'occhio dell'interprete le ipotesi in cui il Legislatore ritiene il risarcimento del danno sufficiente a soddisfare la pretesa punitiva, tanto che esso si sostituisce alla sanzione penale.

a) Primo esempio è quello contenuto nell'art. 35 del d.lgs. 274/2000, ove si prevede che il giudice di pace, sentite le parti e l'eventuale persona offesa, possa dichiarare l'estinzione del reato, quando l'imputato ha riparato il danno cagionato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato.

L'operatività della summenzionata causa estintiva è, tuttavia, subordinata al fatto che il giudice ritenga che le attività risarcitorie e riparatorie, poste in essere dall'imputato, siano idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione.

L'estinzione del reato è, quindi, subordinata non solo al risarcimento del danno economico subito dalla persona offesa, ma anche all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, facendosi riferimento con tale espressione al cd. “danno criminale”, ossia la lesione al bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, che tende ad assumere autonoma valenza nei reati senza vittima o nei reati ove il danno non è facilmente risarcibile (MARTIELLO).

In ogni caso il ristoro del danno economico e del danno criminale non costituiscono condizioni sufficienti affinché la causa di estinzione possa operare, infatti, è altresì necessario che siano soddisfatte le esigenze di riprovazione del reato e di prevenzione.

Il Legislatore si è, quindi, preoccupato che le attività imposte all'autore del reato assolvano anche finalità special e general-preventive, che tipicamente vengono attribuite alla sanzione penale.

Il fatto che il Legislatore abbia stabilito al II comma dell'art. 35 d.lgs. 274/2000 che l'attività risarcitoria svolta dal reo possa operare quale causa estintiva del reato solo nel caso in cui le esigenze di riprovazione e prevenzione siano soddisfatte, appare scelta coerente. Infatti, correttamente il Legislatore ha ritenuto che il risarcimento del danno possa sostituirsi alla pena solo laddove riesca a perseguirne tutte le finalità e, quindi, sia in grado di andare al di là della mera funzione compensativa, tradizionalmente attribuitagli, per appropriarsi di scopi ulteriori sottesi alla sanzione penale.

b) Proseguendo nell'analisi, occorre soffermarsi sull'art. 162-ter c.p.,recentemente inserito nel testo del codice dalla cd. riforma Orlando (L. n. 103/2017) e rubricato “estinzione del reato per condotte riparatorie”.

Secondo tale disposizione nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l'imputato ha riparato interamente il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato.

È evidente che l'art. 162-ter c.p. presenta molti punti di contatto con l'art. 35 d.lgs. 274/2000, tuttavia una differenza merita di essere sottolineata: la disposizione in esame, nel descrivere le condotte riparatorie necessarie affinché il reato possa estinguersi, non fa menzione delle esigenze di riprovazione del reato e di prevenzione, che, viceversa, il giudice deve ritenere soddisfatte affinché possa operare la causa estintiva di cui all'art. 35.

Tale scelta legislativa appare poco coerente e alquanto irrazionale. Nell'ipotesi di cui all'art. 162-ter c.p. il Legislatore ha, infatti, ritenuto di sostituire la sanzione penale con il risarcimento del danno o le restituzioni, tuttavia viene da demandarsi se si sia dimenticato delle esigenze di prevenzione generale e speciale.

Laddove si ritiene che il risarcimento del danno possa sostituire la pena, non gli si dovrebbero attribuire finalità ulteriori rispetto a quella meramente compensativa? Di conseguenza non sarebbe stato più coerente prevedere che, come accade per l'art. 35 d.lgs. 274/2000, il giudice fosse chiamato a verificare che la somma pagata dal reo a titolo di risarcimento o di restituzioni fosse in grado di soddisfare tali ulteriori esigenze preventive?

Diversamente, se si dovesse concludere nel senso che nell'ipotesi di cui all'art. 162 ter c.p. il risarcimento del danno (avente funzione compensativa) sia sufficiente a punire il reo, non richiedendosi null'altro, non sarebbe allora stato più coerente depenalizzare le fattispecie di reato ricomprese nell'ambito di applicazione dell'art. 162 ter c.p. e introdurre delle sanzioni amministrative?

