Reati contro la P.A. e accesso ai benefici penitenziari: un'altra pronuncia della Cassazione in linea con il paradigma formalistico

Paola Felicioni
16 Ottobre 2019

La L. 9 gennaio 2019, n. 3, in una prospettiva di repressione dei delitti di corruzione, è intervenuta anche in materia di esecuzione della pena, nel segno di un inasprimento del regime penitenziario nei confronti degli autori di reati contro la pubblica amministrazione...
Massima

Nei casi in cui siano stati emessi l'ordine di carcerazione e il provvedimento di contestuale sospensione e sia stata avanzata dal condannato richiesta di concessione di misura alternativa alla detenzione, l'atto complesso – costituito dalla sospensione dell'ordine, dalla proposizione dell'istanza e dalla decisione del Tribunale di sorveglianza – è già stato compiuto, al momento dell'entrata in vigore della l. n. 3 del 2019, in alcuni dei suoi tasselli essenziali, sicché la sopravvenienza normativa che aumenta il novero dei delitti di cui al catalogo contenuto nell'art. 4-bis ord. pen., richiamato dall'art. 656 c.p.p., comma 9, ai fini del divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione, non può comportare la revoca della sospensione già disposta e il mutamento delle regole per l'eventuale concessione delle misure alternative richieste.

Il caso

Il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice dell'esecuzione, annullava l'ordine di esecuzione per la carcerazione emesso nei confronti di P.M., condannata alla pena di due anni e mesi tre di reclusione per il delitto di cui all'art. 322 c.p., previa revoca dell'ordine e della contestuale sospensione precedentemente disposta alla luce della sopravvenienza della l. n. 3 del 2019 che ha inserito nel catalogo dei reati ci cui all'art. 4-bis ord. pen. i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. Secondo il giudice di merito le disposizioni concernenti l'esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione non hanno carattere di norme sostanziali e non soggiacciono, perciò, alle regole in materia di successione di leggi nel tempo di cui all'art. 2 c.p. Proponeva quindi ricorso la condannata, deducendo il vizio di violazione di legge sostenendo che la revoca della sospensione dell'ordine di esecuzione è stata determinata dalle previsioni contenute nella l. n. 3 del 2019 che, senza dettare una disciplina transitoria, hanno incluso nell0elenco dei delitti di cui all'art. 4-bis ord. pen. anche i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. La sopraggiunta ostatività alla concessione dei benefici penitenziari, pertanto imponeva la cessazione della sospensione dell'ordine di esecuzione, non sussistendo più i presupposti di legge.

Con sentenza n. 25212 del 2019 la Prima Sezione della Cassazione rigettava il ricorso. Rimanendo fedele al proprio orientamento per cui le disposizioni che regolano l'esecuzione della pena detentiva sono norme processuali (Cass. pen., Sezioni Unite, 30 maggio 2006, n. 24561) la Suprema Corte ha circoscrittogli effetti del principio tempus regit actum, applicandolo alla disciplina esecutiva che si è delineata, con riguardo ai delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, a seguito delle modifiche intervenute per effetto dell'entrata in vigore della l. n. 3 del 2019 (c.d. “legge anticorruzione”): «nei casi in cui siano stati emessi l'ordine di carcerazione e il provvedimento di contestuale sospensione e sia stata avanzata dal condannato richiesta di concessione di misura alternativa alla detenzione, l'atto complesso – costituito dalla sospensione dell'ordine, dalla proposizione dell'istanza e dalla decisione del Tribunale di sorveglianza – è già stato compiuto, al momento dell'entrata in vigore della L. n. 3 del 2019, in alcuni dei suoi tasselli essenziali, sicchè la sopravvenienza normativa che aumenta il novero dei delitti di cui al catalogo contenuto nell'art. 4-bis ord. pen., richiamato dall'art. 656 c.p.p., comma 9, ai fini del divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione, non può comportare la revoca della sospensione già disposta e il mutamento delle regole per l'eventuale concessione delle misure alternative richieste».

La questione

La L. 9 gennaio 2019, n. 3, in una prospettiva di repressione dei delitti di corruzione, è intervenuta anche in materia di esecuzione della pena, nel segno di un inasprimento del regime penitenziario nei confronti degli autori di reati contro la pubblica amministrazione.

