L'alienazione dei beni conferiti in fondo patrimoniale e presenza di figli minori tra autonomia negoziale e controllo giudiziale

Gabriele Mercanti
26 Settembre 2019

La prescrizione dell'autorizzazione del giudice contenuta nell'art. 169 c.c., per l'alienazione o l'assoggettamento a vincolo di beni del fondo patrimoniale, in presenza di figli minori, è oggetto di due alternativi percorsi di ricostruzione ermeneutica...
Il caso

Il provvedimento in commento è costituito da un decreto emesso dal Tribunale di Pavia in seno ad un procedimento di volontaria giurisdizione. In particolare, due coniugi con due figli minori avevano costituito un fondo patrimoniale nel quale erano stati conferiti immobili sia proprietà del marito che della moglie. Intendendo le parti procedere alla vendita di un immobile facente parte del fondo (nel caso di specie di proprietà del marito), i coniugi presentavano ricorso al Tribunale per essere autorizzati al perfezionamento dell'operazione (rectius: per vedere riconosciuto il non luogo a provvedere sulla medesima o, in subordine, per esservi autorizzati): da detta istanza l'Organo Giudicante ha tratto le mosse per effettuare una ricognizione sui limiti e sulla portata dell'autorizzazione giudiziale prescritta dall'art. 169 c.c..

Occorre - tuttavia - precisare che nel decreto de quo nulla è detto circa la sussistenza o meno nell'atto costitutivo del fondo patrimoniale della clausola (sui cui profili di legittimità si avrà modo di tornare infra) di esenzione dall'obbligo di autorizzazione giudiziale nonostante la presenza dei figli minori. Questo dubbio di fondo non è di poco conto nella metabolizzazione del provvedimento, stante il florilegio di interpretazioni sorte sul rapporto tra autonomia negoziale dei coniugi (ricavabile dall'incipit stesso del cit. art. 169 c.c. «Se non è stato espressamente consentito nell'atto di costituzione) e regole dell'Ordinamento ritenute tradizionalmente inderogabili (quali: le norme in tema di amministrazione della comunione legale, richiamate dall'art. 168 comma 3, c.c. per quanto attiene alla gestione dei beni facenti parte del fondo patrimoniale; le norme in tema di tutela dell'interesse dei minori nell'ambito della responsabilità genitoriale e della volontaria giurisdizione in genere). Perciò, non è del tutto acclarato se la portata del ragionamento del Giudice Pavese sia relegata ad un caso nel quale i coniugi, presumibilmente, già avevano disciplinato la questione - dell'autorizzazione giudiziale e/o del consenso congiunto - in sede di costituzione del fondo patrimoniale o se, invece, possa essere elevata a livello sistemico interpretativo dell'istituto.

La questione

Per comprendere appieno il contesto concettuale all'interno del quale il provvedimento in commento è maturato, è imprescindibile partire da una disamina del quadro interpretativo formatosi sul tenore letterale dell'art. 169 c.c.. In relazione all'incriminata norma (la stigmatizzazione della contorta tecnica legislativa è un dato acquisito in dottrina(a sua dimostrazione, F. Corsi, rileva che tre «se» e tre «non» si accoppiano e si susseguono nel medesimo periodo), si può in questa sede dare conto dei due principali problemi dalla medesima ingenerati.

Il primo problema, di portata preliminare, attiene alla delimitazione dello spazio entro in quale detta norma possa operare, essendo rinvenibile un potenziale “conflitto di attribuzione” con le regole di amministrazione (dei beni) della comunione legale che l'art. 168 comma 3c.c. richiama in toto per quanto attiene alla gestione dei beni in fondo patrimoniale. Infatti,. l'art. 169 c.c. menziona non genericamente ogni atto gestorio (come, invece, accade nell'art. 180 c.c.), bensì solo alcune fattispecie (id est: alienazione, costituzione di ipoteca, dazione di pegno e costituzione di non meglio precisati vincoli), e pertanto si avrebbero - necessariamente - due aree operative di “competenza” separata tra gli artt. 168 e 169 c.c.: una speciale soggetta al regime di cui all'art. 169 c.c. ed una residuale soggetta ai principi di cui agli artt. 180 ss. c.c., così come richiamati dall'art. 168 terzo comma c.c. (così A. Jannuzzi). E' stato, tuttavia, ragionevolmente sostenuto che la specialità dell'art. 169 c.c. sia tale da relegare l'operatività delle norme generali della comunione legale ai soli atti di ordinaria amministrazione (così G. Cian, G. Casarotto; L. Genghini; G. Oberto) la tipologia degli atti contenuta nell'art. 169 c.c. viene tradizionalmente interpretata in modo ampio, così rendendo - di fatto - inutile qualsiasi disquisizione intellettuale in ordine al suo rapporto con l'art. 168 c.c. (così F. Carresi, secondo cui è pacifico che gli atti indicati all'art. 169 c.c. corrispondano, nonostante la diversità lessicale, a quelli che l'art. 180 c.c., qualifica genericamente come eccedenti l'ordinaria amministrazione).

