Gratuito patrocinio: il revirement della Consulta sulle modalità di recupero del compenso degli ausiliari del giudice

21 Ottobre 2019

La Corte era chiamata a valutare nuovamente se fosse conforme alla Carta costituzionale l'art. 131, comma 3, d.P.R. 115/2002, che, prima del suo intervento, definiva le modalità di recupero del compenso liquidato agli ausiliari del giudice e al consulente di parte nei processi con parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
Massima

È fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 131, comma 3, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante: «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», nella parte in cui prevede che gli onorari e le indennità dovuti ai soggetti ivi indicati siano «prenotati a debito, a domanda», «se non è possibile la ripetizione», anziché direttamente anticipati dall'erario.

Il caso

Due coniugi, uno dei quali era stato preventivamente ammesso al patrocinio a spese dello Stato, promuovono davanti al tribunale di Roma un procedimento ex art. 696-bis c.p.c. nei confronti di una struttura sanitaria che assumono responsabile di malpractice ai danni del loro figlio minore d'età.

Il giudice nomina i CTU (un medico legale e uno specialista), formula i quesiti, liquida un acconto/fondo spese in loro favore, che pone a carico del ricorrente abbiente, e fissa l'udienza per il conferimento dell'incarico.

A tale udienza il difensore dei ricorrenti dichiara che quello che non aveva chiesto l'ammissione al beneficio erariale non era “in grado di versare alcuna somma ai consulenti” (così testualmente nella ordinanza di rimessione del 21 giugno 2018).

Il giudice, sul presupposto che, a fronte di tale situazione, dovesse trovare applicazione l'art. 131, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, con la conseguenza che i consulenti avrebbero dovuto richiedere la prenotazione a debito del loro compenso, solleva questione di legittimità costituzionale di tale norma.

Essa, secondo il remittente, viola tra gli altri parametri, l'art. 3 Cost., in quanto irragionevolmente, nel caso in cui una parte sia stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato e non vi siano altri soggetti sui quali possa farsi gravare il pagamento degli onorari dovuti, non garantirebbe all'ausiliario del giudice un compenso per la prestazione svolta.

La questione

La Corte era chiamata a valutare nuovamente se fosse conforme alla Carta costituzionale l'art. 131, comma 3, d.P.R. 115/2002, che, prima del suo intervento, definiva le modalità di recupero del compenso liquidato agli ausiliari del giudice e al consulente di parte nei processi con parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

Tale norma stabiliva che: «gli onorari dovuti al consulente tecnico di parte e all'ausiliario del magistrato sono prenotati a debito, a domanda, anche nel caso di transazione della lite, se non è possibile la ripetizione dalla parte a carico della quale sono poste le spese processuali, o dalla stessa parte ammessa, per vittoria della causa o per revoca dell'ammissione».

Essa comportava quindi che il CTU potesse ottenere la prenotazione a debito (definita dall'art. 3, comma 1, lett. s) del medesimo d.P.R. come «l'annotazione a futura memoria di una voce di spesa, per la quale non vi è pagamento, ai fini dell'eventuale successivo recupero») dell'importo liquidatogli a titolo di compenso, solo dopo aver tentato la sua ripetizione indifferentemente dalla parte non abbiente, a condizione che fosse stata vittoriosa nel giudizio o che avesse subito la revoca del beneficio, o da quella abbiente, nel caso di soccombenza di questa.

È opportuno rammentare che la previsione ricalcava l'art.11, n. 3) del R.d. 30 dicembre 1923, n. 3282 (Approvazione del testo di legge sul gratuito patrocinio, per i procedimenti civili), anche se, va evidenziato che, nel sistema processuale allora vigente (codice di rito approvato con R.d. 25 giugno 1865, n. 2366), la regola era che il perito o i periti fossero concordemente nominati dalle parti, e vi dovesse provvedere il giudice solo quando esse non si fossero in proposito accordate (art. 253).

A ben vedere, come viene precisato nella relazione al d.P.R. 115/2002, rispetto al R.d. del 1923, la disciplina incorporata nel testo unico era uguale per le spese di CTU e diversa per gli onorari, perché, mentre prima questi erano prenotati a debito nell'eventualità che il CTU non avesse optato per il recupero nei confronti del condannato non ammesso e dell'ammesso, in caso di vittoria della causa o di perdita dello stato di povertà, con il t.u. il consulente tecnico poteva agire direttamente e, solo se non recuperava, chiede l'annotazione a debito.

Le soluzioni giuridiche

La Corte costituzionale in passato era già stata ripetutamente investita della questione se la norma sopra citata determinasse la sostanziale gratuità dell'incarico dell'ausiliare del giudice, con conseguente violazione dell'art. 36 Cost., e se prevedesse un trattamento più sfavorevole rispetto a quello riservato all'avvocato, sempre nel processo civile, per il quale è previsto il sistema della anticipazione a carico dello Stato, ma aveva escluso tale possibilità sulla base di una duplice considerazione.

