Morte di un calciatore durante la partita: posizione di garanzia dei medici delle società calcistiche e dei sanitari del 118

Vittorio Nizza
21 Ottobre 2019

La Corte nella sentenza in oggetto analizza tutti i presupposti per la configurabilità della responsabilità in capo al sanitario per lesioni o omicidio colposo nella particolare ipotesi di condotta omissiva. In primo luogo la sussistenza di una posizione di garanzia in capo a tutti e tre i medici intervenuti, in secondo luogo la sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo, infine il nesso di causa
Massima

In tema di reati omissivi colposi, la posizione di garanzia può derivare, oltre che da una fonte normativa, sia di diritto pubblico che di natura privatistica, anche da una situazione di fatto, cioè dalle funzioni tipiche del garante, mediante un comportamento concludente consistente nella presa in carico del bene protetto (fattispecie di affermata sussistenza della posizione di garanzia in capo ai medici sportivi di due squadre di calcio, estranei all'apparato di soccorso presente sul campo e tuttavia intervenuti durante una partita in soccorso di un giocatore colpito da malore, in ragione della materiale instaurazione della relazione terapeutica consistita nel prestare i primi soccorsi ripristinando la pervietà delle vie aeree).

Il caso

Durante una partita di calcio tra il Pescara e il Livorno, un giocatore si accasciava al suolo in stato di incoscienza. Nonostante l'intervento in campo dei medici di entrambe le società sportive, il dott. P e il dott. S, e del responsabile dell'unita mobile di pronto soccorso, il dott. M, e il successivo trasferimento dal calciatore presso l'ospedale, lo stesso decedeva dopo circa un'ora. La causa del decesso veniva individuata in una fibrillazione ventricolare localizzata nel ventricolo sinistro.

I tre medici venivano quindi imputati di omicidio colposo. Secondo la ricostruzione accusatoria, ai due medici delle società sportive era addebitabile una colpa omissiva per non aver utilizzato il defibrillatore automatico presente in campo. Al medico del 118 invece venivano contestati: il ritardo nell'intervento (circa due minuti e 47 secondi dal momento in cui si era verificato il malore), la mancata assunzione della guida dei soccorsi, l'omesso utilizzo del defibrillatore, nonché la scelta di trasportare in ospedale il giocatore nonostante le sue condizioni non fossero ancora stabilizzate.

Tutti e tre i medici venivano condannati in primo e secondo grado e proponevano ricorso per cassazione.

La questione

La Corte nella sentenza in oggetto analizza tutti i presupposti per la configurabilità della responsabilità in capo al sanitario per lesioni o omicidio colposo nella particolare ipotesi di condotta omissiva. In primo luogo la sussistenza di una posizione di garanzia in capo a tutti e tre i medici intervenuti, in secondo luogo la sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo, infine il nesso di causa.

Le soluzioni giuridiche

Nel caso in esame la Corte ripercorre tutti gli elementi rilevanti per la configurabilità del reato di omicidio colposo contestato agli imputati superando in maniera critica le valutazioni operate dai giudici di merito.

Il primo aspetto che viene analizzato riguarda la configurabilità di una posizione di garanzia in capo ai tre imputati. La corte distingue la posizione dei due medici delle società calcistiche rispetto a quella del responsabile del 118.

Secondo la ricostruzione operata dai supremi giudici la posizione di garanzia dei due medici sociali deriva sia dall'attuazione dei precisi doveri deontologici che impongono il dovere di prestare soccorso in caso di urgenza sia dai doveri protettivi assunti quali medici sportivi delle due società in campo. L'intervento immediato sul calciatore, con l'attuazione delle prime manovre di pronto soccorso, determinò l'instaurarsi di una relazione terapeutica con l'atleta e quindi l'assunzione in capo ai medici di una posizione di garanzia ex art. 40 cpv. c.p. La posizione di garanzia dei suddetti imputati non venne meno al sopraggiungere sul campo di altro personale sanitario. “Qualora vi siano più titolari di una posizione di garanzia ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola porzione di garanzia”. I medici sociali, infatti, realizzarono una congiunta attività terapeutica con il personale sopraggiunto continuando a praticare manovre di soccorso sull'atleta. Solo nel momento in cui il calciatore venne caricato sulla barella e allontanato dal campo da gioco poteva ritenersi cessata la relazione protettiva instauratosi tra i medici ed il calciatore.

