L’autoriciclaggio sussiste in caso di spese di gestione sostenute per il reinvestimento dei proventi illeciti del reato presupposto

Marzia Minutillo Turtur
17 Ottobre 2019

La decisione in commento affronta diverse questioni. La prima è quella relativa alla sussistenza del fumus del reato di auto riciclaggio. Su questo punto la Corte ha chiarito, con motivazione sintetica e chiara, che era stato evidenziato già nell'imputazione come il provento...
Massima

Ricorre il delitto di autoriciclaggio anche nel caso in cui vengano sostenute spese di gestione di una società al fine di realizzare concretamente il reinvestimento dei proventi illeciti del reato presupposto (nel caso di specie truffe), poiché le spese di gestione sono funzionali alla generazione di ulteriore profitto, derivante dal reimpiego del provento del reato presupposto.

Il caso

Il Tribunale di Milano, in sede di riesame di misure cautelari, confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari quanto ai reati di truffa aggravata, autoriciclaggio e per il reato di cui agli art. 56 e 2635 c.c.

Il sequestro, oggetto del provvedimento impugnato dal ricorrente in cassazione, è relativo al profitto del reato di autoriciclaggio e al prezzo del reato di cui all'art.2635 c.c.

Il caso concreto concerne la vendita di diamanti a prezzi maggiorati rispetto al loro valore di mercato, realizzata da una società con la collaborazione di funzionari di banca che indirizzavano all'acquisto numerosi clienti delle banche stesse, inducendoli in concreto all'acquisto e fornendo ai clienti false informazioni sul valore dei diamanti e sulle modalità dell'investimento.

I diamanti in concreto sarebbero stati consegnati dalla società alle banche, sulla base di accordi precedentemente intercorsi con le stesse. La società corrispondeva alle banche un corrispettivo per l'aver indirizzato all'acquisto i clienti degli istituti bancari al fine dell'acquisto delle pietre preziose.

Parte del profitto della truffa posta in essere con la collaborazione dei funzionari delle banche veniva impiegato dal ricorrente nell'attività finanziaria della società, che aveva tra l'altro acquistato altre pietre preziose da società estere.

Il ricorrente ha sostenuto la violazione dell'art. 648-ter.1 c.p., in assenza del fumus del reato di riciclaggio, non ricorrendo alcun reale ostacolo concreto all'identificazione della provenienza delittuosa del bene oggetto di reimpiego.

Secondo la prospettiva difensiva l'attività imprenditoriale in cui verrebbero investiti i profitti illeciti coinciderebbe esattamente con quella che, in altro capo di imputazione, viene contestata proprio in relazione al reato presupposto.

Tra l'altro l'attività di acquisto dei diamanti era secondo la difesa del tutto tracciabile perché inserita nei bilanci della società.

Inoltre si sottolineava come ricorresse una aperta violazione di legge nella determinazione del profitto del reato di autoriciclaggio, perché esaminando i dati del conto economico di bilancio, non sarebbero state considerate alcune voci relative a “costi sostenuti per servizi ed altre voci passive, idonee ad alterare i conteggi” effettuati dalla GdF in ordine all'entità del profitto del reato di autoriciclaggio, mentre tali costi avrebbero dovuto essere considerati come utilizzazione o godimento personale ai sensi dell'art. 648-ter.1, comma 4, c.p.

La questione e le soluzioni giuridiche

La decisione in commento affronta diverse questioni.

La prima è quella relativa alla sussistenza del fumus del reato di auto riciclaggio. Su questo punto la Corte ha chiarito, con motivazione sintetica e chiara, che era stato evidenziato già nell'imputazione come il provento delle truffe perpetrate nel 2014 fosse stato reinvestito dalla società nel 2015, ed anche che il provento delle truffe del 2015 era stato reinvestito nel 2015. Da ciò consegue, secondo la Corte, che non ricorre alcuna duplicazione della condotta incriminata, né tanto meno una violazione del principio del ne bis in idem sostanziale, quanto piuttosto una “normale concatenazione temporale in successione tra la commissione del reato presupposto di truffa e l'ottenimento di un profitto da tale reato, con successiva commissione del reato di autoriciclaggio mediante il reimpiego di questo profitto derivante da truffa proprio nella stessa attività imprenditoriale, profitto impiegato appunto nel riacquisto di altri diamanti, diversi da quelli già venduti per una loro successiva rivendita”.