Nelle precedenti occasioni il giudice delle leggi aveva osservato, da un lato, che «il procedimento di liquidazione previsto dall'art.131 del d.P.R. n. 115/2002, (…) consente al consulente tecnico d'ufficio, mediante il rimedio residuale della prenotazione a debito, di ottenere il pagamento delle somme a lui dovute» e, dall'altro, che non era ravvisabile nessuna disparità di trattamento rispetto ai differenti modi di liquidazione dei compensi previsti per gli altri professionisti che intervengono nei procedimenti civili o penali, data la eterogeneità delle figure processuali (sentenza 18 luglio 2008, n. 287; ordinanze 3 novembre 2008, n. 408; 26 giugno 2009, n. 195; n. 203 e n. 88 del 2010 e 6 febbraio 2013, n. 12).

Tali decisioni muovevano dall'indebita assimilazione tra prenotazione a debito e anticipazione, trascurando di considerare che il meccanismo della prenotazione era solo eventuale, perché presupponeva due condizioni, quali il mancato soddisfacimento del credito del CTU e la sua domanda di prenotazione a debito del compenso.

Ciò viene chiarito nella stessa relazione al d.P.R. 115/2002 dove, a proposito della disciplina dell'art. 131, comma 3, Testo unico spese di giustizia, si afferma che: «l'ipotesi della prenotazione a debito successivamente all'infruttuosa escussione da parte del professionista, appare un'ipotesi di scuola piuttosto che una concreta possibilità, ma in tal senso è la norma originaria».

Se si leggono poi le ordinanze di rimessione che avevano dato luogo a quelle pronunce ci si avvede che le questioni di costituzionalità erano state sollevate a fronte della presentazione di istanze di liquidazione da parte dei consulenti tecnici, e quindi quando il procedimento di recupero non era stato ancora attivato, cosicchè era molto dubbia la stessa loro rilevanza.

La Corte, con una sentenza additiva di accoglimento, riconosce invece ora la fondatezza della questione di legittimità costituzionale ripropostale, sotto il profilo del difetto di ragionevolezza, evidenziando, nella parte motiva, l'erroneità del proprio precedente orientamento per aver equiparato l'istituto della «prenotazione a debito» a quello dell'anticipazione degli onorari a carico dello Stato, previsto per il compenso dell'avvocato del non abbiente, sebbene la prima, a differenza di questa, non consista in un pagamento da parte dell'erario.

Il giudice delle leggi ha quindi ritenuto che la norma scrutinata prevedesse un meccanismo, costituito dall'onere dell'ausiliario della previa intimazione di pagamento e dall'eventuale successiva prenotazione a debito del relativo importo, che «impedisce il rispetto della coerenza interna del nuovo sistema normativo incentrato sulla regola dell'assunzione, a carico dello Stato, degli oneri afferenti al patrocinio del non abbiente».

La Consulta con questo intervento è giunta a parificare le modalità di recupero del compenso per ausiliari del giudice e ctp della parte non abbiente a quelle dell'avvocato di quest'ultima.

Osservazioni

L'esame del caso che ha determinato la rimessione alla Consulta induce innanzitutto a ritenere irrilevante la questione che le era stata sottoposta sotto diversi profili, uno dei quali era stato eccepito anche dalla presidenza del consiglio dei ministri ma che la Corte, stranamente, non ha esaminato.

Il giudice remittente si è infatti posto il dubbio di costituzionalità già al momento del conferimento dell'incarico ai CTU e, per di più, sulla base della sola dichiarazione del difensore del ricorrente abbiente circa l'impossibilità di questi di anticipare loro l'acconto.

Ciò è accaduto perché nel decreto di conferimento di incarico e fissazione di udienza egli aveva anche stabilito, in modo invero alquanto irrituale, che il pagamento dell'acconto costituiva «condizione di procedibilità della consulenza tecnica preventiva».

A ben vedere però la questione avrebbe potuto considerarsi rilevante solo se e quando i CTU, terminato l'incarico e ottenuta la liquidazione finale del loro compenso, avessero tentato infruttuosamente di recuperarlo dalla parte onerata, anche solo mediante l'invio di una diffida ad adempiere, che, secondo il Ministero della Giustizia (cfr. circolare DAG.25/01/2006.0009539.U), era rimedio sufficiente ad integrare il presupposto per la prenotazione a debito del corrispondente importo.

È anche vero che in tale fase non vi sarebbe stata una interlocuzione con il giudice, che potesse offrire l'occasione per sollevare la questione di costituzionalità e non si vede nemmeno come tale occasione avrebbe potuto essere creata ad hoc dai soggetti interessati.

Nemmeno una opposizione alla liquidazione sarebbe stata idonea allo scopo perché comunque antecedente al momento del (tentativo di) recupero, richiesto dalla norma per poter richiedere la prenotazione a debito.

Sempre sotto il profilo della rilevanza deve poi osservarsi come la decisione in commento abbia travolto la norma censurata anche nella parte in cui riguardava gli ausiliari del giudice diversi dal CTU ed il CT della parte non abbiente sebbene nel giudizio a quo non si discutesse di liquidazione o recupero di compensi per queste figure.