Il secondo problema riguarda il margine di operatività attribuibile alla volontà dei coniugi dal cit. art. 169 c.c. dato che esso - nel suo esordio - afferma che «Se non è stato espressamente consentito nell'atto di costituzione»” non si possono compiere determinati atti «se non con il consenso di entrambi i coniugi»ma, poi, aggiunge che «se vi sono figli minori» occorre (anche?) «l'autorizzazione concessa dal giudice». Tentando di schematizzare le varie linee di pensiero emerse al proposito, può riassumersi quanto segue:

a) I coniugi potrebbero derogare esclusivamente alla regola del necessario consenso congiunto, ma giammai esautorare l'autorità giudiziaria della propria competenza allorquando vi siano figli minori (Trib. Savona, 24 aprile 2003, Trib. Terni, 12 aprile 2005, in dottrina M. Baldini; G. Cian, G. Casarotto). La tesi è fondata sia su una lettura della norma, tale per cui la previsione dell'espresso consenso in sede costitutiva del fondo sarebbe collegabile alla sola prima parte dell'articolo medesimo ove è collocato il richiamo al necessario consenso di entrambi coniugi, sia su un principio di indisponibilità dell'interesse minorile che sarebbe chiaramente frustrato ove bastasse una clausola negoziale per non interpellare il Giudice. Deve, però, farsi presente che - pure ammettendosi il principio di derogabilità del consenso congiunto - esistono due ulteriori sottoquestioni: la prima, è che ove i coniugi siano coniugati in regime di comunione legale dei beni, potrebbe porsi il dubbio della liceità di una siffatta deroga all'agire congiunto, stante la nota inderogabilità - ex art. 210 terzo comma c.c. - delle relative norme (così Bianca e analogamente Trib. Foggia, 9 giugno 2000, per il quale viola l'art. 28 della Legge Notarile « il notaio che, nel ricevere un atto di costituzione di fondo patrimoniale, preveda che l'amministrazione del fondo sia affidata soltanto ad uno dei due coniugi, in contrasto con gli artt. 168, comma 3 e 180, comma 1 c.c.); la seconda, è che la deroga de quo non potrebbe spingersi sino a consentire al coniuge non proprietario di disporre del bene altrui, ma che - quindi a contrario - potrebbe essere applicata esclusivamente a favore del coniuge riservatario della proprietà (eventualità concessa dal primo comma dell'art. 168 c.c.), dato che sarebbe incompatibile con i principi cardine della tutela della sfera negoziale consentire ad un soggetto (il coniuge non proprietario) di disporre della proprietà altrui (L. Genghini; per un'analisi della violazione del consenso congiunto e la tutela dei terzi nella circolazione immobiliare si veda B. Grasso)

b) I coniugi potrebbero derogare esclusivamente al placet giudiziario, ma non alla necessarietà del consenso congiunto (Quesito n. 348-2006/C del Consiglio Nazionale del Notariato a cura di S. Metallo, con la motivazione per la quale le norme in tema di amministrazione della comunione legale - come detto valevoli anche per il fondo patrimoniale giusto il richiamo fattone dall'art. 168 comma 3 c.c. - sono inderogabili ex art. 210 terzo comma c.c.; T. Auletta; così anche A Jannuzzi, il quale perviene sì al medesimo risultato, ma - senza coinvolgere presunte violazioni di norme inderogabili - esaltando il ruolo della volontà pattizia dei coniugi sancito dalla parte iniziale del cit. art. 169 c.c.).

c) I coniugi potrebbero derogare tanto alla regola del consenso congiunto quanto a quella del placet giudiziario essendo il tenore letterale del cit. art. 169 c.c. tranchant e, come tale, inequivocabilmente sintomatico di una scelta del Legislatore effettuata a favore della libera circolazione immobiliare a discapito dell'interesse familiare purchè prevista sin dall'atto di costituzione del vincolo (Trib. Roma, 27 giugno 1979, Trib. Trapani, 26 maggio 1994, Trib. Verona, 30 maggio 2000, Trib. Lecco, 1 ottobre 2002; Trib. Milano, 29 aprile 2010, in dottrina:C.M. , Bianca, fatta salva la specifica, della quale si è dato conto sopra, allorquando si tratti di coniugi in regime di comunione legale dei beni; L. Genghini; Oberto, argomentando comparativamente con il fatto che «l'art. 356 c.c. sta invero a dimostrare che il nostro ordinamento conosce quanto meno un caso in cui la necessità di un interventoautorizzativo previsto come normale dalla legge può essere escluso per effetto della volontà dei privati»; A. Ruotolo; R. Quadri. Giova precisare che, allo stato, si tratta dell'opinione prevalente.