In estrema sintesi, l'art. 1, comma 6, lett. b della legge “anticorruzione”, in evidente controtendenza rispetto al progetto di riforma penitenziaria poi naufragato, e nonostante i recenti orientamenti manifestati dalla Corte costituzionale nel senso di una progressiva erosione del rigore caratterizzante le preclusioni di cui all'art. 4-bis ord. pen., ha ampliato il catalogo dei delitti ostativi contenuto nel comma 1 della citata disposizione inserendo alcuni dei più gravi illeciti contro la pubblica amministrazione: il riferimento va ai delitti di corruzione, concussione e peculato: artt. 314, comma 1, 317-319, 319-bis, 319-ter, 319-quatercomma 1, 320-322, 321-bis c.p.. L'innesto di tali fattispecie penali nella disposizione in parola comporta la preclusione per “tipi di autore” dell'accesso ai benefici penitenziari, ma anche l'inoperatività del meccanismo sospensivo della pena delineato dall'art. 656 c.p.p. al quale osta aver riportato una condanna per uno dei delitti in questione.

Si tratta di un'integrazione eccepibile per più ragioni. In linea generale, l'intervento legislativo ha ampliato ulteriormente una norma cardine del regime differenziato introdotta nel 1991 per i condannati per reati di criminalità organizzata e successivamente modificata a più riprese dal legislatore e da pronunce della Consulta, estendendo l'operatività di una disposizione sostanzialmente ostile all'istanza costituzionale di risocializzazione: il processo di stratificazione dell'art. 4 bis ord.pen. appare continuo e allontana sempre più la disposizione dall'originaria fisionomia di fattispecie eccezionale legata alla gravità dei reati di mafia con conseguenze paradossali anche sul piano procedimentale.

In particolare, la disposizione novellata contrasta con il principio di ragionevolezza sotto plurimi profili.

Innanzitutto, viene in considerazione l'assimilazione legislativa, non sorretta da alcun fondamento criminologico, delle fattispecie di delitti corruttivi alle fattispecie incriminatrici di più forte allarme sociale come l'associazione mafiosa e i reati commessi con modalità mafiose. L'inserimento dei reati di corruzione nell'art. 4-bis ord.pen. comporta l'estensione a tali illeciti della presunzione di pericolosità su cui è fondato il regime penitenziario differenziato: ma tale presunzione mal si concilia con la gravità e la rilevanza del bene protetto mediante l'incriminazione dei reati contro la pubblica amministrazione. In altri termini, si rinviene un contrasto tra la presunzione di pericolosità e il principio di ragionevolezza/eguaglianza a fronte della pretesa di trattare in modo eguale fenomenologie criminali differenti.

Un ulteriore profilo di attrito della disciplina in esame con il principio di ragionevolezza si collega alla criticità rappresentata dal silenzio del legislatore sul regime intertemporale della disposizione modificata: infatti, manca una norma transitoria ad hoc per i casi destinati a verificarsi con riferimento alle sentenze di condanna divenute irrevocabili prima del 31 gennaio 2019, data in cui è entrata in vigore la legge anticorruzione. È lasciato all'interprete l'arduo compito di stabilire se ai reati commessi antecedentemente all'entrata in vigore della legge ora citata si debba applicare il regime esecutivo ordinario vigente al momento in cui è stato commesso il reato, oppure il regime di rigore differenziato regolato dall'art. 4-bis ord. pen. come modificato dalla l. n. 3 del 2019. L'effetto determinato dall'inserimento dei reati contro la P.A. nella disposizione suddetta appare deflagrante: infatti l'art. 4-bisord. pen. è richiamato espressamente nell'art. 656, comma 9, c.p.p. che disciplina le condizioni ostative all'operare della sospensione dell'esecuzione volta a consentire ai condannati a pene detentive brevi, se meritevoli, un accesso immediato alle misure alternative, senza transitare dal carcere, in considerazione sia della natura desocializzante della carcerazione, sia del sovraffollamento carcerario. In altri termini, il legislatore di fatto ha assicurato ai condannati per reati di corruzione un “assaggio di pena carceraria”, non potendo accedere alle misure alternative dallo status libertatis anche se ne ricorrono i presupposti applicativi, svalorizzando l'istanza di risocializzazione del condannato.

Le prime pronunce sulla disciplina transitoria del modificato art. 4-bis ord. pen. evidenziano uno scontro tra due diverse linee ermeneutiche, formalistica e sostanzialistica: l'una, tradizionale ed espressione del diritto vivente, propugna l'applicazione della regola del tempus regit actum in base alla considerazione secondo cui le disposizioni in materia di esecuzione penale e penitenziaria hanno natura processuale; l'altra, evoluta e convenzionalmente ispirata, sostiene l'irretroattività delle modifiche in peius, sulla scorta della ritenuta natura sostanziale delle disposizioni incidenti sul trattamento penale del condannato.

