La residenza abituale del minore ed il principio di perpetuatio iurisdictionis nella determinazione della giurisdizione

09 Ottobre 2019

Alla Suprema Corte viene chiesto se la residenza abituale del minore possa essere il criterio utile per determinare la giurisdizione nei casi in cui la domanda di divorzio sia connessa alle questioni di affidamento e mantenimento dei minori ed, in secondo luogo, quale sia il momento processuale in cui deve essere individuato il luogo in cui il minore ha la propria residenza abituale.
Massima

Nei giudizi di scioglimento del vincolo matrimoniale ove siano proposte domande inerenti all'affidamento ed al mantenimento dei figli minori, la giurisdizione si determina avendo riguardo al criterio della residenza abituale del minore così come sussistente al momento della proposizione della domanda introduttiva del giudizio.

Il caso

Il tribunale ordinario, all'esito di un giudizio di scioglimento del matrimonio, riteneva sussistente la propria giurisdizione ed affidava il minore al padre, regolamentando il diritto di visita della madre e quantificando l'assegno di mantenimento posto a carico della madre a favore del minore.

La Corte d'appello confermava la sentenza del giudice di prime cure.

La madre proponeva ricorso per cassazione lamentando, da un lato, l'insussistenza della giurisdizione dell'Autorità Giudiziaria italiana evidenziando che il minore, successivamente all'instaurazione del giudizio, risultava abitualmente residente nel Principato di Monaco e, dall'altro lato, l'omessa audizione del minore.

La Corte di cassazione dichiarava – pur avvalendosi della facoltà di cui all'art. 384, comma 4, c.p.c. – inammissibili e manifestamente infondati i motivi di ricorso in tema di giurisdizione, ma cassava con rinvio la sentenza impugnata nella misura in cui il minore non era stato ascoltato nel corso del giudizio di secondo grado.

La questione

La questione in esame riguarda la corretta individuazione dell'Autorità Giudiziaria competente nei casi in cui alla domanda di scioglimento del matrimonio siano connesse domande inerenti l'affidamento, il collocamento ed il mantenimento dei figli minori. In particolare, ci si chiede quale sia il criterio da adottare in tali casi e quale sia il momento temporale a cui fare riferimento per determinare la giurisdizione.

In altri termini, ci si chiede, in primo luogo, se la residenza abituale del minore possa essere il criterio utile per determinare la giurisdizione nei casi in cui la domanda di divorzio sia connessa alle questioni di affidamento e mantenimento dei minori ed, in secondo luogo, quale sia il momento processuale in cui deve essere individuato il luogo in cui il minore ha la propria residenza abituale.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione, nell'ordinanza in commento, ritiene – correggendo l'iter motivazionale dei giudici di merito – che, nel giudizio di scioglimento del matrimonio a cui siano connesse domande inerenti l'affidamento, il collocamento ed il mantenimento dei figli minori, la giurisdizione debba essere determinata attraverso il criterio della residenza abituale del minore ed il principio della perpetuatio iurisdictionis cristallizzato dall'art. 5 c.p.c.

In particolare, non assume rilievo – a differenza di quanto sostenuto dai giudici di prime cure – che via sia stato, successivamente all'instaurazione del procedimento giurisdizionale, un mutamento di residenza del minore. Infatti, la giurisdizione si determina – alla luce di quanto dispone l'art. 5 c.p.c. – con riguardo allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della proposizione della domanda e, conseguentemente ed in applicazione del principio della perpetuatio iurisdictionis, le eventuali sopravvenienze appaiono irrilevanti. Dunque, i mutamenti di residenza del minore successivi alla proposizione della domanda non assumono rilievo nella determinazione della giurisdizione.

Pertanto, la giurisdizione deve essere determinata alla luce del criterio della residenza abituale del minore, la quale dovrà essere individuata nel momento della proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio. Ne consegue che avrà giurisdizione l'Autorità Giudiziaria del luogo in cui il minore, al momento della proposizione della domanda, può dirsi abitualmente residente.

Chiarito il corretto iter logico-giuridico che deve essere seguito nella determinazione della giurisdizione, la Corte di cassazione ha confermato, nel caso di specie, la sussistenza della giurisdizione italiana posto che la ricorrente «non ha mai dedotto […] di non aver avuto […] la residenza in Italia al momento della proposizione del giudizio di divorzio».

Tuttavia, la sentenza impugnata viene cassata con rinvio in quanto, secondo la prospettazione della Suprema Corte, l'omesso ascolto del minore non appare in alcun modo giustificabile. In particolare, l'ordinanza in commento afferma che l'audizione del minore risulta essere «un adempimento necessario nelle procedure che li riguardano e, in particolare, in quelle relative al loro affidamento» anche considerando che l'ascolto del minore «costituisce una modalità di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e a esprimere le proprie opinioni nei procedimenti suddetti, nonché un elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse».

Osservazioni

L'ordinanza in commento, attraverso un corretto e pregevole percorso argomentativo, affronta la delicata questione della determinazione della giurisdizione nelle controversie che abbiano ad oggetto lo scioglimento del vincolo matrimoniale unitamente all'affidamento, al collocamento ed al mantenimento dei figli minorenni (cfr. Cass. civ., Sez. Un., n. 30646/2011).