Non può in questa occasione approfondirsi il tema inerente alle conseguenze dell'atto compiuto senza, ove necessari, il consenso dei coniugi e/o l'autorizzazione giudiziale: per una compiuta disamina delle varie soluzioni prospettabili (nullità virtuale, inefficacia, annullabilità ex art. 184 c.c.),

Tra tante incertezze, rimane - almeno - un punto fermo:«In ogni caso è certo che l'autorizzazione giudiziale non è richiesta quando non vi sono figli minori» (G. Oberto).

Le soluzioni giuridiche

A fronte di un simile contesto frammentato, la pronuncia del Tribunale di Pavia prende atto di due linee di tendenza: una restrittiva in base alla quale «la necessità dell'autorizzazione del giudice verrebbe quindi determinata dal concorso di due condizioni: l'assenza di una espressa previsione di alienazione nell'atto di costituzione e la presenza di figli minori» ed una opposta che «concependo invece il caso dell'esistenza di figli minori come dotato di una propria indipendenza strutturale, scisso dalla protasi iniziale (dell'art. 169 c.c. n.d.a.), afferma l'esigenza dell'autorizzazione giudiziale per la semplice sola presenza di minori, a prescindere da quanto sancito nell'atto di costituzione». Da quello stallo (ideologico) non può trovarsi via di rottura utilizzando come leva l'analisi letterale del cit. art. 169 c.c. stante “la non decisività esegetica del criterio linguistico, coerente e compatibile con entrambe le prospettazioni” ((sull'irrilevanza del tenore letterale della norma, G. Mercanti).Scartato - per intrinseca inidoneità allo scopo - il dato normativo, l'autorità giudiziaria ha fondato le proprie valutazioni partendo dall'individuazione degli elementi fondanti del fondo patrimoniale e così:

- che si tratti di un complesso di beni funzionalizzato ai bisogni della famiglia (nonostante la terminologia “bisogni della famiglia” sia evocata da due norme, l'art. 167 c.c. rubricato “Costituzione del fondo patrimoniale” e l'art. 170 c.c. rubricato “Esecuzione sui beni e sui frutti”, il tema della circoscrizione di detti bisogni è tradizionalmente oggetto di maggiore attenzione giurisprudenziale sul versante del conflitto con i creditori: sul punto, la giurisprudenza è ormai assestata nel sostenere che tra i bisogni familiari dell'esecutato «vanno incluse le esigenze volte al pieno mantenimento e all'univoco sviluppo della famiglia, ovvero per il potenziamento della di lui capacità lavorativa, e non per esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi» (Cass., Sez. V, 24 febbraio 2017, n. 4802),

- che si tratti di un patrimonio di destinazione (Cass., sez. I, 8 agosto 2014, n. 17811, Cass., sez. III, 18 ottobre 2011, n. 21494, Cass., sez. I, 29 novembre 2000 n. 15297;

- che, a salvaguardia del perseguimento delle sue funzioni, si evincano dal sistema limitazioni ed obblighi, citando - emblematicamente al riguardo - la preclusione al suo scioglimento allorquando vi siano figli minori, come previsto dall'art. 171 comma 2 c.c. (per la distinzione logico-concettuale tra scioglimento del fondo patrimoniale ed alienazione dell'unico bene in esso compreso si veda A. Ferrari).

Non potendosi, quindi, fare affidamento sulla cruda letteralità delle norme regolatrici della fattispecie, il Tribunale di Pavia individua nel più ampio complesso dell'istituto degli indici rilevatori della sua permeazione ad interessi di rango superiore: ecco che, allora, dal suddetto quadro sistemico si apre fatalmente il viatico ad una «lettura più rigorosa e garantista» tale per cui «la presenza di figli minori rappresenta dunque un elemento che implementa la funzione di garanzia, arricchendola di una aggiuntiva sensibile significanza»: meta obbligata del percorso, dunque, è - allorquando vi siano figli minori - l'imprescindibilità dell'autorizzazione giudiziaria.