Va parimenti evidenziato che la pronuncia ha riguardato anche le modalità di recupero dei compensi di CTU che svolgano il loro incarico in un giudizio ordinario anziché, come nel caso che ha dato luogo alla questione, in un atp, sebbene i diversi criteri di regolamentazione delle spese processuali che vigono nell'uno e nell'altro tipo di giudizio incidano sulla problematica in esame.

È noto che nei procedimenti di atp la regolamentazione delle spese avviene non secondo il criterio della soccombenza ma secondo quello dell'anticipazione cosicchè le spese di CTU vanno anticipate dal ricorrente, quale soggetto interessato, salvo restando il successivo regolamento nel giudizio di merito (così il consolidato orientamento della Cassazione: sentenze nn. 12759/1993; 1920/1993; 850/1978; 3129/1971).

Nel caso poi in cui il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato il credito del CTU effettivamente potrebbe rimanere insoddisfatto, tenuto conto che, poichè il giudizio di merito conseguente all'atp è meramente eventuale, può non esservi una regolamentazione delle spese diversa da quella disposta in quella sede.

Con riguardo alla CTU svolta nel corso del giudizio di merito invece la ripartizione tra le parti dell'onere del pagamento del compenso del CTU, cui provveda il giudice anche nel decreto di liquidazione, ha effetto solo nei rapporti tra esse, atteso che nei confronti del CTU tutte le parti sono tenute in solido al pagamento del compenso, come ricorda la stessa Corte costituzionale).

La Suprema Corte, infatti, già con sentenza dell'8 luglio 1996 n. 6199, ha chiarito che: «( …) poiché la prestazione del CTU è effettuata in funzione di un interesse comune delle parti del giudizio nel quale è resa, l'obbligazione nei confronti del consulente per il soddisfacimento del suo credito per il compenso deve gravare su tutte le parti del giudizio in solido tra loro, prescindendo dalla soccombenza; la sussistenza di tale obbligazione solidale, inoltre, è indipendente sia dalla pendenza del giudizio nel quale la prestazione dell'ausiliare è stata effettuata, sia dal procedimento utilizzato dall'ausiliare al fine di ottenere un provvedimento di condanna al pagamento del compenso spettantegli» (il principio è stato successivamente ribadito da: Cass. civ., sez. II, 30 dicembre 2009, n. 28094; Cass. civ., sez. II, 15 settembre 2008, n. 23586; Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 2015, n. 23133).

È evidente, sulla base di tali principii, che il CTU, in virtù del decreto di liquidazione, poteva soddisfare il proprio credito nei confronti di una qualsiasi delle parti, salvo che nei giudizi con parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato perché in questi l'art. 131, comma 3, d.P.R. 115/2002, differiva al termine del giudizio di merito quel momento e stabiliva determinati presupposti perché l'ausiliare potesse rivolgersi alla parte abbiente o a quella non abbiente.

Ad avviso di chi scrive, è questa differenza, dovuta al fatto che la norma, come si è detto, era il retaggio di quella del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282, presupponente un rapporto tra le parti e il CTU diverso da quello esistente nell'attuale sistema processuale, che non risultava giustificata.

La questione peraltro avrebbe potuto porsi solo in sede di opposizione alla iniziativa giudiziale (ordinaria o esecutiva) che il CTU avesse promosso per ottenere il pagamento del proprio compenso prima della fine del giudizio e avrebbe potuto condurre ad una declaratoria di illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non prevedeva la anticipazione a carico dello Stato, qualora il CTU non avesse recuperato quanto dovutogli da una delle parti del giudizio.

Tale soluzione avrebbe conservato la possibilità per il CTU di soddisfare il proprio credito nei confronti delle parti del giudizio, coerentemente alla già evidenziata natura solidale della loro obbligazione verso gli ausiliari del giudice, profilo che non consentiva quella assimilazione al rapporto dell'avvocato con il suo assistito a cui è invece pervenuto il giudice delle leggi.

Assai diverse sono le prospettive che apre ora la pronuncia in commento: gli ausiliari del giudice dovranno necessariamente ricorrere alla anticipazione a carico dello Stato, con i conseguenti consistenti tempi di liquidazione che già conoscono gli avvocati, cosicchè è lecito dubitare che essa risulti per loro concretamente favorevole.

Non è chiaro poi quale regolamentazione delle spese di CTU debba adottare il giudice nel provvedimento conclusivo del giudizio.

A parere dello scrivente sarà necessario che il giudice disponga il pagamento, in favore dello Stato, dell'intero importo riconosciuto al CTU in caso di vittoria della parte non abbiente, ai sensi dell'art. 133 d.P.R. 115/2002, e della metà di esso in caso di soccombenza di tale parte o di compensazione delle spese di lite.

Guida all'approfondimento
  • Scarselli, Il nuovo patrocinio nei processi civili ed amministrativi, Padova 2003;
  • Trocker, L'assistenza giudiziaria ai non abbienti: problemi attuali e prospettive di riforma, in Riv. trim. proc. civ., 1979, 57;
  • Id., Patrocinio gratuito, in Nuovissimo Digesto Italiano, appendice V, Torino, 1995;
  • Vaccari, Patrocinio a spese dello Stato, in www.ilProcessoCivile.it.

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