Mancata o ritardata trascrizione della sentenza di fallimento e opponibilità ai terzi acquirenti di buona fede
04 Ottobre 2019
Gli effetti della pronuncia di fallimento sono opponibili anche ai terzi di buona fede che abbiano stipulato contratti con il fallito dopo la sentenza dichiarativa, ma prima della trascrizione della stessa.
Il caso. La Corte d'Appello confermava la sentenza emessa dal Giudice di prime cure, dichiarando inefficace (ex art. 44 l.fall.) nei confronti della società fallita la vendita stipulata mediante rogito con cui il fallito aveva ceduto un immobile a due acquirenti. In particolare, la Corte non aveva autorizzato la chiamata in causa del curatore fallimentare proveniente dai convenuti al fine di esercitare verso di lui la domanda risarcitoria dovuta alla mancata trascrizione della sentenza di fallimento, e d'altra parte aveva confermato l'inefficacia dell'atto di vendita poiché trascritto dopo la pronuncia di fallimento, ritenendo che lo stato soggettivo dei terzi acquirenti non rileva a tal fine.
L'integrazione della domanda originaria. I vizi relativi alla “editio actionis” sono rilevabili d'ufficio e ai fini della sanatoria non è sufficiente la costituzione in giudizio del convenuto, conseguendone l'impossibilità di applicare gli artt. 156, comma 3 e 157 c.p.c., essendo la nullità oggetto del caso di specie prevista in vista di interessi che trascendono quelli del convenuto. L'effetto sanate, in virtù del principio generale del raggiungimento dello scopo, potrà invece attribuirsi all'integrazione della domanda ex art. 164 c.p.c., in modo tale che essa elimini l'incertezza e la contraddittorietà dell'originario atto di citazione. Ai fini della validità, in base ai criteri di cui all'art. 163 c.p.c., va considerato l'atto che risulta a seguito della successiva integrazione.
La buona fede dei terzi. In tema di pagamenti spettanti al fallito, qualora essi siano effettuati a seguito della dichiarazione di fallimento ed a soggetti diversi dalla curatela, ne deriva automaticamente l'indisponibilità del patrimonio del fallito, valevole erga omnes e senza che abbia alcuna rilevanza lo stato soggettivo del solvens. Anche la Corte Costituzionale si è espressa in tal senso (sentenza n. 228/1995), ritenendo infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 44 (nella versione ratione temporis vigente) in relazione all'art. 24 Cost., nella parte in cui non prevedeva che gli effetti della sentenza di fallimento potessero essere opponibili anche al terzo di buona fede che avesse contratto con il fallito a seguito del fallimento e prima dell'affissione della relativa decisione. |