Ebbene, la sentenza della Suprema Corte in commento rappresenta una decisa espressione dell'approccio formalistico ora richiamato; peraltro, la pronuncia in questione costituisce l'approdo della vicenda giudiziaria iniziata dalla prima sentenza, in ordine cronologico, emessa in materia dal Tribunale di Napoli(Trib. Napoli, sez. VII, 28 febbraio 2019) che, chiamato a decidere in qualità di giudice dell'esecuzione sull'efficacia del provvedimento di revoca dell'ordine di carcerazione sospeso, si è allineato senza tentennamenti al diritto vivente in base al quale la natura processuale dell'art. 4 bisord. pen. prelude all'applicazione del principio tempus regit actum: il divieto di accesso ai benefici penitenziari e la condizione ostativa alla sospensione della pena, quindi, operano retroattivamente, anche con riferimento ai reati contro la P.A. commessi prima dell'entrata in vigore della L. n. 3 del 2019; il regime differenziato si dovrebbe applicare inoltre alle esecuzioni penali in corso e nei casi di decreto di sospensione dell'esecuzione emesso dal pubblico ministero (ma in attesa di una decisione del tribunale di sorveglianza sulla misura alternativa).

Sono seguiti diversi arresti giurisprudenziali dai quali si traggono indicazioni rassicuranti, tendenti a valorizzare la prospettiva più garantista; ma il quadro delle prime applicazioni continua ad essere connotato da disomogeneità.

Le soluzioni giuridiche

In considerazione del fatto che l'approccio interpretativo sostanziale non sembra essere granitico, appare opportuna una breve ricognizione della prassi imperniata sulla questione della natura processuale o sostanzialistica delle norme dell'ordinamento penitenziario e dell'esecuzione penale, pur nella consapevolezza della necessità di superare tale distinzione, meramente utilitaristica e antiquata e, nel solco del principio di legalità accolto in Europa, probabilmente inutile.

Il paradigma formalistico è proprio del diritto vivente: un orientamento giurisprudenziale consolidato, risalente ad una sentenza emessa dalla Suprema Corte a Sezioni Unite, (Cass. pen., SS.UU., 30 maggio 2006, Aloi, in CED, n. 211467 ) sposa l'interpretazione fondata sulla natura processuale delle norme codicistiche e penitenziare che governano il trattamento sanzionatorio del condannato. Secondo tale orientamento la disciplina dell'esecuzione penale e il diritto penitenziario sono estranei alla garanzia di irretroattività della legge penale sfavorevole sancita dall'art. 25, comma 2, Cost.

Tra i provvedimenti emessi dopo l'entrata in vigore della legge anticorruzione alcune pronunce accolgono decisamente la regola tempus regit actum, altre prendono atto della sua esistenza e finiscono per instaurare un incidente costituzionale.

È di poco successiva al provvedimento del Tribunale di Napoli sopra citato la decisione della Corte di appello di Catania (App. Catania, Sez. II penale, 22 marzo 2019) che ritiene operante la regola tempus regit actum - non essendo al cospetto di norme penali sostanziali ed individuail termine nel passaggio in giudicato della sentenza di condanna: il nuovo regime speciale dell'art. 4-bis ord. pen., si afferma, trova applicazione solo con riferimento alle sentenze divenute esecutive dopo il 31 gennaio 2019. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la Procura generale presso la Corte di appello di Catania (ricorso per cassazione, 28 marzo 2019) secondo la quale la Suprema Corte ha sempre qualificato come processuale l'art. 656, comma 5, c.p.p. ed, essendo il rinvio all'art. 4-bis ord. pen. meramente formale e non ricettizio, ogni modifica normativa di quest'ultima disposizione influisce direttamente sul meccanismo sospensivo a prescindere dall'epoca di commissione del reato e dalla data del passaggio in giudicato della condanna: la nuova normativa, si conclude, va applicata a tutti i rapporti esecutivi non esauriti.