Non solo, mettendo a confronto la disposizione di cui all'art. 162 ter c.p. con quella prevista all'art. 35 d.lgs. 274/2000, emerge un'altra discrasia.

Infatti, nonostante la prima parte del I comma dell'art. 162-ter c.p. sostanzialmente riproduca il testo del I comma dell'art. 35 d.lgs.274/2000, facendo riferimento, ai fini dell'operatività della causa estintiva, sia il ristoro del danno economico, che quello del “danno criminale”, diversamente la seconda parte del I comma dell'art. 162-ter c.p. sembra attribuire importanza determinante al ristoro del solo danno economico. Si legge, infatti, che «il risarcimento del danno può essere riconosciuto anche in seguito ad offerta reale ai sensi degli articoli 1208 e seguenti del codice civile, formulata dall'imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo».

Ebbene, è indubbio che l'art. 1208 c.c. faccia riferimento esclusivamente al danno economico, conseguentemente, secondo quanto previsto dalla seconda parte del I comma dell'art. 162-ter c.p., il giudice potrebbe dichiarare il reato estinto in presenza dell'offerta reale di una congrua somma tesa a ristorare esclusivamente il danno economico.

Anche tale ultima osservazione fa propendere per la considerazione già proposta: il Legislatore ha ritenuto di sostituire la pena con il risarcimento del danno, al quale, tuttavia, non ha ritenuto di attribuire alcuna funzione ulteriore rispetto a quella meramente compensativa.

Alla luce di tali osservazioni si dubita della coerenza in un'ottica sistematica della scelta legislativa, la quale avrebbe probabilmente dovuto essere quella più coraggiosa di depenalizzare.

c) Ulteriore esempio della commistione tra finalità riparativo-risarcitorie e special-preventive è costituito dall'istituto della sospensione del processo con messa alla prova ex art. 168-bis c.p.

Come si evince dal comma II dell'articolo in esame, la messa alla prova comporta, oltre alla prestazione di lavoro di pubblica utilità, la prestazione di condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. In caso di esito positivo della prova il giudice dichiara l'estinzione del reato ex art. 168-ter c.p.

L'istituto, introdotto con l. n. 67/2014, prende le mosse dall'omologo minorile di cui agli artt. 28 e 29 del d.P.R. 448/1988 e «si inserisce in una strategia complessiva del legislatore, non solo nel segno della riduzione del ricorso al carcere ad "ultima ratio", ma anche dell'attenzione alle condizioni per l'attuazione della risposta punitiva, nonché della qualità della stessa» (Relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni in materia di messa alla prova dell'imputato - Aggiornata al 31 maggio 2018).

Se il giudice, in presenza dei presupposti di legge, ritiene di ammettere il reo al percorso di messa alla prova, sospende il procedimento penale e affida l'autore del reato al servizio sociale per lo svolgimento del programma di trattamento.

Tale programma è elaborato dall'UEPE (ufficio di esecuzione penale esterna) e i suoi contenuti essenziali sono delineati dall'art. 464 bis c.p.p., tra questi si richiamano:

  • le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l'imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni (comma 4 dell'art. 464-bis c.p.p., lettera b), prima parte);
  • le condotte volte a promuovere, ove possibile, la mediazione con la persona offesa (lettera c)).

La possibilità di svolgimento della mediazione è, infatti, prevista tra gli obiettivi dell'indagine e le considerazioni che l'UEPE deve trasmettere al giudice assieme con il programma di trattamento, affinché questi possa decidere sulla richiesta di ammissione, così come previsto dall'art. 141-ter, comma, 3 disp. att. c.p.p.

Tramite l'introduzione della procedura di mediazione nell'ambito della sospensione del procedimento con messa alla prova il Legislatore nazionale ha finalmente dato risposta alle istanze europee - derivanti da una visione vittimo-centrica del procedimento penale - volte all'implementazione nei sistemi nazionali della cd. restorative justice.

Sul punto occorre richiamare la direttiva n. 29 del 2012 del Parlamento e del Consiglio Europeo che ha istituito norme minime in materia di diritti di assistenza e protezione delle vittime del reato.