La seconda questione è quella relativa al poter ritenere del tutto tracciabili le operazioni di acquisto dei diamanti con il profitto del reato di truffa.

Tale circostanza, secondo la Corte non rappresenta un elemento idoneo ad escludere la sussistenza del reato di autoriciclaggio, mentre ricorre, ciò nonostante, l'idoneità del reimpiego ad ostacolare concretamente l'identificazione della provenienza delittuosa.

Su questo punto la Corte ha ritenuto corretta la decisione del Tribunale di Milano che, richiamando costante giurisprudenza di legittimità, ha sostenuto che integra il delitto di autoriciclaggio il compimento di condotte volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l'accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, e ciò anche attraverso operazioni che risultino tracciabili, in quanto l'accertamento o l'astratta individuabilità dell'origine delittuosa del bene non costituiscono l'evento del reato.

In tal senso si sottolinea come le valutazioni relative alla ricorrenza o meno dei requisiti caratteristici dell'autoriciclaggio devono essere orientate da un criterio ex ante, poiché si ritiene persino ovvio che nel momento in cui, in qualunque contesto di indagine, sia identificata un'operazione finanziaria o imprenditoriale sospetta, sia abbia una “riemersione dell'attività di occultamento, senza che ciò possa escludere, a posteriori, il requisito della concretezza, a meno di non voler ritenere che l'art. 648-ter.1 c.p. prefiguri un'incriminazione impossibile”.

Deve dunque essere condivisa a parere della Corte l'osservazione del Tribunale di Milano secondo il quale l'ostacolo all'identificazione si deve caratterizzare per la sua natura di ostacolo “in concreto”.

L'insieme delle attività riscontrate, l'acquisto di diamanti da società estere con il profitto del reato di truffa ha certamente reso complessa la ricostruzione dei flussi finanziari con confusione del patrimonio lecito di queste con quello illecito, e trasformazione della res illecita (il denaro) in diamanti con reimmissione degli stessi nel circuito imprenditoriale riferibile alla società per la quale prestava la sua attività il ricorrente.

La terza questione posta è poi quella relativa alla considerazione di simili operazioni (reimpiego del provento di truffa per attività della società) come mera utilizzazione o godimento personale del profitto del reato, così da poter scriminare la condotta ex art. 648 – ter .1, comma quarto, c.p.

La Corte esclude in modo reciso tale possibilità, sottolineando che può andare esente da responsabilità, rispetto al reato di autoriciclaggio, solo chi utilizzi o goda dei proventi del reato presupposto in modo diretto e senza che compia alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa. Circostanza non ricorrente nel caso esaminato, poiché la descrizione della condotta aveva senz'altro evidenziato una movimentazione dei proventi del reato di truffa, così che era impossibile poter ritenere che gli stessi fossero di fatto cristallizzati e riferibili ad un mero godimento personale, rimanendo nella esclusiva disponibilità dell'agente del reato presupposto, con conseguente mancata reimmissione nel circuito legale economico.

Non vi è dubbio per la Corte circa la portata dinamica della condotta posta in essere dal ricorrente, considerato che il provento della truffa aveva di fatto reso ancora più proficua l'attività della società e oggettivamente reimmesso nel circuito legale i proventi grazie all'acquisto, difficilmente tracciabile, di altri diamanti acquistati da società estere.