Inoltre, occorre rammentare due pronunce tra loro ravvicinate nel tempo, che, pure avendo sollevato la questione di legittimità costituzionalità dell'art. 1, comma 6, lett.b, l. n. 3 del 2019 nella parte in cui non prevede un regime transitorio, ricordano, senza ripudiarla espressamente, la tesi della natura processuale delle norme in materia di esecuzione penale: si tratta delle prime ordinanze di rimessione emanate dal Tribunale di Napoli (Trib. Napoli, Uff. Gip, ord. 2 aprile 2019) e dalla Corte di appello di Lecce (App. Lecce, ord. 4 aprile 2019). In entrambi provvedimenti, sulla permessa del diritto vivente che ritiene pacificamente operante il principio tempus regit actum, ritengono impraticabile la via dell'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente conforme, rimanendo come via obbligata solo la rimessione della questione alla Consulta per contrasto dell'art. 4 bisord. pen. come novellato dalla legge anticorruzione, sia con l'art. 117, comma 1, Cost. integrato dal parametro interposto offerto dall'art. 7 Cedu che esprime il volto convenzionale del principio di legalità della pena, sia con l'art. 25, comma 2, Cost. interpretato secondo un'accezione convenzionalmente orientata che estende l'operatività della garanzia dell'irretroattività a tutte le disposizioni a contenuto afflittivo.

Insomma, vengono in evidenza i principi compressi dalla tradizionale impostazione ermeneutica che sembra mortificare le istanze del giusto processo (art. 111 Cost. e art. 6 Cedu) e, ancor prima, il principio di certezza del diritto, dal quale, peraltro, promana il principio di affidamento inteso come limite alla libertà legislativa di agire retroattivamente. Anche il diritto di difesa nel processo, tuttavia, appare vulnerato, poiché ricomprende la possibilità di compiere scelte ponderate che non devono essere alterate da una successiva imprevedibile modifica delle regole del gioco.

L'approccio interpretativo sostanzialistico è stato portato avanti coraggiosamente da taluni giudici di merito che hanno ritenuto di poter risolvere il problema della mancanza di norme transitorie, senza impegnare la Consulta, tramite l'interpretazione costituzionalmente orientata che consideri il modificato art. 4-bisord. pen. come una disciplina processuale “ad effetti sostanziali” ed intrinsecamente afflittiva, in linea, peraltro, con una lettura convenzionalmente orientata dell'art. 25, comma 2, Cost. Il dato che accomuna tali pronunce è il riferimento sia ad una paradigmatica recente pronuncia della Corte di cassazione, sia alla giurisprudenza europea che si è espressa sull'ambito operativo della matière penale dalla quale dipende l'operatività dell'art. 7 Cedu e delle garanzie che da esso discendono, nonché la ricevibilità dei ricorsi che ne lamentino la violazione.

La ricognizione degli approdi giurisprudenziali deve essere effettuata evidenziandone i principi ispiratori.

Innanzitutto, si consideri il provvedimento del Gip presso il Tribunale di Como (Gip, Trib. Como 8 marzo 2019) che, in contrapposizione alla quasi coeva pronuncia di Napoli dianzi citata, convintamente abbracciando l'indirizzo esegetico sostanzialistico, prende posizione contro il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità. Le argomentazioni valorizzano la ratio dei princìpi introdotti all'art. 25, comma 2, Cost. e all'art. 2 c.p. (in punto di irretroattività della legge sfavorevole) e all'art. 7 Cedu (ossia la prevedibilità della pena): secondo il giudice applicare la nuova disciplina a procedimenti per fatti anteriori alla sua entrata in vigore significherebbe violare le disposizioni ora citate le quali non riguardano le norme che, a prescindere dalle etichette, abbiano un contenuto afflittivo o intrinsecamente punitivo. La conseguenza è stata la dichiarazione di temporanea inefficacia dell'ordine di carcerazione emesso nei confronti del condannato per la durata di 30 giorni. All'evidenza viene in gioco l'impostazione antiformalistica della Corte europea che estende il principio di irretroattività riconducibile alla prevedibilità della pena di cui all'art. 7 Cedu, alle disposizioni - siano esse sostanziali o processuali - che incidono comunque sul trattamento penale dell'individuo. In altri termini, le disposizioni processuali od esecutive, devono essere inquadrate nell'ambito della matière pénale qualora abbiano un'effettiva incidenza afflittiva sul trattamento giuridico penale del condannato.