Diversa, invece, la posizione del responsabile dell'unità 118 presente allo stadio. I giudici sottolineano come sia emerso in fase di istruttoria che al momento dei fatti non era ancora in vigore l'accordo stipulato tra l'ASL Pescara e la Società Pescara Calcio secondo il quale il Servizio di Emergenza Territoriale del 118 avrebbe dovuto garantire l'assistenza non solo al pubblico, ma anche ai giocatori in campo (utilizzato invece nelle motivazioni delle sentenze di merito). All'epoca dei fatti, quindi, l'imputato quale responsabile del servizio del 118 aveva un obbligo di assistenza nei confronti del pubblico, tanto che la sua postazione era in infermeria dalla quale non è visibile il campo da gioco, ed infatti lui intervenne ben due minuti dopo che il giocatore si accasciò a terra. Secondo la Corte – diversamente da quanto opinato in grado di appello - il medico del 118 assunse la posizione di garanzia proprio nel momento in cui raggiunse il giocatore sul campo per prestargli soccorso: solo in quel momento si instaura la relazione terapeutica.

Secondo i supremi giudici, pertanto, sarebbero prive di ogni rilevanza le valutazioni espresse dai giudici di merito in ordine al ritardo nell'intervento dell'imputato sul calciatore, in quanto al momento in cui l'atleta accusò il malore, il sanitario non aveva ancora assunto nei suoi confronti alcuna posizione di garanzia.

Il secondo profilo analizzato riguarda la sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa. Il profilo di colpa contestato agli imputati riguardava l'omessa utilizzazione, nell'immediatezza delle operazioni di soccorso, del defibrillatore, sebbene lo stesso fosse disponibile sul campo da gioco. Secondo le linee guida ritenute applicabili al caso di specie dalla Corte d'Appello il defibrillatore avrebbe dovuto essere utilizzato sia con finalità diagnostica dell'aritmia, sia terapeutica della fibrillazione ventricolare.

Ebbene, evidenziano i supremi giudici come le manovre di primo soccorso poste in essere dai medici sociali siano stato giudicate adeguate e correttamente eseguite. La diagnosi sull'aritmia del calciatore, venne eseguita solo in un momento successivo, presso l'ospedale. Il mancato utilizzo tempestivo del DAE a scopo diagnostico pertanto non poteva essere contestato ai due imputati, che nell'immediatezza dei fatti non erano al corrente, né potevano esserlo della patologia in atto. Inoltre, la sentenza sottolinea come il ragionamento effettuato dai giudice della corte d'Appello sia inconferente rispetto alle risultanze probatorie con riferimento al secondo profilo di colpa, ossia il mancato uso del defibrillatore con finalità terapeutica. Presupposto per tale rimprovero omissivo sarebbe, infatti, stata la prova dell'assenza di battito cardiaco del giocatore sin dai primi minuti dal collasso, requisito essenziale per l'uso del DAE. La mancanza di battito risulterebbe infatti incompatibile con il concreto sviluppo fenomenologico del malore occorso all'atleta, che è sopravvissuto per oltre un'ora dal momento della crisi. Tra l'altro il DAE non venne utilizzato nemmeno durante il tragitto in ambulanza né immediatamente dai medici del Pronto Soccorso. Tale sviluppo renderebbe plausibile un'ipotesi di discontinuità della presenza del battito, circostanza non approfondita però dai giudici di merito.

Sulla base di tali considerazioni, inoltre, non può ritenersi, come invece effettuato dei giudici di merito, che gli imputati non avessero rispettato le linee guida. Dal momento che non era stata accertata la circostanza dell'assenza di battito del calciatore già al momento del collasso sul campo non possono essere ritenute violate le linee guida di riferimento in merito all'uso del DAE o al trasferimento in ospedale. Anzi, la condotta dei medici nell'eseguire le manovre di primo soccorso nell'immediatezza dei fatti fu corretta e conforme alle linee guida.

Concludono pertanto i supremi giudici come non sia stata adeguatamente motivata la sussistenza del parametro oggettivo della colpa.