Nell'ambito di tale questione la Corte evidenzia poi un principio caratterizzato da assoluta novità in tema di auto riciclaggio, chiarendo che le spese di gestione della società non possono essere considerate come destinate alla mera utilizzazione o godimento personale, e quindi non possono essere escluse ex art. 648 – ter .1., comma quarto, c.p., dal puro reinvestimento di cui al primo comma.

Afferma la Corte che: “anche le spese di gestione sostenute per il reinvestimento dei proventi illeciti del reato presupposto sono funzionali alla generazione di ulteriore profitto (derivante dal reimpiego del provento del reato presupposto) e, quindi, vanno calcolate nell'attività di impiego, sostituzione trasferimento in attività, economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative”.

Osservazioni

È di particolare interesse il principio di diritto affermato dalla Corte nel chiarire in modo sempre più puntuale i confini della condotta di autoriciclaggio e i ristretti limiti in cui l'utilizzo del provento del reato possa essere scriminato ai sensi dell'art. 648 - ter .1., comma quarto c.p., con particolare riferimento al caso in esame caratterizzato dal reimpiego in attività societarie riferibili all'autore del reato presupposto, a seguito di una serie di articolate truffe.

In tal senso deve essere ricordato che la disciplina dell'autoriciclaggio trova la propria origine nell'art. 3, comma 3, della l. n. 186 del 2014.

In precedenza, si era a lungo discusso della rilevanza del c.d. privilegio di autoriciclaggio, che determinava la sostanziale impunità dell'autore del delitto presupposto nel caso in cui proprio tale soggetto si applicasse nel reimpiegare, sostituire o trasferire il denaro i beni o le altre utilità provenienti dal delitto dallo stesso commesso. Le Convenzioni di Strasburgo e di Varsavia in realtà non imponevano alcun obbligo al fine della introduzione di questo delitto, tuttavia le sollecitazioni emergenti erano molte in considerazione della necessità di colmare un vuoto di disciplina che poteva sia indebolire la legislazione anticorruzione, che lasciare sostanzialmente impunite una serie di condotte molto incidenti sull'ordine economico nel garantire un'effettiva libertà di concorrenza (in tal senso il Rapporto sull'Italia del 2011 dell'OCSE e il Fmi sempre nel rapporto sull'Italia in epoca precente, anno 2006). L'incidenza di una disciplina volta ad arginare l'afflusso di capitali «sporchi» nell'ambito dell'economia legale era dunque fortemente sentita sia a livello internazionale che interno, tenuto conto della portata endemica del fenomeno corruttivo nel nostro paese, oltre che della diffusività delle associazioni a delinquere di stampo mafioso con le loro più svariate articolazioni, anche economiche. E d'altra parte la rilevanza per il legislatore italiano delle condotte di reimpiego, sostituzione o trasferimento del denaro proveniente dal reato presupposto era già emersa nella previsione dell'art. 12 quinquies del d.l. n. 306 del 1992, definito come autoriciclaggio improprio. Un chiarimento univoco in tale senso emerge dalla decisione delle Sez. U, n.25191 del 27/02/2014, Iavarazzo, Rv. 259950, secondo la quale è configurabile il reato di cui all di cui all'art. 12 quinquies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. in legge 7 agosto 1992, n. 356 in capo all'autore del delitto presupposto, il quale attribuisca fittiziamente ad altri la titolarità o la disponibilità di denaro, beni o altre utilità, di cui rimanga effettivamente "dominus", al fine di agevolare una successiva circolazione nel tessuto finanziario, economico e produttivo, poiché la disposizione di cui all'art. 12 quinquies citato consente di perseguire anche i fatti di "auto" ricettazione, riciclaggio o reimpiego.

La giurisprudenza aveva infatti già affermato che la previsione aveva la finalità di sanzionare, sotto il profilo dell'elemento oggettivo, tutte quelle condotte che realizzino di fatto una situazione di apparenza, nelle modalità più disparate, con la separazione tra colui o coloro che hanno la titolarità effettiva del denaro o di altre utilità e coloro che, in base ad una fittizia attribuzione, ne risultano formalmente titolari o disponenti. (Cass. Sez. VI, n. 15140 del 12 aprile 2012, Magiaracina, Rv. 252610).