Osservazioni

Che la questione del rapporto tra regolamentazione convenzionale del fondo patrimoniale e vaglio giudiziale sia particolarmente scivolosa, è di palmare constatazione: e ciò è testimoniato non solo dalla pluralità di ricostruzioni sopra riportate, ma anche dalla tendenza nella prassi professionale a richiedere all'autorità giudiziaria una declaratoria di superfluità dell'autorizzazione (così nel provvedimento in commento ed analogamente era avvenuto per i casi di cui alle pronunce, sopra citate, Trib. Milano, 29 aprile 2010 e Trib. Verona, 30 maggio 2000). Il Decreto in esame, ancorchè non sia del tutto chiaro se nell'atto costitutivo del fondo patrimoniale fosse contenuta la tormentata la clausola di esenzione dall'obbligo di autorizzazione giudiziale nonostante la presenza dei figli minori, si pone in controtendenza rispetto alla linea di pensiero prevalente volta a snellire la circolazione immobiliare (per il rapporto tra le contrapposte esigenze di tutela della famiglia e di favor verso i trasferimenti immobiliari, si veda Pret. Barra, 8 dicembre 1978, ma anche A. Fusaro). Tuttavia, lo stesso mette in (contro)luce un tema di elevata portata sistemica e cioè quello per cui il beneficio complessivamente scaturente dalla costituzione del fondo patrimoniale debba essere in qualche modo sterilizzato da anticorpi endogeni - che nel caso di specie l'organo giudicante rinviene nella necessarietà dell'autorizzazione giudiziale - tali da non svilire la funzione intrinseca dell'istituto (chiara su un simile vulnus è L. Strianese, Il fondo patrimoniale, strumento di articolazione del patrimonio familiare: alcuni tratti patologici rilevanti sul piano tributario, , ove afferma: «Laddove, infatti, nell'atto costitutivo i coniugi si riservino la facoltà di alienare o di ipotecare i beni, è evidente che questi ultimi potranno alienare o ipotecare ad libitum i beni stessi: per cui da un lato il vincolo di destinazione risulta sottoposto a condizione risolutiva potestativa e dall'altro emerge, già in tale prospettiva, come il fondo patrimoniale ben si presti ad essere un mezzo per sottrarre i beni all'aggressione dei creditori, il che determina l'attenuazione, se non la vanificazione, del vincolo impresso ai beni conferiti nel fondo»).

Guida all'approfondimento

F. Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da A. Cicu e F. Messineo e continuato da L. Mengoni, VI, 1, 1, Milano, Giuffrè, 1979, 98;

M. Baldini, Alienazione dei beni del fondo patrimoniale e autorizzazioni del giudice. Considerazioni sull'art. 169 c.c., in Famiglia e Diritto, 2011, 1, 53;

R. Quadri, Alienazione di beni costituiti in fondo patrimoniale ed autorizzazione giudiziale, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2001, I, 170 A. Jannuzzi (a cura di) P. Lorefice, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, Giuffrè, 2000, 561;

G. Cian, G. Casarotto, Fondo patrimoniale della famiglia, in Noviss. Dig. it., App. III, Torino, 1982, 834;

L. Genghini, La volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia, Padova, 2010, 304;

G. Oberto, Lezioni sul fondo patrimoniale, in http://www.giacomooberto.com/fondopatrimoniale/lezioni_sul_fondo_patrimoniale.htm;

F. Carresi, Del fondo patrimoniale, in Commentario al diritto italiano della famiglia (a cura di Cian, Oppo e Trabucchi), 3, Padova, 1992, 62;

M. Baldini, Alienazione dei beni del fondo patrimoniale e autorizzazioni del giudice. Considerazioni sull'art. 169 c.c., in Famiglia e Diritto, 2011, 1, 58; C. M. Bianca, Diritto civile, II, La famiglia, Milano, Giuffrè, 1989, 107;

B. Grasso, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, III, 2, Torino, UTET, 2008, 428;

T. Auletta, Il diritto di famiglia, Torino, Giappichelli, 2000, 131; così anche A. Jannuzzi (a cura di) P. Lorefice, op. cit., 562;

A. Ruotolo, Fondo patrimoniale (atti di disposizione), in Dizionario Giuridico del Notariato, Milano, Giuffrè, 2006, 464;

R. Quadri, Alienazione di beni costituiti in fondo patrimoniale ed autorizzazione giudiziale, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2001, I, 174;

G. Mercanti, Amministrazione del fondo patrimoniale e diritti della prole: il ruolo nevralgico dell'autorità giudiziaria, , 2017, 927;

Fusaro, Del fondo patrimoniale. Artt. 167-171. Della famiglia, in Commentario al Codice Civile diretto da E. Gabrielli e a cura di L. Balestra, II, Torino, Utet, 2010, 1070L. Strianese in Dir. prat. trib., 2014, 1, 192.

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