L'impostazione concettuale della pronuncia di merito emerge, rivitalizzata, dall'ordito argomentativo di una recente sentenza della Corte di cassazione (Cass., Sez. VI, 14 marzo 2019, n. 12541, ric. Ferraresi) secondo cui “alla luce della giurisprudenza di Strasburgo, non parrebbe manifestamente infondata la prospettazione difensiva secondo la quale l'avere il legislatore cambiato in itinere le ‘carte in tavola' senza prevedere alcuna norma transitoria presenti tratti di dubbia conformità con l'art. 7 Cedu e, quindi, con l'art. 117 Cost., là dove si traduce nel passaggio a sorpresa e dunque non prevedibile –

ad

da una sanzione patteggiata ‘senza assaggio di pena' ad una sanzione con necessaria incarcerazione, giusta il già rilevato operare del combinato disposto dell'art. 656 comma 9, lett. a c.p.p. e art. 4-bis ord. pen.”. I giudici di legittimità, dunque, hanno sviluppato il riferimento alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e alla relativa connotazione sostanzialistica assunta dai concetti di illecito penale e di pena dovendosi preferire, all'etichetta assegnata, la concreta valutazione in ordine al tipo, alla durata, agli effetti, nonché alle modalità di esecuzione della sanzione o della misura imposta. La pronuncia sembra spianare la strada ad un auspicabile revirement giurisprudenziale da parte sia dei giudici di merito, sia della stessa Suprema Corte.

In proposito occorre segnalare una recente sentenza della Prima Sezione della Cassazione (Cass. pen., Sez. I, 18 giugno 2019) la quale, collegandosi in linea di massima con l'orientamento interpretativo formalistico, ma richiamando la pronuncia di legittimità sopra citata n. 12541 del 2019, ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 27 Cost., dell'art. 1, comma 6, lett. b) della l. n. 3 del 2019, nella parte in cui inserisce nell'art. 4-bis, comma 1, ord. pen. il riferimento al delitto di peculato di cui all'art. 314 c.p. La deliberazione, assunta sulle conclusioni difformi del Procuratore genarale presso la Corte di Cassazione evidenzia il contrasto della disposizione di diritto penitenziario come novellata nel 2019 con il principio di ragionevolezza, nonché il rischio di un concreto pregiudizio al principio di individualizzazione della pena e del finalismo rieducativo della stessa garantiti dalla Carta fondamentale.

Ancora, merita particolare menzione, in quanto manifesto ideologico dell'interpretazione sostanzialistica un'ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Venezia (Trib. di Sorv. di Venezia, ord. 8 aprile 2019) che, adottando come premessa concettuale l'interpretazione della Corte di Cassazione dianzi citata, si allinea all'approccio antiformalistico e solleva incidente di costituzionalità (con riferimento agli artt. 3, 25 comma 2, 27 comma 3, 117Cost., art. 7 Cedu), in buona misura contrapponendo la retroattività del novellato art. 4-bisord. pen. al principio di affidamento (tutelato dal principio di irretroattività): il condannato, si afferma, non poteva prevedere il mutamento normativo che ha modificato in senso sostanziale il quadro giuridico normativo conoscibile nel momento in cui ha deciso di delinquere. In ultimo si rammenta un'ordinanza con cui il Tribunale di Brindisi (Trib. Brindisi, ord. 30 aprile 2019) ha sollevato questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 24 e 25 comma 2, 117 comma 1 Cost., 7 Cedu con riferimento all'art. 1, comma 6, lett. b) della l. n. 3 del 2019 nella parte in cui, modificando l'art. 4-bis ord. pen., richiamato dall'art. 656 comma 9 lett. a c.p.p., si applica anche al delitto di cui all'art. 314 c.p. commesso anteriormente all'entrata in vigore della medesima legge.

Osservazioni

A fronte di inevitabili perplessità in ordine alla tenuta del sistema giustizia penale, dalle considerazioni svolte emerge il quadro delle possibili soluzioni al problema del regime temporale del nuovo art. 4-bis ord. pen. in riferimento alla inclusione dei reati contro la P.A.

Come accennato, si profilano due differenti soluzioni ossia l'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata oppure la rimessione della questione di legittimità alla Consulta. In un tempo in cui per più motivi, non del tutto condivisibili, la regola è significativamente erosa dall'eccezione, per un verso appare preferibile l'intervento della Corte costituzionale per ribadire i principi della Carta fondamentale e degli atti sovranazionali ai quali va ricondotta la materia; ma vi è il rischio di una pronuncia di inammissibilità per omesso tentativo di interpretazione costituzionalmente conforme.