Rientrano in questa disciplina tutte quelle situazioni che determinano un rapporto di signoria e padronanza sul bene da parte dell'autore del reato presupposto, nonostante l'apparente trasferimento ad altri soggetti, al fine ovviamente di eludere le disposizioni in materia di prevenzione a carattere patrimoniale o nell'agevolare la commissione dei reati di cui agli art. 648, 648 – bis o ter c.p. Il trasferimento fraudolento è stato disciplinato quale reato a forma libera, con l'effetto evidente di limitare l'autonomia privata delle parti nella realizzazione di negozi giuridici altrimenti leciti per arginare scopi illeciti.

Tale previsione non contiene alcuna clausola di esclusione della responsabilità per l'autore dei reati presupposto che hanno prodotto proventi illeciti, individuando ben prima della legge del 2014 la ricorrenza di un'ipotesi tipica di autoriciclaggio, considerata la diretta partecipazione dell'autore del reato al trasferimento fraudolento di valori.

In senso sostanzialmente analogo, e dunque all'evidente fine di arginare fenomeni di autoriciclaggio, è sempre stata letta anche la previsione di cui all'art. 11, comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000, che punisce l'attività di simulata alienazione di beni o la realizzazione di altri atti fraudolenti allo scopo di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi. È in questo contesto che viene dunque introdotta la previsione dell'art. 648-ter.1 c.p. che richiama nella sua formulazione la medesima terminologia della disciplina in tema di riciclaggio e reimpiego, prevedendo la sanzione penale per chi, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione del delitto presupposto, in modo da ostacolarne concretamente l'identificazione della provenienza delittuosa.

Anche per l'autoriciclaggio, come per il riciclaggio in generale, si è riproposta la riflessione in tema di bene giuridico tutelato ed anche in questo caso si tende a ritenere la ricorrenza di plurioffensività della condotta, sia per quanto riguarda l'amministrazione della giustizia, che per quanto concerne la tutela dell'ordine economico e del risparmio. Quello che sembra caratterizzare in modo più incisivo questa previsione è la volontà del legislatore di garantire il rapporto fiducia quanto al sistema economico e di risparmio complessivamente considerato.

Proprio la terminologia utilizzata sembra indicativa della volontà del legislatore di configurare tale delitto come di pericolo in concreto, tanto che l'attività deve risultare idonea “concretamente” ad ostacolare l'identificazione della provenienza illecita di beni, il cui confluire nell'ambito del complessivo ordine economico rappresenta una forma oggettiva di alterazione del mercato e della libera concorrenza. Il reato di caratterizza quale reato “proprio”, considerata l'identificazione del soggetto attivo con colui che ha commesso o concorso a commettere un delitto non colposo. Il reato presupposto si deve necessariamente riferire a condotte che possano effettivamente produrre un provento da ripulire, sicchè la previsione generalizzata dei reati presupposto può essere, tenuto conto di ciò, letta restrittivamente. Il tema dell'autoriciclaggio ha sempre sollevato critiche relative alla possibile ricorrenza di un bis in idem nei confronti del soggetto autore del reato presupposto, con conseguente violazione del principio di tassatività e certezza del diritto penale.

La condotta si caratterizza per la ricorrenza di un ampliamento rispetto al riciclaggio, essendo stata aggiunta come attività rilevante anche quella imprenditoriale e speculativa. L'interpretazione maggioritaria circa la portata di tali attività tende a circoscriverne la portata nel senso di riferire l'attività speculativa, volta a realizzare il maggior guadagno possibile dall'impiego del provento del reato presupposto, in un'attività ad alto rischio, ma pur sempre afferente ad attività commerciali o finanziarie.