In particolare al Considerando n. 9 si legge che il reato è anche violazione dei diritti individuali della vittima, non rappresentando solamente la violazione del patto sociale da parte del suo autore. In questo senso la mediazione penale costituisce un servizio di giustizia riparativa (come previsto al Considerando n. 46), che pone in primo piano gli interessi e le esigenze della vittima, la riparazione del danno da essa subito e la necessità di evitare che vengano prodotti ulteriori danni, oltre ad implementare garanzie tese a evitare la cd. vittimizzazione secondaria.

Lo svolgimento dell'attività di mediazione può essere realizzato, così come previsto dal citato art. 141 ter disp. att. c.p.p., tramite l'ausilio di centri o strutture pubbliche o private presenti sul territorio (a tal proposito deve rilevarsi come, nonostante la L. n. 67/2014 sia entrata in vigore il 17 maggio 2014, l'istituzione dei Centri per la mediazione penale sia avvenuta solo di recente. Ad esempio risale al 25 luglio u.s. l'emanazione del regolamento di costituzione del Centro di mediazione penale nella città di Roma).

Nonostante l'istituto della messa alla prova ex art. 168-bis c.p. rappresenti un passo in avanti da parte del Legislatore nazionale verso i sistemi di giustizia riparativa, non è mancato tra i commentatori chi ha rilevato come la messa alla prova non costituisca, in realtà, un metodo alternativo di risoluzione delle controversie che in un'ottica riparativa si sostituisca al procedimento penale, quanto piuttosto “un'alternativa alla pena tradizionalmente offerta istituzionalmente, con il lavoro come componente obbligatoria del programma e con la mediazione come possibile modalità di trattamento imposta ed orientata in prospettiva specialpreventiva” (MATTEVI).

d) Infine, deve certamente farsi menzione del d.lgs. n. 7/2016 che, tramite l'introduzione di sanzioni pecuniarie civili dal carattere ibrido, ha rappresentato una forma inedita di depenalizzazione.

Il Legislatore, perseguendo finalità deflative, ha decriminalizzato una serie di reati di minore gravità, tuttavia non ha rinunciato ad attribuire una sia pur attenuata tutela ai beni giuridici protetti dalle fattispecie abolite.

Tant'è vero che, qualora tali fattispecie siano state commesse con dolo, esse sono punite mediante una sanzione pecuniaria che, come si evince dalla Relazione al disegno di legge S. 110 della XVII Legislatura (che ha rappresentato la base per l'adozione dell'art 2, comma 3, della legge n. 67/2014), si inserisce nel novero delle cd. pene private legali.

Secondo la Corte di Cassazione, Sezioni Unite penali, con il d.lgs. 7/2016 il Legislatore «ha voluto riconsiderare il ruolo tradizionalmente compensativo attribuito alla responsabilità civile, affiancando alle sanzioni punitive di natura amministrativa un ulteriore e innovativo strumento di prevenzione dell'illecito, nella prospettiva del rafforzamento dei principi di proporzionalità, sussidiarietà ed effettività dell'intervento penale» (Cass. pen., SS. UU., n. 46688/2016).

Conseguentemente può affermarsi che le sanzioni pecuniarie in parola hanno funzione e struttura analoga alla sanzione punitiva amministrativa, ma la loro natura è qualificata dal Legislatore come civile; si tratta allora, come ritenuto da autorevole dottrina, di «un tertium genus tra pena e sanzione amministrativa, di non facile decifrazione» (PALAZZO).

Tale carattere ibrido pone non poche problematiche all'interprete.

Innanzitutto il decreto legislativo attribuisce al giudice civile il compito di irrogare la sanzione pecuniaria, che riveste un evidente carattere punitivo. Infatti, il Legislatore, nello stabilire i principi in base ai quali il giudice deve irrogare la sanzione, ha fatto riferimento, seppur adattandoli, ai criteri di cui all'art. 133, comma II, c.p.

Sul punto deve rilevarsi che, come si evince dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, il procedimento che conduce all'applicazione di una sanzione sostanzialmente penale non può essere sottratto alle garanzie convenzionali e costituzionali. Tuttavia le sanzioni pecuniarie de quo, in quanto applicate dal giudice civile, saranno irrogate nell'ambito di un processo ove vige la regola probatoria del più probabile che non anziché quella garantista dell'oltre ogni ragionevole dubbio.