Le medesime considerazioni vanno svolte con riferimento al profilo soggettivo del rimprovero colposo, dal momento che gli imputati agirono di fatto in cooperazione tra loro. La situazione in campo si svolse in una condizione di concitazione e urgenza, in assenza di coordinamento organizzativo tra i diversi operatori sanitari. In tale situazione, la valutazione della diversa condotta esigibile avrebbe dovuto essere fatta con riferimento alla singola posizione e alle competenze di ciascun imputato. La contestazione infatti individuava un'ipotesi di cooperazione colposa dei medici a vario titolo intervenuti a soccorso del calciatore in campo fino al suo trasferimento in ospedale, tutti i sanitari individuati quali titolari di una autonoma e concorrente posizione di garanzia.

Specifica la corte come occorra, però, analizzare l'esigibilità della condotta per ciascun soggetto: “la rimproverabilità soggettiva per la mancata attuazione della condotta doverosa va compiuta avuto riguardo alla concreta capacità dell'agente di uniformarsi alla regola cautelare in ragione delle sue specifiche qualità personali ed alle mansioni svolte”. Nel caso di specie si è già osservato come in riferimento ai due medici sportivi non sarebbe stata esigibile una condotta diversa non essendo stata raggiunta la prova dell'assenza di battito e la diagnosi dell'aritmia venne poi effettuata solo in un momento successivo in ospedale. Nemmeno può essere condivisa la contestazione mossa al sanitario del 118 di non aver assunto il ruolo di guida e coordinatore dei soccorsi: sottolinea la Corte come nei gradi di merito non sia stato considerata la circostanza per cui all'epoca dei fatti non era ancora entrato in vigore il protocollo stipulato tra l'ASL e lo stadio volto a definire le procedure organizzative e di coordinamento degli operatori responsabili dell'assistenza sanitaria ai calciatori oltre che alle tifoserie.

Sempre con riferimento al profilo della colpa, la Cassazione nel rinviare nuovamente la valutazione del caso alla Corte d'Appello, sottolinea anche come sia necessario procedere ad una valutazione anche in punto di applicabilità di un'esimente, tenendo conto della pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. 8770/2017) in merito alla problematica della successione di leggi nel tempo rispetto alle due esimenti introdotte dalla legge Balduzzi e dalla legge Gelli-Bianco.

L'ultimo aspetto analizzato in sentenza è quello relativo alla sussistenza del nesso causale. La sentenza richiama l'orientamento fatto proprio dalla giurisprudenza a partire dalle Sezioni Unite del 2002 in relazione alla causalità omissiva. Ai fini dell'imputazione causale dell'evento alla condotta doverosa, il giudice deve sviluppare un ragionamento esplicativo, di natura controfattuale, chiarendo che cosa sarebbe accaduto se fosse stato posto in essere il comportamento richiesto all'imputato dall'ordinamento. Il giudizio di certezza sul ruolo salvifico della condotta omessa deve effettuarsi, nell'applicazione della legge di copertura, anche in relazione alla caratterizzazione del fatto storico e deve culminare nel giudizio di “elevata probabilità logica”, non essendo sufficiente il mero coefficiente di probabilità statistica. Nelle fattispecie omissive improprie, quindi, al giudice è richiesta la ricostruzione di decorsi causali ipotetici.

In ambito sanitario, la giurisprudenza ha precisato che occorre valutare non solo se la condotta doverosa, sulla base di una legge scientifica e delle peculiarità del caso concreto, avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, ma anche se avrebbe consentito un maggior tempo di sopravvivenza del malato o una minor intensità lesiva della patologia in atto.

Nel caso di specie, la corte ha sottolineato come sia emerso dall'accertamento autoptico e dalle indagini istologiche che il giocatore era affetto da una cardiomiopatia aritmogena, con interessamento prevalente del ventricolo sinistro. Il decesso era inquadrabile come morte improvvisa cardiaca aritmica e la causa del collasso cardiocircolatorio era da indentificarsi in una fibrillazione ventricolare, insolitamente localizzata nel ventricolo sinistro. Tale patologia ovviamente non era nota agli imputati al momento del loro intervento. Nel corso dell'istruttoria i periti non avevano dato indicazioni certe in merito alle possibilità di sopravvivenza del giovane calciatore anche se fosse stato utilizzato immediatamente il DAE. La defibrillazione elettrica, infatti, porta al ripristino del normale ritmo cardiaco, ma non corregge la causa della patologia né le conseguenze tissutali anossiche.