L'ostacolo concreto che deve essere realizzato, e questo è un punto estremamente rilevante rispetto alla decisione in commento, al fine di poter impedire la ricostruzione della provenienza illecita del bene può caratterizzarsi in modo più o meno ampio, quale mero allontanamento della somma provento di reato dal patrimonio originario, oppure con una caratterizzazione della condotta in senso più attiva ed incisiva, mediante più articolate attività di occultamento, anche contabile, o con schermature societarie. L'ostacolo all'identificazione dovrebbe essere considerato come un requisito caratteristico della condotta e non come evento del reato, per cui sembra possibile poter ipotizzare per l'autoriciclaggio la non necessità di un effetto dissimulatorio della condotta. Il delitto dunque, per come configurato, presenta due limiti che ne definiscono portata e ambito: da una parte l'effettivo ostacolo all'identificazione della provenienza delittuosa, dall'altra la previsione d'irrilevanza penale della condotta, ai sensi del quarto comma dell'art. 648 ter 1 c.p. nel caso in cui i beni provento del reato presupposto siano determinati al godimento personale. Anche quanto all'elemento soggettivo l'autoriciclaggio si presenta coerente con la previsione in tema di riciclaggio, essendo richiesto il dolo generico, che appunto si caratterizza quale consapevolezza circa la realizzazione del delitto non colposo presupposto e la volontà di impiegarne i proventi nella attività economiche, speculative e imprenditoriali al fine di ostacolarne l'identificazione.

Tornando alla decisione in commento, deve essere rilevata un'applicazione rigorosa da parte della Corte dei principi in tema di autoriciclaggio; difatti la Corte ha in concreto rilevato come, nonostante la tracciabilità di alcune operazioni, il complesso di attività societarie, poste in essere ad esito delle truffe realizzate con la collaborazione di funzionari bancari, rappresentano senza alcun dubbio una condotta idonea ad ostacolare non solo in modo definitivo, ma anche a rendere più difficile l'accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità.

E in tale ambito afferma un principio assai rilevante, richiamato in una precedente decisione della stessa sezione (Cass. pen.,Sez. II, 18 luglio 2017, n. 40890), che indica al giudice di merito come debba essere accertata e valutata l'effettiva idoneità dell'occultamento del provento del reato: tale accertamento richiede l'applicazione di un criterio ex ante, al fine di considerare nella sua reale portata un'operazione finanziaria o imprenditoriale sospetta, che riemerga solo grazie ad una approfondita attività di indagine.

Il fatto che tale attività di indagine sia stata proficua non può far ritenere ex post tracciabile la condotta. E il caso concreto lo dimostra, considerato che le indagini sembrano aver riguardato una serie di verifiche relative ad acquisti di materiali preziosi effettuati all'estero (con complessa ricostruzione dei flussi finanziari posti in essere).

Ricorre effettivamente, secondo la prospettazione della Corte, la concretezza dell'ostacolo all'identificazione della provenienza del denaro poi riutilizzato in attività societarie varie dal ricorrente.

A questo profilo si collega il principio affermato per la prima volta secondo il quale l'attività di reimpiego del provento del reato presupposto è rilevante anche nel caso in cui il provento del reato presupposto sia stato reinvestito per spese di gestione della società.

La base dell'orientamento ermeneutico della Corte è rappresentato dalla particolare dinamicità e fruttuosità di una attività del genere, che determina proprio per le sue caratteristiche il possibile generarsi di ulteriore profitto, derivante dal reimpiego del provento del reato presupposto.

Deve dunque essere considerata la strumentalità della destinazione delle spese di gestione della società alla creazione di ulteriore profitto, chiaramente finanziata dall'esito delle truffe precedentemente poste in essere; il che è del tutto incompatibile con la scriminante di cui al comma quarto dell'art. 648-ter.1 c.p., che richiede appunto che il provento del reato sia utilizzato solo ed esclusivamente per beni strettamente personali.