Non solo, l'evidente funzione pubblicistica svolta dalle sanzioni pecuniarie previste dal d.lgs. n. 7/2016 è rinvenibile anche dalla previsione secondo cui la somma costituente la sanzione concretamente applicata non viene versata a favore del danneggiato, bensì all'entrata del bilancio dello Stato, così come previsto dall'art. 10 del decreto medesimo.

Conseguentemente, sulla base della premessa già menzionata, secondo cui, nonostante le sanzioni pecuniarie previste dal d.lgs. n.7/2016 abbiano funzione e struttura analoga alla sanzione punitiva amministrativa (cui il si è generalmente fatto ricorso nell'ambito dei processi di depenalizzazione), la loro natura è qualificata dal Legislatore come civile, viene da demandarsi se si tratti di sanzioni penali, di sanzioni amministrative, di sanzioni civili o di una nuova specie di sanzioni dalla natura mista.

In conclusione

Alla luce della breve disamina sin qui svolta, può affermarsi che la tradizionale distinzione tra diritto penale e diritto civile debba oggi fare i conti con il proliferare di strumenti punitivi di vario genere (ad esempio le pene private) e con la valorizzazione all'interno della politica criminale di modelli riparativi, i quali in un'ottica deflattiva e vittimo-centrica dovrebbero fornire una risposta maggiormente efficace al reato (MAZZACUVA).

Tuttavia la privatizzazione del conflitto penalistico sembra rendere evanescente la dimensione emotiva del consenso social (BERTOLINO) che abitualmente deve sottostare alla pena, lasciando residuato un diritto penale svuotato della sua carica etica.

L'interprete non può sottacere come gli interventi riparatori adottati negli ultimi anni dal Legislatore penale rispondano anche all'esigenza di non deludere la pubblica opinione, ghiotta del pan-penalismo nostrano, il quale si pone in netta contraddizione con la concezione del diritto penale come extrema ratio.

Sul punto autorevole dottrina ha rilevato come l'esigenza di limitare il ricorso al carcere non possa oggi essere perseguita tramite riforme razionali e strutturali, come sarebbe una massiccia depenalizzazione. Viceversa la strada percorribile sarebbe quella di un “microriformismo pragmatico”. In tal senso non si può che «rinunciare alla chiarezza dei concetti, accontentandoci di introdurre comunque nell'ordinamento il maggior numero di possibili istituti riparatori in considerazione della loro concreta utilità per le vittime, pur senza procedere alla edificazione di un nuovo sistema organico e coerente di diritto penale riveduto dalle fondamenta» (FIANDACA).

Guida all'approfondimento

M. Bertolino, Il risarcimento del danno tra pretese riparatorio-compensative e istanze punitive nel canone del diritto penale, in www.dirittopenalecontemporaneo.it.

F. Bricola, La riscoperta delle “pene private” nell'ottica del penalista, 1985, V, 1.

G. Fiandaca, Tra punizione e riparazione. Una ibridazione di paradigmi?, in Il Foro Italiano, 2016, IX, 296.

G. Martiello, “Civile” e “penale”: una dicotomia sanzionatoria davvero superata? Ovverosia, quando il risarcimento del danno vuole punire, in www.discrimen.it.

E. Mattevi, Una giustizia più riparativa – Mediazione e riparazione in materia penale, in Collana della facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Trento, 2017, XIV, 411.

F. Mazzacuva, Le pene nascoste – Topografia delle sanzioni punitive e modulazione dello statuto garantistico, Itinerari di Diritto Penale, Giappichelli Editore, 2017, 202.

V. Mongillo, Le riforme in materia di contrasto alla corruzione introdotte dalla legge n. 69 del 2015 (Voce per il “Libro dell'anno del diritto Treccani 2016”), in www.dirittopenalecontemporaneo.it,

F. Palazzo, Nel dedalo delle riforme recenti e prossime venture (A proposito della legge n. 67/2014), in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, IV, 1693.

C. Piergallini, “Civile” e “penale” a perenne confronto: l'appuntamento di inizio millennio, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2012, IV, 1299.

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