Impugnazione della sentenza di assoluzione del Giudice penale di Pace da parte del pubblico ministero

10 Ottobre 2019

Qual è il mezzo di impugnazione consentito al P.M. avverso la sentenza di assoluzione del Giudice di Pace? Quali sono le conseguenze in caso di erroneità nella scelta del gravame?
Massima

L'appello del Pubblico Ministero contro la sentenza di assoluzione emessa dal Giudice penale di Pace deve essere dichiarato inammissibile, in quanto non previsto dall'ordinamento. Avverso la suddetta sentenza, infatti, la parte pubblica può soltanto proporre ricorso per cassazione.

Il caso

Il Giudice di Pace di Siena assolveva l'imputata dal delitto di lesioni colpose gravi derivanti da sinistro stradale, di cui all'art. 590, commi 1 e 3, c.p. (vigente ratione temporis), per insufficienza di prova della sussistenza del fatto.

Avverso tale sentenza proponevano appello sia il pubblico ministero che la parte civile.

La questione

La questione offre lo spunto per fare il punto sulle modalità di impugnazione della sentenza di assoluzione del Giudice penale di Pace da parte del pubblico ministero.

L'art. 17, comma 1, lett. n) l. 24 novembre 1999 n. 468, recante la delega sulla competenza penale del giudice di pace, stabiliva la previsione della appellabilità delle sentenze emesse dal giudice di pace, ad eccezione di quelle che applicano la sola pena pecuniaria e di quelle di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria.

Così la formulazione originaria dell'art. 36 d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274 prevedeva che

1. Il pubblico ministero può proporre appello contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano una pena diversa da quella pecuniaria e contro le sentenze di proscioglimento per reati puniti con pena alternativa.

2. Il pubblico ministero può proporre ricorso per cassazione contro le sentenze del giudice di pace.

Successivamente, l'art. 9, comma 2, l. 20 febbraio 2006 n. 46, nel sopprimere l'inciso del comma 1 relativo alle sentenze di proscioglimento, ha eliminato la possibilità per la parte pubblica di proporre appello avverso le stesse (cfr. Cass. Pen., 18/9/2009, n. 47995).

Ne deriva che l'unica reazione processuale che residua al P.M. per impugnare le sentenze di segno assolutorio emesse dal G.d.P. è soltanto il ricorso per saltum; con la conseguenza che, ai fini del rinvio, il giudice va individuato in quello del medesimo grado della sentenza impugnata, id est nel G.d.P territorialmente competente (cfr. Cass. pen., Sez. IV, 14 luglio 2006, n. 24382).

La problematica sottesa al caso di specie riguarda, tuttavia, l'ipotesi in cui l'appello, pur erroneamente presentato dal P.M., sia stato proposto anche dalla parte civile.

Stante il fatto che, sul punto, il corpus della lex specialis, relativa alla competenza penale del giudice onorario, non prevede alcunché, trovano applicazione, ai sensi dell'art. 2 d.lgs. 274/2000, le disposizioni generali di cui al Libro IX del codice di rito penale.

Il criterio della conversione del ricorso in appello, di cui all'art. 580 c.p.p., richiede come presupposto la condizione della proposizione, avverso la stessa sentenza, di mezzi di impugnazione diversi; conseguentemente, in relazione alla sentenza di assoluzione del G.d.P., l'appello dalla parte civile e il concomitante ricorso per cassazione da parte del P.M.

Come noto, la ratio dell'istituto persegue la finalità di evitare che la celebrazione di diversi giudizi sulla stessa imputazione, dovuti alla proposizione di differenti mezzi di impugnazione, possa dare luogo a esiti processuali incompatibili (cfr. Cass. pen., Sez. Un., 24 giugno 2005, n. 36084). Quindi, il tribunale, chiamato a giudicare il gravame proposto dalla parte civile, deve convertire in appello il ricorso per cassazione presentato dal P.M., al fine di trattare insieme i due mezzi di impugnazione (cfr. Cass. pen., Sez. V, 9 maggio 2018, n. 20482).