L'utilizzo del provento del reato anche per le spese di gestione dell'attività societaria del ricorrente, che proprio grazie a tale attività può proseguire ed accrescersi, non può dunque rientrare nell'ambito del comma quarto, proprio per la sua natura dinamica, che rientra in una attività a carattere certamente imprenditoriale, altamente speculativa alimentata dalla commistione di redditi leciti e illeciti nel complessivo patrimonio del ricorrente, che è proprio la finalità che la previsione normativa tende a realizzare a tutela di un corretto andamento dell'attività economica del paese, che sia effettivamente rispondente a canoni di correttezza e trasparenza.

La decisione si allinea dunque al principio espresso anche di recente dalla stessa Cass. pen., Sez. II, 7 marzo 2019, n. 13795, secondo la quale in tema di autoriciclaggio, l'ipotesi di non punibilità di cui all'art. 648-ter.1, comma quarto, c.p. è integrata soltanto nel caso in cui l'agente utilizzi o goda dei beni provento del delitto presupposto in modo diretto e senza compiere su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa, così come da Sez. II, 5 marzo 2019, n. 16908 secondo la quale in tema di autoriciclaggio, l'intervenuta tracciabilità, per effetto delle attività di indagine poste in essere dopo la consumazione del reato, delle operazioni di trasferimento delle utilità provenienti dal delitto presupposto non esclude l'idoneità ex ante della condotta ad ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa. (Fattispecie di trasferimento di ingenti somme di denaro tramite bonifici in favore di una costellazione di società estere che, a loro volta, effettuavano nuove operazioni di trasferimento a soggetti fisici e giuridici riconducibili all'indagato). Può dunque ritenersi condiviso dalla giurisprudenza il principio di diritto per come affermato, nel caso di specie, relativo al necessario riscontro di un utilizzo in modo diretto del bene per poter accedere alla scriminante e alla necessaria attività di valutazione della condotta da parte del giudice mediante l'applicazione di un criterio di idoneità ex ante della condotta concretamente posta in essere per ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa delle utilità derivanti dal reato presupposto.

Guida all'approfondimento

In tema di riciclaggio e autoriciclaggio:

Cass. pen., Sez. V, 17 aprile 2018, n. 21295

Cass. pen., Sez. II, 9 ottobre 2014, n. 43881

Cass. pen., Sez. II, 16 novembre 2012, n. 3397

Cass. pen., Sez. III, 29 ottobre2014, n. 3414

Cass. pen., Sez. VI, 3ottobre 2013, n. 13085

Cass. pen., Sez. II, 7 novembre 2011, n. 546

Cass. pen. , Sez. II, 23 giugno 2016, n. n. 29869

Cass. pen. , Sez. II, 11 maggio 2017, n. 30265

Cass. pen., Sez. II, 9 ottobre 2014, n. 42881

Cass. pen., Sez. II, 16 novembre 2016, n. 1857

Cass. pen., Sez. II, 24 ottobre 2013, n. 47147

Cass. pen., Sez. II, 21 aprile 2016, n. 18965

Cass. pen., Sez. II, 21 settembre 2016, n. 46319

Cass. pen., Sez. II, 17 novembre 2017, n. 52549

Cass. pen., Sez. II, 9 febbraio 2017, n. 10060

Cass. pen., Sez. VI, 12 aprile 2012, n. 15240

Cass. pen., Sez. II, 5 ottobre 2011, n. 39756

Cass. pen., Sez. II, 10 gennaio 2018, n. 17235

Cass. pen., Sez. II, 7 giugno 2018, n. 30401

Cass. pen., Sez. II, 14 luglio 2016, n. 33074

Cass. pen., Sez. II, 12 gennaio 2017, n. 3935

Cass. pen., Sez. II, 18 luglio 2017, n. 40890

Cass. pen., Sez. II, 5 marzo 2019, n. 16908

Cass. pen., Sez. II, 7 marzo 2019, n. 13795

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