Secondo i giudici di merito l'uso del defibrillatore avrebbe consentito una favorevole evoluzione del quadro patologico dell'atleta e favorito la gestione della crisi: il giocatore, quindi, a causa del mancato uso immediato del dispositivo avrebbe perso delle chance di sopravvivenza. La Corte critica il ragionamento effettuato dai giudici di merito, in quanto nel caso di specie l'accertamento della causalità era particolarmente difficoltoso, posto che la vittima era risultata portatrice di una grave patologia, non diagnosticata prima. La valenza salvifica da assegnare alle condotte di primo soccorso omesse, in particolare all'utilizzo del DEA, non era stata adeguatamente esplorata dai periti né adeguatamente motivata dai giudici di prime cure in base alla caratterizzazione del fatto storico e delle peculiarità del caso concreto.

La corte pertanto disponeva l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio sia sul punto l'elemento soggettivo che causalità.

Osservazioni

Il caso in esame riguardava il decesso di un giocatore di calcio, colpito da un malore durante la partita. LA causa del decesso, accertata poi a seguito dell'esame autoptico, risultava essere stata una cardiomiopatia aritmogena, patologia di cui era affetto l'atleta ma che non era mia stata diagnostica prima.

Nell'immediatezza dei fatti erano intervenuti i medici delle due società sportive presenti in campo che avevano posto in essere le manovre di primo soccorso, e, qualche minuto dopo, il responsabile del servizio del 118 dello stadio. Nessuno dei tre medici intervenuti aveva utilizzato il defibrillatore, seppur presente in campo (strumentazione poi utilizzata soltanto presso l'ospedale ove il calciatore era stato tempestivamente trasportato). Tale omissione veniva contesta ai tre medici che venivano pertanto imputati per omicidio colposo. La sentenza in commento, come si è visto, ripercorre con un'articolata motivazione tutti gli elementi che dovrebbero sussistere per addivenire ad una sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 590 c.p. Trattandosi di un'ipotesi di colpa per omissione, vengono analizzati la sussistenza della posizione di garanzia in capo ai tre distinti soggetti coinvolti, dell'elemento soggettivo della colpa sotto il duplice profilo oggettivo e soggettivo nonché del nesso di causa tra la condotta doverosa omessa e il decesso dell'atleta, criticando l'iter argomentativo svolto dai giudici d'appello, che avevano confermato la sentenza di condanna emessa in primo grado, tanto da disporre l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio.

Sotto il primo profilo, in particolare, è interessante rilevare come il Corte analizzi singolarmente le diverse posizioni dei tre medici, in base al diverso ruolo rivestito e conseguentemente al rapporto che ciascuno di loro instaura con il paziente e soprattutto individui il momento esatto in cui si instaura – e quello in cui cessa - la relazione protettiva che determina l'insorgere di una posizione di garanzia.

La Corte, infatti, dapprima ripercorre l'evoluzione della giurisprudenza che ha cercato di determinare i criteri in base ai quali un soggetto versi in una posizione di garanzia. L'elaborazione si è resa necessaria nel rispetto dei principi di determinatezza e tassatività propri del diritto penale in relazione alla “clausola di equivalenza” introdotta dall'art. 40 comma 2 c.p. in base alla quale non impedire un evento che si aveva l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo.

Secondo la giurisprudenza quindi si può delineare una condizione di garanzia quando: “a) un bene giuridico necessiti di garanzia perché il titolare da solo non è in grado di proteggerlo; b) una fonte giuridica – anche negoziale – abbia la predetta finalità di tutela; c) tale obbligo di protezione gravi su una o più persone specificatamente individuate; d) queste ultime siano dotate di poteri atti ad impedire la lesione del bene garantito ovvero siano ad esse riservati mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad evitare che l'evento dannoso sia cagionato. Un soggetto può dirsi titolare di una posizione di garanzia se ha la possibilità, con la propria condotta, di influenzare il decorso degli eventi, indirizzandoli verso uno sviluppo idoneo ad impedire le lesioni del bene giuridico garantito”.