Nel caso in cui, però, avverso la stessa sentenza di assoluzione del G.d.P. abbiano proposto appello sia il P.M. - errando - che la parte civile, al giudice del secondo grado non è consentito convertire l'inammissibile appello del P.M. in ricorso per cassazione. Tale provvedimento, infatti, sarebbe affetto da palese abnormità (cfr. Cass. pen., Sez. IV, 18 aprile 2018 n. 22467; Cass. pen., Sez. V, 13 ottobre 2017, n. 57716), in quanto idoneo a comportare una stasi insuperabile laddove la Cassazione, in sede di cognizione del ricorso in cui è stato convertito l'appello del P.M., e il Tribunale, in sede di cognizione dell'appello della parte civile, dovessero arrivare ad adottare decisioni logicamente e giuridicamente incompatibili.

Si deve, allora verificare, ai sensi dell'art. 568, comma 5, c.p.p., se la pur erronea attribuzione del nomen juris, possa comunque consentire l'ammissibilità di quel mezzo di impugnazione di cui l'interessato, a prescindere dalla qualificazione attribuitagli, abbia effettivamente inteso avvalersi.

In tal senso, il giudice, verificato il tipo di censure articolate e il petitum richiesto, ha il potere-dovere di provvedere all'appropriata qualificazione del gravame, privilegiando, rispetto alla formale apparenza, la sostanziale volontà della parte di attivare il rimedio all'uopo predisposto dall'ordinamento giuridico. Ma, proprio perché la disposizione indicata è finalizzata alla salvezza, e non alla modifica della volontà reale dell'interessato, al giudice non è consentito sostituire il mezzo d'impugnazione effettivamente voluto e propriamente denominato (ma inammissibilmente proposto dalla parte) con quello, diverso, che sarebbe stato astrattamene ammissibile: in tale ipotesi, infatti, non può parlarsi di inesatta qualificazione giuridica del gravame, come tale suscettibile di rettifica ope iudicis, ma di una infondata pretesa, da sanzionare con l'inammissibilità (Cass. pen., Sez. V, 8 ottobre 2018, n. 55830).

Le soluzioni giuridiche

Sulla base di quanto sopra, il Tribunale di Siena, preso atto delle doglianze del P.M. (che tendono a una riconsiderazione del fatto come ricostruito dal giudice di prime cure, quindi di merito, invece che di legittimità) e della richiesta di riforma (con condanna dell'imputata alla pena ritenuta di giustizia), invece che di annullamento, della sentenza, ha dichiarato inammissibile il gravame, non essendo la pubblica accusa legittimata a proporre appello contro le sentenze di assoluzione del giudice di pace.

L'appello proposto dalla parte civile è stato, al contrario, accolto.

Osservazioni

Senza ombra di dubbio la sentenza merita di essere condivisa.

Come già osservato, infatti, l'appello del Pubblico Ministero contro la sentenza di assoluzione emessa dal Giudice penale di Pace costituisce un mezzo di impugnazione non previsto dall'ordinamento, del quale va dichiarata l'inammissibilità.

Avverso la suddetta sentenza, alla pubblica accusa residua soltanto la possibilità di proporre ricorso per cassazione.

Guida all'approfondimento

U. Nannucci - F. Piccioni, L'Accusa e la Difesa nel processo davanti al Giudice Penale di Pace - edizioni LAURUS ROBUFFO - 2001; con scheda di aggiornamento al giugno 2004;

A. Ciccia - S. Manzelli - F. Piccioni, Competenze penali del Giudice di Pace e attività di Polizia Giudiziaria, guida pratica con formulario degli atti - coautori: AA.VV. - edizioni MAGGIOLI - 2004;

F. Piccioni - P. Russo, Il risarcimento del danno da circolazione stradale. Attualità e prospettive in sede di tutela civile, penale e amministrativa, ALTALEX editore - Gruppo WOLTERS KLUWER ITALIA, 2017

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