Con riferimento alla modalità con cui determinare la giurisdizione, la Suprema Corte, aderendo all'orientamento maggioritario, afferma che la giurisdizione deve essere individuata attraverso il criterio della residenza abituale. Pertanto, la giurisdizione si determinerà avuto riguardo al luogo in cui il minore vive la propria quotidianità, esprime la propria personalità ed intrattiene le proprie relazioni personali. Utilizzare una siffatta definizione di residenza abituale per determinare la competenza dell'Autorità Giudiziaria significa preservare il radicamento del minore nel suo ambiente di vita ed il suo corretto sviluppo psico-fisico, perseguendo e valorizzando il superiore interesse di quest'ultimo (Cass. civ., sez. I, n. 16648/2014). Occorre ricordare anche che la residenza abituale, lungi dall'essere una nozione formale o meramente anagrafica, deve essere considerata dall'angolazione prospettica del minore: solo ponendo al centro il minore è possibile perseguire il suo migliore interesse, facendo in modo che la residenza abituale venga a coincidere con il luogo in cui il bambino vive la propria quotidianità e i propri affetti, non solo parentali, e svolge, in maniera concreta e continuativa, la propria vita personale (Cass. civ., Sez. Un., n. 3555/2017; Cass. civ., Sez. Un., n. 1984/2012; Cass. civ., Sez. Un., ord. n. 30646/2011; Cass. civ. civ., I, n. 7944/2013 e Cass. civ. civ., VI, ord. n. 21750/2012). Dunque, occorre intendere la residenza abituale come il baricentro della vita del minore che dovrà essere valutato, non attraverso un calcolo puramente aritmetico del vissuto, ma a partire dal punto di vista del minore stesso.

Chiarita la modalità con cui determinare la giurisdizione – peraltro confermata dal Regolamento (CE) n. 2201/2003 del 27 novembre 2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, meglio noto come Regolamento Bruxelles II bis, e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee (Corte giust. CE, sez. III, 2 aprile 2009, causa C-523/2007, Finlandia v. A.) –, l'ordinanza in commento si sofferma sul momento processuale in cui la residenza abituale del minore viene in rilievo e deve essere individuata.

Sul punto la Suprema Corte afferma che la giurisdizione deve essere determinata, in forza di quanto dispone l'art. 5 c.p.c., nel momento in cui la domanda introduttiva del giudizio viene proposta.

Pertanto, la residenza abituale del minore – individuata secondo i criteri sopraindicati – dovrà essere individuata nel momento in cui il giudizio viene introdotto (Cass. civ., Sez. Un., n. 30657/2018; Cass. civ., Sez. Un., 32359/2018; Cass. civ., Sez. Un., n. 16864/2011; Cass. civ., Sez. Un., n. 28875/2008 e Cass. civ. civ., I, n. 7161/2016). Vale la pena precisare che nei procedimenti di separazione e divorzio tale momento coincide con quello con cui il ricorso ed il decreto presidenziale di fissazione d'udienza vengono notificati alla controparte.

La Suprema Corte, inoltre, compie un ulteriore e significativa precisazione: le sopravvenienze di fatto risultano essere irrilevanti ai fini dell'individuazione della giurisdizione. In particolare, l'ordinanza in commento, facendo corretta applicazione del principio della perpetuatio iurisdictionis, si allinea alla granitica posizione esegetica in forza della quale le sopravvenienze di fatto, così come quelle di diritto, non incidono in alcun modo sulla giurisdizione dell'Autorità Giudiziaria adita (Cass. civ., Sez. Un., 8999/2009; Cass. civ., Sez. Un., n. 18126/2005; Cass. civ., VI, 4059/2016; Cass. civ.,sez. II, 21221/2014; Cass. civ., sez. VI, 19833/2014; Cass. civ., sez. VI, 12861/2012; Cass. civ., sez. II, 16667/2010 e Cass. civ., sez. II, 13882/2010).

Pertanto, il mutamento di residenza del minore – avvenuto nelle more di un procedimento di divorzio in cui siano proposte domande relative all'affidamento, al collocamento ed al mantenimento dei figli minori – non incide sull'individuazione della giurisdizione in quanto rappresenta una modificazione dello stato di fatto che, in forza di quanto prescritto dall'art. 5 c.p.c., risulta essere irrilevante. Ne consegue che – alla luce di quanto affermato dall'ordinanza in commento – il principio della perpetuatio iurisdictionis, in tali casi, prevale su quello, pur di rilevanza comunitaria, di prossimità espresso nel concetto di residenza abituale.

In conclusione, occorre prendere in considerazione il motivo in forza del quale la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata: la mancata audizione del minore.

L'art. 315-bis, comma 3, c.c., l'art. 336-bis c.c. nonché l'art. 337-octies c.c. sanciscono il diritto del minore – successivamente al compimento del dodicesimo anno di età ovvero anche a prescindere dal dato anagrafico ma in relazione al grado di maturità ed alla capacità di discernimento – ad essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.

Alla luce del dato normativo ed in linea con la monolitica posizione giurisprudenziale e dottrinale, appare assolutamente corretto il decisum della Suprema Corte: essere ascolto è un diritto imprescindibile del minore (cfr., ex plurimis, Cass. civ., Sez. Un., n. 22238/2009; Cass. civ., sez. I, n. 6129/2015 e Cass. civ., sez. I, n. 19327/2015) e la sua omissione comporta l'annullamento con rinvio della sentenza di merito.

Guida all'approfondimento
  • L.M. Cosmai, Ascolto del minore, in Ilfamiliarista.it;
  • M. Di Marzio, sub art. 5 c.p.c., in AA.VV., Codice di procedura civile, a cura di F. di Marzio, Giuffrè, 2019, 11 ss.;
  • A. Liuzzi, Sulla giurisdizione ad emettere provvedimenti de potestate in caso di trasferimento di minori, in Fam. dir., 2012, 32 ss.;
  • G. Servetti, Residenza abituale del minore, in Ilfamiliarista.it;
  • E. Vullo, sub art. 5 c.p.c., in AA.VV., Codice di procedura civile. Commentario, a cura di C. Consolo, tomo I, Giuffrè, 2018, 287 ss.

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