Per altro verso, la soluzione interpretativa, che appare la più rapida, sarebbe auspicabile in quanto indicativa di un'interiorizzazione dei principi da parte degli operatori del diritto; ma tale operazione può essere ostacolata dalla non uniformità dell'orientamento giurisprudenziale che rifiuta la tesi formalistica.

Certo l'unica conclusione ammissibile in una prospettiva garantistica è la irretroattività delle modifiche normative peggiorative: anzi, rispetto all'afflittività del novum legislativo, appare sterile anche la distinzione fra natura processuale o sostanziale delle disposizioni sull'esecuzione della pena.

A ben vedere, peraltro, entrambe le soluzioni sono riconducibili al principio di legalità penale che, nelle fonti sovranazionali, è collocato tra i diritti fondamentali della persona ed è inteso come il diritto dell'uomo di orientare le proprie scelte comportamentali conoscendo preventivamente sia il disvalore associato dall'ordinamento giuridico ad una determinata infrazione, sia le conseguenze sanzionatorie. Insomma, il profilo più originale della legalità penale europea elaborato dalla Corte di Strasburgo attiene al concetto di legalità come prevedibilità del diritto e della pena.

Tale riflessione si colloca in una visione postmoderna del diritto caratterizzata dalla decostruzione dell'ordine precedente, legato ad una visione statica del diritto, e dalla consapevolezza del diritto dinamico inteso come il prodotto dell'interazione di norme nazionali, sovranazionali, legislative e giurisprudenziali. In altri termini, le norme nazionali codicistiche, nelle quali trova inveramento la modernità giuridica, esprimono regole fondate sul modello della fattispecie, ma devono confrontarsi con il diritto europeo: è la razionalità pratica che governa i moduli postmoderni, in termini di ragionevolezza, bilanciamento tra valori, equità e proporzione.

In ultima analisi, in materia di giustizia penale occorre un mutamento di prospettiva: il valore della legalità sostanziale dovrebbe collocarsi più nella dimensione della determinatezza, conoscibilità e prevedibilità, che non della riserva di legge; le garanzie processuali dovrebbero essere rapportate alla situazione concreta, rifiutando una logica rigidamente formalistica.

In altri termini, vengono in evidenza taluni profili che delineano la fisionomia della legalità europea: la garanzia della legalità- prevedibilità che deve essere estesa al diritto giurisprudenziale vivente; la legalità-prevedibilità che costituisce un diritto dell'uomo.

Ebbene, gli strumenti per salvaguardare tali valori sono individuabili nell'autoassunzione di responsabilità dei giudici, in modo che le eventuali regole interpretative (ossia un'interpretazione conforme alla Cedu e alla Costituzione) contribuiscano a conferire maggiore certezza e prevedibilità al trattamento sanzionatorio, oppure nell'intervento della Corte costituzionale, ormai invocato frequentemente da giudici di merito e dalla stessa Suprema Corte, al fine di censurare quella norma di diritto vivente caratterizzata da incertezza applicativa.

Guida all'approfondimento

BACCARI,Le modifiche della legge “anticorruzione” in materia di ordinamento penitenziario, in Aa. Vv. La cd. legge anticorruzione. Croniche innovazioni tra diritto e processo penale, Bari, 2019, in corso di pubblicazione, 57 ss.;

BARON, “Spazzacorrotti”, art. 4-bis ord. pen. e regime intertemporale, in Dir. pen. cont., 5, 2019, 154;

CHELO, Le modifiche in materia di esecuzione della pena, in Dir. pen. proc., 5, 2019, 626

FELICIONI, Reati contro la P.A. e accesso ai benefici penitenziari: i fermenti “riformatori” della giurisprudenza, in Dir. pen. proc., 7, 2019, 910;

KOSTORIS, Presentazione. Un diritto postmoderno, in Id. (a cura di), Percorsi giuridici della postmodernità, Bologna, 2016;

MANES, L'estensione dell'art. 4-bis ord. pen. ai delitti contro la P.A.: profili di legittimità costituzionale, in Dir. pen. cont., 2, 2019, 105;

MAZZA, La carcerazione immediata dei corrotti: una forzatura di diritto intertemporale nel silenzio complice del legislatore, in Arch. pen., 2, 2019;

NACAR, Legalità della pena e poteri del giudice dell'esecuzione, Padova, 2017;

PALAZZO, Il volto del sistema penale e le riforme in atto, in Dir. pen. proc., 1, 2019, 10;

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