Occorre pertanto in primo luogo individuare i soggetti garanti, ossia i reali destinatari degli obblighi protettivi, in base alle funzioni da loro in concreto eserciate. In secondo luogo occorre individuare il contenuto degli obblighi impeditivi specificatamente riferibili al soggetto che si trovi in posizione di garanzia. L'operazione di selezione dei garanti e di individuazione delle specifiche sfere di competenza, spesso risulta particolarmente complessa. Ha precisato la giurisprudenza come nell'accertamento degli obblighi impeditivi che gravano sul soggetto che versa in posizione di garanzia, occorra tener presente la fonte da cui scaturisce l'obbligo di garanzia: una legge, un contratto, una precedente attività svolta o un'altra fonte obbligante. Ciò al fine di individuare lo specifico contenuto dell'obbligo, ossia le finalità protettive fondanti la posizione di garanzia, le natura dei beni dei quali è titolare il soggetto garantito e lo specifico ambito in cui si esplica l'obbligo di governare le situazioni pericolose in capo al garante.

La posizione di garanzia, viene poi ancora specificato in sentenza, non necessariamente deriva da un'investitura formale, ma può essere generata anche dall'esercizio di fatto delle funzioni tipiche del garante, attraverso un comportamento concludente che prende in carico il bene protetto. Naturalmente, il soggetto garante attivandosi deve avere anche il potere giuridico di impedire l'evento.

In ambito medico, la posizione di garanzia si colloca sotto il duplice profilo della posizione di garanzia “di protezione”, che impone di preservare il bene protetto da tutti i rischi che possono lederne l'integrità, e “di controllo” che impone di neutralizzare eventuali fonti di pericolo che possano minacciare il bene protetto.

Nella sentenza in commento, la suprema Corte giunge poi ad analizzare nello specifico le diverse posizioni dei medici, andando ad individuare il momento esatto in cui insorge la posizione di garanzia in modo da delimitare gli addebiti contestabili a ciascun imputato.

In particolare, vengono distinte le figure dei due medici delle società calcistiche da quella del responsabile del 118. I primi due imputati, infatti, presenti a bordo campo intervennero immediatamente non appena videro il giocatore accasciarsi in campo, addirittura prima che l'arbitro interrompesse il gioco. Il medico del 118, invece, stanziato presso la propria postazione, in infermeria, dentro lo stadio, intervenne dopo un paio di minuti: ritardo che veniva addebitato all'imputato secondo l'ipotesi accusatoria.

Specifica le Corte che la posizione di garanzia dei medici sociali derivava da una duplice fonte: dal ruolo di medici sportivi con lo specifico compito di tutelare la salute dei giocatori e dal generale dovere deontologico che impone il dovere di prestare soccorso nei casi di urgenza. La posizione di garanzia sarebbe pertanto sorta immediatamente al verificarsi del malore dell'atleta, con il pronto intervento dei sanitari.

Il medico del 118, in base alla convenzione vigente all'epoca dei fatti, era responsabile della sicurezza del pubblico, non dei giocatori, infatti durante la partita si trovava in infermeria e non a bordo campo. Lo stesso, quindi, assunse il ruolo di garante solo nel momento in cui raggiunse il giocatore sul campo, solo in quel momento infatti si instaurò la relazione terapeutica medico – paziente. Tale considerazione consente alla Corte di escludere qualsiasi rilevanza penale alla contestata tardività dell'intervento dell'imputato; gli obblighi di protezione infatti non possono essere fatti retroagire al momento in cui insorse il malore.

Precisa infine la Corte il rapporto instauratosi tra i diversi garanti. La posizione di garanzia dei medici sociali, specifica la Corte, non venne meno nel momento in cui sopraggiunsero in campo altri soccorsi, ma solo con l'allontanamento fisico del calciatore dallo stadio caricato sull'ambulanza. Solo in qual momento infatti cessa il rapporto terapeutico instauratosi con il paziente. “Gli effetti della presa in carico del bene protetto da parte di un determinato garante non vengono meno per il solo fatto che vi siano altri soggetti gravati da autonomi – e funzionalmente concorrenti – obblighi impeditivi e di controllo. Qualora vi siano più titolari di una posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia”. Nel caso di specie, quindi, si verificò una situazione di realizzazione congiunta dell'attività terapeutica tra i medici della società sportive e quelli del 118, tutti impegnati a prestare i primi soccorsi, sebbene in assenza di una organizzata ripartizione di compiti e ruoli.

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